L'accordo fiduciario di cessione di partecipazioni sociali non richiede la forma scritta
25 Giugno 2020
Massima
L'accordo fiduciario avente per oggetto il trasferimento di quote di partecipazione in una società, indipendentemente dall'eventuale esistenza di immobili nel patrimonio di questa, non richiede la forma scritta né ad substantiam né ad probationem. Il caso
Due coniugi erano soci di una società semplice, proprietaria di un immobile; dopo la separazione dalla moglie, il marito aveva chiesto a quest'ultima di trasferirgli la quota che, in base all'accordo intercorso durante il matrimonio, le era stata intestata provvisoriamente, posto che il corrispettivo della cessione era stato pagato con denaro del marito, che aveva altresì assunto in via esclusiva i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione. Stante il rifiuto opposto dalla moglie al trasferimento della quota, il marito adiva il Tribunale di Torino, che respingeva la domanda. All'esito del giudizio di gravame, la Corte di Appello di Torino riformava la sentenza di primo grado, accertando l'obbligo della moglie di trasferire al marito la quota di partecipazione detenuta nella società semplice. Le questioni giuridiche e le soluzioni
Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso interposto dalla moglie avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino. La motivazione posta a fondamento della decisione assunta si articola nei seguenti passaggi: 1) il contratto di trasferimento di quote di partecipazione relativo a una società, indipendentemente dall'eventuale esistenza di immobili nel patrimonio di questa, non richiede né ad substantiam né ad probationem la forma scritta; 2) per la validità dell'accordo fiduciario avente per oggetto partecipazioni societarie, mediante il quale il fiduciario si obbliga a trasferirle al fiduciante, non è prescritto alcun onere formale; 3) a nulla rileva il fatto che il negozio di trasferimento delle partecipazioni societarie debba essere iscritto nel registro delle imprese, dal momento che tale adempimento vale solo ai fini dell'opponibilità dell'atto nei confronti della società. Osservazioni
Nella vicenda decisa dalla Corte di cassazione si discuteva della validità di un patto fiduciario concluso tra marito e moglie, in base al quale la seconda, intestataria del 98% delle quote di una società semplice proprietaria di un immobile, si era impegnata a ritrasferirle al primo, il quale aveva corrisposto personalmente e per l'intero il prezzo di acquisto delle stesse. Le contestazioni della moglie, risultata vittoriosa all'esito del primo grado di giudizio ma soccombente in quello di appello, riguardavano la forma dell'accordo: secondo la ricorrente, infatti, il pactum fiduciae avente per oggetto la cessione di quote societarie necessita dell'atto scritto, sicché quello concluso dai coniugi, non rivestendo tale forma, non poteva essere considerato valido ovvero opponibile. A maggior ragione, secondo la ricorrente, l'onere formale doveva essere osservato in considerazione del fatto che la società delle cui quote si discuteva era proprietaria di un immobile, sicché – in realtà – le parti, con l'accordo fiduciario, avevano inteso pattuire il trasferimento di detto immobile dalla moglie al marito, onde fargliene acquistare, in questo modo, la proprietà. La Corte di cassazione, tuttavia, ha respinto il ricorso, ritenendo infondati tutti i profili di censura sollevati dalla ricorrente. In questa sede, preme concentrare l'attenzione sulla struttura e sulla configurazione del patto fiduciario, nonché sulle conseguenze che derivano dal fatto che una società possieda beni immobili nel momento in cui vengono posti in essere atti dispositivi delle quote, soprattutto per quanto concerne la forma dei relativi atti. Va ricordato, a titolo di premessa, che il nostro ordinamento è informato, in materia contrattuale, al principio della libertà delle forme: le parti possono legittimamente concludere un contratto oralmente, senza bisogno di documentarlo altrimenti, salvo che una norma imponga l'osservanza di un determinato requisito formale (vuoi ai fini della validità dell'atto, vuoi ai fini della prova della sua conclusione). Così, l'art. 1350 c.c. elenca i contratti che debbono farsi per iscritto sotto pena di nullità, mentre – per esempio – l'art. 1967 c.c. impone la forma scritta per la prova della transazione. L'art. 1351 c.c., d'altro canto, prescrive che il contratto preliminare debba essere concluso osservando la medesima forma richiesta per la validità del contratto definitivo. È in quest'ottica che i giudici di legittimità hanno ravvisato l'infondatezza della tesi sostenuta dalla ricorrente. Infatti, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il contratto di trasferimento di quote di partecipazione relativo a una società, anche se proprietaria di immobili, non richiede né ad substantiam né ad probationem la forma scritta, che non è dunque necessaria per la validità e per l'efficacia della cessione, sia che si tratti di società di capitali (come affermato, per esempio, da Cass. civ., Sez. I, 27 ottobre 2017, n. 25626), sia che si tratti di società di persone (in proposito, vengono richiamate le pronunce di Cass. civ., Sez. I, 10 maggio 2010, n. 11314 e di Cass. civ., Sez. I, 28 febbraio 1998, n. 2252). Nel caso di società di capitali, attesa la distinta personalità giuridica che le caratterizza rispetto alle persone dei soci, l'assunto è di palmare evidenza: con riguardo alla società a responsabilità limitata, l'art. 2470 c.c. disciplina la forma del trasferimento di quote prevedendo la necessità dell'atto scritto con sottoscrizione autenticata e deposito presso l'ufficio del registro delle imprese affinché sia opponibile alla società, mentre nei rapporti tra le parti, in forza del principio di libertà delle forme, la cessione medesima è valida ed efficace in virtù del semplice consenso manifestato dalle stesse, indipendentemente dal fatto che la società sia o meno proprietaria di immobili, proprio perché la proprietà attiene e afferisce alla società e a essa soltanto. Il discorso si fa più delicato, invece, quando si tratta di società di persone: infatti, al fine di ritenere applicabile o meno la prescrizione dettata dall'art. 1350 c.c., influiscono – da un lato – la ricostruzione della cessione di quote di società di persone con patrimonio immobiliare come trasferimento degli immobili costituenti tale patrimonio o dei diritti mobiliari di partecipazione connessi alla quota e – dall'altro lato – la configurazione della società di persone come entità dotata o meno di autonoma soggettività giuridica. Essendo pacifico che la società di persone non possiede e non può possedere personalità giuridica (perché, a differenza delle società di capitali, manca un referente normativo che la attribuisca), è altrettanto vero che, in linea generale, la titolarità dei diritti non è ad appannaggio esclusivo delle persone fisiche o giuridiche, essendo individuabile tutta una serie di fenomeni collettivi che sono considerati dall'ordinamento quali centri di imputazione di situazioni giuridiche in modo autonomo e distinto rispetto alle persone fisiche che li compongono; per tale motivo, alle società di persone è comunque riconosciuta una soggettività, sia pure attenuata, che ridonda anche sugli effetti del conferimento di beni in società. All'orientamento secondo il quale il conferimento in società non comporterebbe, per i soci, la perdita della proprietà dei beni conferiti, ma il loro assoggettamento a una situazione di comproprietà (sebbene sui generis), ha fatto seguito un altro, in base al quale il conferimento determina un effetto di scambio tra patrimonio dei soci e patrimonio sociale in relazione ai beni conferiti in società, ovvero il passaggio alla società della titolarità dei beni conferiti a fronte della sostituzione, in capo al socio conferente, del diritto su tali beni con la titolarità della quota sociale, di modo che, per effetto della stipula del contratto di società, il conferimento determina il trasferimento della titolarità dei beni conferiti dal patrimonio dei soci a quello (distinto) della società. Pertanto, la forma scritta prescritta dall'art. 1350 c.c. è necessaria per i conferimenti immobiliari, che trasferiscono la titolarità dei beni dal conferente alla società, mentre non lo è per la cessione della quota sociale (pur afferente a società nel cui patrimonio sono compresi beni immobili), giacché essa determina il trasferimento dei diritti e degli obblighi inerenti alla qualità di socio (ossia di una posizione avente natura mobiliare) e non del patrimonio sociale (o di una sua parte): in altre parole, il contratto ha per oggetto la partecipazione societaria – costituente bene immateriale assoggettato al regime dei beni mobili materiali – e non il patrimonio della società. In virtù di tali principi – invero consolidati – e sulla base di quanto disposto dall'art. 1351 c.c., la Corte di cassazione ha escluso che, alla stregua di un contratto preliminare, il patto fiduciario sia soggetto alla forma scritta (ad substantiam o ad probationem) quando abbia per oggetto il trasferimento di quote societarie in tutti i casi, ossia anche quando nel patrimonio sociale figurino beni immobili. I giudici di legittimità si sono, peraltro, premurati di evidenziare che la conclusione non muterebbe anche laddove il pactum fiduciae non fosse ritenuto assimilabile a un contratto preliminare. Il rilievo è tutt'altro che peregrino, poiché in effetti, qualche settimana prima, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la pronuncia n. 6459 del 6 marzo 2020, sono intervenute proprio sul tema della qualificazione giuridica dell'accordo fiduciario, negando che esso possa essere accostato a un preliminare e riconducendolo, invece, allo schema del mandato senza rappresentanza. Tale diversa ricostruzione, in effetti, non influisce sulla soluzione del caso esaminato dalla sentenza che si annota, ma – semmai – la rafforza, atteso che le Sezioni Unite, in virtù dell'inquadramento dell'accordo fiduciario al di fuori dello schema del contratto preliminare, hanno escluso l'obbligo della forma scritta financo quando abbia per oggetto il trasferimento di beni immobili. La ricorrente aveva pure fatto leva sulla circostanza per cui, dovendo l'atto di cessione di quote essere iscritto nel registro delle imprese ed essere quindi redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata (ovvero per atto scritto), pure l'accordo fiduciario, avendo di mira non già il semplice trasferimento delle partecipazioni, ma la loro effettiva intestazione, doveva ripetere il medesimo requisito della forma scritta. Con riguardo a tale aspetto, la Corte di cassazione ha evidenziato, in linea generale, che l'iscrizione nel registro delle imprese (dell'atto di cessione di quote sociali) rimane estranea al negozio in sé, non influendo sulla sua validità, bensì solo sulla sua opponibilità: è ben vero, infatti, che, in alcuni casi, la formalità dell'iscrizione ha efficacia costitutiva (si pensi, per esempio, all'iscrizione dell'atto costitutivo di una società di capitali), ma, a termini dell'art. 2193 c.c., l'effetto proprio dell'adempimento è quello di rendere opponibili ai terzi i fatti iscritti. Si parla, a tale proposito, di pubblicità dichiarativa, in quanto diretta a realizzare una situazione giuridica di conoscibilità legale che prescinde dall'effettiva conoscenza che i terzi abbiano dei fatti iscritti nel registro delle imprese e che consente di renderli opponibili (non già validi ed efficaci tra le parti). Peraltro, affianco alla pubblicità dichiarativa (che, come detto, in certi casi può assumere anche valenza costitutiva), si pone la cosiddetta pubblicità notizia, propria di tutte quelle iscrizioni nel registro delle imprese che hanno come effetto soltanto quello di rendere conoscibile il fatto iscritto, senza che viga alcuna presunzione di conoscenza da parte dei terzi e avente, dunque, mera funzione di certificazione anagrafica. Tipico esempio di pubblicità notizia è quello dell'iscrizione nelle sezioni speciali, che caratterizza proprio le società semplici, come evidenziato dalla sentenza annotata: “il tema dell'opponibilità qui non rileva; d'altro canto, la società semplice va iscritta in una sezione speciale del registro delle imprese (L. n. 580 del 1993, art. 8, comma 4 e D.P.R. n. 558 del 1999, art. 2) e detta iscrizione «ha funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, oltre agli effetti previsti dalle leggi speciali» (L. n. 580 cit., art. 8, comma 5) e non funzione di pubblicità dichiarativa volta a rendere opponibile ai terzi il fatto o l'atto iscritto”.
Conclusioni
La decisione della Corte di cassazione è pienamente condivisibile, vieppiù a seguito del consolidamento – in virtù del recentissimo arresto delle Sezioni Unite – dell'orientamento che vede nel pactum fiduciae non già un contratto preliminare, ma una fattispecie di mandato senza rappresentanza, che costituisce lo strumento tipico dell'agire per conto altrui e si pone come la figura negoziale più idonea per realizzare l'intento delle parti di fare acquistare a un soggetto un bene mediante la provvista di un altro, con l'impegno ad attenersi poi alle istruzioni da questo impartite ovvero a ritrasferire successivamente la proprietà del medesimo bene. Al contrario del preliminare (in cui l'effetto obbligatorio è strumentale all'effetto reale e lo precede), nel contratto fiduciario l'effetto reale si produce immediatamente (con l'acquisto della proprietà da parte del fiduciario) e su di esso si innesta l'effetto obbligatorio (ossia il vincolo del fiduciario alle istruzioni del fiduciante e, in particolare, alla futura esecuzione di un atto traslativo che impedisca il consolidamento di una situazione patrimoniale vantaggiosa per il fiduciario a danno del fiduciante, posto che al pactum fiduciae deve reputarsi estraneo qualsiasi intento liberale del fiduciante e che la posizione di titolarità creata in capo al fiduciario si rivela soltanto provvisoria e strumentale al successivo ritrasferimento). Per quanto, peraltro, l'accordo fiduciario non debba essere concluso per iscritto a pena di nullità, è evidente che la sua documentazione (al limite, anche per il tramite di dichiarazioni ricognitive unilaterali) risulta comunque consigliabile, onde evitare che, a fronte del rifiuto del fiduciario di ottemperare all'impegno assunto, il fiduciante si trovi nella pratica impossibilità di provarne l'esistenza e il contenuto. |