I 10 punti del danno biologico: commento a Cass. n. 25164/2020 su danno morale, personalizzazione e tabella milanese

17 Novembre 2020

La sentenza in commento costituisce una buona occasione per fare il punto sulle principali questioni dibattute in giurisprudenza circa il danno biologico, le sue componenti dinamico-relazionali e di sofferenza interiore, gli oneri di allegazione e prova, la personalizzazione del danno e le modalità di liquidazione.
Massima

In tema di danno non patrimoniale derivante da sinistro stradale deve affermarsi il principio dell'autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, laddove il primo non è suscettibile di accertamento medico-legale e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto - pur potendole influenzare – dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato. Ne consegue che, in caso di concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale, nell'ipotesi di positivo accertamento dei presupposti per la c.d. personalizzazione del danno, è necessario procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato dalla componente del danno morale, automaticamente (ma erroneamente) conglobata nel danno biologico nella tabella milanese, giusta il disposto normativo di cui all'articolo 138, punto 3, del novellato Codice delle assicurazioni.

Il caso

Un pedone aveva agito in giudizio verso il Fondo di garanzia vittime della strada per il risarcimento dei danni subiti a seguito di sinistro stradale causato da veicolo rubato e il cui conducente non veniva identificato.

Rigettata la domanda in primo grado per assenza di prova che il veicolo fosse stato posto in circolazione contro la volontà del proprietario, la Corte d'Appello di Trieste, con sentenza n. 434/2018, aveva invece accolto la domanda, liquidando il risarcimento per € 213.399,75, attraverso l'applicazione delle tabelle dell'Osservatorio di Milano, il cui valore unico, per invalidità accertata del 25/26% = € 116.339,00 (per la vittima di 37 anni), era stato aumentato due volte: una del 25% (€ 29.084,75) a titolo di personalizzazione, sul presupposto della indubbia impossibilità per l'appellante di cimentarsi in attività fisiche e un'altra con l'attribuzione di un'ulteriore somma quantificata in € 20.000,00 a titolo di danno morale, per la sofferenze di natura del tutto interiore e non relazionale (oltre € 46.476,00 per IT a € 120,00 pro die ed € 1.500,00 per spese).

La questione

Le questioni poste nella sentenza in commento sono essenzialmente le seguenti:

a) la corretta individuazione, anche ai fini della determinazione del quantum debeatur risarcitorio, dei presupposti per la c.d. personalizzazione del danno alla salute e della relativa motivazione;

b) la corretta individuazione dei presupposti per il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali non aventi fondamento medico-legale (i.e. danno morale), che si distinguono ontologicamente dal danno biologico, nonché della relativa prova e della relativa motivazione;

c) la corretta individuazione dei confini tra la personalizzazione del danno alla salute e liquidazione dei pregiudizi morali non aventi fondamento medico-legale.

Le soluzioni giuridiche

a) Sui criteri di personalizzazione

La sentenza in commento, seguendo ormai un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, ha ribadito che la personalizzazione del risarcimento del danno alla salute (che comporta una variazione in aumento o in diminuzione del valore “standard” del risarcimento) deve seguire alla prova dell'incidenza dell'accertata menomazione “in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali(artt. 138 e 139 cod. ass., come modificati dalla legge n. 124/2017, c.d. “Legge Concorrenza”). Tali aspetti devono essere allegati e provati dalla vittima e consistono in circostanze eccezionali, specifiche e affatto diverse da quelle che invece ordinariamente sono conseguenti alla menomazione e che già sono incluse nella liquidazione tabellare “standard” del danno (si veda Cass.civ., sent. n. 7513/2018, Cass. civ., n. 10912/2018, Cass. civ., n. 23469/2018, Cass. civ., n. 27482/2018 e Cass. civ., n. 28988/2019).

Pertanto, non può esser considerata personalizzante “l'impossibilità per la vittima a cimentarsi in attività fisiche” e nemmeno la lesione alla capacità lavorativa generica, che è già ricompresa nell'ambito delle conseguenze ordinarie del danno biologico (mentre l'incapacità lavorativa specifica viene liquidata a titolo di danno patrimoniale).

b) Sull'autonomia ontologica del danno morale e suoi presupposti per il risarcimento

Anche in relazione a tale aspetto, la S.C. ha ribadito, in linea con i precedenti arresti (Cass. civ., n. 910/2018, Cass. civ., n. 7513/2018 e Cass civ. n. 28989/2019), il principio che la voce di danno morale è autonoma e non conglobabile nel danno biologico, trattandosi di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale e, quindi, meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione.

Il danno morale, pertanto, si distingue:

- sia dal danno biologico stricto sensu, in quanto non suscettibile di accertamento medico-legale, sostanziandosi, invece, in uno stato d'animo di sofferenza interiore;

- sia dalla menzionata personalizzazione per incidenza su specifici aspetti dinamico-relazionali.

La Suprema Corte coglie anche l'occasione per ribadire che, per il danno morale, il ricorso alla prova presuntiva assume particolare rilievo e può costituire anche l'unica fonte di convincimento del Giudice.

Rimane di fondamentale rilevanza il principio dell'onere di allegazione delle conseguenze pregiudizievoli da parte della vittima, che consente di stabilire il thema decidendum e alla controparte di esercitare il legittimo diritto di difesa.

Tuttavia, il danno morale, quale danno da sofferenza interiore, potrà essere provato principalmente con il ragionamento presuntivo fondato in larga misura sulle massime di esperienza.

c) Sui confini tra la personalizzazione del danno alla salute e la liquidazione dei pregiudizi morali non aventi fondamento medico-legale

Alla luce di queste premesse, la Cassazione indica le regole per procedere alla giusta liquidazione della componente personalizzante e della componente morale sofferenziale:

1) in primo luogo, accertare se nella fattispecie concreta sussistano e coesistano aspetti specifici dinamico-relazionali e aspetti di sofferenza interiore;

2) in caso positivo, riconoscere nell'integralità il complessivo importo previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano, che prevedono e conglobano automaticamente (e non correttamente) la componente di danno alla salute (e cioè del danno dinamico-relazionale standard) con la componente di danno morale;

3) in caso negativo, ove non sussista la prova della componente di danno morale, liquidare solo la voce di danno biologico depurata dell'aumento tabellarmente previsto in automatico per il danno morale;

4) in caso di positivo accertamento della esistenza di elementi personalizzanti, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato dalla componente morale del danno automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella.

Osservazioni

La sentenza in commento costituisce una buona occasione per fare il punto sulle principali questioni dibattute in giurisprudenza circa il danno biologico, le sue componenti dinamico-relazionali e di sofferenza interiore, gli oneri di allegazione e prova, la personalizzazione del danno e le modalità di liquidazione.

1) Il contenuto di tutti i danni non patrimoniali

Nel punto 10) dell'ord. Cass. civ., n. 7513/2018 (c.d. “ordinanza decalogo”) si precisa che il danno non patrimoniale (anche nelle ipotesi diverse dal danno biologico) va sempre liquidato “tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso” (pressoché nei medesimi termini, v. Trib. Milano, sent. 4 marzo 2008 n. 2847).

2) Nozione e contenuto del danno biologico

La nozione di danno biologico è condivisa dalle Supreme Corti (Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 26972, Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 26973/2008, Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 26974/2008, Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 26975/2008, d'ora in poi “sentenze di San Martino”, Corte Cost., sent. n. 235/2014) ed è ben enunciata nei citati artt. 138 e 139, secondo cui “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.

Pertanto, è sicuramente competente il medico legale per l'accertamento della lesione del bene salute, il cui contenuto univoco ed indefettibile viene misurato percentualmente come incidenza negativa sulle attività ordinarie intese come aspetti dinamico-relazionali comuni a tutti.

Chiamare questo danno come “danno biologico”, “danno dinamico-relazionale”, “danno alla vita di relazione”, “danno esistenziale”, non ne muta l'effettivo medesimo contenuto ed il regime giuridico.

La lesione della salute risarcibile in null'altro consiste che nella compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all'essere, all'apparire” (in questi termini, v. la citata “ordinanza decalogo”).

Condivisibile è dunque il punto 6 della medesima “ordinanza decalogo”, secondo cui: “In presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale)”.

3) La sofferenza interiore

Circa la sofferenza interiore, e cioè l'altro contenuto del danno biologico e di tutti i danni non patrimoniali (come enunciato nel precedente punto 1), nella citata “ordinanza decalogo”, si stigmatizza:

8) “in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)”;

9) “ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (v. anche Cass. civ., sent. n. 901/2018; per la disamina critica di queste statuizioni, v. Spera D., Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino, in Ridare.it).

In proposito occorrono alcune precisazioni.

Credo che –nelle fattispecie di danno non patrimoniale al bene salute- la sofferenza soggettiva interiore non sia un unicum, ma possa essere declinata in tre differenti contenuti:

a) la “sofferenza fisica” costituita dal dolore nocicettivo;

b) la “sofferenza menomazione-correlata”, intesa quest'ultima come conseguenza immediata e diretta del danno biologico permanente e temporaneo;

c) “gli altri pregiudizi ricompresi nella sofferenza interiore”: la tristezza, “il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione”, ecc. (v., amplius, Spera D., Il nuovo quesito medico legale all'esame dell'Osservatorio di Milano, in Ridare.it).

La “sofferenza fisica” sub a) senz'altro rientra nella competenza del medico legale, al quale solo ne compete l'accertamento in concreto, specificandone il grado e l'eventuale terapia antidolorifica. Inoltre, laddove il baréme preveda un range tra un minimo e un massimo, il C.T.U. dovrà specificare se, nell'indicare la durata e l'entità della inabilità temporanea (danno biologico temporaneo) e la percentuale di danno biologico permanente, abbia tenuto conto (anche) della sofferenza fisica (e cioè del dolore nocicettivo).

Anche la “sofferenza menomazione-correlata” sub b) rientra nella competenza del medico legale (per un maggior approfondimento, vedi Zoja R., SIMLA: Documento di Consenso in tema di dolore e sofferenza da menomazione dell'integrità psico-fisica, in Ridare.it).

Nel quesito, il giudice chiederà al medico legale, tenuto contro dell'età della vittima e dello stato di salute preesistente, di ben descrivere (tra l'altro) nella relazione, con riferimento al danno biologico temporaneo e permanente:

- quali attività della vita quotidiana siano state precluse o limitate;

- la capacità o meno del soggetto di percepire gli effetti della malattia e della menomazione permanente sul “fare quotidiano”;

- quale sia stato il trattamento terapeutico, specificando il tipo e l'entità delle medicazioni e degli interventi chirurgici necessari e le relative modalità (ad es.: se in anestesia generale o locale);

- quali siano stati gli eventuali trattamenti riabilitativi;

- quale sia stata la durata dei ricoveri ospedalieri;

- la necessità di terapie continuative o di presidi protesici e/o dell'ausilio di terzi;

- gli ulteriori elementi necessari o utili, in relazione alle peculiarità della fattispecie concreta.

In sostanza, nel dare risposta al quesito, il C.T.U. dovrà offrire al giudice tutti gli elementi utili per accertare il grado di “sofferenza menomazione-correlata” (v. anche Spera D., La sofferenza: cos'è, come si liquida e come l'accerta il CTU?, in Ridare.it)

Il giudice, sulla base delle motivate valutazioni tecniche del C.T.U. medico legale e tenuto conto dei documenti prodotti e dell'eventuale espletata istruttoria orale, potrà trarre - in questo modo davvero senza automatismi - da questa molteplicità di “fatti noti” la prova presuntiva dell'esistenza del “fatto ignoratoex art. 2727 c.c. consistente nella sofferenza soggettiva interiore, per poi procedere alla conseguente liquidazione di questa ulteriore componente del danno non patrimoniale secondo i valori monetari espressi nella Tabella milanese.

Quindi, a mio giudizio, la sentenza in commento (come del resto anche la c.d. “ordinanza decalogo”) pecca di imprecisione allorché afferma apoditticamente che “il sintagma "danno morale" non è suscettibile di accertamento medico-legale”.

Solamente “gli altri pregiudizi ricompresi nella sofferenza interiore” sub c) sono invece rimessi all'accertamento del giudice con altre modalità e/o altri ausiliari (C.T.U. psichiatra forense o psicologo giuridico). Trattasi di altri pregiudizi (“dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione), ulteriori rispetto a quelli descritti sub a) e b), che non degenerano in danno biologico-psichico ed attengono esclusivamente alla sfera interiore: un disagio psicologico che non compromette il “funzionamento dell'Io” nelle sue funzioni di adattamento e di organizzazione e controllo e non si traduce, quindi, nella compromissione delle “attività quotidiane”e degli “aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato” ma comporta comunque intense reazioni emotive e comportamentali del soggetto, e rilevanti strategie di adattamento.

Questa sofferenza interiore appare indubbiamente suscettibile di sovrapposizioni e commistioni con la “sofferenza menomazione correlata”, commistione meritevole di ulteriore approfondimento da parte della Cultura giuridica, ma certamente non potrà essere provata per presunzioni: in altre parole, tale ulteriore sofferenza morale del soggetto, aggiuntiva rispetto a quella menomazione-correlata, dovrà essere specificamente dedotta e provata dal danneggiato.

4) Separata liquidazione del danno biologico dinamico-relazionale e del danno da sofferenza interiore

Per la Cassazione (Cass. civ., sent. n. 2788/2019, Cass. civ., sent. n. 29373/2018, Cass. civ., sent. n. 901/2018, Cass. civ., sent. n. 25817/2017, Cass. civ., ord. n. 7513/2018, ed anche la sentenza in commento) il danno biologico dinamico-relazionale e quello da sofferenza interiore sono ontologicamente diversi e si devono liquidare separatamente.

Emerge con chiarezza che questo principio di diritto si pone in netto contrasto con le “sentenze di San Martino”, in cui si afferma la necessità della liquidazione congiunta del danno dinamico-relazionale e di quello da sofferenza soggettiva, entrambe “voci” del danno biologico: “dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.

Ciò nonostante la Cassazione, con sentenza n. 2788/2019, ha affermato che il citato art. 138, comma 2, lett. e), cod. ass. rappresenta un “sopravvenuto intervento chiarificatore, da parte del legislatore”, che “induce a escludere una rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte, posta, cioè, l'esistenza di una chiara volontà normativa affermativa della distinzione strutturale tra danno morale e danno dinamico-relazionale.

Gli argomenti esposti nelle menzionate sentenze a sostegno della necessità della liquidazione separata del danno dinamico-relazionale e del consequenziale danno da sofferenza interiore non appaiono convincenti per almeno i seguenti motivi:

- la Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 235/2014, ha stigmatizzato che “con la sentenza n. 26972 del 2008, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ben chiarito (nel quadro, per altro, proprio della definizione del danno biologico recata dal comma 2 del medesimo art. 139 Codice Ass.) come il cosiddetto “danno morale” − e cioè la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (comunque unitariamente) del danno non patrimoniale, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato − «rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente»”. La costituzionalità della norma trova quindi la sua premessa proprio nelle statuizioni contenute nelle “sentenze di San Martino”, che la sentenza della Cassazione n. 901/2018 e la c.d. “ordinanza decalogo” tentano di superare;

- il citato comma 2, lett. e) del novellato art. 138 - laddove dispone che “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto”-conferma, in definitiva, il medesimo percorso che nell'anno 2009 è culminato nella elaborazione della nuova curva della Tabella milanese, costruita sul “punto danno non patrimoniale 2008” (ora indicato nella quarta colonna della Tabella milanese, denominata “punto danno non patrimoniale al 2018”), che prevede la liquidazione congiunta del danno dinamico-relazionale e di quello da sofferenza interiore (ex “danno morale”) (v., amplius, Spera D., Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino, in Ridare.it).

5) La nuova veste grafica della Tabella milanese del danno non patrimoniale da lesione del bene salute

Tuttavia, l'Osservatorio di Milano ha preso atto che, in taluni casi, la Tabella, invece di essere usata per quello che è - e cioè uno strumento di ausilio al giudice, all'avvocato ed al liquidatore nel lavoro di discernimento dell'equa liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute nel caso concreto - sia stata intesa come un comodo automatismo, una sorta di scorciatoia della motivazione. È stata così frequentemente elusa la seguente verifica, doverosa in ogni processo: il danno da sofferenza soggettiva interiore è adeguatamente compensato - in questa fattispecie concreta - con l'importo indicato dalla Tabella in relazione al danno biologico patito da questo soggetto danneggiato?

È di tutta evidenza, invece, che la separata valutazione (propugnata dalla Cassazione anche nella sentenza in commento) del danno dinamico-relazionale e di quello da sofferenza soggettiva interiore costringe gli avvocati, il C.T.U. e il giudice ad una maggiore attenzione ed accuratezza, rispettivamente, nella fase della allegazione e prova dei fatti, dell'accertamento del danno e della motivazione sulla congruità della liquidazione del danno da sofferenza interiore, tenendo conto delle peculiarità della fattispecie concreta comprovate nel processo.

L'Osservatorio di Milano ha quindi, di recente, prospettato la possibilità di un “ritocco” della veste grafica della Tabella milanese. In particolare, fermi i valori monetari complessivi delle attuali Tabelle, con la nuova veste grafica sarebbero indicati, separatamente, i valori monetari relativi al danno biologico dinamico-relazionale e quelli relativi al danno da sofferenza soggettiva media presunta (v. Spera D., Le novità normative e la recente giurisprudenza suggeriscono un ritocco della Tabella milanese del danno non patrimoniale da lesione del bene salute?, in Ridare.it).

Quanto esposto si potrà chiarire meglio con un esempio concreto.

La perdita completa del visus ad un occhio è valutata dalla Medicina legale in un danno biologico del 28% della complessiva integrità psico-fisica. Se la vittima ha compiuto 20 anni al momento della stabilizzazione dei postumi permanenti, la Tabella milanese attualmente prevede il complessivo danno non patrimoniale in € 147.638,00, ma questo importo è dato dalla somma di due addendi:

- per il solo “danno biologico dinamico-relazionale”, € 102.526,65 (e cioè € 4.046,04 x 28 punti di invalidità = 113.289,12; quest'ultimo importo è poi demoltiplicato per 0,905);

- per il “danno da (sola) sofferenza soggettiva interiore”, € 45.111,79 (€ 1.780,26 x 28 punti di invalidità = € 49.847,28; quest'ultimo importo è poi demoltiplicato per 0,905).

Infatti, € 102.526,65 + € 45.111,79 è pari ad arrotondati € 147.638,00.

L'esplicitazione dei valori monetari compensativi delle due componenti (danno dinamico-relazionale e danno da sofferenza interiore) del danno non patrimoniale da lesione del bene salute, oltre ad essere in linea con il più recente orientamento della Cassazione, presenterebbe anche il vantaggio di escludere in radice la possibilità che il giudice liquidi due volte lo stesso pregiudizio costituito dalla sofferenza interiore. In questo modo, la sofferenza soggettiva interiore, non essendo più inserita (quale danno medio presunto) nel punto “danno non patrimoniale”, dovrà sempre essere in concreto accertata dal giudice sulla base delle allegazioni e prove fornite dalle parti nonché delle altre risultanze processuali e, tra di esse, in primo luogo, le analitiche considerazioni esposte dal C.T.U. medico legale nella relazione peritale.

6) Come liquidare il danno dinamico-relazionale e da sofferenza soggettiva interiore con la Tabella milanese

Nella sentenza in commento si afferma che “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di quest'ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno;

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno (accertamento da condurre caso per caso) […], considerare la sola voce del danno biologico, depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, liquidando, conseguentemente il solo danno dinamico-relazionale”.

Ebbene, alla luce di quanto innanzi esposto, il giudice, all'esito dell'istruttoria, liquiderà senz'altro l'importo enucleato nella nuova veste grafica della tabella milanese per il solo danno dinamico-relazionale (nell'esempio precedente € 102.526,65).

Per la corretta e separata liquidazione del danno da sofferenza interiore, il giudice valuterà l'importo previsto dalla tabella milanese (nell'esempio precedente € 45.111,79) e potrà:

a) diminuire detto importo anche notevolmente (ed eccezionalmente addirittura azzerarlo) in carenza (ovvero assenza) di allegazioni e risultanze processuali, ivi comprese quelle descritte nella relazione del CTU medico-legale relative alla sofferenza menomazione-correlata;

b) confermarlo e quindi non modificarlo, in base alle allegazioni e alle risultanze processuali, ove il giudice ritenga che, nel caso di specie, non siano emersi elementi per discostarsi dalla quantificazione della sofferenza soggettiva media (in conformità ai precedenti giurisprudenziali che l'hanno ritenuta presunta, in relazione a quel grado di invalidità e all'età della vittima, e ne hanno stimato congrua la compensazione con quei valori monetari);

c) aumentarlo, sulla base di precise allegazioni e della prova di circostanze di fatto (ed eventualmente avvalendosi di C.T.U. collegiale con medico legale e psichiatra forense o psicologo giuridico), ma pur sempre nell'ambito della forbice percentuale di personalizzazione indicata nell'ultima colonna della Tabella milanese (nell'esempio sopra riportato, fino al massimo del 31%).

7) La personalizzazione del danno dinamico-relazionale: quantum e base di calcolo

Nel punto 7) della citata “ordinanza decalogo” si afferma che “In presenza d'un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento”.

Nella sentenza qui in commento, in applicazione di questo condivisibile principio di diritto, si precisa che il giudice deve, “in caso di positivo accertamento dei presupposti per la personalizzazione del danno, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale del danno automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.

La sentenza in commento pone però due criticità: l'entità del possibile aumento e il valore monetario sul quale calcolarlo.

Credo che, per un refuso, la sentenza faccia riferimento al valore massimo del 30% previsto per la personalizzazione del danno non patrimoniale ex art. 138 citato, che però non è ancora applicabile, neppure in parte. È infatti di tutta evidenza che l'art. 138 non è mai entrato in vigore, stante la perdurante mancanza del decreto del Presidente della Repubblica, che si sarebbe dovuto adottare nel termine ampiamente scaduto di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della L. n. 124/2017 c.d. “Legge Concorrenza” (ai sensi dell'art. 138, comma 1); in ogni caso la disciplina novellata “si applica ai sinistri e agli eventi verificatisi successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto del Presidente della Repubblica” (ai sensi dell'art. 1, comma 18 Legge Concorrenza).

Conseguentemente, deve farsi riferimento (salvi i casi di cogente applicazione del citato art. 139 Codice assicurazioni) ai soli criteri indicati nelle Tabelle milanesi, del resto espressamente richiamate, congiuntamente alla sentenza Cassazione n. 12408/2011 (c.d. “sentenza Amatucci”), anche nella sentenza in commento. Ciò del resto è perfettamente in linea con quanto affermato dalla Cassazione già dal 2011, allorché ha imposto l'adozione delle Tabelle milanesi per garantire un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto e l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, con la possibile sanzione (in caso di inosservanza) della nullità della sentenza di merito per vizio di violazione di legge, ex art. 360, n. 3 c.p.c.

Nei “Criteri orientativi” della Tabella milanese si afferma che la personalizzazione del danno potrà essere effettuata “laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato, in particolare: sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali e relazionali (ad es. lavoratore soggetto a maggior sforzo fisico senza conseguenze patrimoniali; lesione al “dito del pianista dilettante”); sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva (ad es. dolore al trigemino; specifica penosità delle modalità del fatto lesivo)”.

Si deve dunque applicare, ai fini della personalizzazione, l'ultima colonna della tabella milanese, che prevede un possibile aumento nel range dal 25% al 50% di quanto liquidato complessivamente a titolo di danno biologico dinamico-relazionale e di danno da sofferenza.

La sentenza in commento, richiamando il citato art. 138, comma 3, motiva invece l'aumento del valore liquidato ai fini della personalizzazione sulla base del solo danno dinamico-relazionale.

Eppure, tale comma così dispone: “Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale di cui al comma 2, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30 per cento”.

Ma la tabella dei valori pecuniari di cui al comma 2 dell'art. 138 comprende anche la componente del danno morale di cui alla lett. e) del medesimo comma, che incrementa il valore base del danno biologico nella componente dinamico-relazionale in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori.

8) L'autonomia ontologica tra le due componenti di danno non sussiste nella liquidazione dell'aumento del valore monetario a titolo di personalizzazione

Alla luce di quanto fin qui esposto, si ravvisa una differenza fondamentale:

- nella valutazione della sofferenza soggettiva interiore correlata al grado percentuale di danno biologico, il giudice procede alla personalizzazione nei termini innanzi esposti (tenendo conto in particolare delle allegazioni di parte e delle risultanze della C.T.U.), ma valutando di regola pregiudizi dinamico relazionali e sofferenza soggettiva interiore tendenzialmente comuni a tutte le persone che abbiano subito quella compromissione della salute e siano di quel sesso e abbiano quell'età. Ad esempio, per una lesione ai tendini della cuffia dei rotatori di una spalla, i baréme medico-legali stimano il danno biologico nella misura del 15%, ma a questa menomazione conseguono tuttavia ricadute in termini di pregiudizi relazionali e quindi anche di sofferenza interiore sensibilmente superiori ad analoghe invalidità aventi la medesima valutazione percentuale (come nel caso della perdita di un rene con organo superstite integro nella funzione);

- quando il giudice procede alla personalizzazione del danno riconducibile ad aspetti dinamico-relazionali “personali” (il citato esempio della lesione al dito del pianista dilettante, che prima del sinistro teneva concerti settimanali), valuterà circostanze di fatto che sono tutte peculiari del danneggiato in causa e che sono state allegate e provate dalle parti.

In quest'ultimo caso, valutare il maggior danno derivante dal pregiudizio dinamico relazionale di non poter più partecipare a concerti amatoriali o di non poter più suonare ogni giorno il pianoforte, è solo una diversa prospettiva per esaminare il pregiudizio derivante dalla sofferenza per non poter più fare quelle cose che prima riempivano la vita emotiva di quella (specifica) persona danneggiata.

Pertanto, pur aderendo alla tesi dell'autonomia ontologica tra le due componenti di danno, è innegabile la commistione tra sofferenza soggettiva interiore e pregiudizio dinamico-relazionale, rispetto alla comprovata circostanza personalizzante.

Del resto, come potrebbe mai il giudice discernere effettivamente e quantificare congruamente il danno per il “non poter più fare” da quello per la sofferenza che ne consegue?

Anche l'art. 139 dispone che “Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità, l'ammontare del risarcimento del danno […] può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento”.Quindi, la citata sentenza della Corte costituzionale n. 235/2014, prima, e il legislatore, poi, sembrano auspicare proprio che l'eventuale personalizzazione si effettui mediante una maggiore liquidazione congiunta degli aspetti dinamico-relazionali (sfera esteriore) e di quelli sofferenziali (sfera interiore), nel limite massimo del 20%.

Ritengo quindi che la personalizzazione in esame debba avvenire in maniera unitaria, tenendo congiuntamente conto sia dell'aspetto dinamico-relazionale sia della correlata maggiore sofferenza soggettiva interiore. La personalizzazione, nei casi in esame, è comprensiva di tutte le “voci” risarcibili di questo ulteriore danno non patrimoniale e la liquidazione, come insegnano (ancora!) le “sentenze di San Martino”, non può che essere unitaria e onnicomprensiva.

Fatti salvi casi eccezionalissimi, si deve quindi ritenere che, allorché l'avvocato abbia provato nel processo il rilevante interesse del danneggiato per l'attività hobbistica (di regola desumibile dalla considerevole quantità di tempo dedicato prima dell'evento lesivo all'attività in parola) poi pregiudicata dalla lesione della salute, il giudice potrà ritenere provato il diritto del danneggiato ad una personalizzazione nella sua duplice componente dinamico-relazionale e, in via presuntiva, anche da sofferenza interiore e dovrà dunque precedere alla unitaria liquidazione del danno personalizzato, nei limiti previsti dai citati commi 3 degli artt. 138 e 139 Cod. Ass. e dall'ultima colonna della Tabella milanese.

9) L'onere di allegazione del danno da sofferenza

Nella sentenza in esame si afferma che il danno da sofferenza deve essere allegato e consiste “nella compiuta descrizione di tutte le sofferenze di cui si pretende la riparazione. Quale fatto costitutivo della domanda di risarcimento del danno (non diversamente dalle circostanze di fatto che possano dar luogo alla personalizzazione del danno dinamico-relazionale) le allegazioni sulla sofferenza dovrebbero essere introdotte nel processo con gli atti introduttivi ovvero con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., perché integrano una emendatio del petitum richiesto oltre i valori monetari “standard”, ora riferiti solo al danno biologico nella componente dinamico-relazionale.

Rimane tuttavia confermato il potere/dovere del giudice di procedere all'esatta qualificazione giuridica della domanda proposta in giudizio.

Verificheremo nella prassi fino a che punto ed in quali termini i giudici di merito richiederanno la “compiuta descrizione di tutte le sofferenze di cui si pretende la riparazione”: non si può escludere, infatti, che l'allegazione di una specifica lesione e/o di uno specifico postumo permanente sia intesa come implicante l'allegazione (anche) delle sofferenze menomazione-correlate ordinariamente conseguenti a tale lesione/postumo.

La Cassazione (Cass. civ., ord. n. 87/2019), quanto all'onere di contestazione, “ha sottolineato come tale onere, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. civ., n. 14652/2016, Cass. civ., n. 3576/2013)”. Quindi l'onere della relativa prova della componente della sofferenza interiore deve essere assolto anche in difetto di specifica contestazione.

10) L'onere della prova del danno da sofferenza

Circa l'onere della prova della sofferenza, la sentenza in esame stigmatizza che: “Esiste, difatti, nel territorio della prova dei fatti allegati, un ragionamento probatorio di tipo presuntivo, in forza del quale al giudice è consentito di riconoscere come esistente un certo pregiudizio in tutti i casi in cui si verifichi una determinata lesione - sovente ricorrendosi, a tal fine, alla categoria del fatto notorio per indicare il presupposto di tale ragionamento inferenziale, mentre il riferimento più corretto ha riferimento alle massime di esperienza […]. La massima di esperienza, difatti, non opera sul terreno dell'accadimento storico, ma su quello della valutazione dei fatti, è regola di giudizio basata su leggi naturali, statistiche, di scienza o di esperienza, comunemente accettate in un determinato contesto storico-ambientale. […] tale strumento di giudizio consente di evitare che la parte si veda costretta, nell'impossibilità di provare il pregiudizio dell'essere, ovvero della condizione di afflizione fisica e psicologica in cui si è venuta a trovare in seguito alla lesione subita, ad articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati d'animo interiori da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito. […] Un attendibile criterio logico-presuntivo funzionale all'accertamento del danno morale quale autonoma componente del danno alla salute […] è quello della corrispondenza, su di una base di proporzionalità diretta, della gravità della lesione rispetto all'insorgere di una sofferenza soggettiva: tanto più grave, difatti, sarà la lesione della salute, tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l'esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall'aspetto dinamico-relazionale conseguente alla lesione stessa”.

È opportuno rilevare che le statuizioni affermate nella sentenza in commento sono assolutamente condivisibili, tanto che hanno ispirato il procedimento logico che seguì l'Osservatorio di Milano allorché ritenne provato, in via presuntiva, la sofferenza interiore media via via crescente con l'aumento del punto percentuale dell'invalidità permanente.

Del resto, anche il citato comma 2, lett. e) del novellato art. 138 cod. ass., come si è detto, “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica”. prevede l'incremento “in via percentuale e progressiva per punto” del valore monetario corrispondente al danno biologico.

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