Puntualizzazioni in materia di accertamento delle lesioni micropermanenti ai sensi dell'art. 139 cod. ass.

16 Giugno 2020

Nel campo dei sinistri stradali e della responsabilità sanitaria, il risarcimento del danno biologico permanente risulta condizionato - secondo quanto previsto dall'art. 139, comma 2, cod. ass. - dalla prova rigorosa dell'effettiva sussistenza della lesione.
Massima

In materia di micropermanenti, l'art. 139 cod. ass. – che impone un accertamento rigoroso della lesione e del postumo in rapporto alla singola patologia - non può essere interpretato nel senso che la prova debba essere fornita esclusivamente con referto strumentale, posto che un simile vincolo non apparirebbe conforme a criteri di ragionevolezza, in rapporto alla tutela del diritto alla salute quale diritto fondamentale garantito dalla Costituzione.

Il caso

La vittima di un sinistro stradale riporta la lesione del rachide cervicale, in relazione alla quale – una volta riconosciuta un'invalidità del 2% - il giudice di pace stabilisce il risarcimento del danno biologico e del danno morale (nella misura di un terzo). Il tribunale conferma tale decisione per quanto concerne la prima voce di danno, rilevando che – pur in assenza di un referto direttamente attestante la lesione del rachide cervicale - il danno biologico era stato accertato in modo obiettivo sul piano medico-legale, in base a rilievi clinici e alla valutazione diagnostica delle complessive verifiche strumentali effettuate; mentre, per quanto riguarda il danno morale, il relativo importo risulta ricondotto nel limite di legge di un quinto.

La decisione viene impugnata dall'assicuratore dei danneggianti, in quanto si obietta essere stato liquidato il danno derivante da lesioni di lieve entità pur in assenza dell'accertamento clinico strumentale obiettivo richiesto a norma dell'art. 139 cod. ass.; altro rilievo concerne il riconoscimento del danno morale, a prescindere dall'accertamento da parte del giudice di merito quanto all'esistenza di conseguenze ulteriori e diverse da quelle fisiche.

La questione

Nel campo dei sinistri stradali e della responsabilità sanitaria, il risarcimento del danno biologico permanente risulta condizionato - secondo quanto previsto dall'art. 139, comma 2, cod. ass. - dalla prova rigorosa dell'effettiva sussistenza della lesione. Alla luce del dettato della norma secondo cui “le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l'ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”, si discute se tale prova debba o meno intendersi integrata esclusivamente da un referto di carattere strumentale.

Le soluzioni giuridiche

Torna ancora una volta alla ribalta, in seno all'ordinanza in commento, una questione oggetto di svariati interventi da parte dei giudici di legittimità: vale a dire l'interpretazione di quella parte dell'art. 139 cod. ass. che si occupa di disciplinare le modalità di accertamento della lesione alla salute di lieve entità ai fini del ristoro del conseguente danno biologico permanente.

La S.C. coglie l'occasione per fare il punto su tale problematica, partendo dalla constatazione che la disciplina in questione mira a rimarcare l'imprescindibilità di un rigoroso accertamento - a fronte di lesioni di modesta entità, i cui esiti permanenti risultino contenuti entro la fatidica scoglia del 9% – dell'effettiva sussistenza della lesione e dei relativi postumi, considerata la possibilità che una prova rigorosa possa essere aggirata, in specie per suggestione anamnestica. Posto che le richieste di risarcimento relative a lesioni di lieve entità assumono grande rilevanza in termini statistici per la gestione del sistema assicurativo, imponendo ingenti costi collettivi, la disciplina in questione mira a impedire che possa scattare la tutela risarcitoria a fronte di postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati.

I giudici di legittimità sottolineano che il rigore richiesto dal legislatore non può essere inteso “nel senso che la prova della lesione e del postumo debba essere fornita esclusivamente con un referto strumentale”. Un simile vincolo probatorio, ove imposto per legge, solleverebbe – secondo la Cassazione – dubbi non manifestamente infondati di legittimità, “posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo e del conseguente pregiudizio dev'essere conforme a criteri di ragionevolezza, rispetto alla tutela su cui incide”. Si afferma, in definitiva, che la norma richiede “un accertamento rigoroso in rapporto alla singola patologia, tenendo presente che vi possono essere situazioni nelle quali, data la natura della patologia e la modestia della lesione, l'accertamento strumentale risulta, in concreto, l'unico in grado di fornire la prova idonea che la legge sottolinea disciplinando la fattispecie”. Nell'applicare tali indicazioni in materia di “colpo di frusta”, la S.C. sottolinea che l'accertamento non potrà dirsi effettuato sulla base del dato puro e semplice del dolore riferito dal danneggiato; al fine di addivenire a una conclusione scientificamente supportata, risulta fondamentale il ruolo dell'accertamento clinico strumentale, “fermo restando il ruolo insostituibile sia della visita medico legale che dell'esperienza clinica”.

I giudici di legittimità si soffermano ad analizzare i passaggi di una recente sentenza della Consulta (Corte cost. 18 aprile 2019, n. 98), richiamata dalla parte ricorrente, la quale – pronunciandosi in materia di danni alle cose – rileva che “nell'art. 139 occorre distinguere tra lesioni micropermanenti di incerta accertabilità, il cui danno non patrimoniale non è risarcibile (come danno assicurato), e lesioni micropermanenti che invece sono ritenute – dal legislatore che ha novellato la disposizione – adeguatamente comprovate e quindi tali da escludere plausibilmente il rischio che siano simulate”. Le conclusioni della Consulta – osserva l'ordinanza – non sono tali da fondare l'applicazione di una regola volta a escludere “oltre ogni ragionevole dubbio” l'incertezza con riguardo alla sussistenza della lesione. Posto che in generale non appare ammessa la risarcibilità di un pregiudizio ove rimanga incerta la relativa accertabilità, la questione andrà risolta alla luce delle verifiche istruttorie compiute dal giudice secondo la regola generale, del “più probabile che non”, ordinariamente applicabile in materia civile.

La Cassazione rileva come la riforma che nel 2017 ha interessato, in seno all'art. 139 cod. ass., i canoni di accertamento relativi alle lesioni di lieve entità, non abbia mutato il quadro di riferimento, bensì abbia semplicemente riordinato la disciplina in questione. Quei canoni normativi risultano, secondo i giudici di legittimità, essere stati correttamente applicati nella fattispecie in questione: se, da una parte, la lesione al rachide cervicale non risultava attestata come tale direttamente da un referto, dall'altra parte, la sua diagnosi poteva essere evinta con sicurezza da una plurima serie di rilievi clinici ed esami strumentali.

Per quanto riguarda il secondo motivo del ricorso, riguardante il risarcimento del pregiudizio di carattere morale, la S.C. sottolinea che “il danno da sofferenza morale dovrà essere allegato e provato specificamente, anche a mezzo di presunzioni, ma senza che queste, eludendo gli oneri assertivi e probatori, si traducano in automatismi”. Non appare, pertanto. possibile ristorare tale voce, come avvenuto nel caso di specie, affermando semplicemente che il pregiudizio in questione sia da correlare normalmente a ogni lesione personale del genere di quella subita dalla vittima.

Osservazioni

La disciplina riguardante l'accertamento medico legale del danno biologico provocato da lesioni di lieve entità è ancor oggi al centro di un dibattito sviluppatosi a seguito delle controverse indicazioni introdotte in seno all'art. 139 cod. ass. con l'art. 32 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni da l. 24 marzo 2012, n. 27. Quest'ultima disposizione, com'è noto, ha previsto: a) l'integrazione – tramite il comma 3-ter – del comma 2 dell'art. 139 cod. ass., con la specificazione secondo cui “in ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”; b) la previsione, con l'autonomo comma 3-quater, che “il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all'art. 139 è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l'esistenza della lesione”. Le suddette indicazioni normative sono state oggetto di infinite diatribe, legate anche al fatto a confluire nel testo legislativo risultano due emendamenti originariamente formulati quali previsioni alternative tra loro: di qui la difficoltà di coordinamento e di individuazione della concreta regola da applicare, che ha dato vita a letture giurisprudenziali fortemente discordanti.

Sul punto sono venuti a fronteggiarsi due distinti orientamenti, il primo dei quali è quello propenso a ritenere che il comma 3-ter ponesse quale condizione per il ristoro del danno biologico permanente un accertamento diagnostico (della lesione da cui è stato originato) per immagini, mentre il comma 3-quater consentisse di procedere a un riscontro visivo per quanto riguarda l'esistenza della lesione fonte di danno biologico temporaneo. In tal senso si sono pronunciati, in particolare, i giudici della Consulta, inizialmente con in seno a un obiter (Corte cost. n. 235/2014), cui si è allineata una successiva ordinanza (Corte cost. n. 242/2015), ove la Corte costituzionale ha affermato, con riguardo al danno biologico permanente, che “la limitazione imposta al correlativo accertamento (che sarebbe altrimenti sottoposto ad una discrezionalità eccessiva, con rischio di estensione a postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati) è stata già ritenuta rispondente a criteri di ragionevolezza”. Una lettura alternativa, formulata in termini estensivi, ha trovato corpo presso la Suprema Corte, propensa a ritenere che le disposizioni in questione debbano essere interpretate come espressive della necessità che il danno biologico sia suscettibile di accertamento medico-legale, esplicando entrambe “(senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale (ossia il visivo-clinico-strumentale non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo la leges artis)”. Secondo questa linea di lettura, risulta rimesso alla valutazione medico-legale l'accertamento della lesione, senza che i criteri attraverso i quali opera la scienza medica possano subire limitazioni da parte della legge (Cass. civ., n. 18773/2016).

Con la riforma del sistema tabellare normativo introdotta nel 2017 attraverso la legge sulla concorrenza, viene sgomberato il campo dalle contraddizioni emergenti tra commi 3-ter e 3-quater dell'art. 32 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, dal momento che la seconda disposizione è stata del tutto eliminata. Di conseguenza è scomparso qualunque vincolo legislativo in materia di accertamento della lesione di lieve entità per quanto concerne la risarcibilità del danno biologico temporaneo. A sopravvivere è la disposizione relativa al danno biologico permanente, con riguardo al quale il nuovo testo dell'art. 139 cod. ass. precisa che il risarcimento appare possibile a fronte di una lesione acclarata - oltre, come stabilito in precedenza, attraverso accertamento clinico strumentale obiettivo – tramite riscontro visivo, in quanto la stessa si presti ad essere verificata (come accade per le cicatrici) senza l'ausilio di strumentazioni di sorta. Anche a fronte della nuova formulazione della norma, la S.C. è apparsa orientata a confermare una lettura di carattere estensivo della disposizione: i giudici di legittimità ritengono “risarcibile anche il danno i cui postumi non siano ‘visibili', ovvero non siano suscettibili di accertamenti ‘strumentali', a condizione che l'esistenza di essi possa affermarsi sulla base di una ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medico legale” (Cass. civ., n. 5820/2019). La S.C. ha rilevato che “un corretto accertamento medico-legale potrebbe pervenire a negare l'esistenza di un danno permanente alla salute (o della sua derivazione causale dal fatto illecito) anche in presenza di esami strumentali dall'esito positivo (come nel caso di una frattura documentata radiologicamente, ma incompatibile con la dinamica dell'infortunio come emersa dall'istruttoria); così come, all'opposto, ben potrebbe pervenire ad ammettere l'esistenza di un danno permanente alla salute anche in assenza di esami strumentali, quando ricorrano indizi gravi, precisi e concordanti, ai sensi dell'art. 2729 c.c., dell'esistenza del danno e della sua genesi causale” (Cass. civ., n. 31072/2019).

Il dato più interessante da rilevare riguarda la propensione – mostrata dalla Cassazione – a una lettura di carattere estensivo relativamente non solo all'art. 139 cod. ass, ma anche alle letture formulate – con riguardo allo stesso – dalla Corte costituzionale: da ultimo con la sentenza n. 98/2019. Gli interpreti si sono interrogati quanto al distinguo, introdotto da quest'ultima, tra lesioni di certa e incerta accertabilità, per chiedersi se dallo stesso discenda la necessità di pervenire a un'interpretazione della norma mirante a ritenere comunque necessaria – per queste ultime – la prova della lesione tramite accertamento strumentale. A tale riguardo, la Cassazione ha rilevato – nella sentenza n. 31072/2019 – che “la distinzione tra danni alla persona di ‘incerta accertabilità e danni alla persona di obiettiva accertabilità non è affatto una prerogativa dei danni alla persona: in universo iure civili, infatti, non esiste alcun danno suscettibile di essere risarcito nonostante la sua ‘incerta accertabilità'. Non esistono, dunque, danni obiettivi e risarcibili e danni non obiettivi e quindi non risarcibili. Un danno alla salute, come qualsiasi altro pregiudizio patrimoniale o non, se non è obiettivamente accertabile non esiste come categoria giuridica, prima ancora che fattuale. Ma l'obiettività dell'accertamento (…) non si arresta sulla soglia della mancanza di prove documentali”. In buona sostanza, come conferma l'ordinanza in commento, il rischio di simulazioni non può essere sventato esclusivamente attraverso una prova di carattere strumentale, essendo sufficiente che entri in gioco l'applicazione inappuntabile della criteriologia medico legale. Quanto all'elemento di incertezza, esso andrà superato – secondo le indicazioni che si ricavano dal provvedimento in esame – senza che sia necessario escludere la stessa in base al criterio penalistico dell'“oltre ogni ragionevole dubbio”; il giudice dovrà fare riferimento – come accade generalmente in materia civile – alla regola del “più probabile che non”.

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