La natura del danno da occupazione illegittima

23 Marzo 2021

Il danno subito dal proprietario cessionario di un immobile nel caso di occupazione illegittima derivante dall'inadempimento degli obblighi assunti con il contratto preliminare di vendita e con il contratto definitivo di compravendita, oggetto di cessione, non può ritenersi sussistente in re ipsa, bensì ha natura di danno conseguenza. Pertanto, esso deve essere allegato e provato anche a mezzo di presunzioni semplici.
Massima

Il danno subito dal proprietario cessionario di un immobile nel caso di occupazione illegittima derivante dall'inadempimento degli obblighi assunti con il contratto preliminare di vendita e con il contratto definitivo di compravendita, oggetto di cessione, non può ritenersi sussistente in re ipsa, bensì ha natura di danno conseguenza. Pertanto, esso deve essere allegato e provato anche a mezzo di presunzioni semplici.

Il danno per mancato guadagno dell'acquirente cessionaria, dovuto all'inadempimento della parte appellata, deve essere risarcito e commisurato al valore del contratto non concluso, a far data dalla regolarizzazione formale dell'immobile.

Il caso

La s.r.l. Alfa in proprio e quale cessionaria, citava in giudizio davanti al Tribunale la s.n.c. Beta per ottenere il risarcimento dei danni subiti, a seguito dell'inadempimento del contratto preliminare di vendita e del successivo contratto di compravendita, oggetto di cessione di un immobile a uso commerciale, concluso tra la convenuta e la S.p.A. Zeta cedente.

Il giudice di prime cure rilevava che Beta avrebbe dovuto consegnare l'immobile ed effettuare delle opere entro una determinata data a Zeta, che aveva intanto venduto l'immobile ad Alfa con cessione dei diritti risarcitori derivanti dalla mancata consegna del bene. Esaminata la domanda risarcitoria, rilevava che, dal termine di consegna del bene e quello di entrata in possesso dello stesso, non era stato trovato un locatario, nonostante l'incarico affidato da parte attrice a un mediatore e i testi escussi sul tema fossero stati vaghi e contraddittori; nonché che, nel periodo successivo all'entrata in possesso del bene, non vi fossero prove utili a dimostrare la ricerca di un conduttore da parte di Alfa. Ciò posto, concludeva rigettando le pretese attoree.

Dunque, Alfa appella la sentenza di primo grado, eccependo tre motivi, che sono stati parzialmente ritenuti fondati dal giudice di seconde cure, il quale riforma parzialmente il provvedimento, afferma l'inadempimento del contratto di compravendita da parte di Beta e la condanna al risarcimento danni, compensando tra le parti le spese di primo e secondo grado di giudizio.

La questione

Quando ricorre il danno in re ipsa? L'inadempimento contrattuale richiede un onere probatorio in capo alla parte attrice? Nel caso di specie, la prova può darsi a mezzo di presunzioni semplici e desumersi da elementi indiziari? Le clausole del contratto preliminare a garanzia del rilascio di un immobile vincolano le parti anche nell'ipotesi di inadempimento?

Le soluzioni giuridiche

La configurazione della responsabilità. La Corte di Appello ha ritenuto fondati in parte i motivi di ricorso, affermando l'inadempimento del contratto preliminare e del contratto definitivo di compravendita e, conseguentemente, la responsabilità del convenuto sul mancato rispetto dell'obbligazione di consegna dell'immobile completo delle opere edili e impiantistiche necessarie per rendere autonoma la porzione di fabbricato oggetto di vendita nei termini prestabiliti, nonché sull'utilizzazione degli spazi venduti da parte dello stesso sino alla sostituzione delle serrature effettuata dall'acquirente.

La fattispecie del danno. Il giudice di seconde cure rileva che la conseguenza dell'inadempimento è il diritto dell'appellante al risarcimento del danno, che non può essere duplicato nella mancanza di godimento dell'immobile e nell'impossibilità a locarlo, poiché il suo utilizzo a fini commerciali comporta il godimento del bene stesso.

Il danno in re ipsa e la prova dell'occupazione illegittima. L'utilizzazione dei locali venduti da parte dell'appellata sino al subentro del nuovo proprietario non può definirsi abusiva e illegittima, poiché tollerata di fatto. Tale comportamento delle parti, qualificato dal giudice di prime cure come contratto di comodato, non integra tale fattispecie contrattuale, bensì conferma l'insussistenza del diritto dell'appellante di ottenere una indennità di abusiva occupazione sino a quella data. Il giudice di seconde cure conferma quanto deciso in primo grado in ordine alla natura del danno da occupazione illegittima, che non può ritenersi sussistente in re ipsa, ovvero non si identifica con l'evento dannoso, bensì è un danno conseguenza, che deve essere accertato e provato, sia pure a mezzo di presunzioni semplici.

La clausola del contratto preliminare. La clausola del contratto preliminare, che prevedeva un deposito fiduciario «a garanzia del rilascio dell'immobile e di eventuali problematiche che fossero potute insorgere successivamente alla stipula» dell'atto stesso, non può applicarsi «a parziale ristoro del danno subito» dall'acquirente, poiché essa non aveva finalità risarcitorie, bensì era subordinata alla realizzazione delle prestazioni contrattuali.

I profili risarcitori. La Corte di Appello conferma la decisione del giudice di primo grado di rigetto della domanda risarcitoria del danno da occupazione abusiva dell'immobile per mancanza di prove anche presuntive. Tuttavia, afferma che la mancata locazione dell'immobile da parte dell'appellante a seguito dell'inadempimento dell'appellata concretizzi un danno per mancato guadagno, che deve essere commisurato al tempo utile per la ricerca di un conduttore, a quello necessario per la conclusione del contratto di locazione, nonché al canone annuo presumibilmente applicabile, parametrato a quello della proposta pervenuta prima della regolarizzazione dell'immobile. Inoltre, il giudice di seconde cure riconosce il diritto dell'appellata al rimborso delle fatture relative alle consulenze in materia urbanistica ed edilizia riferite ai lavori edilizi sopportate dall'appellante a causa dei ritardi dell'appellata, «poiché contrattualmente a carico dell'alienante»; compensa le spese di primo e di secondo grado di giudizio, valutando, da una parte, l'inadempimento del convenuto agli obblighi contrattuali e, dall'altra, «le pretese risarcitorie esorbitanti e fondate in minima parte» dell'attrice.

Osservazioni

La natura del danno da occupazione illegittima, nel senso trattato nella sentenza in esame, è stata oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale.

Secondo l'orientamento recente della giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass., sez. VI, sent. 15 gennaio 2021, n. 659), nell'ipotesi di occupazione senza titolo di un immobile altrui, il proprietario subisce un danno in re ipsa, che deriva dalla perdita della disponibilità del bene e dall'impossibilità di conseguire l'utilità ricavabile dal bene stesso per la sua natura normalmente fruttifera. La liquidazione del danno «può essere operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al cosiddetto danno figurativo, qual è il valore locativo del bene usurpato» (Cass., sez. VI -2, ord. 28 agosto 2018, n. 21239).

La Suprema Corte (Cass., sez. III, sent. 24 aprile 2019, n. 11203) ritenendo che la predetta fattispecie di danno possa comportare «l'emersione surrettizia di un danno punitivo praeter legem», ammissibile soltanto nelle ipotesi espressamente previste dal legislatore (art. 23 Cost.), lo considera tale in senso descrittivo, «cioè di normale inerenza del pregiudizio all'impossibilità stessa di disporre del bene, senza comunque far venir meno l'onere per l'attore quanto meno di allegare, e anche di provare, con l'ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio, ossia che se egli avesse immediatamente recuperato la disponibilità dell'immobile, l'avrebbe subito impiegato per finalità produttive, quali il suo godimento diretto o la sua locazione» (Cass., sez. VI-3, sent. n. 25898/2016).

Dunque, l'ordinamento pur riconoscendo la natura polifunzionale della responsabilità civile (C. Granelli, In tema di danni punitivi, su Responsabilità civile e Previdenza, n. 6/2014) accanto alla generale funzione ripristinatoria, collega la pretesa risarcitoria al concreto pregiudizio accertato, poiché, diversamente, l'esonero del danneggiato dall'onere di allegazione concretizzerebbe una presunzione di natura sostanzialmente punitiva, in contrasto con il principio secondo il quale il superamento delle finalità compensative dello strumento risarcitorio è riservato al legislatore (Cass., Sez. Un., sent. 5 luglio 2017, n. 16601).

Secondo altro orientamento giurisprudenziale, il danno da perdita di chance non coincide con l'evento dannoso, bensì concretizza un danno conseguenza, ovvero un pregiudizio patrimoniale basato sull'impossibilità a locare l'immobile, che il danneggiato ha l'onere di provare.

Corollario di tale impostazione esegetica è la ricostruzione estensiva dell'ambito della responsabilità per inadempimento, dovuta all'ampia applicazione dell'art. 1173 c.c. e del canone di vicinanza della prova, in forza del quale «ciascuna delle parti di un rapporto giuridico ha l'onere di dimostrare i fatti che ricadono nella sua diretta disponibilità».

Si rammenta che in materia contrattuale il nesso eziologico tra danno evento e danno conseguenza può essere spezzato da concause, ovvero fattori esterni quali il caso fortuito. Pertanto, nel caso di specie, si può affermare che il regime probatorio influenza e definisce lo strumento risarcitorio, poiché rileva l'accertamento dell'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto.

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