Lesione dell'autodeterminazione terapeutica: la tutela risarcitoria è ammessa solo in caso di prova del rifiuto del trattamento

05 Ottobre 2020

Anche in caso di mera violazione del diritto all'autodeterminazione, il presupposto del risarcimento è dato dalla prova che il paziente, ove informato, non si sarebbe sottoposto al trattamento.
Massima

Anche in caso di mera violazione del diritto all'autodeterminazione, il presupposto del risarcimento è dato dalla prova che il paziente, ove informato, non si sarebbe sottoposto al trattamento.

Il caso

Una donna – colpita da ictus cerebro-vascolare – si sottopone a un esame angiografico carotideo-digitale dell'arco aortico con liquido di contrasto, il quale provoca un'ischemia miocardica acuta fonte di una grave emiparesi sinistra. Non essendo stata preventivamente informata del rischio di una simile complicanza, la paziente agisce contro il medico per omissione degli obblighi informativi, onde ottenere tutela sul piano risarcitorio: istanza che verrà respinta - in sede di merito - tenuto conto della mancata dimostrazione da parte della donna che, a fronte di una corretta informazione, il trattamento sarebbe stato rifiutato.

La questione

È onere del paziente dimostrare che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato l'intervento solo nel caso di domanda per il risarcimento del danno alla salute legato alle complicanze oppure anche per gli altri pregiudizi derivanti dalla lesione dell'autodeterminazione?

Le soluzioni giuridiche

La violazione, da parte del medico, degli obblighi informativi volti a ottenere il consenso al trattamento provoca una lesione all'autodeterminazione del paziente, dalla quale – come ripetutamente segnalato dalla giurisprudenza - possono scaturire due tipi diversi di danni: a) il pregiudizio alla salute, legato alle complicanze patite; b) altri pregiudizi, di carattere patrimoniale o non patrimoniale, provocati dal deficit informativo.

Mentre per quanto riguarda i danni del primo tipo, la giurisprudenza è unanime nel ritenere necessaria la dimostrazione che – a fronte di una corretta informazione quanto ai rischi del trattamento – il paziente avrebbe rifiutato l'intervento, discussa appare la necessità di una simile prova al fine di ottenere il risarcimento per gli altri danni discendenti dalla violazione dell'autodeterminazione terapeutica. Se, fino a poco tempo fa, l'orientamento maggioritario appariva propenso a escludere che la tutela risarcitoria fosse condizionata dalla prova del rifiuto, segnali discordanti provengono dalle pronunce più recenti. Molto chiara, per quanto concerne tale specifico punto, risulta l'ordinanza in commento, ove la S.C. riconosce che “anche nel caso di mera violazione del diritto all'autodeterminazione il presupposto del diritto risarcitorio è la circostanza che il paziente, ove informato, non si sarebbe sottoposto al trattamento”.

A sostegno di tale conclusione la S.C. pone un proprio precedente – vale a dire Cass. civ., n. 28985/2019 - assai significativo in quanto incluso nella decade di pronunce, depositate nell'evocativa data di San Martino, con le quali la Terza Sezione ha inteso tratteggiare una sorta di statuto della responsabilità medica. Con riguardo alla lesione dell'autodeterminazione terapeutica, la sentenza di San Martino si allinea all'unanime indirizzo propenso a riconoscere l'autonoma rilevanza dei pregiudizi - diversi da quelli alla salute – dalla stessa discendenti: sottolineando che l'accertamento della violazione del diritto all'autodeterminazione non è sufficiente a garantire la tutela risarcitoria, essendo necessaria la prova dell'esistenza di conseguenze pregiudizievoli in capo alla vittima. A ciò si aggiunge la considerazione che per tali pregiudizi, non sarebbe indispensabile l'ulteriore prova che, a fronte di una corretta informazione, il paziente non si sarebbe sottoposto al trattamento; ma tale indicazione (richiamata dalla paziente a fondamento del suo ricorso) viene smentita nella parte finale di quella pronuncia: ove - passando a esemplificare la casistica - i giudici di legittimità si mostrano propensi a condizionare la risarcibilità di ogni sorta di pregiudizio derivante dalla lesione all'autodeterminazione terapeutica alla dimostrazione del rifiuto del trattamento da parte del paziente, ove correttamente informato.

L'ordinanza in commento richiama proprio questa parte della sentenza di San Martino per affermare l'orientamento restrittivo, sottolineando che il risarcimento a fronte del trattamento “effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, dovrà conseguire alla allegazione del relativo pregiudizio ad opera del paziente, riverberando il rifiuto del consenso alla pratica terapeutica sul piano della causalità giuridica ex art. 1223 c.c. e cioè della relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione - perfezionatosi con la condotta omissiva violativa dell'obbligo informativo preventivo – e conseguenze pregiudizievoli che da quello derivano secondo un nesso di regolarità causale”. In definitiva, la S.C. sostiene che la prova del nesso causale tra inadempimento e danno corrisponde alla dimostrazione del rifiuto al trattamento che sarebbe stato opposto dal paziente: prova che potrà essere fornita con ogni mezzo, compreso il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile “un danno risarcibile con riferimento alla sola omessa informazione, attesa l'impredicabilità di danni ‘in re ipsa' nell'attuale sistema della responsabilità civile”.

Osservazioni

La questione che viene affrontata dall'ordinanza in commento riguarda specificamente i pregiudizi - diversi da quelli alla salute - che possano derivare dalla lesione all'autodeterminazione terapeutica. Ora, con riguardo a tali danni, non sembra corretto contrapporre (come lascia intendere l'ordinanza in esame) – da un lato - l'orientamento che richiede, ai fini risarcitori, la prova del rifiuto del trattamento e – dall'altro lato – l'indirizzo il quale ipotizza la ricorrenza di un danno in re ipsa. Vengono, infatti, in gioco due questioni distinte.

La prima riguarda la necessità di provare l'esistenza di un pregiudizio. È fuori di dubbio che, per poter attivare la tutela risarcitoria, il paziente deve dimostrare di aver patito una qualche conseguenza di carattere negativo, non essendo sufficiente a tal fine la dimostrazione dell'avvenuta violazione dell'obbligo informativo. Si tratta di una conclusione che si pone nel solco di quell'indicazione generale secondo cui, nel sistema di responsabilità, occorre sempre distinguere nettamente tra lesione e danno dalla stessa derivante. Per quanto concerne quest'ultimo, la giurisprudenza non è fino ad oggi addivenuta all'identificazione di una voce di pregiudizio di per sé connaturata alla lesione dell'autodeterminazione terapeutica, per cui spetta al paziente fornire la dimostrazione del pregiudizio di volta in volta patito nel caso concreto.

Altro e distinto profilo è quello riguardante la prova che, in caso di corretta informazione, il paziente non si sarebbe sottoposto all'intervento. È ben vero che tale dimostrazione è necessaria quando la richiesta riguardi il danno alla salute legato alle complicanze; ma tale conclusione non può automaticamente estendersi ai pregiudizi di altro genere. Quand'anche per alcuni di essi essa appaia indispensabile (come accade nel caso, tante volte evocato, della trasfusione di sangue lesiva del credo religioso del testimone di Geova), non è possibile generalizzare. Considerato che l'esercizio dell'autodeterminazione terapeutica appare funzionale alla tutela di valori che non si esauriscono nella salute, la protezione degli stessi in capo al paziente non appare garantita esclusivamente da una scelta orientata al rifiuto dell'intervento, bensì – a seconda del caso – può transitare anche attraverso decisioni di altro tipo. Ciò accade, ad esempio, nelle ipotesi in cui il pregiudizio patito dal paziente avrebbe potuto essere evitato attraverso la scelta di posticipare il trattamento o di adottare opportune precauzioni prima di sottoporsi allo stesso, e via dicendo. Le decisioni alternative di cui dar prova possono, dunque, essere molteplici, e variano a seconda dello specifico pregiudizio lamentato dal paziente. Nessuna prova, sul piano di scelte differenti, sarà peraltro necessaria quando il danno di cui si chiede ristoro venga a corrispondere alle sofferenze dovute all'impreparazione a fronte di conseguenze negative dell'intervento delle quali il paziente non sia stato preventivamente edotto; ciò in quanto una completa informazione è, di per sé, sufficiente a impedire il concretizzarsi di un pregiudizio del genere.

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