Responsabilità dei sindaci per condotta omissiva in ipotesi di dimissioni
07 Aprile 2020
Massima
Le dimissioni non sono idonee ad esimere da responsabilità, quando non siano accompagnate anche da concreti atti “volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti, per la pregnanza degli obblighi assunti dai sindaci proprio nell'ambito della vigilanza sull'operato altrui, e perché la diligenza impone piuttosto un comportamento alternativo: equivalendo allora le dimissioni ad una sostanziale inerzia ed, anzi, divenendo esemplari della condotta colposa e pilatesca tenuta dal sindaco, del tutto indifferente e inerte nel rilevare la situazione di illegalità reiterata”. Il caso
Nel giudizio oggetto di esame, la Corte d'Appello di Palermo condannava in via risarcitoria i sindaci di una S.p.A. dichiarata fallita,per avere questi “omesso di esercitare i poteri di controllo e vigilanza, nonché i poteri sostitutivi per salvaguardare gli interessi dei soci e dei creditori sociali, omettendo di sollecitare i provvedimenti di cui agli art. 2409 c.c. nonostante la presenza delle condizioni di cui all'art. 2448 c.c.” [attuale art. 2484 c.c.]. I Giudici di appello ritenevano che, a fronte della evidente gestione contra legem dell'amministratore, i sindaci - al fine di salvaguardare gli interessi dei soci e dei creditori e, più in generale, dei terzi che fanno affidamento sull'integrità del patrimonio sociale - non avrebbero dovuto limitarsi a fare denunce all'assemblea e poi rassegnare le dimissioni dal proprio incarico di organo di controllo,evidenziando, peraltro, gli stessi Giudici come tali sindaci fossero consapevoli dell'impossibilità di concreta attuazione di rimedi endosocietari, vista la coincidenza dell'amministratore con una parte significativa dell'azionariato; con ciò, quindi,risultando ogni denuncia all'assemblea improduttiva di alcun effetto. Gli stessi Giudici di secondo grado sottolineavano altresì (trattandosi di fattispecie risalente al periodo anteriore alla riforma del 2003, quando, dunque, ai sindaci non era permesso fare ricorso al tribunale ai sensi dell'art. 2409 c.c.) come i sindaci si fossero resi responsabili di una precisa condotta omissiva prima di rassegnare le dimissioni, non avendo tali sindaci azionato l'unico strumento che avrebbe potuto interrompere il comportamento contra legem dell'amministratore, quale la denuncia al P.M. per consentire a quest'ultimo di promuovere il procedimento ai sensi dell'art. 2409 c.c. Le questioni
Le dimissioni dei sindaci L'art. 2401 c.c. prevede che “in caso di morte, di rinunzia o di decadenza di un sindaco, subentrano i supplenti in ordine di età, nel rispetto dell'articolo 2397, secondo comma. I nuovi sindaci restano in carica fino alla prossima assemblea, la quale deve provvedere alla nomina dei sindaci effettivi e supplenti necessari per l'integrazione del collegio, nel rispetto dell'articolo 2397, secondo comma. I nuovi nominati scadono insieme con quelli in carica. In caso di sostituzione del presidente, la presidenza è assunta fino alla prossima assemblea dal sindaco più anziano. Se con i sindaci supplenti non si completa il collegio sindacale, deve essere convocata l'assemblea perché provveda all'integrazione del collegio medesimo”. Alla luce di tale norma, i temi di indagine di maggiore interesse relativamente all'ipotesi di dimissioni dei sindaci risultano essere quelli della cd. prorogatio e della responsabilità civile dei sindaci stessi (in generale sui sindaci, si veda R. Alessi, N. Abriani, U. Morera, a cura di, Il collegio sindacale: le nuove regole, Torino, 2007; G. Cavalli, Osservazioni sui doveri del collegio sindacale di società per azioni non quotate, in Il nuovo diritto societario, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Torino, 2007;U. Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010; S. Ambrosini, Il collegio sindacale, in Tratt. dir. priv., vol. XVI, tomo VI, diretto da P. Rescigno, Torino, 2013). Con riguardo alla cd. prorogatio, la recente giurisprudenza di merito e di legittimità ha stabilito che l'esigenza di continuità dell'organo di controllo, confermata dall'istituzione della figura dei sindaci supplenti, porta necessariamente a giustificare l'applicazione analogica della disciplina sulla proroga,come prevista nell'ipotesi della cessazione degli amministratori; così dovendo il collegio sindacale dimissionario rimanere nella propria funzione sino all'effettiva assunzione della carica da parte dei successori mediante accettazione formale ovvero anche per fatti concludenti, quale ad esempio la partecipazione all'assemblea in veste di sindaci(si veda Trib. Milano 3 febbraio 2010, in Società, 2010, 513; Cass. 12 aprile 2017, n. 9416; Cass. 15 novembre 2019, n. 29719). Quanto ai profili della responsabilità civile occorre, invece, verificare se i sindaci possano rinunciare alla propria carica in ogni momento e con qualsiasi modalità, ovvero se tale rinuncia debba svolgersi nel rispetto di uno specifico iter procedimentale, non codificato, ma certamente declinabile in considerazione della funzione di garanzia dell'osservanza delle regole di corretta amministrazione svolta dai sindaci, così come delineata nell'art. 2403 c.c., per il quale “il collegio sindacale vigila sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei princìpi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. Esercita inoltre il controllo contabile nel caso previsto dall'articolo 2409-bis, terzo comma”.
la responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza L'art. 2407 c.c. stabilisce che “i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio. Essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica. All'azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395”. Alla luce delle prescrizioni di tale norma, deve ritenersi che in caso di dimissioni dei sindaci si configuri una responsabilità omissiva degli stessi in concorso con gli amministratori per la mala gestio di questi ultimi, laddove sussistano una condotta inerte dei sindaci, il fatto pregiudizievole altrui e il nesso causale; quest'ultimo da provarsi mediante il cd. giudizio contro-fattuale, allorché l'attivazione da parte del sindaco (in luogo della rinuncia a proseguire nell'attività di controllo) avrebbe ragionevolmente impedito l'evento (ovvero la protrazione, la reiterazione o l'aggravamento dello stesso) (si veda Cass. 27 maggio 2013, n. 13081, in Società, 2013, 856; Cass. 12 luglio 2019, n. 18770). Compito essenziale dei sindaci è di vigilare sul rispetto della legge e dello statuto da parte degli amministratori e, pertanto, insorge la responsabilità per inosservanza del dovere di vigilanza nell'ipotesi in cui i sindaci non abbiano reagito di fronte ad atti illegittimi o di dubbia legittimità e regolarità (si veda Cass. 14 ottobre 2013, n. 23233; Cass. 13 giugno 2014, n. 13517). Naturalmente, affinché possa validamente sorgere una responsabilità risarcitoria, occorre che i sindaci potessero attivarsi utilmente, in quanto disponessero dei poteri per contrastare l'illecito altrui. Ciò che, come opportunamente osservato dalla giurisprudenza di legittimità (si veda Cass. 12 luglio 2019, n. 18770, cit.), è ampiamente previsto dalle norme positive del nostro ordinamento: inter alia, l'art. 2403-bis c.c. consente ai sindaci un'adeguata attività informativa e valutativa, con poteri di specifico intervento (e pretesa da parte degli amministratori della messa in atto delle azioni correttive necessarie) al fine di evitare condotte gestorie dannose; l'art. 2406 c.c. permette ai sindaci di convocare l'assemblea, qualora la convocazione sia stata omessa dagli amministratori ovvero sia necessaria per la segnalazione delle irregolarità di gestione riscontrate, oltre che ai fini e per gli effetti degli artt. 2446 e 2447 c.c.; l'art. 2485 c.c. prevede che i sindaci possano fare ricorso al tribunale per l'accertamento del verificarsi di una causa di scioglimento ai sensi dell'art. 2484 c.c.; l'art. 2487 c.c. prevede altresì il ricorso al tribunale anche da parte dei sindaci per la nomina dei liquidatori; l'art. 2409 c.c. consente ai sindaci la denunzia al tribunale nell'ipotesi di fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possano arrecare danno alla società o a una o più società controllate. Dunque, in presenza di iniziative illegittime (o anche soltanto anomale) da parte dell'organo gestorio, i sindaci hanno l'obbligo di attivare ogni loro potere di sollecitazione e denuncia, internamente e esternamente alla società; in mancanza di ciò, concorrendo nell'illecito civile commesso dagli amministratori per omesso esercizio dei poteri anzidetti (sulla mancata attivazione della denuncia ai sensi dell'art. 2409 c.c. e sulla conseguente responsabilità dei sindaci per omissione di diligente cautela, si veda Trib. Milano 22 dicembre 2016, n. 14062, in www.giurisprudenzadelleimprese.it). Quanto ai profili dell'elemento soggettivo, deve considerarsi che sussiste la colpa in capo al sindaco che non abbia rilevato l'illecita gestione degli amministratori (senza che possa considerarsi esimente il fatto che dalle relazioni degli amministratori non trasparisse alcuna irregolarità) o anche non abbia rilevato dei segnali di allarme (ad esempio, la soggezione della società ad una gestione personalistica in un sistema organico di amministrazione di fatto da parte di alcuni soci). Il sindaco è, poi, tenuto a conoscere i doveri imposti alla propria funzione dalla legge e, così, a vigilare per impedire il verificarsi e il protrarsi di situazioni illecite. Deve, quindi, esigersi da parte del sindaco una attività di verifica e di azione rimediale anche in relazione a fatti imputabili a amministratori in carica precedentemente alla propria nomina, quando sia esigibile una tale attività in base ai comuni canoni di diligenza applicabili (si veda Trib. Roma 20 febbraio 2012, in www.ilcaso.it; Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204; Cass. 12 luglio 2019, n. 18770, cit.); né le dimissioni possono mai costituire una condotta esimente della propria responsabilità, quando alla rinuncia alla propria funzione non si accompagnino atti volti a impedire gli illeciti o a porvi rimedio, in tale ipotesi divenendo le dimissioni segno di una condotta inerte e indifferente da parte del sindaco. Con riguardo, invece, all'onere probatorio, è opportuno sottolineare che nelle azioni di responsabilità verso i sindaci spetta all'attore allegare l'inerzia del sindaco e provare il fatto illecito di gestione e l'esistenza dei segnali di allarme in presenza dei quali il sindaco avrebbe dovuto attivarsi. Assolti tali oneri di allegazione e prova, l'inerzia del sindaco ne integra per sé la responsabilità, rimanendo a carico dello stesso l'onere di provare di non aver avuto alcuna possibilità di conoscere gli eventi e di porre in essere tutti gli atti necessari ad una sua utile attivazione (ad esempio, “rientra nei doveri dei componenti il collegio sindacale di verificare la correttezza non solo formale della contabilità e la sua rispondenza ai fatti reali da documentare, specialmente quando sia rilevabile una entità anomala delle poste contabili (nella specie, l'ingente credito i.v.a. nel bilancio dell'esercizio chiuso al 31 dicembre 2006, anno in cui i sindaci hanno assunto le loro funzioni)” – si veda Cass. 12 luglio 2019, n. 18770, cit.). Osservazioni
Ciò posto, come già anticipato, si ritiene opportuno sottolineare che, in ogni caso, la responsabilità omissiva dei sindaci non può mai costituire una figura di responsabilità solidale oggettiva o di cd. responsabilità “da posizione” dei sindaci stessi (si veda Trib. Milano 31 ottobre 2018, n. 11047, in www.giurisprudenzadelleimprese.it), risultando sempre necessario, ai fini dell'affermazione della responsabilità conseguente al loro illegittimo comportamento omissivo, “accertare il nesso causale - la cui prova spetta al danneggiato - tra il comportamento illegittimo dei sindaci e le conseguenze che ne siano derivate, a tal fine occorrendo verificare che un diverso e più diligente comportamento dei membri del collegio nell'esercizio dei loro compiti (tra cui la mancata tempestiva segnalazione della situazione agli organi di vigilanza esterni) sarebbe stato idoneo ad evitare le disastrose conseguenze degli illeciti compiuti dagli amministratori” (si veda Cass. 29 ottobre 2013, n. 24362).
Conclusioni
La rinuncia del sindaco alla propria carica (dimissioni) determina la responsabilità omissiva del sindaco per non aver adempiuto agli obblighi di vigilanza allo stesso imposti (così concorrendo nel fatto illecito altrui), qualora il sindaco non abbia assunto un comportamento alternativo, rimanendo questi inerte nel rilevare (o nel dover rilevare) una situazione di illegalità. Tale comportamento alternativo può essere rappresentato da un rimedio endosocietario (es.,la convocazione dell'assemblea per gli opportuni provvedimenti), ovvero da un rimedio extrasocietario (es., la denuncia al tribunale ai sensi dell'art. 2409 c.c. o all'autorità giudiziaria penale), restando naturalmente in capo al sindaco la facoltà (rectius, l'obbligo) di scelta del rimedio maggiormente opportuno nel caso concreto. Nell'ipotesi, poi, di scelta di un rimedio inopportuno e/o la cui inefficacia fosse evidente a priori, deve ritenersi che il sindaco resti in ogni caso responsabile per concorso nell'illecito altrui, integrando tale erronea scelta un'omissione di diligente cautela e, dunque, una violazione del dovere di vigilanza imposto dalla legge.
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