Il condominio risarcisce i danni da caduta quando la manutenzione del marciapiede antistante allo stabile è affidata alle sue cure

Adriana Nicoletti
06 Luglio 2020

Non è raro che condomini o terzi soggetti estranei al condominio intentino azioni giudiziarie per ottenere il risarcimento per lesioni, a volte anche gravi, patite in seguito a cadute avvenute in zone condominiali ovvero in spazi che, pur non costituendo beni comuni, sono soggetti alla conservazione da parte del condominio. L'obbligo di custodia di tali beni da parte dell'Ente determina anche un dovere di indennizzo in favore del soggetto che ha subito il danno il quale, tuttavia, non è esentato dal comportarsi in modo attento. La semplice distrazione non determina alcun diritto di vedersi riconosciuto il danno.
Massima

Non sussiste con riguardo alle deposizioni rese dai parenti o dal coniuge di una delle parti alcun principio di necessaria inattendibilità connessa al vincolo di parentela o coniugale siccome privo di riscontri nell'attuale ordinamento, considerato che, venuto meno il divieto di testimoniare previsto dall'art. 247 c.p.c. per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 248/1974, l'attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente, in difetto di ulteriori elementi in base ai quali il giudice del merito reputi inficiarne la credibilità, per la sola circostanza dell'esistenza dei detti vincoli tra le parti [1].

È onere del convenuto, ai sensi dell'art. 2697, comma 2, c.c., provare l'eccepito concorso colposo nella causazione dell'evento, ai sensi dell'art. 1227 c.c., per dimostrare che il comportamento del danneggiato sia stato tale da interrompere il necessario nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento lesivo [2].

Il caso

Un soggetto conveniva in giudizio il Condominio per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti in seguito ad una caduta avvenuta dinanzi all'ingresso del palazzo a causa di una lastra di ghiaccio presente sull'antistante marciapiede ed invisibile ad occhio nudo. Il Comune preventivamente interpellato aveva declinato ogni sua responsabilità poiché, per regolamento di polizia urbana, la pulizia dei marciapiedi era di competenza del Condominio. Questi si costituiva in giudizio ed eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva, assumendo l'incertezza del luogo esatto nel quale si era verificato l'incidente (ovvero il numero civico interessato), e chiedeva di chiamare in causa la propria assicurazione ai fini di essere manlevato. Il Tribunale, svolta l'istruttoria con prove testimoniali e consulenza tecnica d'ufficio, accoglieva la domanda ed avverso la sentenza il Condominio, che si era visto respingere anche la domanda nei confronti dell'Assicurazione, proponeva appello che veniva rigettato con integrale conferma della decisione di prime cure.

La questione

Le questioni di rilievo che sono emerse dalla lettura della motivazione della sentenza in esame sono due: la prima, pur essendo di carattere generale assume rilevanza nel caso di specie poiché anche su di essa si fonda la decisione, concerne l'attendibilità di un parente stretto (nella specie: la figlia) nel rendere testimonianza in favore della parte in giudizio e la seconda riguarda l'individuazione del soggetto sul quale ricade l'onere della prova per dimostrare il concorso di colpa dell'attore nella produzione dell'evento lesivo.

Le soluzioni giuridiche

Con l'appello il Condominio lamentava che il Tribunale aveva accolto la domanda in assenza di prova dell'evento e del nesso di causalità tra il lamentato danno e la presenza dell'insidia. Premesso che i postumi dell'evento non erano stati oggetto di contestazione, i giudici del gravame hanno ritenuto che le prove testimoniali raccolte avevano dimostrato che la caduta si era verificata proprio dinanzi al civico che individuava il Condominio appellante: di detti testi, infatti, uno (la figlia del danneggiato) aveva assistito in diretta alla caduta mentre l'altro si era avveduto dell'insidia avvicinandosi al danneggiato per prestargli soccorso. Parimenti documentato il fatto che il Comune non era tenuto a provvedere alla manutenzione del marciapiede antistante l'edificio e sul quale si era verificato il sinistro. In tutto questo il convenuto non aveva dimostrato di avere ottemperato alla propria obbligazione di mantenere il marciapiede libero ed in condizioni tali da evitare ai condomini od ai terzi di incorrere – come nel caso di specie è avvenuto – in incidenti con conseguenti danni alla persona. Per tali ragioni la Corte di appello ha correttamente respinto l'impugnazione della sentenza da parte del Condominio.

Osservazioni

La fattispecie in esame rientra nell'ambito applicativo dell'art. 2051 c.c., in base al quale ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. Dagli atti del giudizio è emerso, indiscutibilmente, che il Condominio era l'unico custode del marciapiede antistante all'edificio poiché, non solo il Regolamento comunale prevedeva che tale onere era posto a carico dello stesso, ma anche perché nel contratto di portineria, relativo al supercondominio, il portiere doveva provvedere sia alla pulizia giornaliera di quel tratto di marciapiede, sia allo sgombero del medesimo dalla neve ed allo spargimento del sale.

La prima questione interessante che è emersa dalla motivazione della sentenza, ancorché – come osservato dal giudicante – fosse rimasta come mera enunciazione del Condominio, in quanto non rilevata in sede di escussione testimoniale né successivamente, è quella concernente l'asserita inattendibilità delle dichiarazioni rese da una delle due testi in quanto figlia del danneggiato. Malgrado la marginalità del rilievo Corte ha voluto trattare ugualmente il punto, richiamando il principio di cui alla massima ed espresso da consolidata giurisprudenza. Cogliamo, pertanto, l'occasione per formulare alcune brevi osservazioni sulla differenza tra capacità a testimoniare ed inattendibilità della testimonianza.

La norma che disciplina la “capacità di testimoniare” è l'art. 246 c.p.c., secondo il quale non possono essere assunte come testi persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio. La norma si fonda su di una sostanziale inconciliabilità della veste di testimone con quella di parte, che per le persone fisiche ha una portata maggiore rispetto alle persone giuridiche (Cass. civ., sez. II, 23 luglio 2018, n. 19498). Incompatibilità che non sembrerebbe sussistere in ambito condominiale, poiché si è ritenuto che nel processo di accertamento della responsabilità da cose in custodia per danni da infiltrazioni d'acqua originate da parti comuni di un edificio condominiale, l'amministratore del condominio non è incapace a testimoniare, posto che i soggetti potenzialmente responsabili in solido sono i singoli condomini e non il condominio o il suo amministratore (Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2018, n. 2332). Nell'ambito dell'art. 246 c.p.c. l'elemento determinante per escludere la capacità a testimoniare è, poi, l'interesse diretto che il teste può avere nell'ambito del giudizio e che, secondo la giurisprudenza, coincide con quello definito dall'art. 100 c.p.c. Assume, infatti, tali caratteri la posizione del teste che sia titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso sì da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia che ivi è in discussione, non avendo, invece, rilevanza l'interesse di fatto a un determinato esito del giudizio stesso (Cass. civ., sez. II, 8 giugno 2012, n. 9353).

Diversa è la situazione di inattendibilità del teste, che opera su di un piano diverso rispetto alla capacità di cui all'art. 246 c.p.c e che afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità (Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2014, n. 11204; Cass. civ., sez. III, 30 marzo 2010, n.7763).

Nel caso in esame la Corte di appello ha fatto buon governo della pronuncia della Corte Costituzionale sul punto anche se, come già evidenziato, alcuna eccezione specifica era stata sollevata in questo senso dal Condominio.

Per quanto concerne, invece, l'art. 2051 c.c., applicabile non solo nello stretto ambito condominiale ma anche nel rapporto tra l'Ente ed i soggetti ad esso estranei, va detto che la responsabilità per i danni causati da cose in custodia ha carattere oggettivo e non si fonda su di una presunzione per colpa ma sul mero rapporto di custodia (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2009, n. 20943), pertanto, perché si possa configurare in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato. Nella specie, infatti, si parla di potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe l'obbligo di vigilarla e di mantenere il controllo onde evitare che produca danni a terzi. Ne consegue che il custode convenuto è onerato di offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. Nell'eventualità della persistenza dell'incertezza sull'individuazione della concreta causa del danno, rimane a carico del custode il fatto ignoto, in quanto non idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell'accadimento (Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2009, n. 5741).

Nella fattispecie, correttamente, il giudice dell'appello ha rigettato l'impugnativa del Condominio nei confronti della sentenza di primo grado, poiché sussistevano tutti gli elementi di fatto (regolamento di polizia urbana e mansioni del portiere in ordine alla manutenzione del marciapiede anche in relazione alla sua pulizia in caso di neve, tramite spargimento di sale) dai quali trarre la sua responsabilità negli eventi oggetto della controversia. Nessun rilievo, inoltre, poteva assumere ai fini della prova del caso fortuito la circostanza che al momento del sinistro il portiere fosse assente, poiché sarebbe stato onere dell'amministratore provvedere a fare eliminare il ghiaccio da altro soggetto.

E' peraltro pacifico che il condominio di un edificio, in quanto custode dei beni e servizi comuni, deve adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, rispondendo direttamente dei danni ad altri cagionati ed il risarcimento dovrà essere sostenuto da tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà.

Al di là dei canonici casi di responsabilità del Condominio ai sensi dell'art. 2051 c.c. (tra tutti, ad esempio, le infiltrazioni d'acqua provenienti da muri condominiali o da lastrici solari di uso/proprietà comune) sempre più di frequente si aprono contenziosi che hanno per oggetto le c.d. “insidie” o “trabocchetti” (o asseriti tali) ai quali i condomini si appellano per chiedere, nei confronti dell'Ente, il riconoscimento del risarcimento dei danni consequenziali patiti.

In questo caso, dal quale comunque non esula anche la fattispecie di cui alla sentenza in esame qualora fosse emerso che la lastra di ghiaccio fosse stata visibile e, quindi, facilmente evitabile, la giurisprudenza è più che categorica. E' stato, infatti, affermato che la responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c. sussiste qualora ricorrano due presupposti: un'alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche, determina la configurazione nel caso concreto della cd. insidia o trabocchetto el'imprevedibilità e l'invisibilità di tale "alterazione" per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno (Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2010, n. 11562). A maggiore precisazione si aggiunga, da ultimo, che, per delimitare il campo obiettivo dell'insidia, il giudizio sulla pericolosità della cosa inerte va fatto in relazione alla sua normale interazione con la realtà circostante e, pertanto, necessita di un'attenta valutazione se la situazione di oggettivo pericolo costituisce un'insidia non superabile con l'ordinaria diligenza e prudenza, oppure sia suscettibile di essere prevista e superata con l'adozione delle normali cautele da parte del danneggiato, il quale in tale ipotesi avrebbe quanto meno concorso, ex art. 1127c.c. [n.d.a. evidente refuso che sta per 1227 c.c.], alla produzione dell'evento dannoso (Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 2009, n. 25772: nella specie, caduta nel vialetto condominiale con pavimentazione sconnessa e scarsamente illuminato, a titolo di colpa).

Guida all'approfondimento

SINI, La responsabilità del condominio per danni derivanti da cose in custodia e l'esimente della condotta colpevole del danneggiato, in Riv. giur. sarda, 2018, I, 76;

BENEDETTI, La responsabilità giuridica dell'amministratore condominiale per l'insidia non tutelata, in Amministr. immobili, 2017, fasc. 213, 7;

CELESTE, Qualità di condomino e incapacità a deporre, in Imm. & proprietà, 2016, 287;

BORDOLLI, L'infortunio nel condominio, in Imm. & proprietà, 2015, 551.

(FONTE: condominioelocazione.it)

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