Codice di Procedura Civile art. 665 - Opposizione, provvedimenti del giudice.Opposizione, provvedimenti del giudice. [I]. Se l'intimato comparisce e oppone eccezioni non fondate su prova scritta, il giudice, su istanza del locatore, se non sussistono gravi motivi in contrario, pronuncia ordinanza non impugnabile [177 3 n. 2] di rilascio, con riserva delle eccezioni del convenuto [667]. [II]. L'ordinanza è immediatamente esecutiva [474 2 n. 1], ma può essere subordinata alla prestazione di una cauzione per i danni e le spese [119, 478; 86 att.] (1). (1) Seguiva un terzo comma soppresso dal r.d. 20 aprile 1942, n. 504. InquadramentoL'art. 664, comma 1, c.p.c. dispone che nel caso previsto nell'art. 658 c.p.c., il giudice adito pronuncia separato decreto d'ingiunzione per l'ammontare dei canoni scaduti e da scadere fino all'esecuzione dello sfratto, e per le spese relative all'intimazione (Bucci, Crescenzi, 273). L'art. 665, comma 1, c.p.c. dispone che se l'intimato comparisce e oppone eccezioni non fondate su prova scritta, il giudice, su istanza del locatore, se non sussistono gravi motivi in contrario, pronuncia ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva delle eccezioni del convenuto. In dottrina, si ritiene che i gravi motivi ostativi alla pronuncia dell'ordinanza di rilascio sono costituiti dal grado di fondatezza delle eccezioni sollevate dal conduttore, ovvero dall'indicazione plausibile di circostanze fattuali connotate da un'eccezionale gravità poste a fondamento delle suddette eccezioni (Garbagnati, 362; una esaustiva analisi delle varie situazioni è condotta da Porreca, 198; tra i gravi motivi idonei ad impedire la pronuncia dell'ordinanza di rilascio si ritiene possano rientrare anche la probabile fondatezza delle eccezioni sollevate dal conduttore, o l'apparente infondatezza delle ragioni addotte dal locatore, od ancora, circostanze relative alla condizione personale del conduttore che giustificano una deroga alla normativa generale in tema di sfratti, in tale senso, v. Bucci, Crescenzi, 162; inoltre, secondo Carrato 2005, 675, è da considerare che i gravi motivi che nella fase sommaria impediscono l'emissione dell'ordinanza di rilascio sono di fatto riconducibili ad una delibazione sommaria e prima facie delle eccezioni del convenuto, eventualmente anche diverse da quelle fondate su prova scritta, risolvendosi in una sorta di riscontro del fumus boni juris delle ragioni di opposizione alla convalida). Le prove documentali sono unicamente quelle che secondo parte della dottrina si prestano ad assumere un certa rilevanza ex art. 2699 c.c. (Frasca 2001, 258; Porreca, 197), mentre secondo altra opinione, il giudice dovrebbe esaminare ogni altro atto scritto dal quale può discendere un'apparenza di fondamento dell'eccezione sollevata dal convenuto diretta a paralizzare l'emissione dell'ordinanza di rilascio, quali ad esempio, quietanze, ricevute, bonifici, assegni (Trisorio Liuzzi 2005, 390). Ciò in quanto, il documentato pagamento dei canoni, anche dopo l'intimazione di sfratto, impedisce la convalida dello sfratto e la pronunzia dell'ordinanza ex art. 665 c.p.c. L'art. 665, comma 1, c.p.c. enuncia che l'ordinanza è immediatamente esecutiva, ma può essere subordinata alla prestazione di una cauzione per i danni e le spese. La prestazione di una cauzione per i danni e le spese è una facoltà il cui esercizio è si risolve in un'potere discrezionale del giudice, che può essere esercitato d'ufficio valutando da un lato, le esigenze del conduttore e, dall'altro, l'eventualità di un rilascio dell'immobile che potrebbe successivamente rivelarsi non giustificato (Trisorio Liuzzi, 393). L'ordinanza provvisoria di rilascio non ha dunque un carattere meramente processuale, volta cioè al solo ordinato svolgimento del procedimento, ma è un provvedimento che la legge espressamente dichiara esecutivo e non impugnabile. Connotati quest'ultimi che dimostrano che il provvedimento è destinato ad operare come titolo esecutivo anche fuori della sede nella quale è stato emesso, ferma restando la possibilità che esso venga travolto dalla sentenza di merito favorevole al conduttore intimato (Cass. III, n. 6132/1993). Infatti, l'ordinanza in parola, è destinata a perdere la sua efficacia qualora nel giudizio successivamente iniziato ai sensi dell'art. 667 c.p.c., nel corso del quale possono essere rimessi in discussione tutti i fatti che si assume siano stati trascurati dal giudice dell'ordinanza, od anche in un diverso giudizio, avente ad oggetto sempre il medesimo rapporto di locazione, un giudice emetta una sentenza relativa allo stesso rapporto di locazione tra le stesse parti per il quale è stata emessa l'ordinanza provvisoria, e fissi un diverso termine di rilascio (Cass. III, n. 10539/2014). Alla norma in commento faceva seguito una ulteriore parte soppressa dal r.d. n. 504/1942. Il presupposto per l'emissione dell'ordinanza di rilascioA norma dell'art. 665 c.p.c., il provvedimento provvisorio di rilascio può essere emesso solo se il locatore lo richieda, e tale richiesta, pertanto, costituisce il presupposto del provvedimento. In caso di affitto di ramo di azienda relativo ad un’attività svolta in un immobile condotto in locazione, sebbene non si produca l’automatica successione nel contratto di locazione, quale effetto necessario del trasferimento dell’azienda, essendo la successione soltanto eventuale, in quanto richiedente la conclusione di un negozio ad hoc volto a porre in essere la sublocazione o la cessione del contratto di locazione, ciò non rende inammissibile la procedura di sfratto per morosità ed il conseguente ordine di rilascio ex art. 665 c.p.c. (Trib. Bari 20 marzo 2025). La locazione è legittimamente posta in essere da chi ha la disponibilità del bene locato, a prescindere dalla titolarità o meno di diritti reali che quella gli assicurino, ragione per cui quando il locatore e comunque chi sia subentrato nella sua posizione, agisce per la risoluzione di un rapporto locativo, la legittimazione sostanziale si basa sulla posizione contrattuale e, pertanto, prescinde da quella dominicale che l'istante possa o non possa avere. Ne segue che il giudizio sulla posizione dominicale non può avere alcun effetto pregiudicante rispetto a quello locativo, e meno che mai fino al momento della formazione del giudicato su di esso, sulla cui scorta, non sussiste allora l'impossibilità di agire in giudizio della stessa parte spendendo la propria posizione di locatore (Cass. III, n. 4598/2024). L'istanza del locatore, che può essere formulata dal difensore della parte intimante, può essere contenuta nell'atto di intimazione, o proposta a verbale dell'udienza dopo l'opposizione del convenuto (Garbagnati, 361). Pertanto, la semplice richiesta di convalida non vale come istanza di rilascio (Frasca 2001, 252). Nella struttura della norma la richiesta si colloca dopo l'opposizione e dovrebbe essere proposta all'udienza, niente, tuttavia, impedisce di proporla con l'atto introduttivo, ed in questo caso, va subordinata alla richiesta di convalida ed il locatore si può limitare a richiamare le conclusioni già prese senza necessità riproporla espressamente. Il locatore, laddove dopo avere proposto con l'atto introduttivo entrambe le richieste, all'udienza insista solo in quella di convalida, si deve ritenere che abbia rinunciato all'altra – emissione di ordinanza di rilascio – sicché ricorrendo tale eventualità, viene meno il presupposto del provvedimento provvisorio di rilascio ex art. 665 c.p.c. (Trib. Modena 28 marzo 2012). Sul piano della concedibilità dell'ordinanza di rilascio, va considerata l'eventuale presenza di una clausola compromissoria nel contratto di locazione, prevedente il deferimento della nascente controversia in tema di risoluzione alla cognitio arbitrale, in relazione alla quale, si è statuito che in tale ipotesi, non è concedibile il rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto ex art. 665 c.p.c., in forza della considerazione secondo cui la successiva pronuncia definitiva non potrà scendere nel merito, stante l'incompetenza del giudice adito, in quanto pronuncia declinatoria in rito (Trib. Modena 1 agosto 2013). [*GIURI*] La sussistenza dei gravi motivi in contrario ex art. 665 c.p.c. per l'emissione dell'ordinanza di rilascio dell'immobile sono ravvisabili nell'impossibilità sopravvenuta per il conduttore ad adempiere l'obbligazione di pagamento del canone causata dall'impossibilità di utilizzare l'immobile locato per l'attività commerciale turistico-recettiva, a causa di un'evento eccezionale ed imprevedibile, non imputabile al medesimo conduttore evocato in giudizio ex art. 658 c.p.c. dal locatore per la convalida dell'intimato sfratto per morosità, attese le pesanti restrizioni imposte dall'autorità sanitaria per effetto della pandemia in corso di coronavirus, che hanno comportato un'impossibilità parziale ai sensi dell'art. 1464 c.c. di godimento della res da parte dell'intimato, in quanto, la disponibilità giuridica dei locali di per sé considerata, non è mai venuta meno per il medesimo, ragione per cui ha la possibilità di scegliere tra la riduzione del canone a suo tempo convenuto con il locatore o di recedere dal contratto. In particolare, nella prima ipotesi - riduzione del canone - per il periodo in cui si è verificato il lockdown, integrano i gravi motivi ostativi alla concessione dell'ordinanza ex art. 665 c.p.c. gli impedimenti derivanti dai provvedimenti restrittivi emanati nel periodo di riferimento, dall'autorità istituzionale-amministrativa, a fronte dei quali, la notifica dell'intimazione di sfratto per morosità a breve distanza dalla fine del periodo di chiusura generalizzata delle attività commerciali, e, quindi, di fatto, in piena pandemia, si rivela un'atto che denota un comportamento contrario ai canoni solidaristici di cui all'art. 2 della Costituzione (Trib . Venezia 2 ottobre 2020; in senso conf. v. Trib . Napoli 15 luglio 2020; Trib. Roma 29 maggio 2020; Contra, cfr. Trib . Pordenone 8 luglio 2020; Trib. Milano 10 giugno 2020, con riferimento all'escussione della garanzia del fideiussore con riferimento all'adempimento degli obblighi assunti dal conduttore in virtù del contratto di locazione di un'immobile adibito ad attività di ristorazione sospesa nel periodo di covidd-19). [*GIURI*] Va accolta la richiesta proposta dal conduttore, finalizzata a conseguire la riduzione del canone di locazione mensile, funzionale al rispetto dell'obbligo, derivante dalla clausola generale di buona fede e correttezza, di ricontrattare le condizioni economiche del contratto di locazione a seguito delle sopravvenienze legate all'insorgere della pandemia per Covid-19, e ritenuto sussistente il periculum in mora, posto che le perdite potenziali derivanti dal pagamento dei canoni in misura integrale sono idonei ad aggravare considerevolmente la situazione di crisi finanziaria della parte conduttrice, portandola alla cessazione dell'attività economica esercitata nei locali (Trib . Roma ord. 27 agosto 2020). Il giudice non ha ignorato nella fattispecie esaminata, che in base all'art. 1467, comma 3, c.c. e all'orientamento della giurisprudenza di legittimità formatosi sullo stesso punto qui considerato, la rettifica delle condizioni contrattuali “squilibrate” può essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l'azione di risoluzione, in quanto il contraente a carico del quale si verifica l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione non può pretendere che l'altro contraente accetti l'adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite. Tuttavia il medesimo giudicante ha ritenuto che lo strumento della risoluzione giudiziale del contratto “squilibrato” volta alla cancellazione del contratto, nella misura in cui quest'ultimo non contenga alcuna clausola di rinegoziazione derogatrice della disciplina legale, soprattutto per i contratti commerciali a lungo termine, possa in alcuni casi non essere opportuna, e, non rispondente all'interesse della stessa parte che, subendo l'aggravamento della propria posizione contrattuale, è legittimata solo a chiedere la risoluzione del contratto “squilibrato” e non anche la sua conservazione con equa rettifica delle condizioni contrattuali “squilibrate”. Certamente la crisi economica dipesa dalla pandemia da Covid-19 e la chiusura forzata delle attività commerciali - ed in particolare di quelle legate al settore della ristorazione - devono qualificarsi quale sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale. Infatti, nel caso delle locazioni commerciali il contratto è stipulato “sul presupposto” di un impiego dell'immobile per l'effettivo svolgimento di una determinata attività produttiva, e, segnatamente, nel caso di specie, per lo svolgimento dell'attività di ristorazione. Ciò posto, il Tribunale ha quindi ritenuto che pur in mancanza di una clausola di rinegoziazione, il contratto a lungo termine debba continuare ad essere rispettato ed applicato dai contraenti sino a quando rimangono intatti le condizioni ed i presupposti di cui essi hanno tenuto conto al momento della stipula del negozio. Al contrario, qualora si ravvisi una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, quale quella determinata dalla pandemia del Covid-19, la parte che riceverebbe uno svantaggio dal protrarsi dell'esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente deve poter avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva nella fase esecutiva del contratto ex art. 1375 c.c. In ordine alla questione riguardante l'ammissibilità di un'azione di riduzione in via equitativa dei canoni di locazione, in ragione del mancato rispetto dei principi di buona fede e correttezza, proposta in via principale, senza la previa domanda di risoluzione del contratto per sopravvenuta eccessiva onerosità, secondo un'orientamento dottrinale - ROPPO, 356 e ss. - la buona fede può essere utilizzata anche con funzione integrativa cogente, nei casi in cui si verifichino dei fattori sopravvenuti ed imprevedibili non presi in considerazione dalle parti al momento della stipulazione del rapporto, che sospingano lo squilibrio negoziale oltre l'alea normale del contratto. Nello specifico, le suddette circostanze si verificano nel caso dei “contratti relazionali”, implicanti un rapporto continuativo tra le parti, che mal tollerano la risoluzione del contratto, ed all'interno della suddetta categoria sembrano potere rientrare anche i contratti di locazione di beni immobili per l'esercizio di attività produttive. In tal caso, infatti, l'eventuale risoluzione del contratto per eccessiva sopravvenuta onerosità comporterebbe inevitabilmente la perdita dell'avviamento per l'impresa colpita dall'eccessiva onerosità e la conseguente cessazione dell'attività economica. In siffatte ipotesi sorge, pertanto, in base alla clausola generale di buona fede e correttezza, un obbligo delle parti di contrattare al fine di addivenire ad un nuovo accordo volto a riportare in equilibrio il contratto entro i limiti dell'alea normale del contratto. La clausola generale di buona fede e correttezza, invero, ha la funzione di rendere flessibile l'ordinamento, consentendo la tutela di fattispecie non contemplate dal legislatore. Tanto rilevato, anche in presenza dell'intervento generale del legislatore per fare fronte alla crisi economica causata dal Covid-19, deve ritenersi doveroso in tale ipotesi fare ricorso alla clausola generale di buona fede e di solidarietà sancito dall'art. 2 della Carta costituzionale al fine di riportare il contratto entro i limiti dell'alea normale del contatto. In tali situazioni non sembra possa dubitarsi in merito all'obbligo delle parti di addivenire a nuove trattative al fine di riportare l'equilibrio negoziale entro l'alea normale del contratto, atteso che dopo la riapertura dell'esercizio commerciale, l'accesso della clientela è di regola contingentato per ragioni di sicurezza sanitaria. Trattandosi di impossibilità della prestazione della locatrice, di natura parziale e temporanea, attesa la sostanziale impossibilità di utilizzazione della res locata per l'attività di ristorazione, idonea ad incidere sui presupposti alla base del contratto, e che dà luogo all'applicazione del combinato disposto degli artt. 1256 e 1464 c.c., il riflesso sull'obbligo di corrispondere il canone locatizio sarà dunque quello di subire una riduzione dello stesso, destinata a cessare nel momento in cui la prestazione della parte locatrice potrà tornare ad essere compiutamente eseguita. La natura giuridica dell'ordinanza di rilascioIn ordine alla natura giuridica dell'ordinanza di rilascio si sono formate varie tesi. Una attiene alla circostanza che l'ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c. sia configurabile come strumentale rispetto alla decisione definitiva di merito, che verrà pronunciata a conclusione dell'instaurando processo ordinario di cognizione. Tale strumentalità va intesa nel senso che, accertata con deliberazione sommaria la probabilità di esistenza del diritto dedotto dal locatore, di tale diritto verrebbe disposta l'attuazione in via anticipata e provvisoria, fino alla decisione di merito, che accerterà definitivamente l'esistenza o meno del diritto. In dottrina, è stata formulata anche la tesi della natura di provvedimento anticipatorio di condanna sottoposto alla condizione risolutiva riguardante l'emissione di una sentenza di merito negativa (Trifone, Carrato, 275; secondo Masoni, 446, si tratta di un provvedimento anticipatorio degli effetti della sentenza di merito con la precisazione che il contenuto è meramente provvisorio perché fondato su una cognizione limitata ai soli fatti dedotti dall'attore ed in modo superficiale, alle eccezioni del convenuto, che soltanto nella successiva fase a cognizione piena potrà eventualmente essere confermato o ribaltato; secondo Trisorio Liuzzi, 2017, l'ordinanza ex art. 665 c.p.c. con riserva delle eccezioni è un provvedimento sommario – anticipatorio non cautelare – che sopravvive nella sua efficacia esecutiva in caso di estinzione del processo, senza essere idonea a passare in giudicato). L'ordinanza ex art. 665 c.p.c.non contiene alcuna statuizione sulle spese del procedimento speciale, a conclusione del quale viene emessa, al contrario dell'ordinanza di convalida (Lazzaro, Preden, Varrone, 255; Masoni 2007, 447; Trisorio Liuzzi 1996, 506). In dottrina, secondo un'autorevole opinione, l'ordinanza di rilascio è un provvedimento decisorio, una forma di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto (Garbagnati, 394; Carrato 2005, 675). In buona sostanza, secondo tale impostazione, si tratterebbe di un provvedimento analogo a quello cautelare (L'ordinanza di rilascio secondo parte della dottrina, sarebbe equiparabile ad un provvedimento di natura cautelare emanato sulla scorta del pericolo di pregiudizio costituito dalla pretestuosità dell'opposizione, ovvero dalla circostanza che la stessa non è fondata su prova scritta ovvero su gravi motivi, v. Giordano 2015, 238), mancando soltanto il requisito, richiesto per quest'ultimo, del cosiddetto periculum in mora (Carrato 2005, 677, il quale, ritiene che l'ordinanza ex art. 665 c.p.c. è classificabile come un provvedimento anticipatorio di condanna sottoposto alla condizione risolutiva dell'emissione della successiva sentenza di merito negativa, non potendo connotarsi per la presenza di elementi attinenti ai provvedimenti propriamente cautelari, difettando il periculum in mora e la strumentalità in senso stretto, diversa essendo altresì la disciplina applicabile, anche in ordine all'efficacia) e, come il provvedimento cautelare, l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., essendo strumentalmente collegata, con funzione anticipatoria, alla futura decisione definitiva di merito – che riesaminerà funditus ed integralmente, a seguito di cognizione piena, le correlate situazioni giuridiche sostanziali delle parti – cesserà la sua funzione provvisoria, e, quindi, perderà efficacia, non solo nel momento in cui la decisione definitiva di merito, passata in giudicato, produrrà il suo effetto incontrovertibile nella realtà giuridica sostanziale, ma anche nell'ipotesi di estinzione del processo di cognizione ordinario conseguente al processo sommario. L'ordinanza è soggetta – quale provvedimento provvisorio – all'incidenza della sentenza che definisce il giudizio, la quale, tanto se di senso contrario quanto se di senso favorevole, ne determinerà l'assorbimento, con la conseguenza che la situazione dedotta in giudizio sarà regolata dalla decisione sul merito. In punto di revocabilità, inoltre, l'ordinanza ex art. 665 c.p.c. soggiace alla disciplina del comma 3, n. 2 dell'art. 177 c.p.c., stante l'espressa previsione nell'art. 665 c.p.c. della sua inimpugnabilità, che ne comporta l'assorbimento nella decisione che chiude il processo di opposizione alla convalida in primo grado. L'ordinanza di rilascio è a tutti gli effetti un provvedimento provvisorio, non suscettibile di passare in giudicato ed i cui effetti sono provvisori e destinati ad essere confermati o posti nel nulla dal provvedimento che decide la causa nel merito, ragione per cui, l'ordinanza ex art. 665 c.p.c. è dichiarata espressamente inimpugnabile e, una volta sopravvenuta, all'esito della fase di merito, la sentenza dichiarativa della risoluzione del contratto pronunciata a seguito dell'intimazione dello sfratto per finita locazione con la contestuale citazione per la convalida, essa è destinata ad essere assorbita da detta sentenza, con conseguente preclusione in appello di ogni questione attinente alla sua validità (Cass. III, n. 8340/2024). La nuova normativa in materia di procedimenti cautelari è stata ritenuta dalla giurisprudenza di merito non applicabile all'ordinanza immediata di rilascio con riserva delle eccezioni proposta dal conduttore ai sensi dell'art. 665 c.p.c., al pari del giudizio di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. in quanto l'ordinanza di rilascio non ha natura cautelare come si desume dall'art. 669-quaterdecies c.p.c. che prevedendo che le disposizioni in tema di procedimento cautelare in generale si estendono alle sezioni II, III e V del capo III del codice di procedura civile, tiene espressamente fuori dall'ambito delle procedure cautelari il provvedimento reso ex art. 665, comma 1, c.p.c. che fa parte del capo II dello stesso codice di rito (Trib. Lucca 18 gennaio 1993). La seconda alternativa è che l'ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c. rientri nella categoria delle eccezioni del convenuto. In relazione al problema specifico, la giurisprudenza ha più volte riconosciuto l'efficacia dell'ordinanza di rilascio prevista dall'art. 665 c.p.c. anche in caso di estinzione del successivo giudizio di cognizione, ed in tale senso depone anche il più risalente orientamento di legittimità (Cass. III, n. 4464/1976; Cass. III, n. 1767/1960; Cass. II, n. 3953/1954, in cui si è precisato che l'ordinanza ex art. 665 c.p.c. concreta un provvedimento costitutivo e di condanna, che si inquadra nella categoria delle pronunce con riserva, Cass. III, n. 4319/1991), ed è quindi, sottoposta quanto alla sua efficacia alla condizione risolutiva della pronuncia sul merito delle eccezioni riservate, ragione per cui, venuta meno tale condizione per effetto dell'avvenuta estinzione del processo di merito, essa conserva la sua piena efficacia iniziale (conforme Cass. III, n. 120/1949, in cui si precisa la separazione della fase di convalida da quella di merito nella quale si esaminano le eccezioni riservate). Nelle due più “risalenti” sentenze citate del 1949 e del 1954 la perdurante efficacia del provvedimento in parola veniva fondata sulla considerazione che nonostante la denominazione di “ordinanza”, in realtà si era in presenza di un provvedimento costitutivo e decisorio. Ma anche nelle successive decisioni è stata riaffermata la suddetta efficacia dell'ordinanza di rilascio, con la precisazione che, in caso di estinzione del processo di merito, il conduttore può autonomamente iniziare un nuovo giudizio per dimostrare l'infondatezza della pretesa del locatore). L'orientamento dominante, in dottrina e giurisprudenza, è quello della richiamata tesi per la quale l'ordinanza di rilascio ha natura di provvedimento decisorio con riserva delle eccezioni del convenuto. Il giudice, accertati con deliberazione sommaria, stante la natura del procedimento speciale, sulla base degli elementi probatori offerti dall'intimante, l'esistenza del contratto di locazione, e la data di scadenza del termine finale del rapporto locatizio o la morosità del conduttore, se ritiene che non ricorrano gravi motivi in contrario, sul presupposto della cessazione del rapporto o della risoluzione del contratto, condanna, in via provvisoria, il conduttore intimato a rilasciare la cosa locata in favore del locatore intimante, riservando al successivo giudice di merito, nell'instaurando processo di cognizione ordinaria, l'esame delle eccezioni opposte dal conduttore, quali fatti impeditivi od estintivi del diritto fatto valere dal locatore. L'ordinanza provvisoria contiene dunque l'accertamento della sussistenza delle condizioni dell'azione esercitata dal locatore, senza l'esame preventivo delle eccezioni opposte dal conduttore, che verranno esaminate nel successivo processo di cognizione ordinaria, naturalmente in relazione ai fatti costitutivi accertati nel processo sommario, del diritto fatto valere dal locatore, trattandosi di fatti impeditivi o estintivi, coinvolgenti le reciproche situazioni giuridiche sostanziali delle parti. La decisione di tale processo accerterà l'infondatezza o la fondatezza delle eccezioni riservate opposte dal conduttore, per cui, nella prima ipotesi, rimarrà ferma, e diventerà definitiva, la pronunciata condannaex art. 665 c.p.c. del conduttore al rilascio della cosa locata, sul presupposto della cessazione del rapporto locatizio o della risoluzione del contratto di locazione, mentre nella seconda ipotesi, per effetto dell'accertamento di un fatto impeditivo od estintivo del diritto fatto valere dal locatore, l'ordinanza provvisoria di rilascioex art. 665 c.p.c.perderà efficacia, in quanto incompatibile con quell'accertamento. Quest'ultima impostazione è quella costantemente seguita dalla giurisprudenza di legittimità sulla cui scorta, consegue che, stante la non definitività degli effetti nella realtà giuridica sostanziale, sull'ordinanza di rilascio non si forma la cosa giudicata, la quale, invece, si formerà sulla sentenza definitiva che chiuderà il processo di cognizione ordinaria. La giurisprudenza di legittimità (Cass. III, n. 6522/1996; Cass. III, n. 3730/1995; Cass. III, n. 2619/1990), ritiene che il provvedimento emesso ex art. 665 c.p.c., pur se non idoneo ad acquistare autorità di giudicato, rientrando nella categoria dei provvedimenti di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, ha natura di provvedimento sostanziale provvisorio, i cui effetti – afferenti alla cessazione od alla risoluzione della locazione, e, conseguentemente, all'attribuzione del diritto al rilascio della res locata, attuabile in via esecutiva – permangono fino a quando, se non sono confermati definitivamente, siano messi nel nulla dalla sentenza di merito che conclude l'ordinario giudizio di cognizione (Cass. III, n. 20905/2004). Non si tratta, quindi, di un provvedimento ordinatorio, intendendosi, correttamente, per tale il provvedimento che, rimanendo e producendo i suoi effetti nell'ambito del processo, ha la funzione di regolare lo svolgimento dell'iter processuale. L'ordinanza ex art. 665 c.p.c. ha invece incidenza, e produce il suo effetto, in via provvisoria, nella realtà giuridica sostanziale, poiché attribuisce al locatore, non definitivamente, il diritto, attuabile con esecuzione forzata, al rilascio della cosa locata, e, dunque, attribuisce al locatore, non definitivamente, il bene della vita controverso. In particolare, secondo l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora venga emessa dal giudice ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., la mancata riassunzione del giudizio nel termine perentorio fissato ai sensi dell'art. 667 c.p.c.non determina la perdita di efficacia di detta ordinanza quale effetto dell'estinzione del giudizio di merito, atteso che l'ordinanza di rilascio, pur se non idonea ad acquistare autorità di giudicato in ordine al diritto fatto valere dal locatore, rientra nella categoria dei provvedimenti di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, e, quindi, ha natura di provvedimento sostanziale provvisorio, i cui effetti – afferenti alla cessazione o risoluzione della locazione e, conseguentemente, all'attribuzione del diritto al rilascio dell'immobile, attuabile in via esecutiva – permangono fino a quando, ove non vengano definitivamente confermati, siano messi nel nulla dalla sentenza di merito che conclude l'ordinario giudizio di cognizione, salva restando, in caso di estinzione di questo, la facoltà del conduttore di fare valere nel termine di prescrizione le sue eccezioni in un autonomo, nuovo processo (Cass. III, n. 3730/1995; Cass. III, n. 2619/1990). Infatti nell'ipotesi in cui si verifichi l'estinzione del processo di cognizione ordinaria, continua l'efficacia dell'ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni opposte dal conduttore, il cui esame è stato riservato in quel conseguente processo ordinario. Tale soluzione discende dalla natura stessa dell'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., trattandosi di un provvedimento di condanna del conduttore al rilascio, fondato sull'anzidetto presupposto, previo accertamento dell'esistenza dei fatti costitutivi del diritto fatto valere dal locatore costituenti le condizioni dell'azione, con riserva delle eccezioni – in senso proprio – opposte dal conduttore. Come si è già detto innanzi, è un provvedimento che produce immediatamente il suo effetto nella realtà giuridica sostanziale, permanendo fino alla sentenza definitiva nel processo di cognizione ordinaria, nel quale momento, l'effetto dell'ordinanza o diverrà definitivo o cesserà. Pertanto, esclusa la configurabilità di un rapporto di strumentalità con una decisione successiva che sia definitiva integralmente del merito della stessa controversia (v. Cass. III, n. 6132/1993, in cui si è precisato che all'ordinanza provvisoria di rilascio di cui all'art. 665 c.p.c.non può essere riconosciuta affatto natura cautelare, sia perché essa non ha la funzione anticipatoria di un futuro accertamento, ma esplica una funzione autonoma, sia per ragioni di collocazione della norma), con totale riesame dei fatti costitutivi del medesimo diritto fatto valere dal locatore e dei fatti impeditivi od estintivi oppostigli dal conduttore, l'ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni di quest'ultimo è correlata, in ordine alla definitività od alla cessazione dei suoi effetti nella realtà giuridica sostanziale, alla sentenza definitiva pronunciata nel successivo giudizio di merito, per tale ragione, dovendosi escludere che possa incidere su quegli effetti, provocandone la cessazione, l'estinzione del processo di merito. Nella giurisprudenza di merito, con riferimento all'estinzione del processo per improcedibilità, conseguente al mancato avvio del procedimento di mediazione obbligatoria previsto ex lege, si riscontra un contrasto interpretativo in ordine all'efficacia dell'ordinanza di rilascio, essendosi statuito che tale provvedimento in caso di estinzione del giudizio di convalida di sfratto nelle more della trasmigrazione dalla fase a cognizione sommaria alla fase a cognizione piena senza che si arrivi alla sentenza definitiva, non sopravvive all'estinzione anticipata del giudizio, sulla scorta del criterio interpretativo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, in quanto, secondo il giudice milanese, quando il legislatore ha sentito il bisogno di dotare un provvedimento avente natura di ordinanza di efficacia esecutiva anche nel caso di estinzione anticipata del processo, lo ha fatto espressamente, citando a tale fine, gli esempi costituiti dagli artt. 186-bis, comma 2, 186-ter, comma 4, e 186-quater, comma 3, c.p.c. (Trib. Milano 18 febbraio 2016; contra, Trib. Bologna 17 novembre 2015, in cui si è invece affermato l'esatto contrario, atteso che l'ordinanza di rilascio, in quanto provvedimento non impugnabile, anticipatorio di condanna sottoposto a condizione risolutiva consistente nella pronuncia di una successiva sentenza di merito negativa dei presupposti per la sua stessa concessione, è idonea a dispiegare i propri effetti al di fuori del processo, non restando dunque travolta dalla declaratoria di improcedibilità, susseguente all'omesso esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria disposto dal giudice). L'ordinanza di rilascio è impugnabile?In giurisprudenza, si ritiene che sia il provvedimento di convalida ex art. 663 c.p.c., sia quello di rilascio ex art. 665 c.p.c., assumono forma e natura di ordinanze non impugnabili, avverso le quali è ammissibile esclusivamente, nel primo caso, l'opposizione tardiva di cui all'art. 668 c.p.c., allorché l'intimato provi di non aver avuto piena conoscenza dell'intimazione per irregolarità della notifica, per caso fortuito o forza maggiore. Soltanto laddove tali provvedimenti siano stati emessi al di fuori delle condizioni previste dalla legge, assumono natura sostanzialmente decisoria e di sentenza, sicché sono impugnabili con l'appello (Cass. VI, n. 12846/2014; Cass. III, n. 9375/1995). Ai fini della liquidazione delle spese di lite nel giudizio di impugnazione dell'ordinanza di rilascio, adottata ex art. 665 c.p.c. a seguito dell'opposizione del conduttore, il valore della causa non è dato dall'ammontare della morosità su cui si fonda l'intimazione di sfratto, ma dal valore di quella parte del rapporto controverso tra le parti, ossia dal valore dei canoni scaduti ed a scadere per tutta la rimanente durata della locazione, ragione per cui se non è indicato alcun valore, la causa si reputa di valore indeterminato (Cass. VI, n. 19606/2019). È dunque esclusa la proponibilità dell'opposizione all'esecuzione perché non possono dedursi fatti che andavano dedotti nel processo nel quale si è formato il titolo esecutivo costituito dall'ordinanza di rilascio, ciò in ragione della natura residuale del rimedio dell'opposizione all'esecuzione (Cass. III, n. 2870/1997). L'ordinanza di convalida dello sfratto, che il giudice emette – nonostante la comparizione e l'opposizione dell'intimato – rinviando la causa per il prosieguo, con riserva delle eccezioni del convenuto, e fissando la data per il rilascio dell'immobile, è da considerarsi, a prescindere dall'erronea qualificazione adottata, come un'ordinanza di rilascio, secondo la previsione dell'art. 665 c.p.c., e, pertanto, non è suscettibile d'impugnazione con l'appello, in quanto configura un provvedimento privo di decisorietà e definitività, restando le sorti della controversia affidate alla conclusione dell'ordinario processo di cognizione instauratosi per effetto di detta opposizione (Cass. III, n. 15363/2000). Il provvedimento relativo al rilascio dell'immobile locato ex art. 665 c.p.c. – per costante giurisprudenza – non è altresì impugnabile con il regolamento di competenza (Cass. S.U., n. 7290/1993), trattandosi di provvedimento provvisorio che non decide alcun punto della controversia, nè contiene, per sua natura o funzione, una pronuncia implicita sulla competenza (Cass. III, n. 4395/1979), salva l'ipotesi in cui il rapporto dedotto in giudizio sia devoluto alla competenza di un giudice speciale o specializzato, perché in tale ultima ipotesi, il giudice ordinario difetta anche del potere di emettere un provvedimento provvisorio (Cass. III, n. 6153/1979). Aggiungasi che il provvedimento con il quale ai sensi dell'art. 665 c.p.c. il giudice ordina il rilascio dell'immobile locato con riserva delle eccezioni del convenuto, non può essere direttamente investito da alcun mezzo di gravame, neppure ai sensi dell'art. 111 Cost. con ricorso per cassazione, essendo inammissibile anche l'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. (Cass. III, n. 1917/1997). Infatti se è vero che alla luce della giurisprudenza costituzionale, l'opposizione di terzo è proponibile avverso l'ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione (Corte Cost. n. 167/1984) avverso l'ordinanza di sfratto per morosità (Corte Cost. n. 23/71995) nonchè avverso l'ordinanza di convalida di licenza per finita locazione (Corte Cost. n. 192/1995), l'opposizione di terzo non può spiegarsi avverso l'ordinanza provvisoria di rilascio di cui all'art. 665 c.p.c. perchè tale provvedimento è dichiarato non impugnabile dal legislatore, ma anche perchè non avendo natura decisoria non risolve il contrasto sul diritto fatto valere e perciò non può essere equiparato ad una sentenza nè può passare in giudicato (Trib . Livorno 15 novembre 2019). L'eventuale illegittimità dell'ordinanza emessa ex art. 665 c.p.c. è irrilevante, quindi, di per sé, essendo le sorti della controversia unicamente legate al riscontro, nella successiva fase di merito, della legittimità della pretesa fatta valere in giudizio dall'istante. L'ordinanza ex art. 665 c.p.c. è quindi destinata ad essere assorbita dalla sentenza di merito, con la conseguente preclusione in appello di ogni questione attinente alla sua validità (Cass. III, n. 1223/2006; Cass. III, n. 14720/2001; Cass. III, n. 12474/1999). L'ordinanza provvisoria di rilascio emessa dal giudice della convalida senza richiesta è impugnabile?Nella giurisprudenza di legittimità, si evidenziano due orientamenti. In base ad un primo orientamento (Cass. III, n. 12474/1999; Cass. III, n. 354/1983), il provvedimento non sarebbe suscettibile di impugnazione neppure ai sensi dell'art. 111 Cost., in quanto non risolve in via definitiva contestazioni intorno a diritti soggettivi, e, non è conseguentemente idoneo a passare in giudicato, mentre l'esigenza di un suo tempestivo e necessario controllo viene soddisfatta mediante riscontro della legittimità della pretesa fatta valere nella successiva fase di merito. Al riguardo, si è statuito che nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato ai sensi dell'art. 665 c.p.c. determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l'instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento a cognizione piena, alla cui base vi è l'ordinaria domanda di accertamento e di condanna del conduttore (Cass. III, n. 7430/2017). Sulla scorta di altro orientamento (Cass. III, n. 14720/2001, Cass. III, n. 9375/1995) il provvedimento emesso al di fuori delle condizioni previste dalla legge assume natura sostanzialmente decisoria e di sentenza, sicché è impugnabile con l'appello, rimanendo esclusa l'esperibilità del ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 Cost. La dottrina è divisa sulla quaestio juris innanzi prospettata, atteso che l'appello, quale giudizio di secondo grado, presuppone un primo giudizio a cognizione piena, sicché sarebbe problematico ammettere questo rimedio contro il provvedimento provvisorio di rilascio, che invece viene emesso sulla base di una cognizione sommaria. Il rimedio ammesso dalla giurisprudenza non presenta le caratteristiche dell'appello, inteso come mezzo di gravame avente ad oggetto il rapporto sostanziale controverso, proponibile per motivi illimitati e destinato a concludersi con una pronuncia dotata di efficacia sostitutiva del provvedimento impugnato, la tutela del conduttore non rimane soppressa, ma è affidata a mezzi differenti, come l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. o l'actio nullitatis proponibile in ogni momento in via autonoma oppure eventualmente nelle forme dell'opposizione all'esecuzione. L'ordinanza ex art. 665 c.p.c. è sempre pronunciata con riserva delle eccezioni del convenuto, onde essa può essere messa nel nulla dalla sentenza di merito che conclude l'ordinario giudizio di cognizione (Cass. III, n. 10185/2005; Cass. III, n. 1382/1997). Diversamente orientata è altra dottrina, la quale, dal fatto che la richiesta di convalida non lascia dubbi sulla volontà del locatore di ottenere per lo meno il provvedimento provvisorio di rilascio, ritiene di potere desumere che non è necessaria la richiesta di quest'ultimo provvedimento, essendo sufficiente quella dell'altro (convalida). L'ordinanza di rilascio al termine del primo grado del giudizio di meritoL'art. 665, comma 1, c.p.c. afferma che l'ordinanza di rilascio è pronunciata con riserva delle eccezioni del convenuto. L'opposizione dell'intimato di cui all'art. 665 c.p.c. determina, senza che occorra all'uopo un provvedimento del giudice, la conclusione del procedimento di convalida a carattere sommario, e l'instaurazione di un nuovo ed autonomo processo con rito e cognizione ordinaria, in cui non si discute più di accoglimento o di rigetto della domanda di convalida, e, che si conclude con la pronuncia di una sentenza di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato, se la domanda del locatore viene accolta, ovvero di accertamento negativo del diritto al rilascio, se la domanda del locatore è, invece, rigettata. Conseguentemente, si è affermato il principio che nel giudizio di merito non incide l'eventuale illegittima instaurazione del precedente giudizio sommario (Cass. III, n. 7066/1993; Cass. III, n. 1587/1978) e le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse con le rispettive posizioni (Cass. III, n. 2086/2002), compresa quella per il locatore di proporre domande fondate su una nuova causa petendi. Conseguentemente, laddove tali eccezioni siano riconosciute fondate in seguito alla piena cognizione condotta a loro riguardo e sulla loro base è pronunciata la sentenza che definisce in primo grado il giudizio, con il conseguente accertamento negativo del diritto del locatore, è verificata la condizione negativa cui l'efficacia della ordinanza è sin dal suo inizio sottoposta, e, gli effetti ne debbono restare risoluti (Cass. III, n. 8221/2004). La circostanza, che l'ordinanza di rilascio sopravviva all'estinzione del giudizio, non esclude che, una volta sopravvenuto l'accertamento favorevole al conduttore sulle eccezioni da lui proposte, il giudizio si concluda con una sentenza, la quale nega il diritto del locatore, che era stato provvisoriamente affermato con l'ordinanza di rilascio, in tale modo, dunque, assorbendo in sé, ed in un unico complessivo accertamento negativo, la questione dell'esistenza del diritto del locatore. L'immodificabilità dell'ordinanza di rilascioL'ordinanza di rilascio, una volta emessa, permane sino a quando non viene superata da una pronuncia di merito, di segno contrario ovvero negativo in ordine al diritto occorrente per la sua concedibilità. Al riguardo, in dottrina si registra una uniformità di opinioni circa la non esperibilità di rimedi inibitori o comunque idonei ad incidere sull'efficacia esecutiva dell'ordinanza emessa ex art. 665 c.p.c. (Redenti, 49), anche attraverso la tutela d'urgenza (Frasca 2001, 306; Lazzaro, Preden, Varrone, 259). In dottrina, si è anche osservato che l'irrevocabilità ed immodificabilità dell'ordinanza ex art. 665 c.p.c. non riguarda soltanto il provvedimento di accoglimento, ma anche quello di rigetto (Di Marzio 1998, 249; Frasca 2001, 306; Lazzaro, Preden, Varrone, 257; Masoni, 448). In tale senso, depone una risalente pronuncia di legittimità, la quale ebbe sostanzialmente a statuire che il rigetto dell'istanza volta all'emissione dell'ordinanza ex art. 665 c.p.c. comporta che la stessa non possa essere riproposta (Cass. III, n. 1879/1972). Tuttavia, poiché la procedura speciale di sfratto per morosità può essere proposta in relazione al singolo canone di locazione rimasto inadempiuto, decorso il termine di tolleranza stabilito ex lege, in tale ipotesi, instaurandosi un nuovo procedimento, appare evidente come nel corso di quest'ultimo, il locatore possa sostanzialmente ripetere l'istanza volta all'emissione di ordinanza di rilascio rigettata in precedente altro procedimento (ad esempio di sfratto per finita locazione), per ragioni che possono anche essere differenti o non più ricorrenti in concreto all'attualità, in occasione della seconda pronuncia giudiziale. L'ordinanza di rilascio emessa ai sensi dell’art. 665 c.p.c. non è impugnabile né è idonea al giudicato poiché non ha carattere irrevocabile e non statuisce in via definitiva sui diritti e sulle eccezioni delle parti, la cui risoluzione è riservata invece alla successiva fase di merito, in cui intimante ed intimato cristallizzano il thema decidendum e ciò comporta che l'omessa pronuncia su domande od eccezioni sollevate nella fase sommaria od in quella di merito può essere fatta valere solo con l'impugnazione della sentenza che definisce il giudizio incardinato ai sensi dell'art. 667 c.p.c. (Cass. VI, 3 maggio 2022, n. 13956). L’orientamento sull’ordinanza di rilascio in caso di improcedibilità dell’opposizione Quid juris in ordine alle conseguenze derivanti dalla mancata proposizione del procedimento di mediazione nel procedimento di sfratto al momento del mutamento del rito a seguito di opposizione ove il giudice abbia disposto ordinanza non impugnabile di rilascio? Indubbiamente l'onere di introdurre il procedimento di mediazione nelle materie in cui è obbligatorio grava sulla parte istante, ma ciò nonostante, occorre valutare quale sia la ricaduta della pronuncia di improcedibilità sull'ordinanza di rilascio. Ciò premesso, la giurisprudenza di merito appare divisa su tale questione. A fronte del dato letterale dell'art. 5 comma 1-bis d. lgs. n.28/2010, il quale onera della proposizione della domanda di mediazione obbligatoria chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di locazione atteso che nel procedimento per convalida di sfratto, colui che esercita un'azione è l'intimante, potrebbe prospettarsi l'improcedibilità per omessa mediazione obbligatoria della domanda di condanna al rilascio dell'immobile introdotta dal locatore con intimazione-citazione. Da ciò discenderebbe che, una volta dichiarata l'improcedibilità della domanda, l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 665 c.p.c. – con cui la domanda di condanna al rilascio, previa risoluzione del contratto, è stata accolta in via provvisoria – dovrebbe perdere efficacia. In particolare, secondo una parte della giurisprudenza (Trib. Napoli Nord 14 marzo 2016) l'ordinanza provvisoria di rilascio, pur se non idonea ad acquistare l'autorità di giudicato in ordine al diritto fatto valere dal locatore, rientrando nella categoria dei provvedimenti di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, ha natura non di provvedimento cautelare o meramente ordinatorio ma di provvedimento sostanziale provvisorio, i cui effetti permangono fino a quando, ove non vengano definitivamente continuati, siano messi nel nulla dalla sentenza di merito che conclude l'ordinario giudizio di cognizione, salva restando in caso di sua estinzione, al conduttore di fare valere nel termine di prescrizione le sue eccezioni in un autonomo nuovo processo. Nella categoria del travolgimento degli effetti a seguito di estinzione (Trib. Milano 18 febbraio 2016) l'ordinanza non impugnabile di rilascio ex art. 665 c.p.c. sancisce l'inefficacia di tutti gli atti compiuti ad eccezione della sentenza di merito pronunciata nel corso del processo e di quella che regola la competenza. Ne consegue che tale ordinanza di rilascio non sarebbe idonea a dispiegare i propri effetti al di fuori del processo, restando travolta dalla declaratoria di improcedibilità susseguente all'omesso esperimento del procedimento di mediazione disposto dal giudice. In particolare, il mancato esperimento della procedura di mediazione a seguito del mutamento di rito per opposizione all'ordinanza di rilascio comporta l'improcedibilità della domanda dell'intimante e la revoca dell'ordinanza già emessa nella fase sommaria ex art.665 c.p.c. (Trib. Arezzo 12 aprile 2024). Tale orientamento giurisprudenziale sembrerebbe fondarsi sul parallelismo tra decreto ingiuntivo ed ordinanza provvisoria di rilascio, trattandosi entrambe le ipotesi di provvedimento a seguito di istruzione sommaria a cui segue una fase eventuale di merito il cui esito va integralmente a sostituire quello della fase precedente. Tuttavia, a ben vedere, sostenere che il mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria a seguito di procedimento di intimazione di sfratto determina un fenomeno analogo a quello che si verifica nell'alveo di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo significa che a divenire improcedibile sarebbe il giudizio sull'opposizione proposta dall'intimato e non anche l'ordinanza provvisoria di rilascio emessa ex art. 665 c.p.c. la quale, conserverebbe l'efficacia di titolo esecutivo. In tale senso depone altra linea interpretativa (Trib. Bari 10 gennaio 2024), secondo cui l'inosservanza del termine per l'attivazione della mediazione assegnato con l'ordinanza di rilascio, mediante la quale, è stato disposto contestualmente il mutamento del rito, comporta invece la pronuncia di una sentenza dichiarativa della sola improcedibilità del giudizio di merito. Questa soluzione finalizzata alla preservazione dell'efficacia dell'ordinanza non impugnabile di rilascio, idonea a dispiegare i propri effetti al di fuori del processo in quanto non travolta dalla declaratoria di improcedibilità, muove dalla considerazione che il provvedimento anticipatorio di condanna al rilascio è sottoposto alla condizione risolutiva consistente nella pronuncia di una successiva sentenza di merito negativa, laddove la declaratoria di improcedibilità opera in rito. In tale ottica, è l'intimato, nei cui confronti il locatore può fare valere l'ordinanza di rilascio immediatamente esecutiva e non impugnabile, ad avere effettivo interesse a coltivare il giudizio a cognizione piena derivato dalla sua opposizione, al fine di evitare che l'ordinanza di rilascio si stabilizzi. Il locatore-intimante può avere interesse a coltivare la mediazione obbligatoria non con riguardo al provvedimento esecutivo già conseguito e non impugnabile – condanna con riserva delle eccezioni del convenuto – bensì unicamente con riguardo alle ulteriori domande che il medesimo locatore abbia eventualmente proposto. Il locatore-intimante, forte della pronuncia di rilascio emessa, può infatti scegliere di non instaurare il procedimento di mediazione obbligatoria, se appagato del risultato già conseguito in sede di procedimento di sfratto con il rilascio dell'immobile. In buona sostanza, se il giudizio a cognizione piena non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell'ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazione di quest'ultima, in quanto difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza – assorbendola, se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio, oppure caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al rilascio – ragione per cui a carico dell'intimato-opponente, non operoso in mediazione, resta l'effetto della scelta di non avere coltivato la propria opposizione e, con essa, le proprie eccezioni finalizzate a paralizzare la domanda di condanna al rilascio del locatore. Pertanto, l'ordinanza di rilascio, non impugnabile ed idonea alla stabilizzazione, non risulta intaccata dalla pronuncia di improcedibilità, anche perché essendo definita non impugnabile dall'art. 665 c.p.c., non è neppure modificabile-revocabile. Identica sorte avrebbe tale ordinanza in caso di declaratoria di estinzione del giudizio a cognizione piena. La nuova proroga “mirata” della sospensione dei provvedimenti di rilascio immobiliariL'art. 13, comma 13, del d.l. 31 dicembre 2020, n.183, rubricato “proroga di termini in materia di infrastrutture e trasporti” testualmente recita “la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall' articolo 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 , convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 , è prorogata sino al 30 giugno 2021 limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all'adozione, ai sensi dell' articolo 586, comma 2, c.p.c. , del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari”. La norma che proroga la sospensione dei provvedimenti di rilascio immobiliari già in precedenza prevista dall'art. 103, comma 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, prevede questa volta un'applicazione diretta ad una ben determinata fascia di destinatari dei suddetti provvedimenti di rilascio, in tale modo, di fatto “restringendone” il relativo perimetro di applicazione. Ciò si evince sulla scorta di una duplice osservazione di carattere squisitamente oggettivo, riferita ad un'attenta esegesi dell'art. 13, comma 13, del d.l. n.183/2020. Una prima osservazione riguardante l'anzidetta disposizione, inserita in un contenitore normativo sovente definito come “milleproroghe”, come del resto sembra suggerire la stessa rubrica dell'art. 13 “proroga di termini in materia di infrastrutture e trasporti”, attiene alla circostanza che il comma 13 non riguarda la proroga generalizzata degli sfratti ma unicamente l'esecuzione dei provvedimenti finali – resi in forma di ordinanza ex art. 665 c.p.c. – con i quali, il giudice autorizza il singolo soggetto titolare del diritto sulla res immobile locata a conseguirne il rilascio. Quanto sopra si evince dalla piana lettura della norma, che non contiene alcun riferimento agli “sfratti” ma unicamente alla sospensione dell'esecuzione dei “provvedimenti” di rilascio degli immobili, precisando che la stessa si riferisce anche a quelli adibiti ad un'uso non abitativo. Ciò significa che ad essere temporaneamente sospesa – non più sino alla data del 31 dicembre 2020 – ma (attualmente) sino al 30 giugno 2021 è unicamente l'esecuzione dei suddetti provvedimenti di rilascio degli immobili e non anche le relative procedure di sfratto, comprese quelle per morosità oltre a quelle di finita locazione, o per occupazione sine titulo, che pertanto, continuano a potere essere attivate dagli aventi diritto nei confronti dei conduttori inadempienti. La seconda osservazione attiene alla precisa individuazione del “perimetro” disegnato nella norma in commento, che non riguarda più tutte le procedure di rilascio di immobili ma soltanto quelle riferite ai “provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze”, dunque, concernenti titoli esecutivi formatisi in procedure di sfratto per morosità, e non anche per finita locazione o per occupazione sine titulo dell'immobile, il cui iter procedimentale di quest'ultime è conseguentemente da ritenersi estraneo alla suddetta littera legis, così come enunciata piuttosto chiaramente nell'art. 13, comma 13 del d.l. n.183/2020 cit., in cui testualmente si prevede espressamente, senza possibilità di incorrere in equivoco di sorta, “limitatamente” ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze (contrattuali). Conseguentemente, per effetto di tale norma, soltanto il conduttore moroso nel pagamento di una non meglio precisata somma dovuta a titolo di canoni di locazione beneficia della sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio dell'immobile precedentemente locatogli, non anche quelli che invece risultano essere in regola con i pagamenti del canone locatizio od eventualmente delle indennità di occupazione sine titulo dello stesso immobile, i quali sembrano destinati a rimanere esclusi dal perimetro di applicazione della proroga nella sospensione dell'esecuzione dei suddetti provvedimenti di rilascio. A ciò aggiungasi che a beneficiare della sospensione generalizzata, ma al tempo stesso “mirata”, dei provvedimenti esecutivi di rilascio di immobili medio tempore ottenuti dai locatori a seguito dell'instaurazione delle procedure di sfratto per morosità, non sono soltanto i conduttori che versano in stato di morosità perché in stato di bisogno (non è previsto alcun limite reddituale o basato sull'applicazione di parametri ISEE per godere della prorogata sospensione dei provvedimenti di rilascio), ma anche tutte le imprese commerciali che non abbiano comunque corrisposto al locatore il canone di locazione alle scadenze contrattuali convenute, in qualsiasi forma costituite – individuale o societaria – per effetto dell'inciso finale contenuto nella stessa norma, che infatti si riferisce ai provvedimenti di rilascio degli immobili, “anche ad uso non abitativo”. In entrambi i casi considerati dalla suddetta norma in esame, unica condizione necessaria e sufficiente per godere della proroga del periodo di sospensione dell'esecuzione forzata dei provvedimenti di rilascio – causa pandemia da coronavirus – è sempre lo stesso, ovvero il mancato pagamento del canone alle scadenze, a prescindere dalle condizioni reddituali riferite alla persona del conduttore o del proprio nucleo familiare (ISEE), il cui stato di bisogno – si ribadisce – non è in alcun modo richiesto dalla stessa norma in commento. L'ultima osservazione alla norma in commento riguarda la vasta platea dei debitori e dei familiari abitanti negli immobili sottoposti a procedure di esecuzione forzata, essendo anche in tale specifica ipotesi prevista la proroga della sospensione dei “provvedimenti di rilascio” conseguenti all'adozione dell'ingiunzione al debitore di rilasciare l'immobile vendutoex art. 586, comma 2, c.p.c. – rubricato trasferimento del bene espropriato – del decreto di trasferimento immobiliare emesso dal g.e., anche in tale ipotesi, a prescindere dall'allegazione di qualsivoglia requisito reddituale o patrimoniale riguardante la persona dello stesso debitore ( o del custode) e dei propri familiari abitanti nell'immobile esecutato. Conseguentemente, rimangono fuori dal perimetro di applicazione della sospensione disposta ex art. 13, comma 13 d.l. n.183/2020 i “provvedimenti di rilascio” conseguenti all'adozione dell'ingiunzione al debitore di rilasciare l'immobile vendutoex art. 586, comma 2, c.p.c. quando il medesimo debitore ed i propri familiari non dimorino nell'immobile oggetto del provvedimento di rilascio. Un'ultima annotazione si impone: l'art. 13, comma 13 del d.l. n. 183/2020 si riferisce esclusivamente alla persona del debitore, non menziona affatto quella del “custode”, che pure è considerata espressamente nell'art. 586, secondo comma, c.p.c., atteso che ai sensi dell'art. 559 c.p.c. normalmente col pignoramento il debitore è costituito anche custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori, compresi le pertinenze ed i frutti, ovviamente senza diritto a compenso. Il proprietario subisce un danno rilevante per la sospensione dell'esecuzione del rilascio immobiliare, poiché, per questo aspetto, delle due l'una: o il mancato pagamento alla base del provvedimento di rilascio è una scelta dell'occupante abusivo dell'immobile, ed allora non si comprende il motivo per cui non debba prevalere il ripristino della legalità violata, oppure davvero l'occupante l'immobile è impossibilitato obiettivamente a sostenere i pagamenti, ed allora andrebbe comunque presa in considerazione e delibata anche la situazione socio-economica del proprietario cui si impone il sacrificio della mancata disponibilità dell'immobile stesso, senza che sia verosimile un qualche recupero della corrispondente perdita economica al termine dell'emergenza pandemica. La mancata considerazione delle rispettive e concrete situazioni del proprietario e dell'occupante abusivo è tanto più grave, allorquando si tratti di sospendere l'esecuzione di provvedimenti di rilascio degli immobili, proprio in quanto gli effetti socio-economici dell'emergenza possono avere maggiore o minore incidenza ed intensità, per le persone, in relazione a fattori diversi ed indipendenti dalla proprietà immobiliare. Ciò si badi, anche nella misura in cui si pretenda di sospendere il rilascio degli immobili in ossequio all'emergenza sanitaria per situazioni di morosità anche preesistenti alla pandemia, che quindi, non hanno né possono giustificarsi nell'emergenza medesima e sono da essa indipendenti. Conseguentemente, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 103, comma 6 d.l. n.18/2020, come conv. con l. n. 27/2020; dell'art 17 bis d.l. n.34/2020, conv. con l. n. 77/2020, e dell'art. 13 comma 13 comma 13 d.l. n. 183/2020, come conv. con l. n. 21/2021 sia nella parte in cui sospende i provvedimenti di rilascio anche per situazioni estranee all'emergenza sanitaria quali le situazioni di morosità relative al mancato pagamento del canone alle scadenze, e che si siano verificate anteriormente al manifestarsi della pandemia, sia nella parte in cui, prevedendo ipso iure la sospensione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, impedisce al giudice dell'esecuzione di delibare e valutare, mettendole a raffronto comparato, le distinte esigenze del proprietario rispetto a quelle dell'occupante ai fini del decidere se disporre la sospensione (Trib . Trieste 24 aprile 2021). La suddetta quaestio juris è stata risolta dalla Consulta (Corte cost., n. 213/2021) la quale ha dichiarato in parte inammissibili ed in parte infondate le questioni di legittimità costituzionale prospettate dal giudice triestino e di quelle sollevate successivamente da altro giudice rimettente (Trib . Savona 3 giugno 2021), affermando la legittimità delle norme sottoposte al suo esame di costituzionalità. In tale occasione, la Corte non ha mancato di sottolineare che in presenza di un'eccezionale situazione di emergenza sanitaria, la discrezionalità del legislatore nel disegnare misure di contrasto della pandemia, bilanciando la tutela di interessi e diritti in gioco, è più ampia che in condizioni ordinarie, sulla cui scorta, una misura come la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, a giudizio della stessa Corte appare quanto meno non manifestamente irragionevole. Il Giudice delle Leggi ha altresì affermato che l'emergenza pandemica può giustificare, solo in presenza di circostanze eccezionali e per periodi di tempo limitati, la prevalenza delle esigenze del conduttore di continuare a disporre dell'immobile, a fini abitativi o per l'esercizio di un'impresa, su quelle del locatore. 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