Le spese di lite nell'assicurazione della responsabilità civile

23 Febbraio 2021

L'assicurato contro i rischi della responsabilità civile ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato, entro i limiti del massimale.
Massima

L'assicurato contro i rischi della responsabilità civile ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato, entro i limiti del massimale; nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa del terzo danneggiato, anche in eccedenza rispetto al massimale, purché entro il limite stabilito dall'art. 1917, comma 3, c.c..

Il caso

Un condomino, proprietario di un'unità immobiliare, agiva in giudizio nei confronti sia del condominio che del proprietario del soprastante immobile, al fine di ottenere il risarcimento dei danni da infiltrazioni subiti dal proprio appartamento. Il condomino convenuto chiamava in causa, in garanzia, la compagnia che ne assicurava la responsabilità civile.

Il Tribunale di Napoli accoglieva parzialmente la domanda risarcitoria, condannando entrambi i convenuti – nella misura rispettiva di 2/3 a carico del primo e di 1/3 a carico del secondo – al risarcimento dei danni, oltre che al pagamento delle spese di lite in favore dell'attore, dichiarando invece prescritta la domanda di manleva proposta dal proprietario del soprastante immobile nei confronti del proprio assicuratore.

La Corte d'appello di Napoli, pronunciando sul gravame proposto dall'assicurato, escludeva invece la prescrizione del relativo diritto, condannando dunque l'assicuratore "a rivalere il predetto appellante di tutte le somme poste a suo carico ed a favore di parte attrice dalla sentenza appellata e dalla presente sentenza, ivi comprese le spese di CTU e le spese di giudizio".

L'assicurato proponeva quindi ricorso per cassazione lamentando la violazione dell'art. 1917, comma 3, c.c., oltre che dell'art. 112 c.p.c., per avere la Corte d'appello omesso la regolamentazione degli esborsi e compensi professionali nell'ambito del rapporto assicurato-assicuratore, essendosi limitata a condannare l'assicuratore a rifondere all'assicurato le sole spese di soccombenza, senza accordare anche quelle di resistenza.

La questione

Nell'ordinanza in commento la S.C., al fine di decidere sul ricorso proposto dall'assicurato, è stata chiamata a chiarire se, entro quali limiti e su quali presupposti l'assicuratore sia tenuto a rifondere all'assicurato le spese legali c.d. di resistenza. In tale prospettiva, ha individuato e distinto i diversi tipi di spese di lite che possono sorgere nell'ambito del contratto di assicurazione della responsabilità civile, precisando la natura di ciascuna categoria e la disciplina applicabile.

Le soluzioni giuridiche

Nella pronuncia in commento la S.C. ha innanzitutto chiarito che l'assicurato contro i rischi della responsabilità civile può andare incontro a tre diversi tipi di spese processuali:

a) le spese di soccombenza, cioè quelle che egli è tenuto a rifondere alla parte avversa vittoriosa, in conseguenza della condanna alle spese posta a suo carico dal giudice;

b) le spese di resistenza, cioè quelle sostenute per remunerare il proprio difensore ed eventualmente i propri consulenti, allo scopo di resistere alla pretesa attorea;

c) le spese di chiamata in causa, cioè quelle sostenute per convenire in giudizio il proprio assicuratore, chiedendogli di essere tenuto in caso di accoglimento della pretesa del terzo danneggiato”.

Partendo da tale tripartizione, la Cassazione ha quindi osservato che:

a) le prime (spese di soccombenza) costituiscono una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito commesso dall'assicurato – ossia, nella sostanza, costituiscono un possibile danno – sicché l'assicurato ha diritto di ripeterle dall'assicuratore, sul quale gravano interamente, nei limiti del massimale (salva, ovviamente, l'ipotesi di mala gestio);

b) le seconde (spese di resistenza), invece, non costituiscono propriamente una conseguenza del fatto illecito, bensì rientrano nel genus delle spese di salvataggio (art. 1914 c.c.), in quanto sostenute per un interesse comune all'assicurato e all'assicuratore; esse sono a carico dell'assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata (e, quindi, al di là della somma assicurata), come stabilito dall'art. 1917 co. 3 c.c. prima parte;

c) le terze (spese di chiamata in causa), rappresentate dagli oneri sostenuti per chiamare in causa l'assicuratore ex art. 1917, comma 4, c.c., non costituiscono né conseguenze del rischio assicurato né spese di salvataggio ma comuni spese processuali, sostenute per coltivare una causa distinta ma connessa, soggette alla disciplina generale degli artt. 91 e 92 c.p.c.

Alla luce del fatto che, nel caso di specie, la Corte d'appello aveva condannato l'assicuratore della responsabilità civile – nei cui confronti la domanda di garanzia era stata accolta – a rifondere all'assicurato unicamente le spese di soccombenza, senza che fosse stato condannato anche al pagamento delle spese di resistenza, la S.C. ha rilevato la violazione dell'art. 1917, comma 3, c.c., precisando che il giudice di secondo grado ha negato all'assicurato un diritto che costituisce un effetto naturale, ex art. 1374 c.c., del contratto di assicurazione della responsabilità civile.

Osservazioni

La tripartizione espressa dalla S.C. è stata oggetto di esame da parte sia della giurisprudenza che della dottrina (part. ROSSETTI, Il diritto delle assicurazioni, vol. III, 2013, p. 85 e ss.) che – in base all'esito delle due domande proposte, una di seguito all'altra, all'interno dell'unico giudizio (ossia, 1] quella risarcitoria del danneggiato nei confronti dell'assicurato e 2] quella di garanzia assicurativa di quest'ultimo nei confronti dell'assicuratore) – ha individuato i seguenti possibili scenari:

a) se entrambe le domande vengono accolte, l'assicuratore deve rifondere all'assicurato tutte e tre le spese (le prime due nei limiti anzidetti e l'ultima senza alcun limite, salva la compensazione);

b) se la prima domanda viene rigettata, con la conseguenza che la seconda rimane assorbita, ai fini del regolamento delle spese il giudice sarà chiamato a valutare incidentalmente anche la domanda di garanzia, per determinare quale sarebbe stato, verosimilmente, il soggetto soccombente (cfr. Cass. 6 dicembre 2019, n. 31889; Cass. 25/9/2019, n. 23948; Cass. 18 dicembre 2015, n. 25541; Cass. 10 novembre 2011, n. 23552; Cass. 28 agosto 2007, n. 18205):

1) se tale domanda è da considerarsi virtualmente fondata, allora è a carico dell'attore soccombente che vanno poste tanto le spese di lite sopportate dall'assicurato quanto quelle sostenute dall'assicuratore, sempre salva una possibile compensazione delle stesse (cfr. Cass. 8 febbraio 2016, n. 2492; Cass. 20 ottobre 2014, n. 22234; Cass. 14 maggio 2012, n. 7431);

2) se invece tale domanda è da considerarsi virtualmente infondata, allora l'attore dovrà essere condannato al pagamento delle spese legali dell'assicurato ma quest'ultimo dovrà sopportare le spese legali dell'assicuratore (cfr. Cass. 21 febbraio 2018, n. 4195; Cass. 21 aprile 2017, n. 10070; Cass. 8 aprile 2010, n. 8363);

c) se la prima domanda viene accolta ma la seconda è rigettata, l'assicuratore non dovrà rifondere nulla all'assicurato e avrà anzi diritto di vedersi riconoscere da quest'ultimo le proprie spese di lite, salva la compensazione.

Delle tre categorie summenzionate, merita un'attenzione particolare quella delle spese di resistenza.

Ai sensi dell'art. 1932 c.c., la disposizione di cui all'art. 1917, comma 3, c.c. non può essere derogata se non in senso più favorevole all'assicurato.

Comunemente però all'interno delle condizioni generali del contratto di assicurazione è presente il c.d. patto di gestione della lite. Di tale patto fa normalmente parte anche una clausola di chiusura secondo la quale l'assicuratore non riconosce le spese incontrate dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da esso designati. Ci si è quindi chiesti se una clausola di questo tipo costituisca una valida deroga della disciplina legale.

La S.C., chiamata a pronunciarsi sul punto, ha chiarito che “un tale patto (di gestione della lite) non si pone in contrasto con la previsione di cui all'art. 1917 c.c., comma 3, dal momento che, con esso, si realizza comunque lo scopo voluto dalla norma, che è quello, per l'appunto, di tenere indenne l'assicurato dalle spese di resistenza in giudizio”, con la rilevante precisazione che “detta valutazione non può non estendersi anche alla clausola in virtù della quale, in presenza di detto patto, il diniego di rimborso da parte dell'assicuratore diviene giustificato ove l'assicurato decida di non avvalersi della difesa offerta direttamente dalla compagnia, trattandosi di ragionevole corollario di quel patto volto a tutelare il sinallagma contrattuale” (Cass. 19 febbraio 2020, n. 4202).

Ciò significa che, in presenza di tale clausola, la scelta dell'assicurato di non avvalersi di tale patto giustifica l'esclusione del rimborso delle spese legali di resistenza.

Sull'argomento, si segnala una recente sentenza di merito (Trib. Milano 31/8/2020, n. 5152/2020) in cui, in un caso rientrante nell'ipotesi b1 di cui sopra, le spese legali dell'assicuratore sono state poste a carico dell'assicurato (e non dell'attore soccombente), per aver l'assicurato duplicato i costi di difesa attraverso la decisione di rinunciare ad avvalersi della gestione della lite da parte dell'assicuratore.

Al di là dell'esistenza di un patto di gestione della lite, va comunque evidenziato che l'obbligo di cui all'art. 1917, comma 3, c.c. è fondato sull'attualità della domanda del terzo danneggiato e sul perseguimento di un risultato utile per entrambe le parti, interessate nel respingerla.

In questa prospettiva e con riferimento ad una di quelle ipotesi eccezionali (nella fattispecie, r.c. auto) in cui l'attore-danneggiato ha azione diretta nei confronti dell'assicuratore, la S.C. ha chiarito che il diritto alla rifusione delle spese di resistenza non è sempre dovuto, dovendo essere escluso “in ossequio ai doveri di correttezza e buona fede, quando l'assicurato abbia scelto di difendersi senza avere interesse a resistere alla avversa domanda o senza poter ricavare utilità dalla costituzione in giudizio”, in quanto l'assicurato “in virtù del generale dovere di correttezza e buona fede, di cui è indice normativo l'obbligo di salvataggio previsto dall'art. 1914 c.c., non può aggravare la posizione dell'assicuratore con iniziative che, al momento in cui vengono tenute, non appaiano idonee ad arrecargli alcun concreto vantaggio” (Cass. 20 aprile 2017, n. 9948; Cass. 19 marzo 2015, n. 5479).

Alla luce dei suddetti principi e del fatto che condizione – necessaria ma non sufficiente – per l'insorgenza di tale obbligazione è l'esistenza di una domanda risarcitoria, in dottrina e giurisprudenza è stato chiarito che l'obbligazione accessoria di cui all'art. 1917, comma 3, c.c. vale anche per le spese del procedimento penale promosso nei confronti dell'assicurato ma solamente quando intrapreso a seguito di denuncia o querela del terzo danneggiato o nel quale questi si sia costituito parte civile (cfr. Cass. 18 gennaio 2016, n. 667).

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