Estinzione della società e responsabilità del liquidatore
22 Ottobre 2020
Massima
La responsabilità verso i creditori sociali, prevista dall'art. 2495 c.c. ha natura aquiliana, gravando sul creditore rimasto insoddisfatto di dedurre ed allegare che la fase di pagamento dei debiti sociali non si è svolta nel rispetto del principio della "par condicio creditorum". Il medesimo creditore, qualora faccia valere la responsabilità "illimitata" del liquidatore, affermando di essere stato pretermesso nella detta fase a vantaggio di altri creditori, deve dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito, provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell'apertura della fase di liquidazione, e il conseguente danno determinato dall'inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni, astrattamente idoneo a provocarne la lesione, con riferimento alla natura del credito e al suo grado di priorità rispetto ad altri andati soddisfatti.
Il caso
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha chiarito alcuni rilevanti aspetti in tema di estinzione societaria e responsabilità successoria dei soci. Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva accolto l'impugnazione proposta dal liquidatore ed ex amministratore di una società, cancellata dal registro delle imprese ed estinta ai sensi dell'art. 2595 c.c. dall'Agenzia delle entrate, ritenendo illegittimo l'avviso di accertamento per la ripresa a tassazione di tributi, fra i quali l'IVA, relativi all'anno 2009, a carico della stessa società, per frodi carosello perpetrate mediante fatturazione di operazioni soggettivamente inesistenti. Secondo il giudice di appello la normativa applicabile nel testo vigente alla data di cancellazione della società dal registro delle imprese (28.11.2013) riconduceva la responsabilità dei soci, liquidatori ed amministratori per i tributi iscritti a ruolo prima della cancellazione dal registro delle imprese unicamente per le imposte sui redditi, ma non riguardava l'IVA. Tale interpretazione, del resto, secondo la Commissione Tributaria Regionale era stata condivisa anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale aveva riconosciuto la responsabilità dei liquidatori e amministratori e soci della società in liquidazione per l'ipotesi di mancato pagamento delle imposte di reddito delle persone giuridiche, individuando una responsabilità ex lege per obbligazione propria, avente natura civilistica e non tributaria, non essendo prevista, a carico di tali soggetti, una successione o coobbligazione nei debiti tributari del soggetto societario ormai estinto. Secondo i giudici di secondo grado, del resto, la modifica del d.P.R. n. 46 del 1999, art. 19, introdotta dal Dlgs. n. 175/2014, che ha esteso il suo ambito operativo quanto alla responsabilità di soci, liquidatori e amministratori anche oltre l'imposta IRES, rendeva fondata l'eccezione sollevata dall'appellante, posto che il bilancio di liquidazione era stato approvato il 30.9.2013, la società era stata cancellata dal registro delle imprese il 28.11.2013, e la notifica dell'accertamento era avvenuta in data 8.9.2014. Tutti eventi avvenuti, quindi anteriormente, all'entrata in vigore dell'art. 28, comma 4d.lgs. n. 175/2014, del 13.12.2014, con conseguente irrilevanza dell'estensione della responsabilità per l'IVA, non avendo la legislazione sopravvenuta efficacia retroattiva. L'Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per cassazione, deducendo la violazione dell'art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, e dell'art. 2495 c.c., nonchè dell'art. 28 d.lgs. n. 175 del 2014. L'Amministrazione finanziaria sosteneva in particolare che l'accertamento emesso nei confronti del liquidatore non era stato emesso sulla base del novellato art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, in base all'art. 28, comma 4,d.lgs. n. 175 del 2014, bensì sulla base della contestazione di responsabilità del liquidatore della società a causa del mancato assolvimento del debito societario ai sensi dell'art. 2495 c.c.. Nel caso concreto, l'accertamento era stato notificato ai soci e all'amministratore liquidatore in seguito alla cancellazione della società, risultando la responsabilità del liquidatore connessa all'art. 2495 c.c. ed all'inosservanza dei doveri sullo stesso incombenti in base al citato art. 36. La CTR, per converso, aveva erroneamente ritenuto, quale unica norma cogente sulla quale era stato fondato l'accertamento, proprio tale ultima disposizione, nonostante però che l'accertamento avesse fatto espresso riferimento anche all'art. 2495 c.c.. Del resto, sottolineava ancora l'Agenzia, l'introduzione della modifica apportata dall'art. 28d.lgs. n. 175 del 2014, aveva comunque determinato unicamente l'inversione dell'onere della prova e una presunzione legale relativa alla colpa. Peraltro, evidenziava la ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale non aveva nemmeno considerato che l'intero art. 36, come novellato dal citato art. 28, comma 4, presentava in realtà natura procedurale, non implicando una nuova disciplina della responsabilità dei liquidatori, ma ribadendo quella già affermata dalle disposizioni del codice civile. Le questioni e le soluzioni giuridiche
Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato, ma la sentenza impugnata, corretta nella parte dispositiva, andava integrata nella motivazione. I giudici di legittimità premettono che, secondo la costante giurisprudenza della Corte in tema di liquidazione di società di capitali, la responsabilità verso i creditori sociali, prevista dall'art. 2495 c.c. ha natura aquiliana, gravando sul creditore rimasto insoddisfatto di dedurre ed allegare che la fase di pagamento dei debiti sociali non si è svolta nel rispetto del principio della "par condicio creditorum". In particolare, quanto alla dimostrazione della lesione patita, il medesimo creditore, qualora faccia valere la responsabilità "illimitata" del liquidatore, affermando di essere stato pretermesso nella detta fase a vantaggio di altri creditori, deve dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito, provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell'apertura della fase di liquidazione, e il conseguente danno determinato dall'inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni, astrattamente idoneo a provocarne la lesione, con riferimento alla natura del credito e al suo grado di priorità rispetto ad altri andati soddisfatti. Rileva poi la Cassazione come grava, invece, sul liquidatore l'onere di dimostrare l'adempimento dell'obbligo di procedere a una corretta e fedele ricognizione dei debiti sociali e di averli pagati nel rispetto della "par condicio creditorum", secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti all'epoca esistenti (cfr., Cass.n. 521/2020, in questo portale, con nota di Cappelletti). E come, nel caso di liquidazione e successiva cancellazione della società dal registro delle imprese, non si realizza alcuna successione del liquidatore nei debiti tributari della società contribuente, con la conseguenza che, una volta che questa sia stata liquidata e cancellata, viene meno il suo potere di rappresentanza dell'ente estinto e dunque la sua legittimazione passiva in ordine all'atto impositivo, potendo egli rispondere soltanto per il titolo autonomo di responsabilità derivante dalla carica rivestita, di natura civilistica, ai sensi del d.P.R. n. 602 del 1973, art. 36 e art. 2495 c.c., di cui il debito tributario della società costituisce mero presupposto (cfr., Cass. n. 29969/2019 in questo portale, con nota di Lorenzi). In definitiva, conclude la Cassazione, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che la responsabilità del liquidatore rispetto agli obblighi sullo stesso identificati dal d.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, comma 1, secondo cui "I liquidatori dei soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all'obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari. Tale responsabilità è commisurata all'importo dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti...." trova la sua fonte in un'obbligazione civile propria ex lege, in relazione agli artt. 1176 e 1218 c.c., ed è esercitabile a condizione che i tributi a carico della società siano stati iscritti a ruolo e che sia acquisita certezza legale che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività di liquidazione medesima (cfr., Cass. 11 maggio 2012, n. 7327; Cass. 23 aprile 2008, n. 10508; Cass. 17 giugno 2002, n. 8685, Cass.n. 5652/2020). Tanto premesso, nella specie, la censura avanzata dalla ricorrente, secondo cui la pronuncia impugnata era erronea in relazione al fatto che la CTR aveva giustificato l'accoglimento dell'appello proposto dal liquidatore sulla base del fatto che l'accertamento si era fondato sull'art. 36 citato e non sull'art. 2495 c.c., non poteva quindi trovare accoglimento. Evidenziano infatti i giudici che tale censura non coglieva nel segno, poichè la sentenza impugnata aveva invece correttamente escluso la legittimità dell'avviso di accertamento emesso nei confronti del liquidatore della società ed allo stesso notificato, senza che fosse stato previamente accertata nei confronti della società la debenza del tributo richiesto per le asserite operazioni inesistenti. Nè l'Agenzia aveva in alcun modo posto a base della censura le ragioni che avrebbero dovuto giustificare l'accoglimento della stessa sotto il profilo della violazione dell'art. 2945 c.c., essendosi per converso limitata a prospettare che l'accertamento si era fondato anche su tale disposizione, senza tuttavia allegare gli elementi che avrebbero dovuto giustificare la responsabilità del liquidatore a tale titolo, alla stregua dei principi giurisprudenziali sopra ricordati. Nè la CTR aveva errato nel ritenere inoperante, rispetto all'avviso di accertamento emesso l'8.9.2014 ed alla cancellazione della società avvenuta il 28.11.2013, la modifica dell'art. 19 d.P.R. n. 46 del 1999, introdotta dal Dlgs.n. 175/2014, entrato in vigore il 13.12.2014, nella parte in cui questo ha esteso all'IVA l'ipotesi della responsabilità di soci, liquidatori ed amministratori, non essendovi alcuna ragione per ritenere che, in deroga ai principi generali dell'ordinamento (art. 11 disp. gen.), il Dlgs. n. 175 del 2014 (pubblicato sulla G.U. del 28.11.2014) avesse efficacia retroattiva (cfr., Cass.n. 8405/2020).
Osservazioni
Il rapporto giuridico in forza del quale il liquidatore è tenuto a rispondere in proprio delle imposte non pagate non è fondato sul dolo o sulla colpa, ma ha la sua fonte in un'obbligazione ex lege, del quale questi è responsabile secondo le norme comuni degli artt. 1176 e 1218 del codice civile, in relazione alla distrazione di attività del patrimonio sociale a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute. Pretesa che infatti, secondo quanto stabilito anche dalla Cassazione con sentenza del 15 ottobre 2001 n. 12546, può essere esercitata nell'ordinario termine decennale di prescrizione, essendo la stessa riconducibile alle norme degli artt. 1176 e 1218 del codice civile e non qualificabile come coobbligazione nei debiti tributari. Riassumendo, vi sono quindi tre categorie di soggetti che possono essere chiamati in causa dal Fisco: a) i liquidatori; b) gli amministratori; c) i soci.La responsabilità dei liquidatori e degli amministratori non è collegata, peraltro, ad un presupposto d'imposta espressivo di capacità contributiva, bensì ad un comportamento illecito “proprio”. La Suprema Corte ha del resto più volte ribadito che l'azione di responsabilità nei confronti del liquidatore, o dell'ex amministratore, per il mancato pagamento delle imposte, non presuppone una coobbligazione nel debito tributario, ma soltanto un'obbligazione per fatto proprio; e che il fondamento di tale responsabilità si rinviene nella inosservanza di una specifica obbligazione degli stessi soggetti nei confronti del fisco. Secondo il disposto dell'art. 2280 c.c. (statuito per le società di persone, ma applicabile anche alle società di capitali per il richiamo operato dall'art. 2452 c.c.), del resto, "i liquidatori non possono ripartire tra i soci, neppure parzialmente, i beni sociali, finché non siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per pagarli". Vero è in ogni caso che, se nel corso delle operazioni di liquidazione sia stata omessa la chiusura di un determinato rapporto, il creditore (e quindi anche l'Amministrazione Finanziaria), oltre che agire in via sussidiaria a termini dell'art. 2456 c.c. contro i soci pro quota, può convenire in giudizio la società cancellata in persona del suo ex liquidatore. |