Codice Penale art. 391 ter - Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti 1

Pierluigi Di Stefano

Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti1

[I]. Fuori dei casi previsti dall'articolo 391-bis, chiunque indebitamente procura a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni o comunque consente a costui l'uso indebito dei predetti strumenti o introduce in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni.

[II]. Si applica la pena della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense.

[III]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena prevista dal primo comma si applica anche al detenuto che indebitamente riceve o utilizza un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni.

[1] Articolo inserito dall'art. 9, comma 1, d.l.  21 ottobre 2020, n. 130, conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 173.

 

competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.)

arresto: facoltativo 

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere:  non consentita (primo e terzo comma) consentita (secondo comma)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

 

Inquadramento

L'art. 391-ter è stato introdotto dall'art. 9, comma 1, d.l. 21 ottobre 2020, n. 130conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 173. La disposizione intende reprimere il fenomeno della messa a disposizione di strumenti di comunicazione in favore di persone detenute.

La norma ha carattere sussidiario rispetto alla disposizione del l'art. 391-bis che è riferita in modo più ampio a qualsiasi forma di agevolazione delle comunicazioni con l'esterno, ricomprendendo anche la condotta di chi riporti un messaggio verbale o un “pizzino”, ma limitatamente ai detenuti sottoposti al trattamento dell' art. 41-bis l. n. 354/1975 , il “carcere duro”.

La disposizione differenzia, al comma 1 e al comma 3, il ruolo di colui che agevola il detenuto ed il ruolo del detenuto che fruisce della disponibilità dei sistemi di comunicazione. Alla già consistente sanzione del reato di base si aggiunge un forte aumento, soprattutto nel minimo che è raddoppiato, laddove del fatto siano responsabili pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio o esercenti la professione forense; valgono le osservazioni fatte per la formulazione dell'analoga aggravante dell'art. 391-bis.

In ordine al bene protetto, valgono le considerazioni già fatte per l'articolo precedente: la disposizione non è mirata alla tutela dei provvedimenti giudiziari bensì alla prevenzione sostanziale delle condotte criminali all'interno del carcere.

Quanto all'ipotesi del comma 1:

è un reato comune, richiedendosi la qualifica soggettiva solo per la ipotesi aggravata; la disposizione non lo chiarisce ma, ragionevolmente, l'aggravante sussiste solo quando il soggetto si sia avvalso della qualifica per la commissione del fatto, ad es. per evitare i controlli in ingresso.

Oltre al telefono, si fa riferimento a qualsiasi dispositivo idoneo alla comunicazione “a distanza”: quindi sia che utilizzi la rete Internet che qualsiasi comunicazione radio, anche con walkie-talkie, o che si colleghi abusivamente alla rete telefonica o telematica dell'istituto penitenziario.

La disposizione enumera varie condotte che integrano il reato:

  • Innanzitutto, il “procura a un detenuto”, che fa certamente riferimento alla consegna fisica del dispositivo.
  • Poi, il consentire l'uso di tali strumenti. Con riferimento a tale seconda ipotesi, possono individuarsi varie condotte che non comportano di per sé la consegna fisica dell'apparecchio ma rappresentano condizioni necessarie perché il detenuto, che ne sia già munito, lo possa utilizzare efficacemente: si pensi all'addetto alla sorveglianza che volutamente non intervenga per impedire la comunicazione in corso o a colui che utilizzi un proprio dispositivo quale  hotspot per consentire al detenuto l'accesso alla rete con il suo apparecchio privo di connessione autonoma.
  • La norma prevede anche la medesima sanzione per la mera condotta di introduzione nell'istituto penitenziario di uno degli apparecchi in questione al fine di renderlo disponibile in favore di una persona detenuta: in tale caso, appare sufficiente dimostrare la finalità della introduzione dell'apparecchio nel carcere pur senza individuazione del soggetto cui sia destinato. La norma non chiarisce se l' introduzione nell'istituto vada riferita al semplice varcare la soglia di ingresso ovvero al superamento dei controlli di accesso. L'anticipazione della rilevanza penale della condotta porta a preferire la seconda opzione.

Il dolo è generico, la consumazione in pratica avviene con l'introduzione nel carcere, essendo la consegna dell'apparecchio una condotta successiva (“progressione criminosa”) a quella in cui il reato è già perfezionato.

Nel diverso caso della agevolazione dell'uso, invece, la consumazione si avrà nel momento della effettiva utilizzazione dell'apparecchio da parte del detenuto.

Quanto all'ipotesi del comma 3:

questa, incentrata sulla condotta del detenuto, appare un reato autonomo in quanto è formulato in termini di rilievo della disponibilità dell'apparecchio indipendentemente dal ruolo del soggetto che lo ha procacciato.

La disposizione prevede la condotta di ricezione dell'apparecchio ovvero di utilizzazione dello stesso. Così formulata, la condotta sanzionabile appare unica (dovendosi fare ricorso al concetto di “progressione criminosa”) anche nel caso di ricezione e utilizzazione dell'apparecchio, dovendosi altrimenti ritenere che scatti la sanzione per il fatto di aver ricevuto l'apparecchio nonché per ogni singola conversazione/comunicazione effettuata.

La previsione autonoma della utilizzazione evidentemente tiene conto della necessità di sanzionare anche la condotta di colui che, pur non avendo avuto a disposizione l'apparecchio, venga autorizzato ad effettuare una singola chiamata (o se il detentore dell'apparecchio effettui materialmente una comunicazione per conto del detenuto).

Ciò rileva anche per una evidente “semplificazione probatoria”: se, ad es., sia accertato grazie all'intercettazione in atto nei confronti di un soggetto libero che un detenuto può comunicare con l'esterno, il reato sarà dimostrato per il solo fatto storico della conversazione, in quanto è accertato che il detenuto “riceve o utilizza un apparecchio telefonico o altro dispositivo”.

Per la sussistenza del reato del terzo comma (ed anche questo dimostra che si tratta di  una fattispecie autonoma) vi è la clausola di  riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato”. La ragione abbastanza evidente della previsione è la possibilità che la conversazione/comunicazione integri di per sé una condotta costituente reato, quale può essere il dare mandato per procedere alla commissione di un reato: poiché la norma intende prevenire la commissione di reati, è ragionevole che la condotta di utilizzazione dello strumento di comunicazione sia assorbita dalla effettiva commissione del reato da prevenire.

Con riferimento alla condotta di ricezione, però, la clausola di riserva rende il reato inapplicabile anche a fronte di reati del tutto eterogenei. Si pensi alla ipotesi in cui l'apparecchio sia provento di furto, in tal caso integrandosi con la sua ricezione anche la ricettazione, reato più grave, ma che non riguarda il bene interesse tutelato dall'art. 391-ter, o il caso in cui il telefono sia consegnato grazie ad una corruzione.

Se, poi, si ritiene che la ricezione del dispositivo da parte di chi lo abbia introdotto abusivamente, senza un previo accordo, costituisca di per sé ricettazione, l'ambito di concreta applicabilità della nuova disposizione verrebbe a ridursi fortemente.

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