Mancata distribuzione di utili, compensi sproporzionati degli amministratori e annullamento di delibera per abuso di maggioranza
15 Settembre 2020
Massima
Le deliberazioni assembleari di approvazione del bilancio che accantonino ingenti utili e assegnino agli amministratori compensi sproporzionatamente elevati sono annullabili per abuso di maggioranza, laddove la società sia già ben patrimonializzata e non mostri esigenze di investimenti, dovendo essere debitamente tenuto in conto il diritto del socio a una congrua remunerazione del suo investimento. Il caso
Il caso può essere descritto come segue. Viene convocata l'assemblea di una società per l'approvazione del bilancio: si tratta di una società che va bene e produce significativi utili. Tuttavia l'assemblea delibera di non distribuire utili ai soci, utili che vengono invece trattenuti in società e accantonati a riserva straordinaria. L'assemblea delibera poi l'assegnazione dei compensi agli amministratori, e in particolare a uno degli amministratori viene attribuito un compenso particolarmente elevato. Il socio di minoranza impugna la deliberazione assembleare asserendo che sarebbe viziata da abuso di maggioranza. La vera ragione delle delibere assunte, secondo la tesi del socio impugnante, è quella di danneggiare il medesimo socio di minoranza, escludendolo dalla partecipazione agli utili, mentre i soci di maggioranza - pur non percependo utili (proprio in quanto non distribuiti) - ottengono lo stesso un beneficio economico, incassando ingenti somme sotto forma di remunerazione degli amministratori. Il Tribunale di Vicenza dà ragione al socio impugnante ritenendo che la deliberazione sia affetta da un vizio, consistente nell'abuso di maggioranza, e annulla la delibera. Quella affrontato e deciso dal Tribunale di Vicenza in commento è un caso tipico nel mondo imprenditoriale italiano, in cui le società presentano una ristretta compagine sociale, non raramente in situazioni di conflittualità. Più precisamente, nella fattispecie oggetto della sentenza in commento, il socio di minoranza detiene il 47,50% del capitale sociale, mentre il restante 52,50% del capitale è detenuto da tre distinte società, le quali peraltro sono tutte riconducibili allo stesso gruppo familiare (marito, moglie e figlio). L'assemblea del 25 giugno 2009 relativa all'approvazione del bilancio del 2008 approva il bilancio da cui risultano utili pari a € 2.802.787. Tutti gli utili vengono accantonati a riserva straordinaria, che – sommandosi agli utili degli anni precedenti - raggiunge la ragguardevole somma di € 12.843.760. Anche negli esercizi precedenti, ossia nel 2006 e nel 2007, si era verificata una situazione analoga: accantonamento di tutti gli utili senza alcuna distribuzione ai soci. Contestualmente viene deliberato di assegnare come compenso agli amministratori l'ingente cifra di € 2.101.500, di cui € 262.500 quale componente fissa devoluta all'interno del consiglio di amministrazione e € 1.839.000 quale compenso aggiuntivo a uno solo dei componenti del consiglio di amministrazione. Le questioni giuridiche
La principale questione giuridica trattata dalla sentenza del Tribunale di Vicenza in commento è quella, piuttosto ricorrente nel contenzioso societario, dell'abuso di maggioranza. La legge prevede che “le deliberazioni dell'assemblea, prese in conformità della legge e dell'atto costitutivo, vincolano tutti i soci” (art. 2377 comma 1 c.c.). Tuttavia, “le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate dai soci assenti, dissenzienti od astenuti” (art. 2377 comma 2 c.c.). Al fine di ottenere l'annullamento di una delibera assembleare, il socio impugnante deve dimostrare la violazione di legge. La legge violata può consistere in analitiche e specifiche norme, come quelle – ad esempio – che prevedono delle maggioranze per l'assunzione di deliberazioni o quelle che prevedono che il bilancio debba essere redatto secondo rigorosi principi contabili. Oppure la legge violata può anche consistere in principi generali del diritto civile. In particolare, essendo la società un contratto, esso va eseguito secondo buona fede (art. 1375 c.c.). Le deliberazioni dell'assemblea sono atti esecutivi del contratto di società. Il socio di maggioranza che persegue interessi propri distinti da quelli della società e, soprattutto, mira a danneggiare il socio di minoranza esercita il proprio diritto di voto in modo contrario al canone di buona fede. Anche l'art. 1375 c.c. è norma di legge e dunque la sua violazione porta all'annullamento della delibera.
Osservazioni
L'abuso di maggioranza è una situazione non codificata e l'istituto è stato sviluppato dalla giurisprudenza. La nozione di “abuso di maggioranza” (detto, talvolta, anche “eccesso di potere”) è bene illustrata da alcuni precedenti della Corte di cassazione. Secondo Cass., 12 dicembre 2005, n. 27387, in applicazione del principio di buona fede in senso oggettivo, al quale deve essere improntata l'esecuzione del contratto di società, la cosiddetta regola di maggioranza consente al socio di esercitare liberamente e legittimamente il diritto di voto per il perseguimento di un proprio interesse fino al limite dell'altrui potenziale danno. L'abuso della regola di maggioranza, continua la Cassazione, è quindi causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società, per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale, oppure sia il risultato di un'intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza. Secondo Cass., 11 giugno 2003, n. 9353, il vizio di una deliberazione assembleare costituito dal cosiddetto eccesso di potere si verifica tutte le volte in cui la delibera stessa sia stata adottata ad esclusivo beneficio dei soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, essendo in tal caso applicabile l'art 1375 c.c., in forza del quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, atteso che le determinazioni dei soci durante lo svolgimento del rapporto associativo debono essere considerate, a tutti gli effetti, come veri e propri atti di esecuzione, dacché preordinati alla migliore attuazione del contratto sociale. L'istituto dell'abuso di maggioranza è stato sviluppato dalla giurisprudenza per affrontare quei casi in cui, formalmente, la delibera non presenta vizi: la convocazione è stata regolare, le maggioranze sono state raggiunte, la delibera è regolarmente verbalizzata. Tuttavia, è il contenuto della delibera che si pone in contrasto con la legge, se l'obiettivo perseguito è solo quello di avvantaggiare il socio di maggioranza a danno del socio di minoranza. Terreno fertile per gli abusi di maggioranza sono in particolare: 1) le operazioni di aumento di capitale; 2) le delibere di determinazione del compenso degli amministratori (come avvenuto nel caso deciso dal Tribunale di Vicenza in commento); 3) le delibere in tema di distribuzione degli utili (come avvenuto nel caso in commento). Una prima situazione nella quale capita, con una certa frequenza nella prassi, che si verifichi un abuso di maggioranza sono le operazioni di aumento di capitale (al riguardo cfr. F. Ciusa, Le delibere di aumento di capitale abusive, in Riv. giur. sarda, 2010, I, 344 ss.; S. Luoni, M. Cavanna, Spunti in tema di abuso di maggioranza, recesso e aumento di capitale nelle s.r.l., in Giur. it., 2019, 1136 ss.). Se la società non ha bisogno di nuove risorse e se il socio di minoranza non ha le disponibilità finanziarie per sottoscrivere l'aumento di capitale, post-aumento la percentuale di partecipazione al capitale del socio di minoranza si riduce. Il socio di minoranza, difatti, non sottoscrive le nuove quote/azioni, che vengono invece sottoscritte dal socio di maggioranza, cosicché la sua percentuale di capitale si riduce. A queste condizioni la deliberazione assembleare potrebbe essere ritenuta viziata da abuso di maggioranza, perché il vero scopo perseguito dal socio di maggioranza non è quello di far giungere alla società nuove risorse, bensì quello di ridurre la partecipazione del socio di minoranza. Una seconda situazione nella quale si verifica con una certa frequenza l'abuso di maggioranza si ha nelle deliberazioni sui compensi degli amministratori. Si tratta proprio del caso affrontato dal Tribunale di Vicenza in commento. Avendo il socio di maggioranza le necessarie percentuali in assemblea, egli ha il potere non solo di nominare gli amministratori, ma anche di determinare il loro compenso. Se viene stabilito un compenso molto alto e sproporzionato rispetto all'attività effettiva dell'amministratore, i compensi pagati riducono l'utile della società. Un esempio può aiutare a comprendere. Si immagini una società con due soci, Tizio al 60% e Caio al 40%, società che fa utili per € 100.000 all'anno. Se il solo Tizio è amministratore e percepisce un compenso di € 10.000 all'anno, alla fine dell'anno la società farà utili per € 90.000 che verranno distribuiti in proporzione ai due soci. Se Tizio volesse guadagnare di più, basterebbe che – oltre a nominare sé stesso amministratore – votasse in assemblea per aumentare il suo compenso a € 100.000. Nell'esercizio successivo non vi sarebbero più utili, perché € 100.000 sarebbero già stati incassati da Tizio come compensi in qualità di amministratore. Caio non percepirebbe nulla a titolo di utili. Una terza situazione nella quale possono verificarsi abusi di maggioranza sono le deliberazioni di approvazione del bilancio e di distribuzione degli utili. Si ha abuso quando il socio di maggioranza vota in assemblea in modo tale da evitare di distribuire gli utili, allo scopo di danneggiare il socio di minoranza. Si torni all'esempio appena fatto di una società con due soci: Tizio al 60% e Caio al 40%, società che fa utili mediamente per € 100.000 all'anno. Tizio dispone di tutte le maggioranze necessarie e potrebbe, in sede di approvazione del bilancio, decidere che l'utile non venga distribuito. Se l'utile venisse distribuito, il socio di minoranza percepirebbe una congrua remunerazione per il suo investimento (nell'esempio fatto € 40.000). Se invece l'assemblea, dominata dal socio di maggioranza, delibera di non distribuire utili, il socio di minoranza non percepisce alcuna remunerazione. Nei casi in cui la società non ha bisogno di trattenere gli utili per altri scopi (investimenti, ristrutturazioni, operazioni societarie e simili) e in particolar modo quando la mancata distribuzione degli utili si ripete per più esercizi, potrebbe configurarsi un'ipotesi di abuso di maggioranza. Tornando a esaminare il caso deciso dal Tribunale di Vicenza, il giudice afferma che si è verificato un abuso di maggioranza e annulla la delibera impugnata dal socio di minoranza. L'autorità giudiziaria vicentina sviluppa un articolato ragionamento che si può così riassumere. La delibera che approva il bilancio può decidere se distribuire tutti gli utili oppure se distribuirli solo in parte oppure se non distribuirli affatto. In linea di principio ogni decisione al riguardo spetta all'assemblea, la quale è sovrana. Tuttavia, la libertà dell'assemblea va coordinata con il diritto dei soci di percepire una giusta remunerazione per il proprio investimento. Ne consegue che, se la società fa utili ingenti, e non vi sono plausibili ragioni per tenere detti utili dentro la società, essi vanno – almeno in parte – distribuiti, al fine di assicurare ai soci la dovuta remunerazione. Del resto si desume dalla stessa definizione di contratto di società (art. 2247 c.c.), che lo scopo ultimo della organizzazione societaria è quello di dividere gli utili. Nella prassi i giudici che devono decidere se annullare la deliberazione per abuso di maggioranza devono comprendere se esistessero dei motivi reali per lasciare gli utili in società, utili che vengono poi accantonati in una riserva straordinaria. In caso affermativo, la delibera non può essere annullata; in caso negativo, la delibera può essere annullata. Nel caso affrontato del Tribunale di Vicenza, la deliberazione impugnata aveva motivato la mancata distribuzione degli utili con l'argomento che “la crisi economica generale induce a pensare all'allungamento dei pagamenti da parte dei clienti”. Il giudice vicentino ritiene questa motivazione del tutto insufficiente a giustificare la mancata distribuzione di utili, poiché la motivazione è priva di qualsiasi specificazione in ordine all'entità della crisi economica, ai suoi riflessi sul settore di attività della società, alla concreta previsione dei tempi di pagamento. La deliberazione impugnata dal socio di minoranza (e poi annullata dal Tribunale di Vicenza) aveva inoltre cercato di giustificare la mancata distribuzione degli utili e il loro accantonamento con le accresciute esigenze di finanziamento della società. In particolare viene addotto che è in corso di realizzazione un centro di produzione per un valore di € 17.700.000. Tuttavia anche questo argomento viene considerato dal Tribunale di Vicenza insufficiente per giustificare la mancata distribuzione di qualsiasi utile. Viene difatti dimostrato che la costruzione del centro di produzione si trovava in fase di avanzata realizzazione, con la conseguenza che non vi erano futuri ingenti oneri in capo alla società per la sua realizzazione. Complessivamente dunque il Tribunale di Vicenza non trova reali giustificazioni alla mancata distribuzione dell'utile deliberata dall'assemblea. Con riferimento al compenso dell'amministratore, il Tribunale di Vicenza ritiene che si tratti di un compenso sproporzionato. L'autorità giudiziaria vicentina nota che il compenso attribuito all'amministratore è di poco inferiore all'utile realizzato dalla società, dando così l'impressione di essere un artificio per “dirottare” gli utili della società (che altrimenti si dovrebbero distribuire fra tutti i soci in misura proporzionale alle percentuali di detenzione del capitale) a uno solo dei soci di maggioranza, che riveste la qualità di amministratore. L'ultimo passaggio della decisione del Tribunale di Vicenza che merita di essere menzionato è quello relativo alle conseguenze dell'annullamento della deliberazione. Se la delibera che non distribuisce utili viene annullata, significa che il giudice debba ordinare la distribuzione di utili ai soci? La risposta che dà il Tribunale di Vicenza è negativa. L'autorità giudiziaria vicentina stabilisce che il giudice può sì annullare la deliberazione caratterizzata da abuso di maggioranza, ma non può sostituirsi all'assemblea nel decidere la misura in cui gli utili debbano essere distribuiti.
Conclusioni
Il caso deciso dal Tribunale di Vicenza è una fattispecie tipica di abuso di maggioranza. I soci che dominano l'assemblea decidono non solo di non distribuire gli utili, pur essendo la società già ben patrimonializzata, ma anche di assegnare all'amministratore un compenso sproporzionato. In sostanza i proventi dell'attività economica vengono ripartiti non fra tutti i soci, ma a favore di un singolo soggetto. Dopo un'accurata analisi delle ragioni poste a fondamento della decisione assembleare, il giudice vicentino ritiene che non vi siano motivazioni plausibili che giustifichino la mancata distribuzione di utili e l'assegnazione di un compenso così elevato all'amministratore. Viene dunque annullata la delibera assembleare per abuso di maggioranza. Il caso dimostra come l'assemblea dei soci sia sì sovrana, ma non al punto da poter escludere in toto i diritti che spettano ai soci di minoranza. Se l'assemblea vuole escludere totalmente i dividendi o assegnare agli amministratori compensi elevati, deve giustificare detta condotta, in quanto si tratta di comportamenti che ledono le aspettative reddituali dei soci di minoranza. La mancata distribuzione di utili deve essere giustificata da esigenze di investimento della società, mentre l'attribuzione di compensi particolarmente elevati agli amministratori deve essere giustificata dall'ampiezza e dalla complessità dell'attività svolta dai gestori. Altrimenti incombe il rischio di un annullamento della delibera per abuso di maggioranza.
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