Polizza all risks: i modelli di delimitazione del rischio assicurato e i relativi riflessi probatori

Massimiliano Stronati
20 Luglio 2020

A chi spetta fornire la prova che il rischio concretizzatosi rientri o meno tra quelli esclusi dalla polizza?
Massima

In ipotesi di polizze assicurative cd. all risks, spetta all'assicurato provare la circostanza che il rischio concretizzatosi rientri tra i “rischi inclusi”, in quanto fatto costitutivo della pretesa. All'assicuratore spetta, invece, fornire la prova del fatto impeditivo, rappresentato dalla riconduzione del rischio avveratosi tra i “rischi non compresi” nella garanzia, in forza di clausole delimitative dell'oggetto della copertura assicurativa.

Il caso

Un produttore enologico stipulava con un'impresa assicuratrice una polizza contro i danni avente ad oggetto la copertura dai rischi che avessero potuto incidere sulla qualità del vino. In seguito al deterioramento del vino a causa del formarsi dell'aldeide acetica, la società produttrice conveniva in giudizio l'assicuratrice al fine di ottenere il ristoro pattuito.

Il Tribunale rigettava la domanda di indennizzo, accogliendo l'eccezione della convenuta relativa alla esclusione dall'oggetto della polizza dell'evento lesivo concretizzatosi. In particolare, veniva rilevato che spettava all'assicurato fornire la prova che il danno subito non rientrasse fra quelli non compresi dalla garanzia.

Con la medesima motivazione, anche la Corte territoriale rigettava la pretesa indennitaria, non avendo la parte attorea fornito la prova che il rischio e quindi l'evento lesivo non rientrassero tra quelli esclusi.

La parte soccombente ha proposto ricorso per cassazione, lamentando l'errata interpretazione dell'art. 2697 c.c., specie in relazione alla tipologia di polizza cd. all risks, e deducendo l'erronea interpretazione del contratto, con particolare riferimento al contenuto di una clausola avente ad oggetto la disciplina pattizia dell'onere probatorio.

La questione

A chi spetta fornire la prova che il rischio concretizzatosi rientri o meno tra quelli esclusi dalla polizza?

Le soluzioni giuridiche

I) La Corte regolatrice, in accoglimento del ricorso avanzato dall'assicurato, torna a pronunciarsi sulla vexata quaestio del riparto dell'onere probatorio in materia di contratti di assicurazione.

In applicazione di un'impostazione interpretativa assolutamente dominante nella giurisprudenza della Suprema Corte, la sentenza del giudice territoriale, infatti, aveva riconosciuto che, nell'azione di adempimento promossa dall'assicurato, l'opposizione sollevata dall'assicuratore circa l'esclusione del rischio avveratosi da quelli garantiti non rappresentasse un'eccezione in senso proprio, ma una mera contestazione del mancato assolvimento dell'onere probatorio circa i fatti costitutivi della domanda.

I giudici di legittimità, per contro, affermano che tale principio di diritto, seppur pienamente condivisibile in via generale, come testimoniano le plurime pronunce favorevoli della Cassazione susseguitesi nel corso dell'ultimo ventennio, non risulta applicabile al caso di specie.

Per comprendere le ragioni di tale diversa impostazione ermeneutica, che per il momento trova un precedente che non sia oltremodo distante nel tempo soltanto in Cass. civ., Sez. III, 23 gennaio 2018, n.1558, occorre dar brevemente conto del panorama pregresso in cui si inserisce.

In primo luogo, si rammenta come l'impianto del riparto probatorio nel contratto di assicurazione sia evidentemente ricostruito alla stregua dei criteri applicabili ad ogni pretesa di adempimento nell'ambito della generale disciplina codicistica, in base alla quale spetta al creditore, a mente dell'art. 2697 c.c., dimostrare in primo luogo l'esistenza del titolo da cui scaturisce l'obbligazione, quale fatto costitutivo del diritto.

In particolare, con riferimento alla fonte contrattuale ne dovranno quindi essere provati gli elementi essenziali, tra cui rientra evidentemente l'oggetto.

In ipotesi di contratto assicurativo, per quanto qui d'interesse, l'oggetto consta degli interessi che le parti intendono tutelare e dei rischi da cui l'una garantisce l'altra, tramite l'operazione di delimitazione del rischio, assolta tramite pattuizioni negoziali, nonché per mezzo dell'integrazione ex lege.

Le parti, nella loro amplissima discrezionalità regolamentare, possono peraltro determinare l'area del rischio assicurato e al contempo quello escluso dalla garanzia seguendo distinti procedimenti.

I contraenti potrebbero, infatti, delineare il rischio incluso nella polizza mediante l'individuazione di una classe specifica di eventi protetti mediante la positiva descrizione delle circostanze causali, spaziali, temporali e personali che devono verificarsi nell'ipotesi concreta.

Al contrario, il rischio incluso potrebbe essere determinato per sottrazione, concordando che siano garantiti quei rischi che non siano stati espressamente inclusi.

È peraltro necessario sottolineare che tale ultima metodologia di determinazione in negativo dell'oggetto è applicabile non solo rispetto alle polizze a rischio nominato, ma anche alle polizze cd. all risks, ovvero quelle che per definizione prevedono l'indennizzabilità di una classe generica di rischi attinenti ad un determinato bene della vita, qualora contengano anch'esse, come solitamente avviene, l'esclusione espressa di talune ipotesi di rischio.

A tale diversità di meccanismi operativi sul piano sostanziale ha fatto seguito l'elaborazione delle rispettive conseguenze sul piano probatorio.

Quanto alla prima modalità di delimitazione del rischio non si sono ravvisati dubbi né in dottrina, né in giurisprudenza nell'addossare all'assicurato la prova della verificazione dell'evento come determinato dalle parti in tutte le sue specificità circostanziali, risultando proprio il rischio così conformato il fatto costitutivo (così già Cass. Civ., Sez. I, 4 marzo 1978, n. 1081;Cass. civ., sez. I, 8 gennaio 1987, n. 17; nonché le recentissime Cass. Civ., Sez. III, 21 dicembre 2017, n. 30656 e Cass.Civ.,Sez. I, 14 giugno 2018, n.15630).

Nell'altra fattispecie, invece, non si può dar conto di una unanimità di vedute.

Infatti, tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza, si contendono tutt'ora il campo coloro che ritengono che i rischi esclusi concorrano a determinare il fatto costitutivo della pretesa indennitaria, così ricadendo sull'assicurato l'onere di dimostrare che l'evento verificatosi non rientra tra questi. In tale ipotesi, quindi, il quomodo prescelto dalle parti per la individuazione del rischio assicurato sarebbe del tutto irrilevante, spettando in ogni caso all'assicurato di dar prova che il rischio si sia verificato secondo le circostanze dedotte, tanto che le stesse siano previste in positivo o in negativo.

Per converso, un altro indirizzo sostiene che al danneggiato sia sufficiente dar prova del concretizzarsi dell'evento lesivo del bene protetto e del nesso causale dello stesso rispetto al danno subito, mentre spetti all'assicuratore fornire la prova della concretizzazione di eventuali circostanze escluse dalla polizza, che rilevano quindi quali fatti impeditivi della pretesa riparatoria.

In tale contesto, la pronuncia Cass. Civ., Sez. III, 12 febbraio 1998, n.1473, il cui principio di diritto avallato dalla sentenza d'appello è stato cassato dalla pronuncia in commento, ha segnato il crocevia interpretativo della successiva giurisprudenza di legittimità per quanto attiene alle polizze il cui rischio garantito venga determinato per sottrazione.

Tale sentenza, infatti, riferendosi ad un contratto assicurativo all risks, con il quale si garantisce un rischio generico salvo specifiche esclusioni, ha ritenuto che non vi fosse divergenza sul piano probatorio rispetto a quelle polizze in cui il rischio venga delimitato in positivo, nei termini suddetti.

Invero, si è ivi sostenuto che allorquando venga richiesto «l'adempimento di un contratto, non è dato distinguere, quanto alla distribuzione, tra le parti, dell'onere della prova, tra clausole generali e speciali del contratto stesso, dal momento che tutte ed inscindibilmente attengono alla delimitazione dell'oggetto di esso: il quale se contestato, deve essere provato unicamente dall'attore che intenda giovarsi degli effetti relativi e conseguenti, trattandosi di fatto costitutivo della domanda». Tale decisione specifica, ulteriormente, che «conseguenze diverse non possono farsi derivare dal tipo di contratto stipulato ("all risks policy"), e ciò per la ragione che, agli effetti, di cui all'art. 2697 c.c., non è dato distinguere tra un contratto d'assicurazione, relativo ad un rischio generale e contemplante altresì specifiche esclusioni ed un contratto relativo invece a specifici rischi».

Sicché ciò determinerebbe, come sostenuto nei due precedenti gradi del giudizio de quo, che non «può qualificarsi come eccezione in senso proprio l'allegazione del convenuto, per la quale tali effetti non si sarebbero invece verificati per essere il danno riconducibile ad una clausola contrattuale di esclusione della garanzia assicurativa dal momento che tale difesa si sostanzia in un'eccezione in senso improprio».

In ossequio a detta statuizione si sono uniformate, nel corso degli anni, anche con riferimento alle polizze cd. nominate le quali vengano perimetrate attraverso clausole escludenti, una pluralità di decisioni (ex multis Cass.Civ.,Sez. III, 10 novembre 2003, n.16831; Cass.Civ., Sez. III, 20 marzo 2006, n.6108; Cass.Civ.,Sez. III, 16 marzo 2012, n.4234; Cass. Civ., Sez. I, 14 giugno 2018, n. 15630), sino al recente revirement contenuto in Cass. Civ.,Sez. III, 23 gennaio 2018, n.1558, la cui motivazione è in buona parte riportata nell'ordinanza in commento.

La presente pronuncia, infatti, relativamente alla fattispecie di una polizza all risks, ritiene che non vi sia un'omogeneità strutturale tra clausole di individuazione del rischio in positivo e quelle che escludono l'indennizzabilità al verificarsi di specifiche circostanze, sicché si ritiene che sia «onere dell'attore provare che il rischio avveratosi rientra nei “rischi inclusi” e, cioè, nella categoria generale dei rischi oggetto di copertura assicurativa» e che invece non ricada sullo stesso anche la dimostrazione che l'evento lesivo non rientri fra quelli esclusi.

Se il fatto costitutivo della pretesa dell'assicurato è rappresentato soltanto dalla categoria dei “rischi inclusi”, ne consegue infatti che «qualora il contratto contenga clausole di delimitazione del rischio indennizzabile (soggettive, oggettive, causali, spaziali, temporali), spetta all'assicuratore dimostrare il fatto impeditivo della pretesa attorea e, cioè, la sussistenza dei presupposti fattuali per l'applicazione delle clausole». In tal caso, quindi, l'eccezione sollevata dall'assicuratore non è impropria e non costituisce una mera contestazione, sicché andrà dimostrata in giudizio, ai sensi dell'art. 2697, comma 2 c.c.

A suffragio della propria decisione, la Suprema Corte rileva anche come, nel presente caso, siano state le stesse parti a onerare l'assicurato di dar prova di una specifica categoria di rischi esclusi, ovvero quelli causati in conseguenza della propria condotta dolosa. Ciò significa, che in tutte le restanti ipotesi di delimitazione del rischio l'onere probatorio rimane a carico dell'assicuratore e che tale specifica clausola costituisce un'inversione del regolare onus probandi, come sopra descritto.

Osservazioni

Il fondamento motivazionale dell'odierna pronuncia, come detto, ricalca quello della recente Cass. civ., Sez. III, 23 gennaio 2018, n.1558, la quale circoscrive il fatto costitutivo della pretesa indennitaria all'avveramento “di un rischio corrispondente a quello descritto nella polizza”, il quale è il prodotto finale di un'attività di delimitazione del rischio che comporta la classificazione dello stesso entro tre distinte categorie.

Invero, «i rischi inclusi sono quelli per i quali il contratto accorda all'assicurato il pagamento dell'indennizzo. I rischi esclusi sono quelli del tutto estranei al contratto (ad es., il rischio di infortuni rispetto ad una polizza che copra la responsabilità civile). I rischi non compresi sono invece quelli che astrattamente rientrerebbero nella generale previsione contrattuale, ma l'indennizzabilità dei quali è esclusa con un patto espresso di delimitazione del rischio». Questi ultimi, peraltro, nonostante contribuiscano in negativo alla determinazione dell'oggetto del contratto di assicurazione, riverberano secondo la giurisprudenza sopra citata e quella odierna in fatti impeditivi la cui prova deve essere fornita dall'assicuratore.

Ora, l'avallo di questo orientamento interpretativo o del filone sostenuto univocamente a partire da Cass. civ., Sez. III, 12 febbraio 1998, n.1473, la quale non indugia in distinzioni fra clausole generali e speciali di delimitazione, si giustifica, come rilevato da attenta dottrina, in considerazione della preferenza accordata alla tesi per cui «il rischio escluso è l'elemento costitutivo della pretesa dell'assicurato ed è pertanto « interno » alla fattispecie, oppure (come sembra più corretto) che partecipi della natura di fatto impeditivo il cui onere probatorio grava viceversa l'altra parte» (R. Calvo, Il contratto di assicurazione. Fattispecie ed effetti, in Tratt. resp. civ., diretto da Franzoni, Giuffrè, 2012, p.99).

A sostegno della tesi sostenuta nella pronuncia in discorso, parte della dottrina rimprovera alla ricostruzione giurisprudenziale sinora prevalente, per cui il fatto costitutivo del diritto sarebbe il rischio che si può determinare in base alla valutazione simultanea di clausole descrittive ed escludenti, di determinare una contraddizione. Invero, «da un lato si riconosce alle parti la libertà di delimitare l'estensione del rischio coperto attraverso la modulazione dei termini all e exclusions, mentre dall'altro si snatura tale libertà ricorrendo a un criterio ripartitore dell'onere probatorio talmente rigido da ricondurre ad unità tanto gli elementi costitutivi quanto quelli impeditivi della copertura» (ibidem). Sicché secondo lo stesso Autore «sostenere che l'assicurato debba dimostrare non soltanto il danno, ma altresì che la lesione non è imputabile al pericolo escluso, significa condurre quoad effectum la polizza all risks sullo stesso piano di quella a rischio nominato»(ibidem).

Più specificatamente si ritiene che l'indirizzo oggi in contestazione non tenga in debito conto la «possibilità di interpretare le polizze, che prevedono rischi coperti ed esclusi, come contenenti deroghe convenzionali al regime legale di ripartizione degli oneri probatori, nel senso, cioè, che siano direttamente le parti, attraverso la volontà espressa nel contratto e quindi in base al principio dell'autonomia privata, a configurare gli elementi costitutivi e quelli impeditivi di una determinata fattispecie» (G. Stella, L'onere della prova nell'assicurazione contro rischi determinati e nell'assicurazione all risks, Resp. Civ. Prev., III, 1999, p. 774 ss).

In assenza di un referente normativo che permetta un agevole districarsi della questione, in quanto l'art. 2697 c.c. determina gli effetti sul piano probatorio di una distinzione sostanziale fra fatti costitutivi e impeditivi che si dà per presupposta, non appare quindi plausibile individuare un paradigma strutturale che permetta una risoluzione unitaria per tutti i casi di specie e sembra quindi necessaria un'indagine caso per caso.

In tale ottica, la Corte regolatrice, riconoscendo rilevanza decisiva alla volontà delle parti, così prendendo le distanze dalla precedente giurisprudenza in tema, appare accogliere un criterio interpretativo del contratto che si traduce in «operazioni meramente algebriche, ove i segni positivi e negativi (ricavabili dalle preposizioni negoziali) individuerebbero, rispettivamente i fatti costitutivi e impeditivi della pretesa obbligatori» (R. Calvo, op. cit.). Nelle polizze a rischio nominato, ciò significa che in capo all'assicurato graverà l'onere di dimostrare che l'evento verificatosi rientrava nel rischio assicurato, come delimitato negozialmente. Tuttavia, se questo è delimitato attraverso clausole che lo identificano positivamente allora la prova delle circostanze fattuali ricadrà in toto sull'assicurato, mentre se il rischio è stato circoscritto negativamente attraverso eccezioni, graverà sull'assicuratore la prova dell'inesigibilità dell'indennizzo. Peraltro, come reso palese nella pronuncia in esame, tale ragionamento è applicabile senz'altro anche alle polizze all risks il cui oggetto per definizione è perimetrato negativamente attraverso eccezioni.

Anche rispetto a tale prospettazione analitica, peraltro, è stato affermato che, rispetto alla qualificazione dei fatti costitutivi o impeditivi in conseguenza dell'esplicarsi della volontà dei privati o meno, “non esistono argomenti per stabilire quale debba essere preferita” (G. Verde, L'Onere della Prova nel Processo Civile, Napoli-Camerino, 1974, 480).

Ma anche accogliendo questa critica, superando anche l'odierna giurisprudenza in commento, vi è chi ritiene che «può avere un valore indicativo, ma non decisivo, la formulazione letterale adoperata nel contratto, ossia il fatto che il rischio dedotto sia qualificato positivamente da determinate circostanze (cioè che può far presumere la natura costitutiva delle stesse) ovvero solo negativamente mediante l'esclusione di altre circostanze (le quali dovrebbero, quindi, avere carattere impeditivo)» (G. Stella, op. cit.).

Si richiederebbe, quindi, una lettura sostanziale del tessuto pattizio al fine di individuare «il rapporto regola-eccezione che si riesca a stabilire fra il contenuto dei rischi assunti e quello dei rischi esclusi»(G. Fanelli, Le assicurazioni, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1980, 135). Qualora le parti abbiano definito una circostanza specifica, nell'ambito di una dinamica regolare di causazione del rischio, allora la stessa rileverà come fatto costitutivo della pretesa, mentre se la copertura assicurativa viene esclusa sulla base di una condizione eccezionale, tale da concretizzare un rischio straordinario, allora questa sarà riconducibile ad un fatto impeditivo.

II) In tale prospettiva ermeneutica, peraltro, sembrano assumere rilievo rispetto al passato quelle clausole che comportino l'inversione dell'onere probatorio.

Infatti, alla stregua dell'indirizzo indicato sino al 2018 dalla giurisprudenza di legittimità - lo si ribadisce, per cui l'onere circa la prova dell'oggetto è interamente a carico dell'assicurato aldilà del contenuto delle singole clausole di delimitazione del rischio - la disciplina del regime probatorio convenzionalmente si sarebbe potuta rovesciare a carico dell'assicuratore rispetto al verificarsi di determinate circostanze, favorendo così la posizione dell'assicurato.

Secondo la prospettazione avallata nell'ultimo biennio dalla Suprema Corte, invece, la disciplina probatoria risulterebbe più favorevole all'assicurato quante volte il rischio venga delimitato per mezzo di clausole di esclusione di talune circostanze che connotino l'evento, in quanto ricadrebbero in capo all'assicuratore proprio gli eventuali fatti causativi escludenti il diritto indennitario.

Ne consegue che l'eventuale predisposizione di una clausola che inverta tale ordito regolamentare, imponendo all'assicurato di dar prova che il rischio non rientri tra quelli “non compresi”, potrebbe ritenersi abusiva nelle fattispecie in cui sia applicabile la disciplina consumeristica.

Infatti, una tale regola negoziale potrebbe ritenersi in contrasto con l'art. 33, comma 2, lett. t) cod. cons., il quale prescrive la vessatorietà tra le altre anche di quelle clausole che producono «inversioni o modificazioni dell'onere della prova». In questo senso, si sostiene infatti che «devono ritenersi vessatorie: a) le clausole che pongono a carico dell'assicurato l'onere di provare che il sinistro non rientri tra le cause di esclusione descritte nel contratto» (Cagnasso O. - Cottino G. - Irrera M., L'assicurazione: l'impresa e il contratto, Padova, 2011, p. 181; nello stesso senso cfr. Cerini, Contratto di assicurazione e clausole vessatorie – Parte III: Clausole vessatorie e contratti di assicurazione danni, in Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, a cura di G. Alpa e S. Patti, II, Milano, 1997, p. 1079; nonché, P. Mariotti, A. Serpetti, Le clausole vessatorie nei contratti di assicurazione, Giuffrè, 2011, 96).

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