Intercettazioni tra presenti: per la Cassazione sono da considerarsi prove documentali valide in giudizio

Ilenia Alagna
04 Marzo 2021

Le registrazioni dei privati in aree condominiali o a uso comune costituiscono prove documentali valide in giudizio e, nei procedimenti per stalking, possono essere poste a fondamento della misura di prevenzione del divieto di avvicinamento, disposta in vista dell'imputazione per atti persecutori.
Massima

Le registrazioni dei privati in aree condominiali o a uso comune costituiscono prove documentali valide in giudizio e, nei procedimenti per stalking, possono essere poste a fondamento della misura di prevenzione del divieto di avvicinamento, disposta in vista dell'imputazione per atti persecutori. La Corte di Cassazione ha dunque respinto il ricorso che sosteneva la violazione del regime autorizzatorio per l'acquisizione della prova atipica.

Il caso

La questione riguarda il titolare di uno studio professionale indagato per atti persecutori nei confronti di una collega e contitolare dello studio. Nell'ambito del relativo procedimento, il Giudice per le indagini preliminari applicava al presunto responsabile la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa. Quest'ultimo impugnava il provvedimento con ricorso davanti alla Corte di Cassazione, poiché lo stesso, a suo dire, era emanato sulla scorta di videoregistrazioni inutilizzabili, effettuate all'interno dello studio professionale condiviso dalle parti, nonché nelle aree condominiali. In particolare, si evidenziava la violazione delle norme processuali in tema di acquisizione di intercettazioni video e audio.

La questione

Sono utilizzabili o meno le registrazioni effettuate negli spazi privati, in violazione della tutela domiciliare? Sono ammissibili ai fini della prova documentale quelle che il denunciante ha realizzato in aree condominiali o di uso comune?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 32544/2020, rigetta il ricorso del titolare dello studio professionale contro il divieto di avvicinamento, disposta in vista dell'imputazione per atti persecutori, poiché fondato sulle registrazioni realizzate dal collega di studio. La Cassazione ritiene che nel caso di specie non si tratta di videoregistrazioni della polizia giudiziaria basate sull'articolo 266 del Codice di procedura penale come lamentato dal ricorrente, bensì di registrazioni effettuate in proprio dalla parte lesa. Nel caso in esame la Cassazione ribadisce che sono inutilizzabili le registrazioni effettuate negli spazi privati, in violazione della tutela domiciliare, statuendo al contempo che sono ammissibili ai fini della prova documentale quelle che il denunciante aveva realizzato in aree condominiali o di uso comune. L'art. 234 c.p.p. relativo alla prova documentale consente, infatti, l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo, realizzati senza violazione del domicilio, e le parti comuni non rientrano certo nella nozione di domicilio. Il provvedimento analizzato offre interessanti spunti di riflessione sulla idoneità o meno degli spazi condominiali a costituire luoghi in cui si esplica la vita privata dei singoli, con specifico riferimento alla legittimità e ai limiti dei sistemi di videosorveglianza posti a presidio delle parti comuni. La tutela della sfera privata di un soggetto si attiva nel momento in cui si oltrepassa quel confine fisico che separa gli spazi comuni ed aperti ad un numero indeterminato di soggetti (come le parti comuni di un condominio) da quegli ambienti con i quali è invece in essere una relazione esclusiva. Il carattere dell'esclusività è dato dalla facoltà del titolare del diritto di escludere quanti non condividano una analoga relazione con il medesimo bene. Si tratta quindi di quegli ambienti in cui si svolge la vita privata di ognuno (ad es. l'abitazione, un luogo di lavoro privato come un ufficio o uno studio professionale, una stanza d'albergo).

È pertanto fondamentale, ai fini dell'applicazione delle norme poste a tutela della sfera privata, stabilire se si sia o meno superato tale confine. Occorre cioè determinare se il luogo oggetto dell'altrui interferenza sia o meno funzionale all'espressione della propria intimità secondo quella relazione esclusiva tra il luogo stesso ed il soggetto. Anche per la giurisprudenza di merito “le registrazioni, video e/o sonore, tra presenti, o anche di una conversazione telefonica, effettuata da uno dei partecipi al colloquio, o da una persona autorizzata ad assistervi, costituisce prova documentale valida e particolarmente attendibile, perché cristallizza in via definitiva ed oggettiva un fatto storico” (Tribunale Pescara Sentenza, 23 settembre 2019). Anche la Sezione Lavoro della Cassazione Civile ha evidenziato “l'utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente ed i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell'imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall'altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati personali con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio; ne consegue che è legittima, ed inidonea ad integrare un illecito disciplinare, la condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto”. In una precedente decisione (n. 21027 del 21 febbraio 2020), la Corte aveva stabilito anche che le videoregistrazioni effettuate dai privati con telecamere di sicurezza sono prove documentali, acquisibili ex art. 234 c.p.p., sicché i fotogrammi estrapolati da detti filmati ed inseriti in annotazioni di servizio non possono essere considerati prove illegittimamente acquisite e non ricadono nella sanzione processuale di inutilizzabilità.

Alla luce dei principi enunciati dalla sentenza in oggetto e dall'orientamento giurisprudenziale dalla stessa recepito, le aree condominiali non rientrano nella disciplina posta a tutela della sfera privata dei singoli, la quale non risulta essere messa in pericolo dalla presenza di un sistema di videosorveglianza condominiale che si limiti a presidiare le parti comuni per esigenze di sicurezza e rispetti le norme in materia di protezione dei dati personali.

Osservazioni

Negli ultimi anni la Cassazione, in diversi provvedimenti compreso quello ora analizzato, si è dimostrata attenta e sensibile ai numerosi casi di stalking nel nostro paese. Come conferma il provvedimento in commento, l'indagato per stalking può essere raggiunto, infatti, dalla misura cautelare del divieto di avvicinamento alla propria vittima se ripreso dalle telecamere installate per controllare le parti comuni del condominio poiché le stesse non violano la privacy.
Inoltre se lo stalker si rivela particolarmente insistente nei confronti della propria vittima, è, altresì legittimo che gli venga imposto il divieto di avvicinamento o di dimora anche se questi luoghi coincidono con il luogo in cui lavora o abita.

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