Responsabilità della struttura sanitaria e misure da adottare per evitare l'evento

Maria Nefeli Gribaudi
09 Febbraio 2021

Responsabilità della struttura sanitaria: non è sufficiente l'inadeguatezza delle misure adottate ma occorre verificare quali misure avrebbero dovuto essere adottate nel caso concreto per evitare l'evento.
La massima

Responsabilità della struttura sanitaria: non è sufficiente l'inadeguatezza delle misure adottate ma occorre verificare quali misure avrebbero dovuto essere adottate nel caso concreto per evitare l'evento.

È quanto affermato dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 25288 depositata l'11 novembre 2020 che nell'affermare tale principio prende le mosse dal duplice nesso causale che, a mente dell'art. 1218 c.c., connota il giudizio sulla responsabilità contrattuale declinata al sottosistema della responsabilità sanitaria: l'uno relativo all'evento dannoso (fatto costitutivo), l'altro attinente alla impossibilità di adempiere per una causa imprevedibile ed inevitabile (fatto estintivo) operante in termini esonerativi per la struttura sanitaria.

Il caso

Il decisum prende le mosse dalle contestazioni articolate in relazione alla responsabilità per omessa vigilanza da parte di una struttura sanitaria a fronte della condotta autolesiva di una paziente psichiatrica in stato gestazionale.

Segnatamente, la vicenda è relativa ad una paziente ricoverata presso il reparto psichiatrico di una struttura sanitaria con diagnosi di disturbo depressivo con sintomatologia psicotica e gesti autolesivi, la quale veniva sottoposta a TSO. Risultando pericolosa la somministrazione di farmaci, in quanto incompatibile con lo stato di gravidanza, la paziente veniva sottoposta a regime di contenzione fisica, eseguita mediante l'applicazione di fasce a fibre acriliche finalizzate a bloccare mani, piedi e busto. Tuttavia, sebbene venisse costantemente monitorata, la stessa riusciva a divincolarsi procurandosi una lesione all'occhio sinistro.

Il giudice di prime cure rigettava la domanda attorea sul rilevo che il danno, attesa l'imprevedibilità dell'azione stessa, dovesse addebitarsi ad esclusiva responsabilità della paziente non potendo ravvisarsi alcun inadempimento o condotta omissiva viceversa imputabile ai sanitari in servizio al momento dell'evento.

Proposto gravame da parte dell'attrice soccombente il giudice di appello lo accoglieva, condannando parte convenuta al risarcimento del danno.

In sede di giudizio di legittimità i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p. nonché degli art. 1176 c.c. e 1218 c.c. e 2043 c.c. censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto l'inidoneità dei presidi apprestati a garantire la sicurezza della paziente e, conseguentemente, non adempiuta la prestazione contrattuale esigibile sebbene non fosse possibile procedere ad immobilizzazione assoluta della stessa, nonché nella parte in cui il provvedimento impugnato afferma che in caso di culpa in vigilando, come del resto in qualsiasi ipotesi di colpa omissiva consistita nel non aver impedito un evento che si era obbligati ad impedire, l'avverarsi stesso dell'evento costituisce in tesi prova dell'esistenza del nesso di causa tra la condotta omissiva e il danno senza chiarire quali misure alternative, anche in relazione allo stato gestazionale della donna, avrebbero dovuto essere adottate.

La questione

Occorre domandarsi se la questione relativa al carattere repentino del gesto compiuto dalla donna, integrante una causa imprevedibile ed inevitabile, rilevi sul piano della causalità materiale e quindi dell'applicazione degli artt. 40 e 41 c.p. oppure sul diverso piano della impossibilità della prestazione quale fattore esonerativo della responsabilità per inadempimento ai sensi dell'art. 1218 c.c..

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità prendono le mosse dal duplice ciclo causale che, nell'archetipo delineato dall'art. 1218 c.c., connota il giudizio sulla responsabilità contrattuale in tema di responsabilità medica: l'uno, a monte, relativo all'evento dannoso e alla sua derivazione causale (fatto costitutivo), l'altro, a valle, attinente alla impossibilità di adempiere per una causa imprevedibile ed inevitabile (fatto estintivo) operante in termini esonerativi per la struttura sanitaria (in tal senso, da ultimo, Cass. Civ, Sez. III, n.28991/2019)

Segnatamente il primo segmento è quello relativo all'evento dannoso e alla sua derivazione causale, il cui onere probatorio grava sul creditore danneggiato, da accertarsi in base al criterio probatorio della “preponderanza dell'evidenza”, il quale implica che l'enunciato circa la sussistenza del nesso causale sia verificato all'esito delle evidenze disponibili “riconducendone il grado di fondatezza nell'ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana)”.

L'onere della prova relativo alla causalità materiale tra la condotta e l'aggravamento della situazione patologica e l'insorgenza di nuove patologie (id est lesione alla salute) grava infatti sul paziente danneggiato poiché, nella materia de qua, tale evento non è immanente all'inadempimento il quale si sostanzia nella violazione delle leges artis e come tale può avere una diversa eziogenesi.

Ciò perché, nell'ambito della prestazione sanitaria, il danno evento non si identifica nella lesione dell'interesse oggetto dell'obbligazione, quest'ultimo afferente la diligente esecuzione della prestazione professionale, ma nella lesione dell'interesse (alla salute) presupposto a quello contrattualmente regolato e a cui quest'ultimo è strumentale (da ultimo Cass. Civ. Sez., 11.11. 2019, n. 28991).

L'altro e successivo segmento è invece quello entro cui si articola la prova liberatoria gravante sulla struttura sanitaria relativo alla sussistenza di una “causa imprevedibile ed inevitabile che ha reso impossibile la prestazione” ed è in tale momento in cui occorre interrogarsi sulla esigibilità di una condotta diversa da quella in concreto tenuta alla luce delle condizioni peculiari del caso concreto.

Tale accertamento non attiene al piano della causalità materiale e quindi all'applicazione degli artt. 40 e 41 c.p. ma alla non imputabilità dell'inadempimento che, alla luce del combinato disposto degli art. 1218 c.c. e 1176 c.c., opera in senso esonerativo della responsabilità ed implica la verifica della diligenza in concreto esigibile attraverso l'individuazione delle misure alternative che in concreto si sarebbero potute e dovute esigere dalla struttura sanitaria: su tale piano quindi, e non su quello del nesso causale, si articola l'accertamento della non esigibilità di un comportamento diverso, attraverso la valorizzazione della dimensione soggettiva e concreta della colpa.

Osservazioni

Alcune considerazioni che si riflettono sulla valutazione della responsabilità delle strutture sanitarie nell'ambito contesto emergenziale attuale.

La pronuncia in esame si presta a considerazioni di ampio respiro suggerendo riflessioni sull'attuale contesto emergenziale ed eventuali profili di responsabilità anche di natura organizzativa.

L'impossibilità della prestazione, letta alla luce del combinato disposto degli artt. 1218 c.c. e 1176 c.c., si riempie infatti di contenuto concreto e si affranca da valutazioni naturalistiche ed oggettive identificandosi con un fatto impeditivo non evitabile con la normale diligenza richiesta dalla natura dell'attività professionale esercitata ossia nella non esigibilità di un comportamento diverso da quello in concreto tenuto: lo sforzo diligente esigibile dal debitore alla luce delle circostanze del caso concreto si delinea quindi quale criterio effettivo di imputazione della responsabilità.

Tale criterio, teso a valorizzare la dimensione soggettiva della colpa, offre le coordinate per analizzare le ipotesi di responsabilità legate all'attuale emergenza pandemica, a mente del fatto che l'impossibilità della prestazione non è un concetto naturalistico ma giuridico che deve essere sempre definito ed interpretato alla luce del quadro complessivo delle circostanze di fatto, di luogo e di tempo, che sono tali da definire le condotte concretamente esigibili.

Lo stesso art. 1218 c.c. operante, per espressa previsione normativa (art. 7 legge 24/17) anche per quanto concerne ipotesi di responsabilità organizzativa delle strutture sanitarie, impone di valutare in concreto lo sforzo diligente esigibile sul piano gestionale ed organizzativo, a tal fine considerando l'eccezionale contesto pandemico nella sua dimensione globale ed oggettiva oltre che le carenze/incertezze provenienti dal mondo scientifico ed istituzionale, centrale e periferico, che si riflettono sotto il profilo organizzativo e gestionale; si devono considerare altresì i limiti strutturali, tecnologici, di risorse umane e materiali con i quali le strutture sanitarie sono state chiamate a misurarsi attuando rapide riorganizzazioni e ridistribuzioni di compiti ed attività in ragione delle contingenze imposte dall'emergenza; ed, infine, si devono valutare i particolari contesti territoriali e l'effettiva incidenza dell'emergenza epidemiologica.

La valutazione in ordine alla non esigibilità di una condotta diversa da quella in concreto tenuta rifugge valutazioni aprioristiche ed astratte ma impone accertamenti concreti ed analitici tesi a valorizzare il particolare contesto entro cui l'esigibilità della condotta si iscrive, valorizzando, anche per quel che concerne responsabilità di natura organizzativa che soggiace all'art. 1218 c.c. e alla sua stessa natura e morfologia, la dimensione soggettiva e concreta della colpa sotto il profilo della esigibilità della condotta quale fatto esonerativo della responsabilità, definitivamente abbandonando derive oggettivistiche.

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