Reati intenzionali violenti: la Corte di Giustizia riaccende le speranze delle vittime «residenti» e “boccia” l'Italia per i sistemi indennitari

10 Agosto 2020

L'art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 impone ad ogni Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo a tutela di tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi nei loro territori, siano esse residenti nello stato medesimo ovvero si trovino in una situazione transfrontaliera.
Massima

L'art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 impone ad ogni Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo a tutela di tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi nei loro territori, siano esse residenti nello stato medesimo ovvero si trovino in una situazione transfrontaliera.

La previsione, da parte dello Stato membro, di un sistema di indennizzo forfettario è «equo ed adeguato» e, quindi, conforme all'art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, solo laddove tenga adeguatamente conto dell'effettiva gravità delle conseguenze patite dalla vittima e rappresenti un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito.

Il caso

La questione decisa dalla Corte di Giustizia prendeva le mosse dalla violenza sessuale subita in Italia da una cittadina ivi residente. Gli autori del reato venivano condannati al risarcimento di Euro 50.000,00 ma, resisi latitanti, non provvedevano in alcun modo al pagamento del dovuto. Nel 2009, quindi, la vittima citava in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri per ottenere il risarcimento del danno da mancata tempestiva trasposizione della direttiva 2004/80 che espressamente imponeva a ciascuno Stato membro di munirsi di un sistema di indennizzo a tutela delle vittime di reati violenti ed intenzionali – tra cui certamente la violenza sessuale – laddove per l'incapienza del reo e/o la sua mancata identificazione le vittime stesse rimanessero, come nel caso che occupa, prive di ristoro. Accolta la tesi dell'attrice, il Tribunale di primo grado e la Corte d'Appello condannavano la Presidenza del Consiglio al pagamento, rispettivamente, di 90.000,00 euro e di 50.000,00 euro.

La soccombente proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che la direttiva fosse destinata a regolare le sole situazioni transfrontaliere, non potendo pertanto trovare applicazione nel caso di specie. Sosteneva altresì che essendo intervenuto nelle more dei giudizi il decreto ministeriale del 31 agosto 2017 emanato ai sensi del comma 3 dell'art. 11 della legge 7 luglio 2016, n. 122 – destinato ad operare anche retroattivamente - fosse cessata la materia del contendere poiché la vittima aveva ottenuto un equo ed adeguato indennizzo di euro 4.800,00. Il Giudice di legittimità, sollecitato dalla resistente in Cassazione, richiedeva l'intervento interpretativo della Corte di Giustizia.

La questione

Le questioni pregiudiziali formulate dal Giudice del rinvio con ordinanza interlocutoria n. 2964 del 31 gennaio 2019 erano le seguenti:

  1. Se – in relazione alla situazione di intempestivo (e/o incompleto) recepimento nell'ordinamento interno della [direttiva 2004/80], non self executing, quanto alla istituzione, da essa imposta, di un sistema di indennizzo delle vittime di reati violenti, che fa sorgere, nei confronti dei soggetti transfrontalieri cui la stessa direttiva è unicamente rivolta, la responsabilità risarcitoria dello Stato membro, in forza dei principi recati dalla giurisprudenza della CGUE il diritto dell'unione imponga di configurare un'analoga responsabilità dello Stato membro nei confronti di soggetti non transfrontalieri (dunque, residenti), i quali non sarebbero stati i destinatari dei benefici derivanti dall'attuazione della direttiva, ma, per evitare una violazione del principio di uguaglianza/non discriminazione nell'ambito dello stesso diritto dell'Unione, avrebbero dovuto e potuto – ove la direttiva fosse stata tempestivamente e compiutamente recepita – beneficiare in via di estensione dell'effetto utile della direttiva stessa.
  2. Condizionatamente alla risposta positiva al quesito che precede, se l'indennizzo stabilito in favore delle vittime dei reati intenzionali violenti (e, segnatamente, del reato di violenza sessuale, di cui all'art. 609-bis del codice penale) del decreto del Ministro dell'interno 31 agosto 2017 [emanato ai sensi del comma 3 dell'art. 11 della legge 7 luglio 2016, n. 122] nell'importo fisso di euro 4.800,00 possa reputarsi “indennizzo equo ed adeguato” in attuazione di quanto prescritto dall'art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80.
Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in commento la Corte di Giustizia si è mostrata ferma nel ritenere che i destinatari della direttiva 2004/80 siano non soltanto le vittime «transfrontaliere» ma anche e innanzitutto quelle residenti.

A sostegno di tale conclusione sono dirimenti – a detta dei Giudici – tanto il dato testuale, quanto il contesto e gli scopi della direttiva ricavabili dai suoi ‘considerando'.

Sotto il primo profilo, infatti, l'art. 12, paragrafo 2, della direttiva – che già dal titolo offre un importante spunto orientativo parlando di «sistemi di indennizzo nazionali» – impone a ciascuno Stato membro di dotarsi di un proprio sistema indennitario a tutela di tutte le vittime di qualunque reato intenzionale violento commesso nel proprio territorio. È chiaro quindi, prosegue la Corte, che il corretto adempimento degli obblighi relativi alle situazioni transfrontaliere imponga prima di tutto che gli Stati siano conformi al diritto dell'Unione dal punto di vista del sistema normativo / indennitario interno, essendo poi quello stesso sistema interno ad operare – in via estensiva e per il perseguimento degli scopi imposti dalla direttiva – nelle situazioni transfrontaliere.

Sotto altro profilo, i ‘considerando' della direttiva 2004/80 delineano con altrettanta chiarezza come l'obiettivo perseguito dal legislatore europeo sia stato quello di sollecitare l'elaborazione di norme minime di tutela [considerando 3] in modo tale che tutte le vittime di reato nell'Unione vedano garantito il proprio diritto ad ottenere un indennizzo equo ed adeguato indipendentemente dal luogo dell'Unione in cui il crimine si sia verificato [considerando 7], nella consapevolezza che in alcuni casi per le vittime possa risultare particolarmente difficoltoso il conseguimento del risarcimento da parte del reo [considerando 10] e nella speranza di elidere – quantomeno in parte – tali difficoltà, che ben possono esistere «…come attestano i fatti all'origine della presente causa, … anche quando esse risiedono nello Stato membro in cui il reato è stato commesso» (cfr. p.to 51 sent. CGUE).

Tali considerazioni hanno portato la Corte a prospettare la responsabilità dello Stato italiano secondo il “modello Francovich” per non aver trasposto in tempo utile l'art. 12, paragrafo 2, direttiva 2004/80 a favore delle vittime residenti, fermi i tre già noti presupposti dell'esistenza di una norma di diritto dell'Unione che conferisca diritti ai singoli, della violazione sufficientemente qualificata e della sussistenza del nesso di causa tra la violazione e il danno (condizioni, peraltro, soddisfatte nella “causa pilota”).

La risposta affermativa al primo quesito ha portato la Corte a proseguire la propria indagine sulla rispondenza o meno ai canoni dell'equità e dell'adeguatezza del regime forfettario italiano che stanziava 4.800,00 euro alla vittima di una violenza sessuale. I Giudici europei hanno riconosciuto, in primis, che sul punto la direttiva ha lasciato un indubbio margine di discrezionalità a ciascun legislatore interno e che l'indennizzo – dovendo anche confrontarsi con la sostenibilità finanziaria di ciascuno Stato – non deve necessariamente garantire un ristoro completo del danno materiale e morale subito dalla vittima. È parimenti necessario, però, che il legislatore non abusi di tale discrezionalità finendo con il predisporre degli indennizzi puramente simbolici o manifestamente insufficienti.

I requisiti di equità ed adeguatezza di cui all'art. 12, paragrafo 2, possono dirsi soddisfatti solo laddove l'indennizzo sia idoneo a compensare in misura appropriata le sofferenze morali e materiali patite dalla vittima. Ne deriva che anche un sistema forfettario può ben risultare compatibile con tali parametri, purché strutturato in modo da garantire l'analisi delle circostanze del caso concreto in modo da evitare che una determinata somma, pur adeguata per un certo delitto, sia invece manifestamente irrisoria e simbolica per altro delitto, della stessa o di diversa specie.

Tali considerazioni, unitamente al fatto che la violenza sessuale è uno tra i reati intenzionali e violenti che può provocare le conseguenze più gravi, hanno portato la Corte a ritenere che – prima facie - la somma di euro 4.800,00 euro prevista dallo stato italiano non potesse ritenersi né equa né adeguata nel caso di specie.

Osservazioni

La sentenza della Corte di Giustizia è destinata ad avere una portata dirompente in molti ordinamenti nazionali, in primis nello Stato italiano, poiché laddove puntualmente applicata, non solo ha definitivamente (e, si consenta, finalmente) chiarito la correttezza e la veridicità di tutto quanto faticosamente sostenuto nell'ultimo decennio dalla vittima nella causa-pilota italiana relativamente all'applicabilità della direttiva anche a tutela delle vittime residenti, ma è destinata ad incidere significativamente anche sugli importi stanziati dallo Stato a titolo di indennizzo.

La pronuncia non lascia più spazio ad interpretazioni differenti: la direttiva 2004/80 ha sì tra i suoi scopi quello di creare un sistema di cooperazione tra Stati volto a garantire e facilitare l'accessibilità ai sistemi indennitari interni anche a vittime transfrontaliere che, trovatesi occasionalmente nel territorio di uno Stato membro, siano state vittime di reati intenzionali e violenti, ma tale cooperazione risulta possibile solo laddove ciascuno Stato – a monte – abbia adempiuto il preliminare obbligo di istituire un proprio sistema indennitario che tuteli, prima di tutto, le vittime residenti.

Alla stessa conclusione era pervenuto anche l'Avvocato Generale Michal Bobek (http://curia.europa.eu/juris/document/document_print.jsf?docid=226497&text=&dir=&doclang=IT&part=1&occ=first&mode=req&pageIndex=0&cid=12007326) seppur con un ragionamento più articolato che prendeva le mosse dalla legittimità di alcuni dubbi interpretativi dovuti all'iter legislativo che ha preceduto l'adozione della Direttiva. In tale frangente, secondo la ricostruzione offerta, sarebbero in effetti emersi obiettivi contrapposti (che rispecchiavano le due posizioni assunte dalla vittima e dalla Stato italiano) poi tradotti in un testo di legge che non sposava nettamente nessuna delle due tesi. L'Avvocato generale, quindi, preso atto dello smarrimento che il testo approvato poteva effettivamente creare, ha ritenuto che le intenzioni e le idee manifestate nel corso dell'iter legislativo ma non espresse nel testo definitivo non dovessero assumere alcun rilievo e che la legislazione debba essere interpretata dal punto di vista di un «normale destinatario» che verosimilmente non compie indagini sulla volontà soggettiva del legislatore, ma si attiene al tenore del testo e agli obiettivi espressi. Tale argomento, unitamente ai principi e valori fondamentali del diritto comunitario quali la dignità umana, il diritto alla libertà e alla sicurezza – che la Direttiva espressamente riconosce e persegue – non possono che far propendere – ha concluso l'Avvocato Generale – per la lettura offerta dalla vittima.

Dal canto suo, la Grande Sezione non ha avuto alcuna esitazione, come visto, ad avvallare la tesi per cui la Direttiva operi anche a favore delle vittime residenti e nel confermare, di conseguenza, la responsabilità dello Stato italiano per il tardivo – e comunque inesatto – adempimento.

Si osservi, peraltro, che tanto la Corte quanto l'avvocato generale sono giunti a conclusioni perfettamente coincidenti, seppur sulla base di argomenti parzialmente difformi, senza alcuna necessità di scomodare l'istituto della «discriminazione a rovescio», reputando che la questione sollevata dal Giudice del rinvio dovesse ricondursi, più semplicemente e come prospettato ab origine dalla difesa della vittima, ad un'indagine sul campo di applicazione della Direttiva e, in particolare, dell'art. 12.

Anche sotto il profilo della conformità del modello (tardivamente) adottato dall'Italia ai canoni dell'equità e dell'adeguatezza, la Grande Sezione è giunta a conclusioni che dovrebbero tradursi in una modifica sostanziale del sistema interno che – nonostante l'ultimo intervento ministeriale – è ancora ancora ben lungi dal garantire alle vittime un ristoro conforme ai criteri esplicitati dalla Corte di Giustizia. Sarà proprio questo il nuovo presumibile terreno di contesa posto che, come noto, a seguito della pronuncia della Corte, la causa originaria verrà riassunta dal Giudice del rinvio che avrà il compito di definitivamente statuire sull'inadempimento dello Stato e sul conseguente risarcimento.

In tale sede i Giudici dovranno naturalmente ispirarsi ai parametri offerti dalla Grande Sezione che – con affermazioni tutt'altro che scontate – non solo si è spinta a commentare l'irrisorietà della somma di euro 4.800,00 prevista dal previgente sistema indennitario per il reato di violenza sessuale, ma ha altresì statuito che nella determinazione del quantum sarà necessario considerare tanto la componente materiale quanto quella morale del danno patito.

È evidente, pertanto, che anche le nuove somme previste dal legislatore italiano con il D.M. del 22 novembre 2019 – entrato in vigore il 23 gennaio 2020 e che per la violenza sessuale ha incrementato l'indennizzo ad euro 25.000,00 – siano suscettibili di censura.

L'indubbio aumento, infatti, continua a non rispettare i dettami della pronuncia europea perché, in primis,non permette in alcun modo di considerare le circostanze del caso concreto e, in particolare, le ripercussioni biologico - psichiche – lavorative subite dalle vittime. Tutti parametri che, al contrario, dovrebbero avere preminente rilievo nella determinazione dell'indennizzo poiché la Corte di Giustizia, se è vero che ha affermato la potenziale compatibilità di un modello forfettario ai parametri dell'equità e dell'adeguatezza, è altrettanto vero che ha saldamente ancorato tale compatibilità al fatto che si tratti di un regime comunque in grado di guardare alle circostanze specifiche del delitto.

Sotto altro profilo, peraltro, la somma in questione continua ad essere di gran lunga inferiore a quella riconosciuta nei primi due gradi di giudizio ove i Giudici, si ricorda, avevano liquidato euro 90.000,00 prima, ed euro 50.000,00 poi, in linea con gli standard risarcitori / indennitari riconosciuti dai Tribunali nostrani in casi di analoghe violenze.

Con espresso riferimento alla violenza sessuale, poi, si consideri altresì che la Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne dell'11 maggio 2011 – ratificata con legge del 27 giugno 2013, n. 77 ed entrata in vigore il 1 agosto 2014 – pretende che alle vittime venga garantito un «adeguato risarcimento» (art. 31, comma 2), lasciando quindi intendere che debba trattarsi di un ristoro integrale del danno.

Le considerazioni di cui sopra, limitate nel presente contributo all'ipotesi di violenza sessuale in quanto delitto dal quale è originato il caso sottoposto alla Corte di Giustizia, hanno in realtà una portata generalizzata e risultano estensibili a tutti gli indennizzi presi in considerazione dal d.m. 2019 (a titolo esemplificativo il caso di omicidio o di lesioni personali gravissime). Quest'ultimo, infatti, ha determinato nuovamente contributi «fissi», spesso cumulativi, in nessun modo personalizzabili e, in ogni caso, nettamente inferiori a quelli stanziati, ad esempio, per le vittime di terrorismo o usura. Così, da un lato continueranno ad essere ingiustificatamente disattesi i dettami dalla Corte e, dall'altro, si rischierà il proliferare di ipotesi di “responsabilità Francovich” che i cittadini potrebbero far valere nei confronti della Presidenza del Consiglio.

Ad oggi la strada per la piena realizzazione degli obiettivi imposti dalla Direttiva 2004/80 appare ancora lunga, anche se la sentenza in commento ha il sicuro merito di aver definitivamente tutelato anche le vittime interne e di aver offerto ai Tribunali [ed al legislatore] criteri orientativi chiari che, ove concretamente e correttamente applicati, imporrebbero una rivisitazione radicale del sistema attuale e/o comunque la previsione di indennizzi più adeguati – ed adattabili – alle tipologie di crimini considerati dalla Direttiva. La speranza non può che essere quella di un definitivo allineamento dell'Italia ai diritti riconosciuti a livello europeo.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.