Codice di Procedura Civile art. 435 - Decreto del presidente 1 .

Vito Amendolagine

Decreto del presidente1.

[I]. Il presidente della corte di appello entro cinque giorni dalla data di deposito del ricorso nomina il giudice relatore e fissa, non oltre sessanta giorni dalla data medesima, l'udienza di discussione dinanzi al collegio2.

[II]. L'appellante, nei dieci giorni successivi al deposito del decreto, provvede alla notifica del ricorso e del decreto all'appellato 3.

[III]. Tra la data di notificazione all'appellato e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni.

[IV]. Nel caso in cui la notificazione prevista dal secondo comma deve effettuarsi all'estero, i termini di cui al primo e terzo comma sono elevati, rispettivamente, a ottanta e sessanta giorni.

 

[1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 11 agosto 1973 n. 533.

[2] Comma così modificato dall'art. 85 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999.

[3] La Corte cost., con sentenza 14 gennaio 1977, n. 15, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non dispone che l'avvenuto deposito del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di discussione sia comunicato all'appellante e che da tale comunicazione decorra il termine per la notificazione dell'appellato.

Inquadramento

L'art. 435, comma 1, c.p.c. dispone che il presidente della Corte d'Appello entro cinque giorni dalla data di deposito del ricorso nomina il giudice relatore e fissa, non oltre sessanta giorni dalla data medesima, l'udienza di discussione dinanzi al collegio.

La formulazione dei precetti contenuti nell'art. 435 c.p.c. per il giudice di appello, non diversamente che nell'art. 415 c.p.c. per il giudizio di primo grado, è significativa, anche per quanto si riferisce all'attività dell'organo giurisdizionale, dell'intento di ridurre al minimo le more procedurali, avvertendosi dal legislatore l'esigenza di una giustizia rapida e concentrata nei tempi di esplicazione non solo delle domande, eccezioni e difese, con le connesse rigorose preclusioni, ma altresì degli atti che nel rito delle controversie di lavoro sono affidati all'impulso di ufficio, come sono quelli di cui all'art. 435, commi 1 e 3 c.p.c. per il giudizio di appello, in armonia con l'art. 415, commi 2, 3 e 4 c.p.c. per il giudizio di primo grado.

I termini per la fissazione dell'udienza di discussione e la notifica all'appellato

Ciò premesso, la particolare incisività in cui si esprimono i precetti, per ciò che attiene al pur doveroso rispetto dei termini imposti all'organo giurisdizionale per la fissazione dell'udienza di discussione, non trascende, negli effetti attinenti alla validità del processo, la natura propriamente ordinatoria, non venendo meno il principio di cui all'art. 152, comma 2, c.p.c.

Come è stato affermato in dottrina (Montesano, Vaccarella, 312), la disposizione contenuta nell'art. 435, comma 1, c.p.c. pone un termine che ha natura meramente sollecitatoria e che, per conseguenza, non è perentorio né determina alcuna invalidità (Cass. S.U., n. 10728/1998; Cass., sez. lav., n. 1483/1986).

Conseguentemente, ai sensi dell'art. 435, comma 2, c.p.c. l'appellante, nei dieci giorni successivi al deposito del decreto, provvede alla notifica del ricorso e del decreto all'appellato.

La notifica dell'atto introduttivo del giudizio d'appello unitamente al decreto di fissazione dell'udienza assolve solo la funzione dell'instaurazione del contraddittorio.

Il termine di dieci giorni entro il quale l'appellante, ai sensi dell'art. 435, comma 2, c.p.c., deve notificare all'appellato il ricorso tempestivamente depositato in cancelleria nel termine previsto per l'impugnazione, e il decreto di fissazione dell'udienza di discussione non ha carattere perentorio (Cass., sez. lav., n. 18851/2014; Cass. VI, n. 12158/2012), e la sua inosservanza non comporta, perciò, alcuna decadenza, semprechè resti garantito all'appellato uno spatium deliberandi non inferiore a quello legale prima dell'udienza di discussione affinchè questi possa apprestare le sue difese (Cass. VI, n. 19968/2015).

In particolare, in una recente pronuncia di merito (App. Roma sez. lav. 21 gennaio 2020) è stato precisato che nel rito del lavoro, la violazione del termine di dieci giorni entro il quale l'appellante, ai sensi dell'art. 435, comma 2, c.p.c. deve notificare all'appellato il ricorso, tempestivamente depositato in cancelleria nel termine previsto per l'impugnazione unitamente al decreto di fissazione dell'udienza di discussione, non produce alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perché non incide su alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse dell'appellato, sempre che sia rispettato il termine che, in forza del medesimo art. 435, comma 3 e 4, c.p.c., deve intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell'udienza di discussione.

Tale principio ha trovato ulteriore conferma nella più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. II, n.24034/2020; Cass. lav., n. 16137/2020).

La comunicazione all'appellante del decreto di fissazione dell'udienza

L'art. 435, comma 2, c.p.c. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non dispone che l'avvenuto deposito del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di discussione sia comunicato all'appellante e che da tale comunicazione decorra il termine per la notificazione dell'appellato (Corte cost., n. 15/1977).

A seguito della suddetta pronuncia, la giurisprudenza di legittimità ha statuito il principio secondo cui ciò che fa sorgere a carico dell'appellante l'onere di completare la fattispecie introduttiva del giudizio di appello è l'intervenuta comunicazione, all'appellante medesimo, dell'avvenuto deposito del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di discussione, resa obbligatoria dall'art. 435, comma 2, c.p.c. (Cass., sez. lav., n. 19176/2016; Cass., sez. lav., n. 21978/2010).

Pertanto, quando sopravvenga, a causa della suddetta omissione, l'impossibilità di eseguire la notificazione nel rispetto dei termini di cui all'art. 435, commi 1 e 2 c.p.c., deve essere disposta d'ufficio, o ad istanza dell'appellante medesimo, la fissazione di altra udienza di discussione in data idonea a consentire il rispetto dei suddetti termini, potendo, peraltro, il contraddittorio ritenersi validamente costituito anche quando il collegio, senza emettere un formale provvedimento di rinnovo, si sia limitato, all'udienza di discussione originariamente fissata, a disporre il rinvio della medesima, e, l'appellante, nell'osservanza dei ripetuti termini, abbia notificato alla controparte copia del ricorso in appello e del decreto del presidente nonchè del verbale della prima udienza, nella quale è stato disposto il rinvio (Cass. VI, n. 27375/2016; Cass., sez. lav., n. 21978/2010).

La mancata comunicazione del decreto di fissazione di udienza da parte della cancelleria, non giova all'appellante quando egli comunque abbia acquisito conoscenza, attraverso un mezzo idoneo equipollente, della data fissata per la discussione della causa (Cass., sez. lav., n. 19191/2016).

I termini di comparizione in appello

L'art. 435, comma 3, c.p.c. prevede che tra la data di notificazione all'appellato e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni, e, l'art. 425, comma 4, c.p.c. che nel caso in cui la notificazione prevista dall'art. 435, comma 2, c.p.c. debba effettuarsi all'estero, i termini di cui all'art. 435, commi 1 e 3 c.p.c. sono elevati, rispettivamente, a ottanta e sessanta giorni.

L'art. 435 c.p.c. in appello prevede un procedimento analogo a quello disciplinato dall'art. 415 c.p.c. nel giudizio di primo grado, la cui differenza può ravvisarsi nella tempistica riguardante la previsione dei termini indicati dalle anzidette norme.

Infatti, mentre l'art. 435, comma 3, c.p.c. dispone che tra la data di notificazione del ricorso con il decreto di fissazione dell'udienza di discussione all'appellato e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni, l'art. 415, comma 5, c.p.c. prevede che tra la data di notificazione al convenuto e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni.

Allo stesso modo, l'art. 435, comma 4, c.p.c. enuncia che nel caso in cui la notificazione prevista dall'art. 435, comma 2, c.p.c. debba effettuarsi all'estero, i termini di cui all'art. 435, commi 1 e 3, c.p.c. sono elevati, rispettivamente, a ottanta e sessanta giorni, mentre l'art. 415, comma 6, c.p.c. eleva il termine decorrente tra la data di notificazione al convenuto e quella dell'udienza di discussione a quaranta giorni e quello tra il giorno del deposito del ricorso e l'udienza di discussione ad ottanta giorni nel caso in cui la notificazione al convenuto debba effettuarsi all'estero.

La giurisprudenza di legittimità ritiene che il termine a comparire previsto dall'art. 435, comma 3, c.p.c., tra la data di notificazione all'appellato e quella dell'udienza di discussione, deve essere libero e va computato escludendo sia il dies a quo – giorno della notificazione – sia il dies ad quem – giorno della comparizione – per l'esigenza di assicurare al convenuto-appellato un congruo spatium deliberandi al fine dell'apprestamento delle sue difese (Cass. VI, n. 16110/2016).

Nel rito del lavoro, la violazione del termine non minore di venticinque giorni che, a norma dell'art. 435, comma 3, c.p.c., deve intercorrere tra la data di notifica dell'atto di appello e quello dell'udienza di discussione, non comporta l'improcedibilità dell'impugnazione, come nel caso di omessa od inesistente notificazione, bensì la nullità di quest'ultima, sanabile ex tunc per effetto di spontanea costituzione dell'appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c. (Cass. VI, n. 9199/2020; Cass. VI, n.2903/2020Cass., sez. lav., n. 29920/2018; Cass. lav. n. 9404/2018).

Al riguardo va detto che a fronte di una disciplina espressa e completa che modula i tempi ed i modi per ottenere la sanatoria delle invalidità diverse dall'inesistenza della vocatio in ius, non è ammissibile che l'interprete possa ricorrere in via autonoma ad una diversa conformazione dei principi costituzionali in tema di ragionevole durata o giusto processo, attribuendo rilevanza alle giustificazioni del ritardo od al contegno delle parti in udienza e facendo scaturire dall'invalidità effetti diversi e più gravi - quale l'improcedibilità dell'appello - di quelli delineati dal sistema proprio delle norme processuali di riferimento. Il testo dell’art.  291 c.p.c. prevede, infatti, esclusivamente che il giudice, quale garante della regolare instaurazione del contraddittorio, ove il convenuto non si costituisca e ricorra un vizio di nullità della notificazione, previo rilievo del medesimo, fissi un termine per la rinnovazione, senza che a diversa soluzione possa giungersi in applicazione del principio della ragionevole durata del processo.

In particolare, l'inosservanza del termine dilatorio a comparire non è configurabile come vizio di forma e di contenuto dell'atto introduttivo, atteso che, a differenza di quanto avviene nel rito ordinario, essa si verifica quando l'impugnazione è stata già proposta mediante il deposito del ricorso in cancelleria, mentre nel procedimento ordinario di cognizione il giorno dell'udienza di comparizione è fissato dalla parte ex art. 163, n. 7) c.p.c. ed art. 342 c.p.c., tale giorno è fissato, nel rito del lavoro, dal giudice con il suo provvedimento (Cass., sez. lav., n. 20079/2018).

Il suddetto principio vuole che tutte le nullità in genere della notificazione derivanti da vizi che non consentono all'atto di raggiungere lo scopo a cui esso è destinato, ai sensi dell'art. 156, comma 3, c.p.c., consistente nella regolare costituzione del rapporto processuale, sono da considerare sanabili ex tunc, con effetto retroattivo a seguito della rinnovazione disposta dal giudice, senza che a ciò rilevi che le stesse trovino la loro origine in una causa imputabile all'ufficiale giudiziario o alla parte istante.

In buona sostanza, coerentemente con le norme processuali interessate, e con i principi che regolano la materia, la giurisprudenza è solidamente attestata sulla posizione che, qualora la notifica sia validamente avvenuta, pur senza il rispetto del termine a comparire, e non si sia realizzato l'effetto sanante con la costituzione dell'appellato, l'effetto caducatorio per il gravame non viene a determinarsi, ed il giudice è tenuto a disporre la rinnovazione della notifica concedendo un nuovo termine alla parte a ciò onerata.

La sostituzione del giudice relatore

Il disposto dell'art. 174, comma 2, c.p.c., che prevede la possibilità della sostituzione del giudice istruttore in caso di assoluto impedimento o di gravi esigenze, trova applicazione anche nel rito del lavoro.

Pertanto, è stato affermato che qualora la sostituzione avvenga nel rispetto di tale norma, non sussiste alcuna violazione di legge ove la controversia sia decisa non dal giudice che l'ha istruita, ma da quello innanzi al quale si è svolta la discussione della causa, anche quando il secondo magistrato non abbia svolto l'attività di istruzione, avendo egli conoscenza degli atti già acquisiti al processo, e, conservando comunque, in ordine alle prove, i poteri istruttori che gli derivano dall'art. 421 c.p.c. (Cass., sez. lav., n. 4076/1995; Cass., sez. lav., n. 5449/1992).

Nel giudizio di appello soggetto al rito del lavoro, la sostituzione, anteriormente all'udienza di discussione, del giudice relatore designato nel decreto del presidente del tribunale emesso ai sensi dell'art. 435 c.p.c., non viola il principio d'immodificabilità del collegio giudicante, operando tale principio solo dal momento in cui ha inizio la discussione della causa (Cass., sez. lav., n. 7430/1990, la quale ha altresì precisato che non sarebbe comunque configurabile nullità del giudizio di appello, e della relativa sentenza, per il fatto che detta sostituzione sia stata eventualmente disposta senza il rispetto delle condizioni stabilite dall'art. 174, comma 2, c.p.c., costituendo tale inosservanza un'irregolarità di carattere regolamentare ed interno che non incide sulla costituzione del giudice).

Nel caso di mutamento di composizione del collegio non è configurabile nullità della sentenza nè dopo l'assunzione delle prove, nè dopo udienze di mero rinvio ancorchè formalmente destinate alla discussione (Cass. lav., 6086/2021; Conf. Cass. lav., n. 12514/2004). In tale ottica, il principio di immodificabilità del collegio giudicante, la cui violazione comporta la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 158 c.p.c., trova attuazione, nel rito del lavoro, solo dal momento dell'inizio della discussione, e va valutato solo in rapporto alla decisione che segue la discussione stessa, nel senso che non può essere diverso il collegio che abbia assistito alla discussione finale e quello che emetta il dispositivo di sentenza all'esito della consequenziale camera di consiglio.

Il rinvio d'ufficio dell'udienza di discussione fissata per decreto

Nell'ipotesi di slittamento dell'udienza, quale rinvio disposto d'ufficio, trova ingresso il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui nelle controversie assoggettate al rito del lavoro, al fine di verificare il rispetto dei termini fissati per il convenuto in primo grado ai sensi dell'art. 416 c.p.c. e per l'appellato in virtù dell'art. 436 c.p.c., con riferimento all'udienza di discussione, non si deve avere riguardo a quella originariamente stabilita dal provvedimento del giudice, ma a quella fissata – ove, eventualmente, sopravvenga – in dipendenza del rinvio d'ufficio della stessa, che concreta una modifica del precedente provvedimento di fissazione, e che venga effettivamente tenuta in sostituzione della prima (Cass. VI, n. 16517/2016; Cass., sez. lav., n. 8684/2015; Cass. S.U., n. 14288/2007).

La notificazione all'appellato sia dell'atto di appello, con il decreto di cui all'art. 435 c.p.c., sia del verbale della stessa udienza, contenente il provvedimento di fissazione della nuova udienza di discussione consente di attivare l'instaurazione del contraddicono, senza pregiudizio per la difesa dell'appellante (Cass., sez. lav., n. 15382/2004).

È invece ravvisabile un'ipotesi di giuridica inesistenza della notificazione dell'atto di appello e del decreto presidenziale di fissazione di udienza, che nel rito speciale del lavoro determina una situazione definitiva di carenza di contraddittorio, tale da impedire la prosecuzione del giudizio, e, quindi, ogni statuizione sulla domanda, nel caso in cui siano notificati soltanto dopo l'udienza originariamente fissata per la discussione e rinviata d'ufficio dal giudice, senza alcuna formale comunicazione alle parti appellate di tale rinvio ad altra data, mediante notifica – insieme alla copia del ricorso in appello – di un formale provvedimento di rinnovo del decreto di fissazione dell'udienza o di un verbale dell'udienza in cui era stato disposto il rinvio (Cass., sez. lav., n. 8509/1995).

I vizi della notifica del ricorso e del decreto all'appellato

Nel rito del lavoro l'appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell'udienza non sia avvenuta, non essendo consentito, alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della ragionevole durata del processo, assegnare all'appellante un termine per la rinnovazione di un'attività in realtà mai compiuta.

L'appello, pur tempestivamente proposto, nel rito del lavoro, applicabile in materia di locazione ai sensi dell'art. 447-bis c.p.c., deve considerarsi improcedibile ove non sia avvenuta la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, non essendo consentito al giudice di assegnare all'appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. 291 c.p.c., salvo che la parte non adduca un motivo di legittimo impedimento (Cass. VI, n. 9597/2011; Cass. S.U. n. 20604/2008), in ogni caso, non essendo consentito al giudice, alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata, ed imposta dal principio della ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2, Cost. assegnare alla parte un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. 291 c.p.c. una volta scaduto il termine ordinatorio senza che si sia avuta una proroga, poiché si determinano – per il venire meno del potere di compiere l'atto – conseguenze analoghe a quelle ricollegabili al decorso del termine perentorio (Cass., sez. lav., n. 6159/2018).

Tale orientamento, nel superare le diverse conclusioni alle quali le Sezioni unite erano pervenute con la sentenza n. 6841/1996, si fonda sull'indissolubile legame esistente fra le due fasi dell'editio actionis e della vocatio in jus, che non consente di ritenere che la prima possa produrre effetti anche in assenza della successiva attività notificatoria. Infatti escluse la reciproca autonomia delle due fasi e l'insensibilità degli atti della prima fase rispetto ai vizi che ne inficiano la seconda, sulle quali poggiava il precedente orientamento di legittimità, si è affermato che, al contrario, la prima fase, proprio perchè non autonoma rispetto alla seconda, produce unicamente effetti prodromici e preliminari, suscettibili di stabilizzarsi solo in presenza di una valida vocatio in jus, cui, nei casi di notifica non effettuata, non può pervenirsi attraverso l'applicazione dell'art. 291 c.p.c. giacchè non è pensabile la rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente.

Il vizio della notificazione omessa od inesistente, è quindi assolutamente insanabile, ed in quanto tale, determina la decadenza dell'attività processuale cui è finalizzata, con la conseguente declaratoria in rito di chiusura del processo, attraverso l'improcedibilità, non essendo consentito al giudice assegnare all'appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente, senza che possa giovare al medesimo appellante la mancata comunicazione del decreto di fissazione da parte della cancelleria quando comunque abbia acquisito conoscenza, attraverso un mezzo idoneo equipollente, della data fissata per la discussione della causa (Cass., sez. lav., n. 19083/2018).

Tale principio è stato recentemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, laddove si è affermato che nel rito lavoro l'appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell'udienza non sia avvenuta, non essendo consentito - alla stregua di una interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cd. ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2, Cost. - al giudice di assegnare ex art. 421 c.p.c. all'appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. 291 c.p.c., essendosi ulteriormente precisato che il vizio di notificazione omessa od inesistente è assolutamente insanabile, e, determina la decadenza dell'attività processuale cui l'atto è finalizzato, con la conseguente declaratoria in rito di chiusura del processo, attraverso l'improcedibilità, non essendo consentito al giudice di assegnare all'appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto non compiuto o giuridicamente inesistente (Cass. sez. lav., n.21298/2020). 

Ciò per il principio della legittima aspettativa della controparte al consolidamento, entro un termine predefinito e ragionevolmente breve, di un provvedimento giudiziario già emesso, a differenza di quanto avviene nel processo di primo grado.

In occasione della sopra richiamata pronuncia di legittimità, si è riaffermato il principio che nel procedimento di lavoro in grado di appello, qualora si constati la nullità del ricorso e del decreto di fissazione d'udienza, il termine che il giudice deve assegnare all'appellante per rinnovare la notifica ha carattere perentorio, sicchè, ove esso non sia osservato, l'appello diviene inammissibile, anche se l'appellato, per effetto della notifica, si è costituito in giudizio. Pertanto, non può attribuirsi alcuna efficacia sanante alla costituzione dell'appellato in assenza del rispetto del termine per effettuare l'attività processuale di notificazione statuita dal giudice di secondo grado per la seconda volta, nell'ipotesi della disposta rinnovazione della notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di discussione in appello (Cass. sez. lav., n.21298/2020).

La violazione del termine non minore di venticinque giorni che deve intercorrere tra la data di notifica dell'atto d'appello e la data dell'udienza di discussione, ai sensi dell'art. 435, comma 3, c.p.c., configura un vizio della notificazione che produce nullità, ed impone l'ordine di rinnovazione della notificazione stessa, in applicazione dell'art. 291 c.p.c. soltanto in difetto di costituzione dell'appellato.

Infatti, l'inosservanza, in sede di notifica del ricorso in appello, del termine dilatorio a comparire previsto dal terzo comma dell'art. 435 c.p.c., non determina l'improcedibilità del gravame, ma dà luogo ad un'ipotesi di nullità della notificazione, sanabile ex tunc per effetto di spontanea costituzione dell'appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c., costituendo questa norma espressione del principio generale dell'ordinamento, riferibile ad ogni atto che introduce il rapporto processuale e lo ricostituisce in una nuova fase giudiziale, per cui sono in tali modi sanabili con effetto retroattivo non solo le nullità contemplate dall'art. 160 c.p.c., ma tutte le nullità in genere della notificazione, senza che rilevi se esse trovino la loro origine in una causa imputabile all'ufficiale giudiziario o alla parte istante (Cass. VI, n. 4562/2018; Cass. VI, n. 5880/2017; Cass. VI, n. 27395/2016; Cass., sez. lav., n. 19818/2013).

Il vizio resta invece sanato da detta costituzione, ancorchè effettuata al solo scopo di fare valere la nullità, stante la certezza del raggiungimento dello scopo dell'atto, salva la facoltà dell'appellato di chiedere, all'atto della costituzione, un rinvio dell'udienza per usufruire dell'intero periodo previsto ex lege ai fini di un'adeguata difesa (Cass., sez. lav., n. 9735/2018).

Il principio è stato riaffermato più recentemente dalla giurisprudenza di legittimità, avendo quest'ultima statuito che, nel complesso procedimento di impugnazione previsto nel rito speciale del lavoro, la nullità derivante dalla assegnazione al convenuto di un termine a comparire inferiore a quello stabilito dall'art. 435, comma 3, c.p.c., è suscettibile di sanatoria con efficacia ex tunc sia per effetto della costituzione in giudizio della parte appellata sia, in via alternativa, mediante rinnovazione della notificazione dell'atto di appello disposto dal giudice entro un termine perentorio all'uopo assegnato (Cass. VI, n. 172/2019; contra, Cass., sez. lav., n. 2279/1994, che ha ritenuto il vizio sanabile soltanto con effetto ex nunc, con la conseguenza che se l'atto di impugnazione sia divenuto inidoneo ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza – come avviene, ad esempio, se la costituzione dell'appellato sia posteriore alla scadenza del termine di legge per l'impugnazione – deve definire il giudizio con pronuncia di mero rito, senza procedere alla rinnovazione dell'atto. Secondo un altro orientamento, invece, non potrebbe farsi distinzione fra nullità ed inesistenza od omissione della notificazione, dovendosi da tali eventi trarre le medesime conseguenze, essendosi sostenuto al riguardo, che nel rito del lavoro l'appello si perfeziona con il deposito del ricorso in cancelleria nel termine per impugnare, mentre la notifica dell'atto con il pedissequo decreto di fissazione dell'udienza costituisce un elemento, esterno alla fattispecie introduttiva del giudizio di secondo grado, attraverso il quale si realizza la vocatio in ius. Ne deriva che la mancanza o la nullità, sia nel caso d'inesistenza, sia se ricorra la mera nullità della notifica non può mai comportare l'inammissibilità dell'appello, ma, qualora non sia sanata mediante la costituzione dell'appellato, determina, ai sensi dell'art. 291 c.p.c., la necessità della fissazione di una nuova udienza e della rinnovazione della notificazione con efficacia ex tunc (Cass., sez. lav., n. 5401/1993).

Peraltro, riguardo alla prima ipotesi, qualora la parte appellata, nel costituirsi in giudizio, deduce l'inosservanza del termine a comparire, il giudice deve fissare una nuova udienza nel rispetto del termine stesso (Cass., sez. lav., n. 31077/2018; Cass., sez. lav., n. 18165/2004).

Nell'eventualità in cui si verifichi in sede di notifica del ricorso e del decreto, l'erronea indicazione del giudice designato e della data d'udienza, si è affermato che l'indicazione del giudice designato non costituisce un requisito essenziale del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza notificato alla controparte, al punto che la sua mancanza od erronea indicazione possa tradursi in un'irreversibile compromissione della vocatio in jus, considerata la revocabilità o modificabilità della designazione del giudice relatore fino all'udienza di discussione, mentre l'indicazione erronea della data d'udienza - non comporta  la nullità se l'atto ha raggiunto lo scopo cui era destinato, con la conseguenza che non si versa in ipotesi di inesistenza della notificazione sanzionabile con l'improcedibilità - laddove non impedisca all'esito della notificazione, la rituale e tempestiva costituzione in giudizio dell'appellato e la possibilità per quest'ultimo, di svolgere le proprie difese avverso il gravame, interponendo il gravame incidentale, e di comparire all'udienza di discussione (Cass., sez. lav., 20260/2020).

Bibliografia

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