Il datore di lavoro è legittimato a controllare l'adempimento delle prestazioni lavorative?

Ilenia Alagna
08 Gennaio 2021

Il controllo svolto dal datore di lavoro può riguardare l'adempimento o l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale?
Massima

Con sentenza del 9 ottobre 2020 n. 21888, la Corte di Cassazione ha affermato che il datore di lavoro è legittimato a controllare l'adempimento delle prestazioni lavorative dei propri dipendenti direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica, a condizione che i soggetti coinvolti nella vigilanza siano noti agli altri lavoratori.

La Suprema Corte ha ribadito che la disposizione di cui all'art. 3 della l. n. 300/1970, secondo la quale i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa devono essere comunicati ai dipendenti interessati, non ha fatto venir meno il potere dell'imprenditore di controllare direttamente, o mediante l'organizzazione gerarchica che a lui fa capo, l'adempimento delle prestazioni dei lavoratori. Il datore, per mezzo di soggetti noti agli altri dipendenti, può dunque accertare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti medesimi, già commesse o in corso di esecuzione.

Il caso

Un lavoratore adibito mansioni di portalettere, aveva eseguito le prestazioni in modo negligente, con consegne ritardate e a macchia di leopardo, causando notevoli disservizi (si trattava di un "pervicace ritardo nell'esecuzione della prestazione"). In tal modo, previa contestazione degli addebiti, veniva licenziato per scarsa diligenza e per una ripetuta inosservanza degli obblighi e dei doveri connessi al servizio affidatogli. Il Tribunale, sia nella fase sommaria del giudizio di impugnazione che a seguito del giudizio di opposizione, accertava la correttezza della valutazione del datore di lavoro, ritenendo non violati gli articoli 3 e 4 della l. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) e reputando proporzionata la sanzione irrogata in relazione a quanto previsto dal codice disciplinare del CCNL adottato dall'azienda. I giudici di seconde cure rigettavano il reclamo del dipendente, confermando la pronuncia del giudice di primo grado. Il dipendente ricorreva per cassazione denunziando la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 4 della suddetta l. 300/1970, per avere errato la Corte territoriale nella misura in cui i controlli e le verifiche erano stati svolti da personale dipendente del datore di lavoro, nonché da personale esterno. Per la difesa del ricorrente, la fattispecie sarebbe dovuta essere inquadrata nel modo seguente: dove si era eseguito il controllo tramite investigatori privati, esso avrebbe dovuto limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili ad un mero inadempimento dell'obbligazione; dove si era trattato di controllo effettuato con personale interno, il datore avrebbe dovuto rendere noti i nomi dei controllori e avrebbe dovuto astenersi dai controlli a distanza, come invece occorsi nella fattispecie. Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato la violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della l. 300, perché il controllo a distanza avrebbe dovuto essere eseguito esclusivamente per le finalità previste dal comma 1, mentre il loro obiettivo era consistito nel verificare il corretto espletamento del servizio di consegna postale. Sulla scorta della asserita inutilizzabilità del materiale probatorio raccolto, il ricorrente ha dedotto il difetto di prova e dunque l'insussistenza delle violazioni contestate, con la pretesa del riconoscimento della tutela ex art. 18, comma 4, l. 300/1970.

La questione

Il controllo svolto dal datore di lavoro può riguardare l'adempimento o l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale? Tale controllo, per potersi ritenere legittimo, deve limitarsi agli atti illeciti ed essere, comunque, sottoposto alla duplice condizione che, da un lato, fossero resi noti i nomi dei soggetti deputati al controllo e, dall'altro, che tale controllo non avvenisse "a distanza"?

Le soluzioni giuridiche

Con sentenza n. 21888 del 9 ottobre 2020 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità dei controlli "occulti" svolti dal datore di lavoro, che, nel caso analizzato, riguardano il caso di un dipendente licenziato per giusta causa in considerazione della scarsa diligenza con la quale aveva reso la prestazione nonché per una perdurante inosservanza degli obblighi e dei doveri di servizio nello svolgimento delle mansioni assegnate.

Il controllo "occulto" era stato effettuato mediante l'organizzazione gerarchica del datore di lavoro e, più precisamente, dal superiore gerarchico del lavoratore e da un componente dell'Ufficio Ispettivo. Il lavoratore, soccombente nei precedenti gradi di giudizio, ha censurato la decisione della Corte di merito, deducendo la violazione degli artt. 3 e 4 della legge n. 300/1970 (c.d. "Statuto dei Lavoratori"), le quali rappresentano delle norme finalizzate a tutelare la libertà e la dignità del lavoratore, poiché pongono delle limitazioni al potere di controllo del datore di lavoro. Il dipendente ha eccepito, in particolare, che il controllo svolto dal datore di lavoro non poteva riguardare l'adempimento o l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale e che tale controllo, per potersi ritenere legittimo, avrebbe dovuto limitarsi agli atti illeciti (non riconducibili, quindi, al mero inadempimento dell'obbligazione) ed essere, comunque, sottoposto alla duplice condizione che, da un lato, fossero resi noti i nomi dei soggetti deputati al controllo e, dall'altro, che tale controllo non avvenisse "a distanza".

Il campo della controversia viene chiarito dalla applicabilità dell'art. 4 della Legge n. 300, che riguarda i controlli a distanza dei lavoratori - quelli eseguiti mediante l'uso di impianti audiovisivi e/o di altre apparecchiature. La fattispecie in esame è regolata dall'art. 3, per il quale “i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati”. Tale prima considerazione consente di comprendere la ragione della declaratoria di inammissibilità del secondo motivo di ricorso. La Suprema Corte condivide le argomentazioni della Corte territoriale secondo cui gli accertamenti eseguiti dal datore di lavoro sono stati conformi ai principi di legittimità. La portata degli artt. 2 (che disciplina il ricorso alle guardie giurate) e 3 (sopra riportato) dello Statuto dei lavoratori, che delimitano la sfera di intervento di persone preposte dal datore a difesa dei propri interessi, per scopo di tutela del patrimonio aziendale e di vigilanza dell'attività lavorativa, non preclude all'imprenditore/datore di lavoro di controllare l'adempimento delle prestazioni lavorative, direttamente o mediante elementi della sua organizzazione gerarchica, e di ricorrere altresì alla collaborazione di soggetti come gli investigatori privati. Quanto sopra vale, per la Suprema Corte, indipendentemente dalle modalità del controllo che può anche essere esercitato in modo occulto, soprattutto quando ciò sia giustificato da precedenti condotte non palesemente inadempienti del lavoratore sospetto.

La Suprema Corte, nel rigettare il gravame, ha rilevato che la fattispecie in esame è regolata dall'art. 3 della legge n. 300/1970, che afferma: "i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati". In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato che la decisione della Corte di merito è conforme ai principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 11 giugno 2018, n. 15094) in ordine alla portata dell'art. 3 sopra richiamato, che non preclude "il potere dell'imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come una agenzia investigativa) diversi dalle guardie giurate per la tutela del patrimonio aziendale", né, tantomeno, preclude al datore la possibilità di "controllare direttamente o mediante l'organizzazione gerarchica che a lui fa capo e che è conosciuta dai dipendenti, l'adempimento delle prestazioni cui costoro sono tenuti e, quindi, di accertare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti medesimi, già commesse o in corso di esecuzione". Inoltre, la Corte di Cassazione ha precisato che il corretto esercizio del potere di controllo, da parte del datore di lavoro, prescinde dalle modalità con le quali viene attuato, attesa "la particolare posizione di colui che lo effettua" e, pertanto, può avvenire anche occultamente, senza che ciò comporti la violazione del principio di correttezza e di buona fede nell'esecuzione dei rapporti di lavoro "soprattutto quando siffatta modalità trovi giustificazione nella pregressa condotta non palesemente inadempiente dei dipendenti". Da ultimo, la Suprema Corte ha evidenziato che, nella fattispecie esaminata, risulta inconferente la dedotta violazione dell'art. 4 della legge n. 300/1970, che riguarda, esclusivamente, l'utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza, essendo pacifico che il controllo era stato svolto da personale dipendente del datore di lavoro.

Osservazioni

Il Provvedimento in oggetto riafferma dei criteri consolidati ed enunciati nelle Sentenze n. 829/1992 e 3039/2002, richiamate dal Provvedimento analizzato. La Corte di Cassazione ribadisce l'ambito di operatività dell'esercizio del potere di controllo da parte del datore di lavoro che compete allo stesso, unitamente al potere direttivo e a quello sanzionatorio; potere che può essere ed è esercitato avendo per oggetto il corretto adempimento della prestazione lavorativa. Quella stessa prestazione che, viceversa, non potrà mai essere oggetto del controllo a distanza, quello eseguito grazie al ricorso a dispositivi o apparecchiature (come, ad es. quelle di videosorveglianza) e disciplinato dall'art. 4 della l. 300.

Per il comma 1 dell'art. 4 il controllo a distanza deve essere esclusivamente ispirato ad una delle tre finalità tipiche (esigenze organizzative e produttive, sicurezza del lavoro, tutela del patrimonio aziendale) e il fatto che suo tramite divenga possibile anche il rilievo di condotte inadempienti sul piano lavorativo, è ammesso esclusivamente come conseguenza eventuale ed indiretta del controllo stesso.

Oltre a ciò, la possibilità di utilizzo dei dati raccolti “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” è condizionata all'adempimento da parte datoriale nei confronti dei lavoratori:

  1. degli obblighi informativi sulle “modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli”;
  2. degli obblighi disciplinati dalla normativa sulla protezione dei dati personali, che impone al Titolare del trattamento l'obbligo di fornire informative, semplici e chiare, secondo quanto disposto dall'art. 13 del Regolamento UE 2016/679.

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