Esclusione del socio per mancata esecuzione dei conferimenti a seguito della sottoscrizione dell'aumento di capitale

04 Maggio 2020

Il socio di S.r.l., inadempiente all'obbligo di eseguire i conferimenti dovuti a seguito della sottoscrizione dell'aumento di capitale deliberato dall'assemblea della società, non può essere escluso per l'intera partecipazione...
Massima

Il socio di S.r.l., inadempiente all'obbligo di eseguire i conferimenti dovuti a seguito della sottoscrizione dell'aumento di capitale deliberato dall'assemblea della società, non può essere escluso per l'intera partecipazione, dovendo l'assemblea ridurre il capitale sociale limitatamente alla parte di quota sottoscritta in sede di aumento, fatto salvo il caso in cui lo statuto disponga l'indivisibilità della quota stessa.

Il caso

La pronuncia della Suprema Corte qui in esame origina da un giudizio di primo grado avente ad oggetto, ex plurimis, la domanda di accertamento dell'illegittimità dell'esclusione dalla compagine sociale subita dall'attore, socio di S.r.l., per non aver adempiuto ai conferimenti dovuti a seguito della sottoscrizione del deliberato aumento di capitale.

Il Tribunale di prime cure e, successivamente, la Corte d'Appello respingevano le domande avanzate da parte attrice. In particolare, il Giudice di secondo grado non accoglieva l'impugnazione statuendo che il regime previsto dall'art. 2466 c.c., pur dettato in materia di costituzione di società,deve ritenersi pienamente applicabile alle ipotesi di mancata esecuzione dei conferimenti in sede di aumento di capitale, aggiungendo poi che l'esclusione del socio moroso, prevista dalla citata norma, incide sull'intera partecipazione sociale e non sulla sola porzione di quota sottoscritta in occasione dell'aumento e non liberata.

Il socio soccombente proponeva ricorso avanti alla Suprema Corte, la quale, in parziale accoglimento delle censure prospettate, ha pronunciato il seguente principio di diritto: “Nel caso di mora del socio nell'esecuzione dei versamenti, dovuti alla società a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell'aumento del capitale sociale deliberato dall'assemblea nel corso della vita della società, il socio non può essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della società; pertanto, ferma la permanenza del socio in società per la quota già posseduta, l'assemblea deve deliberare la riduzione del capitale sociale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall'aumento non onorato, fatto salvo solo il caso in cui lo statuto preveda l'indivisibilità della quota”.

Le questioni

Il provvedimento in commento analizza alcune delle questioni afferenti all'art. 2466 c.c., norma che, parimenti a quanto previsto dall'art. 2344 c.c. per le S.p.A., prevede una procedura di esecuzione coattiva perseguibile nei confronti del socio di S.r.l. moroso per il c.d. debito da conferimento.

La procedura prevista dal legislatore è introdotta, come noto, da una diffida ad adempiere, entro un termine di 30 giorni dalla ricezione, che gli amministratori devono inviare al socio qualora esso non esegua i conferimenti dovuti “nel termine prescritto”, ovverosia entro il termine stabilito dagli amministratori medesimi nell'esercizio del loro potere/dovere di chiedere ai soci il versamento dei c.d. decimi mancanti, “sulla base di una valutazione di natura gestionale, sottratta da ogni sindacato di merito” (Cacchi Pessani, Articolo 2466, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti – Bianchi – Ghezzi - Notari, Egea, Milano, 2008, 209).

Scaduto il termine di 30 giorni, nel persistere dell'inottemperanza, gli amministratori, qualora non ritengano utile promuovere un'azione di inadempimento ordinaria, possono intraprendere i rimedi previsti dallo stesso art. 2466 c.c. In prima battuta, essi sono legittimati a vendere, per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato, la quota del socio moroso agli altri soci proporzionalmente alle loro quote di partecipazione. In mancanza di offerte, la quota può essere venduta all'incanto a soggetti terzi, ma ciò solo ove tale facoltà sia prevista dallo statuto sociale. Infine, se la vendita non ha luogo, gli amministratori devono escludere il socio moroso, trattenendo le somme riscosse e riducendo il capitale sociale in misura corrispondente.

La collocazione dell'art. 2466 c.c., norma dettata, lo si ricorda, in materia di costituzione di società, ha concentrato gli sforzi di dottrina e giurisprudenza nel comprendere se e in che modo la citata disposizione risulti applicabile alle operazioni di aumento di capitale a pagamento.

Riguardo alla prima delle suddette questioni, la giurisprudenza ha ritenuto l'art. 2466 c.c.non relegabile al procedimento di costituzione della società”, posto che la ratio della citata norma, ovvero la tutela dell'effettività nella formazione del capitale, coinvolge sia la fase costitutiva della società sia le operazioni di aumento del capitale sociale (Cass., 30/9/2019, n. 24444, ma in senso conforme anche Cass., 25/2/2020, n. 4956). Ciononostante, sussiste un orientamento di senso contrario e di natura minoritaria che, nell'evidenziare l'eccezionalità di detta previsione di legge rispetto all'ordinaria azione di adempimento, ne esclude l'applicabilità ad ipotesi diverse rispetto a quella costitutiva (Trib. Milano, 9/4/2011).

Il dibattito dottrinale si è concentrato, invece, sulle concrete modalità di applicazione dell'art. 2466 c.c. alle ipotesi di aumento di capitale.

Alcuni autori hanno sostenuto, parimenti all'orientamento della Corte d'Appello che ha preceduto la pronuncia in esame, che i rimedi previsti dall'art. 2466 c.c. (vendita in danno e, in subordine, esclusione del socio moroso) riguardino l'intera quota sociale e non solo la parte di quota sottoscritta in occasione dell'aumento che ha generato la morosità. Ciò trova fondamento in ragioni sistematiche, afferenti essenzialmente al principio di unitarietà della quota sociale di S.r.l. (Valzer, La mancata esecuzione dei conferimenti, in S.R.L. Commentario dedicato a Giuseppe B. Portale, a cura di Dolmetta – Presti, Giuffrè, Milano, 2011, 227 ss.), e letterali, per cui l'uso del totalizzante termine “esclusione”, rinvenibile nell'art. 2466 c.c., si contrappone al termine “decadenza” di cui all'art. 2344 c.c. (Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Il Codice Civile Commentario, fondato da Schlesinger diretto da Busnelli, I, Giuffrè, Milano, 2010, 421).

Altri commentatori hanno optato per una soluzione diametralmente opposta, sostenendo che l'applicazione dei rimedi ex art. 2466 c.c. alla sola parte di quota sottoscritta e non liberata in occasione dell'aumento di capitale risulti maggiormente conforme ai principi di integrità ed effettività del capitale sociale nonché di divisibilità della quota di S.r.l. (Masi, Art. 2466, in Società di capitali Commentario, a cura di Niccolini – Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004, 1444; Masturzi, Art. 2466, in La riforma delle società, a cura di Santoro e Sandulli, III, Torino, 2003, 45; Cacchi Pessani, op. cit., 221).

Altri ancora, infine, hanno offerto una lettura alternativa e intermedia, per cui l'esclusione parziale risulta ammissibile solo qualora la società abbia statutariamente optato per un regime capitalistico, mediante clausola di “apertura al mercato che consenta la vendita della quota del socio moroso a terzi” (Alleca, L'intangibilità della posizione del socio di s.r.l., in Riv. soc., 2017, 1087).

Con la sentenza in esame la Suprema Corte ha voluto dare una risposta unitaria ai suddetti interrogativi, statuendo che la procedura prevista dall'art. 2466 c.c. non può limitarsi al procedimento di costituzione della società e che, conformemente al secondo degli orientamenti dottrinali sopra illustrati, il socio inadempiente agli obblighi di conferimento derivanti dalla sottoscrizione dell'aumento di capitale non è soggetto ad esclusione per l'intera quota partecipativa, ma solo per la parte di quota sottoscritta in occasione dell'aumento da cui è sorto il debito. Unica eccezione ad una così articolata disciplina è rappresentata dalle società che per statuto prevedono l'indivisibilità delle quote partecipative.

Osservazioni

La conclusione a cui è giunta la Suprema Corte si fonda sulle seguenti argomentazioni di natura sistematica.

La tesi secondo cui l'art. 2466 c.c. trova applicazione anche nelle operazioni di aumento di capitale sociale è condivisa dai Giudici di legittimità in quanto conforme alle finalità proprie della citata norma, ovverosia la tutela dell'effettività e integrità del capitale sociale. Tutela che, come si motiva nella pronuncia, “non ha ragione di essere limitata al momento della sua costituzione e dell'inadempimento all'obbligo dei conferimenti iniziali, essendo essa applicabile - in via diretta, e non estensiva od analogica – all'esecuzione dei conferimenti in sede di successivo aumento del capitale sociale”.

Per quanto attiene poi alla seconda delle questioni esaminate, la Corte di Cassazione ha precisato che la riduzione del capitale sociale a seguito di esclusione del socio moroso ex art. 2466 c.c. consiste, per la parte corrispondente ai versamenti non eseguiti, in una mera riduzione nominale del capitale sociale e, per quanto attiene ai versamenti già eseguiti, in una riduzione reale del capitale e non in un semplice adeguamento contabile, dal momento che la società trattiene le somme già versate dal socio escluso, le quali vanno a costituire una riserva nell'ambito del patrimonio netto e non più una posta vincolata a titolo di capitale sociale. Secondo i Giudici di legittimità un simile meccanismo, essendo espressamente previsto per la sottoscrizione parziale di un'unitaria operazione, non può estendersi alla parte di quota sottoscritta e liberata antecedentemente all'aumento che ha condotto alla morosità. In tale evenienza, pertanto, la procedura di annullamento della quota con corrispondente abbattimento (in parte reale e in parte nominale) del capitale verrà perseguita dall'organo amministrativo “solo per la frazione della partecipazione sociale sottoscritta in occasione dell'aumento del capitale sociale rimasto in tutto o in parte ineseguito, e non per la parte di cui il socio fosse titolare prima della deliberazione di aumento”. Ne deriva un vantaggio per gli interessi della società stessa in termini di conservazione ed effettività del capitale sociale, elementi che costituiscono la ratio sottesa al procedimento ex art. 2466 c.c.

Dette conclusioni non si reputano superabili, come diversamente sostenuto da parte della dottrina sopra citata, in virtù del principio di unitarietà della quota sociale. Vero è infatti che la quota di S.r.l. deve ritenersi divisibile, salvo il caso in cui l'indivisibilità sia espressamente prevista da un'apposita disposizione statutaria. Il principio di divisibilità della quota sociale, come osservato nella pronuncia in oggetto, trova conferma sia nella pacifica alienabilità parziale della quota sociale sia negli artt. 2466 e 2473 c.c., i quali contemplano espressamente la vendita frazionata della quota agli altri soci in proporzione alle loro partecipazioni.

Conclusioni

Alla luce delle argomentazioni sopra proposte, la soluzione prospettata dalla Corte di Cassazione pare condivisibile. Infatti la tesi contraria, per cui l'esclusione del socio dovrebbe riguardare non solo la parte di quota sottoscritta in occasione dell'aumento che ha generato la morosità ma l'intera quota partecipativa, non può che reputarsi oltremodo gravosa per il socio inadempiente e, in particolare, non giustificabile alla luce di quanto disposto dall'art. 2466 c.c. e dei principi di diritto sottesi alla medesima norma.

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