L’assicurazione contro gli infortuni mortali rientra nell’assicurazione danni o nell’assicurazione sulla vita?

Michele Liguori
27 Aprile 2021

L'assicurazione contro gli infortuni mortali rientra nell'assicurazione sulla vita e non in quella contro i danni. All'assicurazione contro gli infortuni mortali non si applica il principio indennitario in base al quale l'assicurato non può locupletare dall'adempimento dell'obbligazione indennitaria dell'impresa di assicurazione, anche nell'ipotesi in cui avesse pattuito un massimale più elevato, un risultato che lo ponga in una situazione patrimoniale più vantaggiosa di quella in cui versava precedentemente alla verificazione dell'evento-rischio.
Massima

L'assicurazione contro gli infortuni mortali rientra nell'assicurazione sulla vita e non in quella contro i danni.

All'assicurazione contro gli infortuni mortali non si applica il principio indennitario in base al quale l'assicurato non può locupletare dall'adempimento dell'obbligazione indennitaria dell'impresa di assicurazione, anche nell'ipotesi in cui avesse pattuito un massimale più elevato, un risultato che lo ponga in una situazione patrimoniale più vantaggiosa di quella in cui versava precedentemente alla verificazione dell'evento-rischio.

Nel caso di assicurazione contro gli infortuni mortali l'indennità si cumula con il risarcimento perché si è di fronte ad una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato che sopporta l'onere dei premi mentre l'indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante.

Il caso

Un elicottero, durante una missione di soccorso in montagna, precipita e provoca, tra l'altro, la morte del medico-trasportato.

Questi era soggetto assicurato in virtù di una polizza assicurativa cumulativa infortuni per il caso di morte stipulata dal vettore aereo per conto di chi spetta, ex art. 1891 c.c., con impresa di assicurazione italiana a favore del personale navigante e delle persone trasportate sugli aeromobili dello stesso vettore ed a beneficio degli eventuali eredi avente massimale di € 1.113.500,00.

Il figlio ed erede del de cuius (e da qui in poi, per brevità, beneficiario), in sede stragiudiziale, raggiunge un accordo transattivo con l'impresa di assicurazione straniera della R.C. del vettore aereo e:

  • percepisce l'importo € 450.000,00 a titolo di risarcimento del danno;
  • rilascia liberatoria, in favore del vettore aereo, da ogni ulteriore pretesa risarcitoria avanzata anche i sensi dell'art. 1916 c.c..

Il beneficiario, successivamente, richiede ed ottiene dal Tribunale di Belluno decreto ingiuntivo nei confronti dell'impresa di assicurazione italiana per il pagamento del massimale previsto dalla polizza cumulativa infortuni per il caso di morte.

L'impresa di assicurazione italiana propone opposizione avverso tale decreto ingiuntivo che viene rigettata dal Tribunale.

La Corte di Appello di Venezia, adita dall'impresa di assicurazione italiana, accoglie parzialmente l'appello e:

  • ritiene che il beneficiario - con l'accordo transattivo stipulato con l'impresa di assicurazione straniera e la quietanza liberatoria rilasciata in favore del vettore aereo da ogni ulteriore pretesa risarcitoria avanzata anche i sensi dell'art. 1916 c.c. - aveva definitivamente pregiudicato il diritto di surrogazione dell'impresa di assicurazione italiana verso il vettore aereo, responsabile dell'evento;
  • accoglie, pertanto, la domanda risarcitoria incentrata su tale pregiudizio e condanna il beneficiario a risarcire all'impresa di assicurazione italiana l'importo percepito di € 450.000,00 oltre interessi legali dalla data dell'atto di transazione al saldo.

Il beneficiario propone ricorso per cassazione avverso tale pronuncia affidato a cinque motivi.

Il beneficiario, per quello che qui rileva, con il terzo motivo lamenta l'errore compiuto dalla Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto sussistere il diritto di surrogazione in favore dell'impresa di assicurazione italiana in quanto, così facendo, ha erroneamente applicato al contratto di assicurazione contro gli infortuni anche mortali la diversa disciplina propria del contratto di assicurazione contro i danni.

L'impresa di assicurazione italiana resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, affidato a due motivi.

La Suprema Corte con la sentenza in esame (Cass., 8 aprile 2021 n. 9380):

  • accoglie il terzo motivo di ricorso principale;
  • dichiara inammissibile il primo motivo, infondato il secondo ed assorbiti gli altri motivi di ricorso principale;
  • dichiara inammissibili i motivi del ricorso incidentale;
  • cassa la sentenza in relazione al motivo accolto senza rinvio e, decidendo la causa nel merito, rigetta l'appello proposto dall'impresa di assicurazione italiana.

La questione

La questione giuridica è la collocazione sistematica del contratto di assicurazione contro gli infortuni mortali nell'ambito della dicotomia del tipo negoziale disciplinata dall'art. 1882 c.c. che distingue tra:

  • causa indennitaria, nella parte in cui l'impresa di assicurazione si obbliga a “rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro”;
  • causa di capitalizzazione o risparmio, nella parte in cui l'impresa di assicurazione si obbliga “a pagare un capitale od una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana”.

Nel primo caso, infatti, il contratto di assicurazione rientrerebbe nell'assicurazione contro i danni disciplinata dagli artt. 1904 e segg. c.c. caratterizzata dalla previsione di un “sinistro”.

Nel secondo caso, invece, il contratto di assicurazione rientrerebbe nell'assicurazione sulla vita disciplinata dagli artt. 1919 e segg. c.c. caratterizzata dalla previsione di un “evento attinente alla vita umana”.

Conseguenza dell'esatta collocazione di tale contratto di assicurazione è l'applicazione (nel primo caso) o l'esclusione (nel secondo caso) del principio indennitario desumibile dal combinato disposto di cui agli artt. 1223, 1905, comma 1, 1909, comma 2, 1910, comma 3 e 1916, comma 1, c.c. in base al quale:

  • il danno non deve essere fonte di lucro e la misura del risarcimento non deve superare quella dell'interesse leso o condurre a sua volta ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato;
  • l'assicurato o il beneficiario, pertanto, non possono locupletare dall'adempimento dell'obbligazione indennitaria dell'impresa di assicurazione un risultato che li ponga in una situazione patrimoniale più vantaggiosa di quella in cui versavano precedentemente alla verificazione dell'evento-rischio, anche nell'ipotesi in cui il contraente avesse pattuito un massimale più elevato, in quanto l'indennizzo pagato dall'impresa di assicurazione non può mai superare il valore patrimoniale del bene perduto a seguito dell'evento dannoso.
Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte esamina funditus la questione e, per pervenire alla soluzione del problema, confronta la sua giurisprudenza con le novità legislative introdotte dal d.lgs. n. 209/2005 per verificarne la correttezza e l'attualità.

La Suprema Corte rileva che la questione della collocazione sistematica del contratto di assicurazione infortuni invalidanti o mortali nell'assicurazione contro i danni o in quella sulla vita è risalente ed ha ricevuto soluzioni differenti sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.

La Suprema Corte rileva, in particolare, che la stessa giurisprudenza, dopo un iniziale propensione all'inclusione del contratto di assicurazione contro gli infortuni nell'ambito della fattispecie negoziale nel tipo dei contratti di “assicurazione sulla vita” - determinata soprattutto dalla considerazione della natura del “bene vita” compromesso dall'evento-rischio infortunio - è venuta, successivamente:

  • ad accentuare progressivamente l'elemento della funzione solidaristica, che emergeva dalla rilevazione della prassi, in quanto il capitale attribuito ai beneficiari-familiari interveniva molto spesso a soccorrere alle loro esigenze e necessità di sostentamento, insorte a seguito dell'infortunio mortale del congiunto che costituiva l'unica fonte di reddito della famiglia;
  • ad accostare la figura contrattuale in esame alla disciplina propria delle assicurazioni “contro i danni” ovvero anche a procedere “caso per caso” nell'individuazione delle norme relative alle due differenti tipologie negoziali di cui all'art. 1882 c.c. ritenute applicabili od invece escluse dalla regolamentazione dei rapporti assicurativi concernenti il “rischio-infortuni”.

La Suprema Corte, quindi, rileva che il contrasto giurisprudenziale concernente l'inquadramento dell'assicurazione contro gli infortuni “invalidanti e mortali” nell'ambito dell'assicurazione contro i danni o in quello dell'assicurazione sulla vita, ai fini dell'applicabilità o meno dell'art. 1910 c.c., è stato sanato dalle Sezioni Unite oltre tre lustri orsono (Sez. Un 10 aprile 2002 n. 5119, che è opera dello stesso relatore delle sentenze gemelle di San Martino del 2008).

Le Sezioni Unite, in tale occasione:

  • hanno evidenziato la difficoltà di collocare sistematicamente la polizza infortuni in una delle due categorie previste dall'art. 1882 c.c. in quanto la definizione normativa, che si ricollega alla tradizionale bipartizione delle assicurazioni, poiché nella prima parte si riferisce all'assicurazione contro i danni e nella seconda all'assicurazione sulla vita, consente di affermare che la prima, in quanto considera il danno prodotto all'assicurato (“ad esso prodotto”), senza ulteriori precisazioni, non è solo assicurazione di cose o di patrimoni, ma è suscettiva di ricomprendere anche i danni subiti dalla persona dell'assicurato per effetto di infortunio, così caratterizzandosi (anche) come assicurazione di persone, e, per altro verso, che l'assicurazione sulla vita non esaurisce l'ambito delle assicurazioni di persone, inglobando anche l'assicurazione contro gli infortuni, poiché la disgrazia accidentale (non produttiva di morte) non costituisce evento attinente alla vita umana, tale essendo solo la morte, bensì evento attinente alla persona;
  • hanno ritenuto, pertanto, che tale difficoltà non consente di individuare nella fattispecie negoziale in questione (polizza infortuni), un “contratto cd. misto” regolato dalle norme del tipo prevalente, non soccorrendo a dirigere la scelta di prevalenza la mera identificazione del “rischio” per mezzo della nozione di “infortunio”, inteso anche come “disgrazia accidentale” e cioè, secondo una definizione ormai tralatizia e consolidata, come un evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produce lesioni fisiche oggettivamente constatabili, le quali abbiano per conseguenza un'inabilità temporanea della persona, un'invalidità permanente o la morte;
  • hanno concluso nel senso di dover distinguere, nell'ambito della medesima polizza, l'infortunio produttivo di “menomazione invalidante” della persona che va ricondotto allo schema della polizza assicurativa “contro i danni”, da quello, invece, da cui è derivato l'”evento letale” che va ricondotto alla disciplina tipica delle “polizze vita”.

La Suprema Corte rileva, ancora, che le conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite non vengono poste in discussione, né potrebbero, dalla successiva disciplina speciale dettata dal d.lgs. n. 209/2005 ed, in particolare, dalla classificazione operata dei rami assicurativi riconducibili rispettivamente alle “assicurazioni sulla vita” (art. 2, comma 1) ed alle “assicurazioni contro i danni” (art. 2, comma 3).

Le conclusioni non vengono poste in discussione in quanto il d.lgs. n. 209/2005 ha chiaramente inteso recepire il discrimine, fondato sull'aspetto funzionale del contratto, tra le due differenti categorie di assicurazioni contro gli infortuni “mortali” ed “invalidanti”, non riproponendo espressamente tra i rischi assicurati dalle polizze del “ramo danni” anche il rischio di “morte a seguito di infortunio”.

Le conclusioni non potrebbero essere poste in discussione in quanto:

  • la predetta classificazione operata dal d.lgs. n. 209/2005 riveste soltanto carattere marginale, atteso che la definizione dei rami assicurativi non è rivolta a fornire criteri di qualificazione giuridica delle tipologie di contratti, ma a definire le differenti prescrizioni degli obblighi organizzativi, di esercizio e di vigilanza cui sono sottoposte le imprese di assicurazione che operano in ciascun ramo, nonché a definire i diversi criteri attuariali e prudenziali che tali imprese devono applicare nella corretta gestione dei rischi, così da assicurare la prescritta garanzia di solvibilità (le riserve tecniche obbligatorie non sono più dovute per il “ramo vita”);
  • l'art. 165, d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209, in ogni caso, dispone che i contratti di assicurazione e riassicurazione rimangono disciplinati dalle norme del codice civile.

La Suprema Corte, pertanto, ritiene che la soluzione giuridica raggiunta dalle Sezioni Unite risulta confermata anche dopo l'introduzione del d.lgs. n. 209/2005 e, quindi, ad essa va data continuità in quanto non vi sono “nuove ragioni…per discostarsi dalle conclusioni raggiunte in ordine all'affermazione della irriducibilità della causa del contratto assicurativo per il rischio di ‘infortunio mortale' alla funzione indennità aria che accomuna, invece, la causa delle altre polizze contro gli infortuni invalidanti a quella propria dei contratti assicurativi ‘contro i danni, con conseguente applicazione, alle due tipologie di polizze infortuni, delle distinte discipline normative che regolano l'assicurazione sulla vita e l'assicurazione contro i danni”.

La Suprema Corte, applicando tali principi al caso ad essa sottoposto, rileva sostanzialmente che:

  • l'impresa di assicurazione del “ramo vita”, con l'adempiere all'obbligazione derivante dalla polizza mediante l'attribuzione della somma prevista al beneficiario, non soddisfa alcun credito risarcitorio vantato da quest'ultimo nei confronti del terzo responsabile del danno in quanto la prestazione prescinde dall'esistenza e dall'entità del pregiudizio subito dal beneficiario derivante dall'atto illecito;
  • in questo caso, pertanto, viene meno la possibilità di attuazione del meccanismo surrogatorio in quanto l'impresa di assicurazione non è chiamata ad adempiere “a causa” dell'illecito, ma “a causa” dell'evento della morte dell'assicurato e, cioè, della verificazione del rischio oggetto della polizza;
  • il decesso per infortunio del soggetto assicurato è soltanto la conditio sine qua non dell'attribuzione patrimoniale a favore del beneficiario il quale deve essere considerato, sempre e comunque, soggetto-terzo rispetto ai soggetti tenuti all'adempimento delle obbligazioni contrattuali;
  • il beneficiario, pertanto, non ha subito e non deve reintegrare alcun pregiudizio a causa della condotta dell'assicurato;
  • il vantaggio economico conseguito dal beneficiario dell'assicurazione sulla vita per il caso di infortunio mortale non può essere considerato un'utilità derivante dall'illecito e, pertanto, non può incidere sull'esatta liquidazione del quantum risarcibile.

La Suprema Corte, pertanto, conclude condividendo il principio affermato dalle Sezioni Unite pochi anni prima secondo cui “nel caso di assicurazione sulla vita, l'indennità si cumula con il risarcimento, perché si è difronte ad una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato sopportando l'onere dei premi, e l'indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante” (Sez. Un. 22 maggio 2018, n. 12564; conf. Sez. Un. 22 maggio 2018 n. 12567; Sez. Un. 22 maggio 2018 n. 12566; Sez. Un. 22 maggio 2018 n. 12565; conf., per quanto concerne le sezioni semplici, Cass., 5 luglio 2019, n. 18050).

Osservazioni

La decisione in commento:

  • è apprezzabile per l'articolato e complesso percorso logico-giuridico seguito nel corso del quale ha esaminato funditus la questione confrontando la sua giurisprudenza con le novità legislative introdotte dal d.lgs. n. 209/2005;
  • è senz'altro condivisibile per la soluzione adottata.

Il contratto di assicurazione contro gli infortuni mortali, infatti, a differenza del contratto di assicurazione contro gli infortuni non mortali, rientra nell'assicurazione sulla vita disciplinata dagli artt. 1919 e segg. c.c..

Questo comporta che ad esso non si applica il principio indennitario desumibile dal combinato disposto di cui agli artt. 1223, 1905, comma 1, 1909, comma 2, 1910, comma 3, e 1916, comma 1, c.c. e, pertanto, l'indennità si cumula con il risarcimento perché si è di fronte ad una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato che sopporta l'onere dei premi mentre l'indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante.

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