Sindacato di vessatorietà, recesso nella mediazione e tutela del consumatore

Giuseppe Fiengo
16 Febbraio 2021

In tema di mediazione, la clausola del contratto che riservi al mediatore, in caso di recesso anticipato del preponente, una penale commisurata al prezzo di vendita del bene, indipendentemente dall'attività di ricerca di acquirenti che il mediatore abbia concretamente svolto per la conclusione dell'affare, non attiene alla determinazione dell'oggetto del contratto o al corrispettivo, nel senso di cui all'art. 34, comma 2, cod. cons., e non si sottrae pertanto alla valutazione di vessatorietà.
Massima

In tema di mediazione, la clausola del contratto che riservi al mediatore, in caso di recesso anticipato del preponente, una penale commisurata al prezzo di vendita del bene, indipendentemente dall'attività di ricerca di acquirenti che il mediatore abbia concretamente svolto per la conclusione dell'affare, non attiene alla determinazione dell'oggetto del contratto o al corrispettivo, nel senso di cui all'art. 34, comma 2, cod. cons., e non si sottrae pertanto alla valutazione di vessatorietà. Valutazione che il giudice è tenuto a compiere d'ufficio, sia al fine di verificare se la clausola determini un significativo squilibrio a carico del consumatore dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ex art. 33, comma 1, cod. cons., sia per il suo potenziale contrasto con l'art. 33, comma 2, lett. e), cod. cons., in base al quale si presume vessatoria la clausola che consente al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere.

Il caso

Tizio e Caia concludono con Alfa s.r.l. un contratto di mediazione relativamente alla vendita di un proprio immobile in Roma; contratto che prevede, in favore di ciascuna parte, il diritto di recedere anticipatamente previo pagamento, a titolo di penale, di una somma pari all'1% del prezzo di vendita. Dopo sette giorni dalla conclusione del contratto i preponenti esercitano il diritto di recesso ritenendo che la stima del prezzo di vendita resa da Alfa s.r.l. fosse incongrua avuto riguardo ad altre due valutazioni del medesimo immobile. La società Alfa s.r.l. ottiene quindi decreto ingiuntivo per euro 4.100,00 (corrispondenti alla somma dovuta a titolo di anticipato recesso dal contratto di mediazione).
Avverso tale decreto Tizio e Caia propongono opposizione deducendo l'errore essenziale nel quale sarebbero incorsi, ad opera di controparte, nella determinazione del prezzo di vendita e la vessatorietà, ai sensi del d. lgs. n. 206/05, della clausola penale. Vessatorietà desumibile sia dalla quantificazione della somma dovuta in misura del tutto svincolata dall'attività effettivamente svolta e dai risultati conseguiti dal mediatore sino al recesso, sia dalla ridotta differenza tra la penale pattuita (1% del valore stimato) e la provvigione dovuta in caso di conclusione dell'affare (1.5% del prezzo di vendita).

La sentenza di accoglimento dell'opposizione viene riformata dal Tribunale di Roma che ha ritenuto non assolto l'onere della prova quanto all'errore essenziale e non ha ravvisato la natura vessatoria della clausola penale la quale riconosceva alle parti una posizione paritetica, potendo ciascuno dei contraenti recedere dietro versamento del medesimo importo. Né, secondo il giudice di appello, la vessatorietà della penale poteva desumersi dalla quantificazione del corrispettivo per il recesso che era di ammontare inferiore di un terzo rispetto all'importo dovuto a titolo di provvigione.

Avverso tale sentenza Tizio e Caia propongono ricorso per cassazione deducendo (per quanto qui rileva) che il giudice di secondo grado non aveva accertato in concreto l'effettivo svolgimento di attività da parte del mediatore (anche considerato che il contratto era stato concluso una sola settimana prima del recesso), che l'entità della penale comportava uno squilibrio nel sinallagma contrattuale (non avendo il mediatore svolto alcuna attività) e che il recesso sarebbe comunque stato esercitato nel termine previsto dall'art. 64 del codice del consumo.

La questione

È sindacabile sotto il profilo della vessatorietà la clausola con la quale, in un contratto di mediazione concluso con un consumatore, si prevede l'obbligo di pagare una somma predeterminata a fronte dell'esercizio del recesso indipendentemente dall'attività effettivamente svolta dal mediatore?

Le soluzioni giuridiche

Esclusa la violazione dell'art. 64 del codice del consumo (non risultando il contratto concluso fuori dai locali commerciali), la Suprema Corte cassa la decisione impugnata nella parte in cui la stessa non ha correttamente svolto il sindacato in ordine alla vessatorietà della clausola.

A tale conclusione la decisione che si annota giunge richiamando preliminarmente la giurisprudenza della Corte di giustizia che, da tempo, è impegnata (conformemente al sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13) a riequilibrare le asimmetrie esistenti nel rapporto tra imprenditore e consumatore anche mediante un sindacato officioso dalla vessatorietà delle clausole contrattuali.

Secondo la Corte di cassazione dall'art. 33, co. 1, cod. cons. emerge che lo squilibrio avente ad oggetto il complesso dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto (e non quello relativo al mero valore delle reciproche prestazioni) costituisce indice univoco della vessatorietà della clausola. Sindacato di vessatorietà che, con riferimento al caso concreto, non può essere escluso dall'inerenza della clausola all'oggetto del contratto o all'adeguatezza del corrispettivo (art. 34, co. 2, cod. cons.) e dalla presenza (non provata dal mediatore) di una trattativa tra le parti.

Ancora, la Suprema Corte osserva come il giudice del merito non abbia considerato che, come già affermato da Cass. civ., sez. III, 3 novembre 2010, n. 22357, il compenso spettante al mediatore in caso di mancata conclusione dell'affare trova giustificazione nello svolgimento di una concreta attività di ricerca dei terzi interessati all'affare. Tanto considerata la necessità di preservare il sinallagma contrattuale. Proprio alla luce del rispetto del sinallagma la sentenza che si annota ha esteso il principio affermato da Cass. civ., sez. III, 3 novembre 2010, n. 22357 alla prestazione dovuta in caso di esercizio del diritto potestativo di recesso; prestazione che, pertanto, dovrà essere pur sempre parametrata al tempo impiegato ed all'attività svolta dal mediatore. Una clausola attributiva del diritto al compenso indipendentemente dall'effettiva attività di ricerca di terzi interessati all'affare comporta invece l'attribuzione all'agente immobiliare di una rendita di posizione che incide negativamente l'equilibrio contrattuale cui ha riguardo l'art. 33 cod. cons.

Secondo la Corte il giudice del merito non ha svolto alcun sindacato in ordine alla vessatorietà della clausola (così violando quel doveroso intervento giudiziale destinato a riequilibrare l'asimmetria esistente tra le parti cui la Corte di giustizia fa riferimento in modo ormai costante).

Ancora, secondo la Suprema Corte, il giudice del merito non ha valutato la vessatorietà della clausola anche con riferimento all'art. 33 lettera e), sì che la decisione impugnata deve essere cassata anche con riferimento a tale profilo.

Osservazioni

La sentenza che si annota si segnala per l'aggiornato richiamo di talune decisioni della Corte di giustizia che confermano l'obbligo per il giudice nazionale di esercitare poteri officiosi a tutela del consumatore. Poteri funzionali alla realizzazione degli obiettivi degli artt. 6 (riequilibrio della posizione asimmetrica dei contraenti) e 7 (disincentivo all'impiego, per il futuro, di analoghe clausole da parte del professionista) della direttiva 93/13/CEE. Poteri che fanno del giudice nazionale il protagonista di un'immane opera di prevenzione ed eliminazione dei piccoli fallimenti del mercato. Non può peraltro non osservarsi come l'obbligatorio sindacato di vessatorietà debba essere condotto dal giudice alla luce degli indici previsti dall'art. 34, co. 1, cod. cons.

Diviene allora importante valutare adeguatamente la natura della clausola (potenzialmente) vessatoria. La sentenza che si annota non pare, in verità, qualificare in modo univoco la clausola oggetto del giudizio (il cui contenuto non risulta ritrascritto). Se, infatti, secondo quanto emerge dalla decisione, le somme oggetto di ingiunzione di pagamento sono state riconosciute in sede monitoria a titolo di penale (e tale viene qualificata la clausola anche al capo 3.3 della sentenza), la Suprema Corte rileva anche d'ufficio la possibile vessatorietà, ai sensi dell'art. 33, co. 2, lett. e) del codice del consumo, della (parrebbe medesima) clausola. Fermo restando che la richiesta da parte del mediatore di un decreto ingiuntivo pare difficilmente compatibile con una clausola che attribuisca a tale parte il diritto di “trattenere” una somma versata dal consumatore (così la disposizione da ultimo citata) le brevi considerazioni che seguiranno saranno limitate alla qualificazione della clausola come penale.

Una simile qualificazione, per la verità, consente di affermare in modo piuttosto agevole l'esistenza di spazi per l'esercizio del sindacato di vessatorietà, dovendo escludersi che la clausola in questione sia riconducibile al contenuto del contratto cui ha riguardo l'art. 34, co. 2, cod. cons. La questione non è di poco conto ove si consideri che il principio affermato da Cass. civ., sez. III, 3 novembre 2010, n. 22357 (esplicitamente esteso -dalla sentenza qui in esame- al caso di corrispettivo pattuito per il recesso) è stato da alcuni ritenuto, in astratto, poco compatibile proprio con la disposizione da ultimo citata (Guerrini, 377).

Ancora, qualificata la clausola come penale dovrebbe venire in più immediato rilievo l'art. 33, co. 2, lett. f) del codice del consumo con la conseguente necessità di indagare il carattere “manifestamente eccessivo” della prestazione dovuta dal consumatore. Indagine in astratto non semplice (stante la voluta genericità della disposizione ed il non sempre agevole reperimento di parametri alla stregua dei quali svolgere il sindacato di manifesta eccessività) e da condurre avendo riguardo ai canoni indicati dalla Corte di giustizia a partire dalla decisione 14 marzo 2013, C-415/11, Aziz.

Infine, la qualificazione della clausola in termini di clausola penale è -verosimilmente- destinata ad assumere significativo rilievo anche nella prospettiva del rimedio da adottare a fronte dell'accertata vessatorietà. La Corte di Lussemburgo ha, infatti, sino ad oggi valorizzato la dimensione dissuasiva del rimedio, escludendo la possibilità di integrare la clausola vessatoria (la cui caducazione non comporti caducazione integrale del contratto) con una norma suppletiva o per effetto di un potere del giudice (si pensi, ad es., all'art. 1384 c.c.). In questo senso, tra le tante, Corte di giustizia, 14 giugno 2012, C-618/10, Banco Español de Crédito SA, Corte di giustizia, 30 maggio 2013, C-488/11, Asbeek Brusse. Pertanto, con riferimento al caso esaminato dalla sentenza che si annota, seguendo l'orientamento della giurisprudenza sovranazionale, l'accertamento della vessatorietà della clausola dovrebbe comportare il mancato riconoscimento di qualsivoglia somma a titolo di penale. Resterebbe esclusa la possibilità di una riduzione ai sensi dell'art. 1384 c.c. e fermo, invece, il diritto del professionista di agire autonomamente per far valere il diritto al risarcimento del danno (non oggetto, tuttavia, di preventiva liquidazione in via negoziale).

Da ultimo, pare opportuno rilevare come l'orientamento della Corte di Lussemburgo ostile alla integrazione del contratto contenente una clausola vessatoria sia stato (con riferimento ad una clausola diversa da quella penale) smentito dalla recente decisione Corte di giustizia, 16 luglio 2020, C-224/19, Caixabank SA. Non può escludersi, allo stato, che tale ultima decisione possa essere un primo momento di bilanciamento di quei caratteri della proporzionalità e della dissuasività che, entrambi, devono connotare il rimedio nella dimensione eurounitaria.

Riferimenti
  • BARENGHI, Diritto dei consumatori, Padova, 2020;
  • D'AMICO-PAGLIANTINI, Nullità per abuso ed integrazione del contratto, Torino, 2013;
  • GUERRINI, Mediazione “atipica” e vessatorietà: la Cassazione apre al sindacato sull'equilibrio economico del contratto?, in Danno e resp., 2011, 4, 373 ss.;
  • SIRENA, Il giudizio di vessatorietà delle clausole II – I limiti oggettivi del giudizio di abusività, in Gabrielli – Minervini, I contratti dei consumatori, I, 2005, pp. 134 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.