Risarcibile il danno da perdita della capacità lavorativa specifica anche al praticante avvocato

Antonio Scalera
03 Settembre 2020

Come si risarcisce il danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica per un giovane praticante avvocato, percettore di esigui redditi?
Massima

Quale parametro di riferimento per la liquidazione equitativa del danno patrimoniale futuro da incapacità lavorativa, anche se patito in conseguenza di errata prestazione sanitaria da soggetto già percettore di reddito da lavoro, può applicarsi, anche in difetto di prova rigorosa del reddito effettivamente perduto dalla vittima, il criterio del triplo della pensione sociale, pure nel caso in cui sia accertato che la vittima, come nell'ipotesi di un libero professionista, prima o immediatamente all'inizio della sua attività, al momento del sinistro, percepiva un reddito così sporadico o modesto da renderla in sostanza equiparabile ad un disoccupato.

Il caso

La domanda risarcitoria proposta da L. A. davanti al Tribunale dell'Aquila nei confronti dell'oculista L. S. e dell'Azienda Sanitaria n. 1 Avezzano Sulmona L'Aquila, nella quale fu chiamata in causa l'assicuratrice della responsabilità civile del primo INA Assitalia spa, fu accolta sulla riscontrata negligenza professionale del sanitario nell'esecuzione di un intervento chirurgico mediante laser eseguito in tempi diversi - e fino al febbraio 2004 - ad entrambi gli occhi, da cui erano residuati postumi invalidanti all'occhio sinistro.

Il tribunale riconobbe una ITT di 30 giorni, una ITP di 45 giorni al 50%, postumi permanenti del 20% ed una riduzione della capacità lavorativa specifica di pari misura, quantificando il risarcimento, oggetto di condanna solidale dei convenuti, in € 70.000 per invalidità permanente, € 4.780 per invalidità temporanea, € 35.000 per danno non patrimoniale, € 20.000 per perdita di capacità lavorativa ed € 220 per spese mediche, oltre interessi al tasso legale dal 05/10/2005 e spese di lite in complessivi € 7.357.

La A. interpose appello, con cui contestò la quantificazione del danno da perdita di capacità lavorativa specifica in relazione sia alla prospettiva di svolgimento dell'attività di avvocato che al mancato ricorso al criterio del triplo della pensione sociale, ma pure l'adeguatezza della personalizzazione del danno non patrimoniale e della liquidazione delle spese di lite.

Costituitesi tutte le controparti per contrastarlo, il gravame è stato rigettato dalla Corte di appello dell'Aquila, con sentenza n. 1184 del 15/06/2018, per la cui cassazione ricorre la A.

Dei nove motivi di ricorso i primi sette riguardano la doglianza proposta al giudice di appello sulla quantificazione del danno da perdita di capacità lavorativa, avvenuta in primo grado per soli € 20.000, riproponendo l'odierna ricorrente la tesi della spettanza di una somma forfetaria pari almeno al 20% (quota di diminuzione della capacità) di un reddito presuntivo da avvocato indicato in € 50.000 annui per i quaranta anni presumibili di potenziale esercizio della relativa professione, o in subordine di una somma, per detti quaranta anni, almeno pari al triplo della pensione sociale (€ 4.596,02*3 = 13.788,06 * 0,20 = 2.145,70 annui, per quaranta pari ad almeno € 85.826,90).

La corte d'appello, nel respingere il motivo di gravame relativo all'insufficiente quantificazione del danno da perdita di capacità lavorativa, ha escluso la sussistenza di prova di un reddito da esercizio continuo - anche in misura ridotta - dell'attività professionale da parte dell'attrice, all'epoca dei fatti trentenne praticante avvocato (per essere indicata l'abilitazione all'esercizio nel novembre 2004 e quindi in tempo successivo agli eventi lesivi), ma pure l'applicabilità del criterio del triplo della pensione sociale, per non avere l'appellante né sostenuto di essere disoccupata, né addotto di svolgere attività professionale anche in modo saltuario, né provato comunque il proprio reddito.

La questione

Come si risarcisce il danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica per un giovane praticante avvocato, percettore di esigui redditi?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nell'accogliere i motivi di ricorso, ha cassato la sentenza impugnata nella parte in cui non aveva considerato, nella liquidazione del danno, il fatto che, in epoca immediatamente successiva alla verificazione dell'evento lesivo, la ricorrente aveva conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato.

A tale conclusione la Corte è pervenuta sulla base dei seguenti argomenti:

a) l'accertamento di postumi, incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica, non comporta l'automatico obbligo del danneggiante di risarcire il pregiudizio patrimoniale, conseguenza della riduzione della capacità di guadagno - derivante dalla ridotta capacità lavorativa specifica - e, quindi, di produzione di reddito (Cass. civ., 20 gennaio 2016, n. 1120);

b) detto danno patrimoniale da invalidità deve, perciò, essere accertato in concreto, attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse o - trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa -presumibilmente avrebbe svolto, un'attività produttiva di reddito;

c) la liquidazione del danno non può essere fatta in modo automatico in base ai criteri dettati dall'art. 4 della legge 26 febbraio 1977, n. 39, norma dettata in via immediata per il settore della responsabilità civile autoveicoli e soprattutto che non comporta alcun automatismo di calcolo, ma si limita ad indicare alcuni criteri di quantificazione del danno sul presupposto della prova relativa, che comunque incombe al danneggiato e che può essere data anche in via presuntiva, purché sia certa la riduzione di capacità di lavoro specifica.

Sulla scorta di questi principi la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata che, nella fattispecie, non aveva tenuto in considerazione la situazione della ricorrente, praticante-avvocato, al momento della verificazione dell'evento lesivo, che aveva conseguito l'abilitazione a distanza di pochi mesi.

Orbene- osserva la Corte – la capacità di percezione di un reddito sporadico da parte chi si avvia all'esercizio della professione non preclude la possibilità di applicare il criterio del triplo della pensione sociale quale parametro di riferimento per la liquidazione equitativa del danno patrimoniale futuro da incapacità lavorativa.

Osservazioni

La sentenza in commento si segnala perché riconosce la risarcibilità del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, mediante il ricorso al criterio equitativo del triplo della pensione sociale, a favore di chi – come nella fattispecie un praticante avvocato – al momento della verificazione dell'evento lesivo abbia soltanto un reddito sporadico o talmente esiguo da essere equiparabile a quello di un disoccupato.

Il principio affermato dalla Suprema Corte si pone in linea di continuità con l'orientamento giurisprudenziale in base al quale il ricorso al triplo della pensione sociale può essere consentito quando il giudice di merito accerti, con valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che la vittima al momento dell'infortunio godeva sì un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato (v. in tal senso, da ultimo, Cass. 12.10,2018, n. 25370).

E' stato ulteriormente precisato in giurisprudenza che l'art. 137 cod. ass. non contiene alcuna regola secondo la quale se il reddito della vittima è modesto, il danno si liquida col triplo della pensione sociale. Anche un reddito modesto, infatti, può essere stabile e permanente, e costituire effettivamente il massimo frutto possibile delle potenzialità produttive del danneggiato. Il corretto principio in iure è un altro: il reddito modesto o saltuario può costituire un fatto noto, dal quale risalire al fatto ignorato che il danneggiato, se fosse rimasto sano, non avrebbe continuato a percepire quel reddito per tutta la vita, ma avrebbe prima o poi beneficiato di un reddito maggiore" (così Cass. civ., 4 maggio 2016, n. 8896; v. anche Cass. civ., 4 febbraio 2020, n. 2463).

Indicazioni pienamente convergenti si traggono del resto anche dalla sentenza della Corte costituzionale 24 ottobre 1995, n. 445, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. 1976, n. 857, art. 4 commi 1 e 3, per contrasto con l'art. 3 Cost., sul rilievo che detta norma (poi trasfusa nell'art. 137 cod. ass.), interpretata alla lettera, consentirebbe ad un lavoratore danneggiato che abbia un reddito inferiore al triplo della pensione sociale, di omettere di depositare la dichiarazione dei redditi, ed invocare così il più alto risarcimento che gli sarebbe spettato in base al triplo della pensione sociale.

In quella occasione la Corte, nell'evidenziare l'irrazionalità di quell'esito interpretativo, ha osservato in particolare, che la norma di cui al D.L. n. 857 del 1976, art. 4, comma 3, «è applicabile anche ai lavoratori dipendenti o autonomi non solo nell'ipotesi... di reddito attuale negativo in relazione a particolari contingenze, ma in tutte le ipotesi di reddito, anche positivo, con caratteristiche (esiguità, discontinuità o precarietà del lavoro, livello di mansioni inferiore alle capacità professionali del lavoratore, ecc.) tali da escludere che esso possa costituire la componente di base del calcolo probabilistico delle possibilità di reddito futuro, e sempre che il materiale probatorio non fornisca altri elementi di calcolo più favorevole di quello operato sulla base convenzionale del triplo annuo della pensione sociale».

La regula iuris dettata dall'art. 137, comma 3 cod. ass. «non è... “il danno alla capacità di lavoro si liquida col triplo della pensione sociale se la vittima è un lavoratore dal reddito esiguo"; ma è la seguente: "il danno alla capacità di lavoro si liquida col triplo della pensione sociale quando la vittima al momento del sinistro ha un reddito che non esprime la reale capacità lavorativa della vittima, e sia quindi impossibile stabilire o presumere il reddito reale della vittima» (in termini, Cass.civ., n. 8896/2016, cit.).

L'importante, altresì, ricordare che l'art. 137 cod. ass., secondo la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, è norma eccezionale che si riferisce solo all'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore (Cass. civ., 21 febbraio 2001, n. 2512; Cass. civ., 11 febbraio 1999, n. 1166; Cass. civ., 11 giugno 1990, n. 5672).

Tuttavia, in base all'art. 1226 c.c., che impone al giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa, il criterio del triplo della pensione (recte: assegno) sociale ben può costituire un valido parametro di riferimento anche in settori diversi da quello della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli.

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