E' segreto industriale anche il processo con cui un'azienda assembla ed organizza singoli elementi di conoscenza, anche se noti al pubblico
01 Luglio 2020
Massima
L'ambito di applicazione dell'art. 623 c.p. va oltre la sfera di protezione predisposta dall'ordinamento civilistico per l'invenzione brevettabile posto che, ai fini della tutela penale del segreto industriale, novità (intrinseca od estrinseca) ed originalità non sono requisiti essenziali delle applicazioni industriali, poiché non espressamente richiesti dal disposto legislativo e perché l'interesse alla tutela penale della riservatezza non deve necessariamente desumersi da questi attributi delle notizie protette. Inoltre, non è necessario che ogni singolo dato cognitivo che compone la sequenza sia "non conosciuto", essendo sufficiente che il loro insieme organico sia frutto di un'elaborazione dell'azienda giacché è attraverso questo processo che l'informazione finale acquisisce un valore economico aggiuntivo rispetto ai singoli elementi che compongono la sequenza cognitiva. Il caso
I dipendenti di una società che si occupava di progettazione, costruzione e commercializzazione di apparecchiature meccaniche, elettroniche e informatiche per il serraggio, il cui mercato di riferimento era costituito da importanti case automobilistiche italiane e estere querelava alcuni suoi dipendenti, accusandoli di aver commercializzato per il tramite di una loro società, costituita subito dopo aver presentato le dimissioni dalla prima società, una chiave dinannometrica realizzata sfruttando le conoscenze e l'esperienza professionale acquisita dagli imputati negli anni presso l'impresa danneggiata. In sede di merito, veniva disposto la condanna per il reato di cui all'art. 623 c.p., che punisce la rivelazione di segreti scientifici o commerciali. In sede di ricorso per cassazione, in primo luogo si lamentava la tardività della querela, posto che, secondo la difesa, i vertici della società danneggiata avrebbero saputo della presunta infedeltà dei suoi (ormai ex) dipendenti ben prima dei tre mesi concessi per la presentazione della condizione di procedibilità, essendo stata da lungo tempo pubblicizzata la chiave sul web. In secondo luogo, si lamenta la violazione ed erronea applicazione dell'art. 623 c.p. in relazione all'art. 98 del Codice della proprietà industriale (D. Lgs. N. 30 del 2005)e dell'art. 2 n. 1 Direttiva UE 2016/943 (c.d. Trade Secrets), in quanto il know how relativo alla chiave non è stato identificato né è identificabile, ed è comunque privo dei requisiti di tutelabilità di legge, anche in considerazione della totale diversità della chiave prodotta dagli imputati rispetto a quella della società querelante, sia sotto il profilo dell'hardware che per il software. Inoltre, si censura la ricostruzione che i giudici di merito hanno fornito della nozione di "notizia destinata a rimanere segreta", ex art. 623 c.p., e della nozione stessa di segretezza, come declinata dalla legge. In particolare, si contesta la sussistenza del reato sotto il profilo dell'elemento oggettivo e materiale, per mancata individuazione del know how, oggetto della tutela penale, non potendo riconoscersi un tale valore a tutti i processi produttivi o commerciali. La chiave dinamometrica che si assume replicata dagli imputati sarebbe, secondo la difesa, un prodotto semplice, in commercio da moltissimo tempo, soggetto a continue evoluzioni, per lo più destinata al mercato automobilistico. La commercializzazione delle chiavi da parte della società persona offesa aveva reso di pubblico dominio l'asserito know how, perdendo qualsiasi pretesa di tutelabilità. In sostanza, per il genere di prodotto in discussione, non sarebbe prospettabile un know how una volta che il prodotto sia stato posto in commercio. Ancora, si deduce che la sentenza gravata non ha tenuto conto dei tre requisiti, richiesti dalla normativa sia interna che comunitaria ai fini della tutela della segretezza, posto che la querelante non aveva attuato alcuna misura di tutela della asserita segretezza del proprio know how, non avendo stipulato con i ricorrenti neppure un patto di non concorrenza, né erano state adottate misure di protezione idonee a delimitare l'accessibilità alle informazioni che, per consolidata giurisprudenza, sono distinte in tecnologiche, organizzative e contrattuali. In carenza di protezione, il preteso know how non risulta tutelabile, e, comunque, si tratterebbe di informazioni generalmente note e facilmente accessibili. Infine è stato dedotto il vizio di motivazione, in quanto del tutto omessa, in ordine alle censure dell'appellante con riguardo alla insussistenza di danno risarcibile, deducendosi che non era stato provato il numero dei clienti ipoteticamente sottratti dalla società facente capo agli imputati, rispetto alla vendita di chiavi dinamometriche, le quali peraltro si erano rivelate un fallimento totale per la società degli imputati. In sede di motivi aggiunti, la difesa riferiva che gli imputati erano stati assolti dal dall'analoga fattispecie di cui all'art. 623 c.p. per rispondere del medesimo fatto riferito alla duplicazione e commercializzazione delle chiavi dinamometriche c.d. di seconda generazione (mentre nel processo de quo si discuteva della chiave di prima generazione), sulla base del medesimo know how e l'assoluzione è stata motivata dalla mancanza di patti di non concorrenza tra le parti e dalla mancata individuazione di informazioni destinate a rimanere segrete. La questione
Il reato di rilevazione di segreti scientifici o commerciali è previsto dall'art. 623 c.p.. Pur trattandosi di disposizione di non frequente applicazione nelle aule di giustizia, è altresì una fattispecie di particolare impatto e rilievo in ragione degli interessi considerati dalla norma e dal bene giuridico protetto – da individuarsi, nonostante la collocazione della norma nel codice penale, in interessi di natura economico-patrimoniale rilevanti sotto due profili: il profitto sul piano concorrenziale conseguente allo sfruttamento delle conoscenze che debbono rimanere segrete ed il costo per l'acquisizione di suddette conoscenze in termini di ricerca nell'ambito dell'impresa o di acquisto da terzi. In questa prospettiva la scelta incriminatrice si basa essenzialmente sulla particolare insidiosità delle condotte di violazione del segreto tenute da soggetti aventi particolari relazioni con la notizia segreta e non sul mancato rispetto del dovere di fedeltà da parte dei soggetti ad esso tenuti e, in particolare, del lavoratore subordinato, che caratterizza, invece, la tutela civilistica (art. 2105 c.c.). La condotta penalmente rilevante non è, d'altra parte, di per sé una condotta di concorrenza sleale civilisticamente rilevante (art. 2598 c.c.), giacché lo sfruttamento a proprio o altrui profitto del segreto può non danneggiare la altrui azienda. La fattispecie in esame incrimina, dunque, direttamente e autonomamente la violazione del segreto industriale commessa da intranei e può costituire, in pratica, anche una tutela anticipata rispetto a manovre concorrenziali più insidiose e non altrimenti penalmente sanzionate. Riguardo all'oggetto specifico del segreto industriale, per scoperta scientifica si intende il riconoscimento e la rivelazione di fenomeni già esistenti: un corpo o le sue proprietà o le leggi naturali del mondo fisico, che pur arricchendo il patrimonio culturale, non modificano il preesistente stato oggettivo delle cose e non si sostanziano direttamente in una concreta regola tecnica. Per invenzione si intende l'acquisizione della conoscenza di nuovi rapporti causali per l'ottenimento di un determinato risultato riproducibile indefinitamente, con la dominabilità dunque dei fenomeni finalizzata ad uno scopo empirico. L'invenzione è scientifica quando vi sia uno stacco, seppure modesto, da quanto ottenibile dalle cognizioni già note; peraltro non è richiesta la sussistenza di una precisa spiegazione scientifica delle dinamiche operanti, a cui si può pervenire casualmente (Cocco, La tutela penale delle creazioni intellettuali, in Di Amato (diretto da), Trattato di diritto penale dell'impresa, IV, Il diritto penale industriale, Padova, 1993, 260; Leineri, In tema di rivelazione di segreti scientifici o industriali, in Foro It., 2002, II, 115). Sono oggetto di tutela anche le notizie relative ad alcuni elementi accertati ma non sufficienti per il raggiungimento del risultato cercato e, dunque, anche semplici ricerche, in quanto, da un lato, tale interpretazione è consentita dalla lettera della norma che sanziona genericamente la rivelazione di notizie segrete "sopra" invenzioni e, dunque, la rivelazione anche parziale di processi inventivi; dall'altro, va rilevato che anche in tale ipotesi v'è un interesse economico (in termini di costi sostenuti e di risultati da conseguire) ad impedire che terzi acquisiscano la chiave per individuare gli anelli mancanti all'invenzione ed al suo sfruttamento industriale. A maggior ragione sono tutelate anche le operazioni fondamentali per la realizzazione dei prototipi di un determinato impianto quando costituiscano il "cuore" degli stessi e siano il frutto della cognizione e della organizzazione della impresa (Cass., Sez. V, 7 giugno 2005, n. 25174). Non rientrano, invece, nella previsione, in ossequio al principio di tassatività, le fasi iniziali della ricerca e l'abbozzo delle idee inventive (Svariati, Il delitto di rivelazione di segreti industriali e la tutela del know how aziendale in una recente ed interessante sentenza della Cassazione, in Cass. Pen., 2002, 1004), sebbene in senso contrario si affermi che anch'esse, pur non costituendo il "prodotto finito", attengono ad elementi essenziali per la buona riuscita della ricerca. La fattispecie in esame non richiede il requisito della novità di invenzioni e applicazioni industriali, distaccandosi dalle norme in materia di brevettabilità che richiedono la assenza di una previa divulgazione, di scoperte e invenzioni. È necessario però che si tratti di notizie non notorie, non debbono, cioè, fare parte del bagaglio culturale di base, seppur raffinato, dell'esperto del ramo oppure dell'operatore medio, bagaglio in cui sono ricomprese anche le informazioni non ancora comuni e diffuse ma effettivamente accessibili mediante ordinarie indagini e ricerche (Folla, Sulla tutela penale del "know how" aziendale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2002, 1097; Casaburi, In tema di tutela del know how, in Foro It., 2006, 104). Le soluzioni giuridiche
Il ricorso è stato rigettato. Quanto alla tardività della querela, la Cassazione, premesso che il reato di cui all'art. 623 c.p. è un reato istantaneo la cui consumazione si riscontra nel momento in cui il possessore della scoperta/invenzione impiega a suo profitto la stessa, senza autorizzazione del legittimo titolare (Cass., sez. V, 4 novembre 2008, n. 45509), richiama la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui ai fini della individuazione del dies a quo per la proposizione della querela occorre che la persona offesa abbia avuto conoscenza precisa, certa e diretta, sulla base di elementi seri, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva, in modo da essere in possesso di tutti gli elementi di valutazione necessari per determinarsi. Così, nel caso in cui siano svolti tempestivi accertamenti, indispensabili anche per la certa individuazione del soggetto attivo, il termine di cui all'art. 124 cod. pen. decorre, non dal momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del fatto oggettivo del reato, né da quello in cui, sulla base di semplici sospetti, indirizza le indagini verso una determinata persona, ma dall'esito di tali indagini (Cass., sez. V, 9 luglio 2008, n. 33466). Con riguardo ai reati commessi in danno di una società per azioni, si è, altresì, precisato, con orientamento univoco, che il termine di proposizione della querela si individua nel momento in cui il consigliere delegato o l'amministratore unico, titolari del potere di querela, abbiano conoscenza del fatto e del suo autore e possano, quindi, liberamente determinarsi (Cass., sez. II, 4 novembre 2014, n. 48026), e non rileva, invece, il diverso e antecedente momento nel quale l'informazione del fatto sia pervenuta a ramificazioni periferiche della società (Cass., sez. V, 19 aprile 2010, n. 21889). Infine, l'onere della prova dell'intempestività della proposizione della querela incombe su chi la allega e, a tale fine, non è sufficiente affidarsi 'a semplici presunzioni o supposizioni, ma deve essere fornita una prova contraria rigorosa (Cass., sez. I, 28 gennaio 2008, n. 7333). Nessuno di tali principi, secondo la Cassazione, è contradetto dalla sentenza gravata, secondo cui dalle dichiarazioni testimoniali è emerso che la conoscenza del fatto, nei suoi elementi oggettivi e certi, non poteva che essere ricondotta a un momento successivo alle indagini svolte dall'amministrazione della società, dopo una iniziale informativa, solo generica e di tipo indiziario. Dopo aver acquisito alcune iniziali informazioni, la società persona offesa avevano seguito i necessari accertamenti, di tipo tecnico, finalizzati alla verifica della avvenuta immissione sul mercato di un prodotto concorrenziale, della sottrazione del know how per la realizzazione del prodotto, e alla individuazione dei possibili autori dell'illecito.
Quanto alla censura secondo cui non sarebbe stato adeguatamente identificato il know how oggetto di protezione, e, per l'altro, che mancherebbe, in ogni caso, il requisito della segretezza, da declinarsi secondo i parametri di cui all'art. 98 del codice della proprietà industriale, la sentenza in parola distingue – prendendo spunto dalle perizie assunte in sede di merito - fra due profili e cioè il primo relativo all'usufrutto delle conoscenze software che hanno portato gli imputati a sviluppare un prodotto simile alla concorrenza ed il secondo riguardante, invece, la pura copia delle sorgenti. L'attività di duplicazione del codice sorgente rileva ai fini del reato di cui all'art. 171 bis della legge n. 633 del 1941 (per i quali gli imputati erano stati assolti in sede di appello) mentre l'art. 623 c.p., nel sanzionare l'infedeltà del dipendente, ha ad oggetto la tutela penale del patrimonio cognitivo e organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio e la manutenzione di un apparato industriale (Cass., sez. V, 18 febbraio 2010, n. 1965); in effetti, la violazione dell'art.171 bis della legge n. 633 del 1941 viene ritenuta insussistente per la bassa percentuale di righe copiate dal software in possesso della società danneggiata e per la genericità delle informazioni acquisite in tal modo, trattandosi di "algoritmi generici", di comune conoscenza e di semplice implementazione anche con algoritmi differenti; di contro, quanto alla violazione dell'art. 623 cod. pen., la stessa viene ritenuta sussistente in quanto, come da sempre sostenuto nella giurisprudenza di legittimità, in tema di delitti contro la inviolabilità dei segreti, non costituisce condizione, ai fini della configurabilità del reato di rivelazione di segreti industriali, la sussistenza dei presupposti per la brevettabilità, ex art. 2585 cod. civ., della scoperta o dell'applicazione rivelata (Cass., sez. V, 18 febbraio 2010 n. 11965), dovendosi ritenere oggetto della tutela penale del reato in questione il "segreto industriale" inteso in senso lato, ovvero "quell'insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione e realizzazione e dunque la compressione dei tempi di produzione" (Cass., sez. V, 23 maggio 2003, 28882). Tale insieme di conoscenze viene rinvenuto nella disponibilità della società querelante, che le acquisite in tre anni di lavoro - con l'impiego di risorse finanziarie rilevanti, e il lavoro di equipe, con il coinvolgimento di diverse competenze tecniche, la ricerca quotidiana, i numerosi test per renderla fruibile ai clienti finali, ovvero le più importanti case automobilistiche mondiali, e adattarle alle esigenze segnalate -, dando poi luogo alla combinazione del tutto originale confluita nella chiave dinannometrica. E' stata poi questa combinazione, poi, a consentire ai ricorrenti, che hanno incamerato il patrimonio conoscitivo dell'azienda querelante, di mettere a frutto, nel breve volgere di tre mesi, un prodotto tecnologicamente sofisticato e fortemente concorrenziale, senza necessità di ripercorre il lavoro svolto dalla persona giuridica danneggiata, quindi senza necessitò di un elevato impegno economico e di ricerca e tre anni di successiva sperimentazione, e di entrare immediatamente nel mercato in modo competitivo. In sostanza, gli imputati, usando conoscenze software acquisite durante il rapporto di collaborazione con la società presso la quale prestavano la loro attività lavorativa, ed avvalendosene in modo sleale, hanno potuto comprimere al massimo i tempi di realizzazione di un prodotto fortemente concorrenziale, senza incorrere negli errori nei quali normalmente si imbatte chi affronta nuove realizzazioni, con conseguente notevole vantaggio patrimoniale a discapito della società interessata. L'aver sfruttato la "combinazione" dei dati, frutto della esperienza pluriennale della società querelante, ha consentito agli imputati di beneficiare del vantaggio temporale connesso ai tempi della ricerca e della sperimentazione - di cui neppure hanno dovuto sopportare i costi - vantaggio che, in un sistema capitalistico sempre più connotato dalla velocità, e dalla rapida obsolescenza dei prodotti industriali, assume decisiva rilevanza valoriale del know how, ovvero del "patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove" (art. 1 del regolamento CE 772/04 relativo all'applicazione dell'art. 81 par. 3 del trattato CE a categorie di accordi di trasferimento tecnologico). Tale know-how, secondo la Cassazione, rientra senz'altro nell'ambito di tutela dell'art. 623 c.p., la cui sfera di protezione va oltre quella predisposta dall'ordinamento civilistico all'invenzione brevettabile posto che, ai fini della tutela penale del segreto industriale, novità (intrinseca od estrinseca) ed originalità non sono requisiti essenziali delle applicazioni industriali, poiché non espressamente richiesti dal disposto legislativo e perché l'interesse alla tutela penale della riservatezza non deve necessariamente desumersi da questi attributi delle notizie protette. E' fondamentale che le applicazioni industriali non siano state divulgate e che quindi non possano dirsi notorie, non siano cioè a disposizione di un numero indeterminato di persone; ciò vuol dire che, anche se la sequenza delle informazioni, che, nel loro insieme, costituiscono un tutt'uno per la concretizzazione di una fase economica specifica dell'attività dell'azienda, è costituita da singole informazioni di per sé note, ove detta sequenza sia invece non conosciuta e sia considerata segreta in modo fattivo dall'azienda, essa è di per sé degna di protezione e tutela. Non è invece necessario, come parrebbero ritenere le difese, che ogni singolo dato cognitivo che compone la sequenza sia "non conosciuto", essendo sufficiente che il loro insieme organico sia frutto di un'elaborazione dell'azienda: è attraverso questo processo, infatti, che l'informazione finale acquisisce un valore economico aggiuntivo rispetto ai singoli elementi che compongono la sequenza cognitiva. Per illustrare questo concetto, la sentenza richiama l'esempio di una azienda che adotti una complessa strategia per lanciare un prodotto sul mercato: i suoi singoli elementi sono senz'altro noti agli operatori del settore, ma l'insieme può essere stato ideato in modo tale da rappresentare un qualcosa di nuovo e originale, costituendo, in tal modo, un vero e proprio tesoro dal punto di vista concorrenziale per l'ideatore. Quanto alla nozione di informazione commerciale, la Cassazione ritiene non sia corretto rifarsi alla previsione di cui all'art. 98 del codice della proprietà industriale - che individua l'oggetto della tutela nelle informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni: a) siano segrete; b) abbiano valore economico in quanto segrete; c) siano sottoposte, da parte di persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure ragionevolmente adeguate – e ciò in ragione del fatto che lo stesso Codice della proprietà industriale, al successivo art. 99, ritiene che la disciplina in tema di concorrenza sleale di cui all'art. 2598 cod. civ. e le misure di tutele ivi previste possa applicarsi anche a segreti industriali che non rispondono ai criteri indicati dall'art. 98 c.p.i., perché ad esempio si tratti di dati oggettivamente riservati per i quali però non siano state adottate misure di segretezza, così da doversi escludere che il concetto penalistico di segreto soffra interferenze ad opera di quello ricavabile dall'art. 98 del codice di proprietà industriale (Cass., sez. II, 11 maggio 2010, n. 20647; Cass., sez. V, 20 settembre 2018, n. 48895.), risultando accolta, dall'art.623 cod. pen., una nozione di segreto commerciale più ampia.La conclusione, dunque, è nel senso che in presenza di un know-how avente i requisiti previsti dall'art. 98 c.p.i. potrà accordarsi la tutela prevista dall'art. 623 c.p., trattandosi di notizie segrete ed essendovi un interesse giuridicamente tutelato al mantenimento del segreto laddove, invece, non sussistano i requisiti previsti dall'art. 98 c.p.i., dovrà individuarsi aliunde l'esistenza di un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento del segreto. Nel caso di specie, tale interesse è stato adeguatamente individuato dai giudici di merito laddove hanno posto in evidenza che la società asseritamente danneggiata, pur essendo presente con migliaia di stabilimenti in centinaia di paesi nel mondo, aveva deciso di acquistare un'altra società, con un esborso di diversi milioni di euro, per acquisire la tecnologia avanzata elaborata da quest'ultima, e potere così immettere sul mercato un prodotto caratterizzato da altissimi standard tecnologici, non reperibile altrimenti sul mercato industriale. Tale circostanza, e le ragioni di un siffatto agire da parte dei querelanti erano note gli imputati, che hanno potuto adeguatamente apprezzare la riservatezza delle informazioni costituenti il know how. Quanto alle statuizioni risarcitorie, il danno patrimoniale il danno patrimoniale viene individuato nello storno della clientela a seguito della commercializzazione parassitaria di prodotti concorrenziali a costi inferiori rispetto ai prezzi di mercato, con conseguente incidenza sul fatturato della società danneggiata, risultante dalle fatture in atti, mentre il danno non patrimoniale viene fatto consistere nel danno all'immagine imprenditoriale patito dalla parte civile per essere stata screditata dai propri collaboratori, ponendo sul mercato un prodotto alternativo a quello della società presso cui avevano lavorato fino a pochi mesi prima.
Conclusioni
L'interesse della decisione ci sembra si appunti tutto su quello che è il nucleo essenziale della norma ovvero quali sono i dati che sono considerati dalla disposizione. Infatti, l'art. 623, diversamente da quanto accade in altri ordinamenti in cui è tutelato genericamente il secret de fabrique o il Betriebs-oderGeschäfts-geheimnis, prevede quale oggetto del segreto industriale le scoperte, invenzioni e applicazioni industriali. In dottrina, riallacciandosi al dibattito sulla nozione di segreto ed in particolare alle concezioni soggettive ed oggettive elaborate al riguardo, nella materia - in adesione alla concezione c.d. oggettiva – si sostiene che sussiste un segreto industriale penalmente tutelabile quando vi è un obiettivo interesse (economico) dell'impresa alla sua conservazione secondo (in via principale) il criterio della attività di concorrenza; sono tutelate, cioè, tutte le notizie su scoperte scientifiche, invenzioni e applicazioni industriali la cui rivelazione è idonea a danneggiare l'impresa che ne è titolare sul piano della concorrenza; in assenza di una tale idoneità lesiva, nessuna rilevanza può avere la qualificazione come segreti da parte dell'imprenditore di fatti o notizie (Leineri, In tema di rivelazione di segreti scientifici o industriali, in Foro It., 2002, II, 115; Bonelli, La tutela del segreto d'impresa e obblighi dell'ex dipendente, in Riv. Dir. It., 2002, I, 65). Nella decisione in commento si afferma che il bene giuridico dell'art. 623 cod. pen. va individuato nell'interesse a che non vengano divulgate notizie attinenti ai metodi che caratterizzano la struttura industriale e, pertanto, il c.d. know how, vale a dire — secondo la definizione da tempo affermata dalla giurisprudenza di legittimità - quel patrimonio cognitivo e organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio, la manutenzione di un apparato industriale (Cass., sez. V, 18 maggio 2001, n. 25008). Secondo questa pronuncia rientra in tale nozione “una tecnica, o una prassi o, oggi, prevalentemente, una informazione, e, in via sintetica, l'intero patrimonio di conoscenze di un'impresa, frutto di esperienze e ricerca accumulatesi negli anni, e capace di assicurare all'impresa un vantaggio competitivo, e quindi un'aspettativa di un maggiore profitto economico”. In sostanza, innovando parzialmente alle precedenti affermazioni della giurisprudenza, in cui la definizione del know how era assai oscillante, la Cassazione sostiene che rientra nel fuoco di tutela dell'art. 623 c.p., anche il patrimonio di conoscenze il cui valore economico è parametrato all'ammontare degli investimenti (spesso cospicui) richiesti per la sua acquisizione e al vantaggio concorrenziale che da esso deriva, in termini di minori costi futuri o maggiore appetibilità dei prodotti. Esso si traduce, in ultima analisi, nella capacità dell'impresa di restare sul mercato e far fronte alla concorrenza. L'informazione tutelata dalla norma in questione è, dunque, un'informazione dotata di un valore strategico per l'impresa, dalla cui tutela può dipendere la sopravvivenza stessa dell'impresa. Con l'esplicito riconoscimento dell'estensione della tutela prestata dall'art.623 c.p. al know-how aziendale - dettata dalla necessità di tenere conto della sempre più rapida evoluzione tecnologica -, il know-how aziendale viene fatto rientrare nel campo di applicazione della norma in quanto riconducibile all'elastica nozione di "applicazione industriale" (oggi assimilabile all'espressione "segreto commerciale", secondo quanto espressamente affermato dall'art. 9 comma 3 del D. Lgs. N. 63 del 2018), comprensiva di tutte le innovazioni e gli accorgimenti che "contribuiscono, comunque, al miglioramento e all'aumento della produzione" , ancorché siano privi dei requisiti richiesti per la loro brevettazione. |