Videosorveglianza e mancanza di accordo sindacale: non si lede la privacy dei dipendenti se la finalità è tutelare il patrimonio aziendale

Ilenia Alagna
08 Aprile 2021

La Cassazione ha chiarito che l'installazione di un impianto di videosorveglianza, in assenza di accordi sindacali, è lecita se risponde alla finalità di tutela del patrimonio aziendale e non consente di verificare lo svolgimento delle attività lavorative dei dipendenti.
Massima

L'installazione di un impianto di videosorveglianza, in assenza di accordi con le parti sindacali, è lecita solamente qualora abbia come finalità la tutela del patrimonio aziendale e soprattutto quando non è in grado di verificare l'ordinario svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti.

Il caso

Tizio, titolare di una ditta esercente l'attività di commercio al dettaglio, aveva installato degli impianti video all'interno dell'azienda utilizzabili per il controllo a distanza dei dipendenti, senza aver richiesto l'accordo delle rappresentanze sindacali aziendali o dell'Ispettorato del lavoro.

Conseguentemente al primo e secondo grado di giudizio, Tizio, a mezzo del proprio difensore, presentava ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale, articolando due specifici motivi.

Con il primo motivo, denunciava violazione di legge, in riferimento agli artt. 4, commi 1 e 2, e 38 legge 20 maggio 1970, n. 300, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., avendo riguardo alla configurabilità del reato ritenuto in sentenza.
Nell'atto di difesa, il difensore di Tizio deduceva che gli impianti video installati non erano strumenti di controllo lesivi della libertà e dignità dei lavoratori, bensì sistemi difensivi a tutela del patrimonio aziendale. Si rappresentava, inoltre, che questi impianti erano stati adottati a seguito del verificarsi di mancanze di merce nel magazzino ed erano rivolti solo verso la cassa e le scaffalature.
Con il secondo motivo, si denunciava il vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato ritenuto in sentenza.
Si deduceva, altresì, che il Provvedimento impugnato si poneva in contrasto con le risultanze istruttorie, e, in particolare con le dichiarazioni della moglie dell'imputato, dalle quali si desumeva come gli impianti erano stati installati a tutela del patrimonio aziendale, e non per controllare l'attività dei dipendenti.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3255 del 27 gennaio 2021 ha stabilito che l'installazione di un impianto di videosorveglianza, in assenza di accordi con i sindacati, è lecito solo quando ha come unico scopo il controllo del patrimonio aziendale e soprattutto quando non è in grado di verificare l'ordinario svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti.

La terza sezione penale ha raggiunto le seguenti conclusioni ripercorrendo gli elementi discordanti sul tema, secondo cui deve escludersi la configurazione del reato inerente l'inosservanza della disciplina di cui all'art. 4 legge 20 maggio 1970, n. 300, quando l'impianto audiovisivo o di controllo a distanza, ancorché installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali, o di autorizzazione dell'ispettorato del lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre, però, che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull'ordinario svolgimento dell'attività lavorativa del dipendente, e debba restare necessariamente “riservato” per consentire l'accertamento di gravi condotte lecite degli stessi.

Il Collegio di legittimità chiarisce, inoltre, che l'art. 4 dello Statuto dei lavoratori prevede l'esigenza di un preventivo accordo con le organizzazioni sindacali, o di una preventiva autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro, ove derivi «anche» la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. La previsione normativa non sembra riferibile ad impianti che possano controllare in via del tutto occasionale l'attività del singolo dipendente, come, per esempio, potrebbero essere, almeno tendenzialmente, quelli puntati sulla cassaforte e sugli scaffali.

Con la sentenza in esame, i giudici giungono quindi ad un bilanciamento del diritto alla protezione dei dati personali dei dipendenti, da un lato, con il diritto alla tutela del patrimonio, dall'altro, avvalorando un'interpretazione dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori finalizzata a tutelare il dipendente nel solo caso che la videosorveglianza avesse la finalità propria del controllo a distanza e non quando questo possa avvenire saltuariamente e con una diversa finalità.

Questa sentenza costituisce un cambio di rotta rispetto ai precedenti indirizzi della Corte, i quali ricalcavano appieno l'assenso delle rappresentanze sindacali come uno dei momenti essenziali della procedura sottesa all'installazione degli impianti, derivando da ciò l'inderogabilità e la tassatività sia dei soggetti legittimati e sia della procedura autorizzativa di cui all'art. 4 Statuto dei lavoratori. Il mancato accordo con le rappresentanze sindacali dei lavoratori o del provvedimento alternativo di autorizzazione, comportavano, infatti, l'illegittimità dell'installazione dell'apparecchiatura che può essere sanzionata penalmente.

Le rappresentanze sindacali o l'organo pubblico regolamentano gli interessi dei lavoratori in quanto questi sono considerati soggetti deboli del rapporto di lavoro subordinato, rispetto all'imprenditore che, invece, presenta una maggiore forza economico-sociale.

Qualora il datore di lavoro non richieda l'autorizzazione alle rappresentanze sindacali unitarie o aziendali procedendo all'installazione degli impianti dai quali possa derivare un controllo a distanza dei lavoratori, viene a integrarsi l'oggettiva lesione degli interessi collettivi di cui le rappresentanze sindacali sono portatrici. Ciò si verifica poiché queste ultime sono deputate a riscontrare se gli impianti audiovisivi, dei quali il datore di lavoro intende avvalersi, presentino o meno, da un lato, l'idoneità a ledere la dignità dei lavoratori per la loro potenzialità di controllo a distanza, e di verificare, dall'altro, l'effettiva rispondenza di detti impianti alle esigenze tecnico-produttive o di sicurezza in modo da disciplinarne, attraverso l'accordo collettivo, le modalità e le condizioni d'uso e così liberare l'imprenditore dall'impedimento alla loro installazione (cfr. Cass. n. 22148 del 31 gennaio 2017).

Anche il Garante Privacy italiano ha in più occasioni ritenuto illecito il trattamento dei dati personali mediante sistemi di videosorveglianza, in assenza del rispetto delle garanzie di cui all'art. 4, comma 2, Statuto dei lavoratori e nonostante la sussistenza del consenso dei lavoratori (cfr. sul punto la relazione del Garante per la protezione dei dati personali, dell'anno 2013, pubblicata nel 2014).

Osservazioni

Per quanto il provvedimento in commento delinei un nuovo indirizzo in merito agli impianti di videosorveglianza nei luoghi di lavoro, è opportuno sul tema prendere altresì in esame le FAQ del 2020 (numero 9) fornite dal Garante per la privacy sul tema della videosorveglianza. Queste rappresentano un utile strumento chiarificatore per imprese e cittadini, limitandosi ad una funzione puramente ermeneutica, senza trascendere in interpretazioni innovative o riformiste cui ormai gli operatori del settore sono abituati.

In tali FAQ il Garante offre chiarimenti per i datori di lavoro circa le possibilità e le considerazioni da effettuare per installare un sistema di videosorveglianza nei locali aziendali. Posto infatti che l'installazione di videocamere sul luogo di lavoro non è vietata di per sé, sarà d'altro canto necessario per il datore di lavoro confrontarsi con gli obblighi e gli adempimenti previsti dall'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, che disciplina gli strumenti di controllo a distanza dei lavoratori, disponendo che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali possa derivare, anche potenzialmente, un controllo a distanza dei lavoratori possano essere impiegati solo ed esclusivamente per esigenze organizzative, produttive, di sicurezza e per la tutela del patrimonio aziendale.

Tali dispositivi possono essere installati negli ambienti di lavoro esclusivamente previo accordo stipulato con le rappresentanze sindacali o, laddove le rappresentanze sindacali non fossero presenti o in mancanza del raggiungimento di un accordo sindacale, previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro.

In ogni caso dovrà essere fornita al lavoratore adeguata informativa sulle modalità d'uso degli strumenti e di svolgimento dei controlli.

Con tali linee guida il Garante per la privacy recepisce e adegua al contesto normativo nazionale le linee guida EDPB sulla videosorveglianza adottate nel 2020, rendendole fruibili e di facile lettura per tutti i soggetti.

Uno strumento, dunque, di assoluta utilità per dirimere alcuni dubbi normativi e quesiti pratici che ricorrono nel momento in cui un soggetto decida di installare un sistema di videosorveglianza, sia esso collocato in casa propria o nei locali aziendali.

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