La fine della tabella di Milano per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale (o danno da morte)? Conseguenze e riflessi

Marco Rodolfi
28 Aprile 2021

Al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella.
Massima

"Al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella".

Il caso

La vertenza decisa dalla sentenza n. 10579 si riferisce ad una domanda di risarcimento dei danni che assumevano di aver subito la moglie ed il fratello di una persona deceduta a distanza di due giorni dal sinistro stradale in cui era rimasto coinvolto.

Il Tribunale di Siracusa accoglieva la domanda svolta dai congiunti, addebitando un concorso di colpa nella misura del 50% a carico della vittima e, applicando le Tabelle del Tribunale di Roma, arrivava a riconoscere alla moglie la somma di Euro 144.208,00 a titolo di danno da perdita del rapporto parentale ed Euro 75.000,00 a titolo di danno biologico iure hereditatis, ed al fratello la somma di Euro 76.615,00 a titolo di danno da perdita del rapporto parentale ed Euro 75.000,00 a titolo di danno biologico iure hereditatis.

La Corte d'Appello di Catania riformava la decisione, in accoglimento del gravame proposto dall'impresa di assicurazione e, in applicazione delle Tabelle di Milano, che dovevano preferirsi a quelle di Roma, per la loro "vocazione nazionale", rideterminava il danno, ovviamente sempre tenuto conto del concorso di colpa della vittima nella misura del 50%, riconoscendo in favore della moglie la somma di Euro 73.669,00 e del fratello la somma di Euro 12.496,50, importi comprensivi anche del danno biologico terminale riconosciuto nella somma di complessivi Euro 290,00 per i due giorni di sopravvivenza che, ridotta della quota del concorso di colpa del 50%, arrivava a soli Euro 145,00.

Avverso tale decisione proponevano ricorso per cassazione i congiunti del defunto.

Il collegio ha proceduto in camera di consiglio, adottando la forma della sentenza per “la particolare rilevanza della questione di diritto”.

La questione

I ricorrenti hanno lamentato una violazione di legge, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la mancata adozione delle Tabelle del Tribunale di Roma in ipotesi di danno da perdita del rapporto parentale (c.d. danno da morte).

In passato, infatti, la stessa Suprema Corte (Cass. n. 14402 del 2011 e n. 10263 del 2015) aveva affermato che non era censurabile l'applicazione di diverse tabelle di quantificazione del danno, rispetto a quelle di Milano, qualora non vi fosse stata “sproporzione fra la tabella applicata e quella meneghina”.

Nel caso di specie, tale “sproporzione” non vi sarebbe stata, in quanto il Tribunale, facendo ricorso alle tabelle del Tribunale di Roma, per il coniuge aveva applicato: “il valore massimo inferiore di oltre Euro 40.000,00 a quello previsto dalle tabelle milanesi”, mentre per il fratello “un valore massimo di poco superiore a Euro 10.000,00 rispetto alle tabelle milanesi”.

La questione posta dai ricorrenti, quindi, ha ad oggetto l'applicazione delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, in luogo di quelle del Tribunale di Roma, nonostante il fatto che il giudice di primo grado, applicando le tabelle romane, non avesse liquidato il danno in modo sproporzionato rispetto alla quantificazione che l'adozione delle tabelle milanesi avrebbe consentito.

In verità, dice espressamente la Suprema Corte, la questione: “è, in realtà, più specifica e riguarda segnatamente il profilo del danno c.d. parentale”.

In altre parole, si deve valutare: “se, con riferimento a tale tipologia di danno, le tabelle elaborate dal Tribunale di Roma possano essere considerate recessive rispetto a quelle meneghine, per cui il parametro, ai fini della conformità a diritto della liquidazione, debba essere fornito dalle tabelle milanesi, rispetto alle quali quindi andrebbe apprezzata l'eventuale sproporzione della quantificazione del risarcimento”.

Le soluzioni giuridiche

Il Supremo Collegio, per risolvere la questione ha colto l'occasione per ricordare quelli che sono i fondamenti dell'esistenza stessa delle c.d. tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale.

In particolare, l'utilizzo da parte di un giudice delle tabelle redatte dall'ufficio giudiziario per la liquidazione del danno non patrimoniale: “trova fondamento nel potere del giudice di valutazione equitativa del danno previsto dall'art. 1226 c.c.” (Cass. 19 maggio 1999, n. 4852).

L'art. 1226 c.c., prefigurante: “l'equità giudiziale c.d. integrativa o correttiva e dunque ancora un giudizio di diritto e non di equità” (vedi Cass. 30 luglio 2020, n. 16344 e 22 febbraio 2018, n. 4310), ha una natura di “clausola generale”, che definisce il contenuto del potere del giudice nei termini di "valutazione equitativa".

Si tratta, in altre parole, di una norma che: “non disciplina la fattispecie sostanziale (della responsabilità risarcitoria), ma l'esercizio del potere giudiziale” (vedi Cass. 11 novembre 2019, n. 28990, che ha di fatto previsto che il criterio equitativo di liquidazione del danno non patrimoniale fondato sulle tabelle elaborate in base al D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, richiamato dagli articoli 3, comma tre, del D.L. n. 158 del 2021 e dall'art. 7, comma quattro, della L. n. 24 del 2017, sia applicabile anche nelle controversie relative a danni prodotti anteriormente alla loro entrata in vigore, nonché ai giudizi pendenti a tale data).

Ora, le tabelle di origine pretoria sono nate per rispondere all'esigenza di “uniformità di trattamento nei giudizi aventi ad oggetto la domanda di risarcimento del danno biologico”, in quanto, la liquidazione del danno non patrimoniale mediante valutazione equitativa ha il carattere di norma del caso concreto: “insuscettibile di estensione oltre le circostanze del caso perché non corrisponde all'applicazione di una fattispecie generale e astratta che sia suscettibile di reiterazione in altri casi”.

Proprio sulla scorta di tale esigenza, la Suprema Corte è intervenuta in passato, affermando che: “nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti uffici giudiziari” (Cass. civ., 7 giugno 2011, n. 12408).

A garantire “tale uniformità di trattamento” vi è proprio: “il criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale va riconosciuto, in applicazione dell'art. 3 Cost., valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono” (Cass. civ., 7 giugno 2011, n. 12408).
Da ciò ne consegue che: “l'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, a condizione che la questione sia stata già posta nel giudizio di merito” (Cass. 7 giugno 2011, n. 12408).

A far tempo dal 2011, pertanto, si è: “consolidato l'orientamento secondo cui l'omessa o erronea applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano può essere fatta valere, in sede di legittimità, come violazione dell'art. 1226 c.c., costituendo le stesse parametro di conformità della valutazione equitativa alla disposizione di legge” (Cass. 21 novembre 2017, n. 27562).

Le tabelle milanesi hanno così: “acquistato una sorta di efficacia para-normativa (Cass. 6 maggio 2020, n. 8532), in base alla quale, ai fini del rispetto del precetto dell'art. 1226, il giudice ha la possibilità di discostarsi dai valori tabellari a condizione che le specificità del caso concreto lo richiedano ed in sentenza sia fornita motivazione di tale scostamento (Cass. 20 ottobre 2020, n. 22859; 6 maggio 2020, n. 8508; 20 aprile 2017, n. 9950)”.

Le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale costituiscono pertanto: “un criterio guida e non una normativa di diritto (Cass. 22 gennaio 2019, n. 1553)”.

Da tutto questo, consegue che: “non è lo scostamento dalle tabelle milanesi a fondare la violazione della norma di diritto, ma le tabelle sono il parametro per verificare se sia stato violato l'art. 1226 c.c. (Cass. 17 ottobre 2019, n. 26308)”.

Fatta questa premessa sul fondamento delle tabelle e sul valore delle Tabelle Milanesi, la Suprema Corte affronta la complicata questione di quale sia: “il significato della funzione integratrice del precetto normativo, che le tabelle svolgono, e del vincolo solo tendenziale per il giudice di merito che queste rappresentano, quale parametro rilevante in sede di sindacato di legittimità”.

Viene dunque illustrata la nozione di: “clausola generale di cui le tabelle sono per l'appunto, in particolare di quella prevista dall'art. 1226, attuazione”.

La “clausola generale” viene prevista dal Legislatore ma: “spetta invece al giudice di concretizzare nella forma di una norma del caso concreto”.

Viene richiamato l'esempio della “buona fede”: non c'è la buona fede in astratto, ma un comportamento conforme a buona fede, date determinate circostanze di fatto.

La clausola generale in pratica: “è un precetto in grado di operare solo se concretizzato alla luce delle circostanze del caso”.

La disposizione che contempla una clausola generale: “non enuncia quindi una norma in senso proprio, ma un ideale di norma cui fare appello per l'identificazione della norma del caso concreto”.

La clausola generale può quindi essere definita come: “un ideale di norma cui parametrare la norma individuale che il giudice pone concretizzando il valore enunciato dalla norma elastica”.

Venendo all'art. 1226 c.c.: “la valutazione equitativa è un'idea-limite, per adoperare un'espressione emersa nella dottrina tedesca, cui tendere per determinare il danno quando questo non può essere provato nel suo preciso ammontare”.

Richiamato il “diritto casistico”, peraltro con le difficoltà che questo comporta in un ambiente civil law, nonché la dottrina tedesca denominata Fallgruppen, la Suprema Corte afferma che: “attraverso il sistema del punto variabile per la misura del risarcimento a seguito di danno biologico”, la tabella elaborata dall'ufficio giudiziario: “per astrazione dalle sentenze di merito monitorate, rinvia in un'ultima istanza alla valutazione equitativa del danno di cui all'art. 1226” e “identifica regole uniformi per la liquidazione del danno non patrimoniale”.

Si tratta in definitiva: “della conversione della clausola generale in una pluralità di ipotesi tipizzate risultanti dalla standardizzazione della concretizzazione giudiziale della clausola di valutazione equitativa del danno”.

E' evidente, peraltro, che: “poiché si tratta di un'opera di astrazione dalle decisioni della giurisprudenza di merito, la tabella non ha la cogenza del dettato legislativo e consente pertanto la riespansione della clausola generale se le peculiarità del caso concreto non tollerano la sussunzione nella fattispecie tabellare”.

E' sempre data infatti la possibilità al giudice: “di liquidare il danno, oltre i valori massimi o minimi previsti dalla tabella, in relazione a casi la cui eccezionalità, specificatamente motivata, fuoriesca ictu oculi dallo schema standardizzato” (fra le tante Cass. 11 novembre 2019, n. 28988). E: “qualora gli scopi dell'adeguatezza del risarcimento all'utilità effettivamente perduta e dell'uniformità dello stesso in situazioni identiche non siano raggiungibili attraverso il criterio tabellare, venendo in questione un'ipotesi di danno biologico non contemplata dalle tabelle adottate il giudice di merito è pertanto tenuto a fornire specifica indicazione degli elementi della fattispecie concreta considerati e ritenuti essenziali per la valutazione del pregiudizio, nonché del criterio di stima ritenuto confacente alla liquidazione equitativa, anche ricorrendo alle tabelle come base di calcolo, ma fornendo congrua rappresentazione delle modifiche apportate e rese necessarie dalla assoluta peculiarità della situazione esaminata” (Cass. 26 giugno 2020, n. 12913).
In pratica: “quando il caso concreto impone la presa di distanza rispetto alla standardizzazione tabellare dei precedenti della giurisprudenza, e si torni in modo diretto alla clausola generale” (ndr art. 1226 c.c.), determinante diventa la motivazione: “la quale non è qui solo forma dell'atto giurisdizionale imposta dalla Costituzione e dal codice processuale, ma è anche sostanza della decisione”.

Una liquidazione del danno, oltre i valori massimi o minimi, priva di specifica motivazione: “è pertanto violazione non solo della legge processuale, ma anche dell'art. 1226, perché ciò che difetta è non solo la motivazione, ma anche la valutazione”.

Questo discorso non sarà invece possibile farlo rispetto alla Tabella Unica prevista dal d.lgs. n. 209 del 2005, art. 138 che, come è noto non è ancora stata adottata (sebbene sia stato reso pubblico lo schema a gennaio 2021).

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Si veda su Ridare.it "La Tabella Unica Nazionale ex art. 138 Codice Assicurazione: analisi critica e schede di raffronto con la Tabella milanese e la Tabella romana", di Maurizio Hazan, Filippo Martini, Marco Rodolfi; "La tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica compresa tra 10 e 100 punti di invalidità. Il recente schema di d.P.R. è davvero tutto da confutare?" di Luigi Mastroroberto e Pasquale Malandrino; "La Tabella Unica Nazionale ex art. 138 CAP e le possibili sorti di un DPR “tardivo”" di Giuseppe Chiriatti; "Osservazioni in punto di attuazione dell'art. 138 CAP", di Patrizia Ziviz).

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La tabella nazionale è infatti: “una valutazione equitativa concretizzata in regole legislative grazie al combinato disposto dell'art. 138 e del decreto del Presidente della Repubblica, previsto da tale disposizione”.

La concretizzazione legislativa è: “una regula iuris prevista dal legislatore” e pertanto la tabella nazionale: “rappresenta la concretizzazione legislativa in forma generale e astratta del valore della valutazione equitativa del danno, il quale non è così solo enunciato come tale in forma di clausola generale, ma diventa anche il criterio della disciplina di liquidazione del danno nel caso delle menomazioni all'integrità psicofisica ai sensi dell'art. 138 cod. assicurazioni”.

In presenza di tali menomazioni troverà applicazione la tabella nazionale, a cui il Giudice non potrà derogare, e non l'art. 1226 c.c., e sarà consentito pertanto superare i limiti previsti dalla tabella nazionale: “solo alle condizioni previste dalla legge” (vedi art. 138, terzo e quarto comma).

Dopo questa lunga premessa, il Supremo Collegio è arrivato a toccare il punto nodale della questione, e cioè la tabella per il danno da perdita del rapporto parentale.

Secondo il Supremo Collegio: “la funzione di garanzia dell'uniformità delle decisioni svolta dalla tabella elaborata dall'ufficio giudiziario è affidata al sistema del punto variabile, per il grado di prevedibilità che tale tecnica offre”.

Quando tuttavia: “il sistema del punto variabile non è seguito la tabella non garantisce la funzione per la quale è stata concepita, che è quella dell'uniformità e prevedibilità delle decisioni a garanzia del principio di eguaglianza”.

Orbene, la tabella di Milano relativa al danno da perdita parentale: “non segue la tecnica del punto, ma si limita ad individuare un tetto minimo ed un tetto massimo, fra i quali ricorre peraltro una assai significativa differenza (ad esempio a favore del coniuge è prevista nell'edizione 2021 delle tabelle un'oscillazione fra Euro 168.250,00 e Euro 336.500,00)”.

L'individuazione di un così ampio differenziale costituirebbe, secondo il Supremo Collegio ancora “una sorta di clausola generale, di cui si è soltanto ridotto, sia pure in modo relativamente significativo, il margine di generalità”.

La tabella, così come è stata concepita: “non realizza in conclusione l'effetto di fattispecie che ad essa dovrebbe invece essere connaturato”.

Una tabella per la liquidazione del danno parentale basata sul sistema a punti, invece, “garantisce uniformità e prevedibilità, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione”.

I requisiti che una tabella siffatta dovrebbe contenere sono, a dire della Suprema Corte, i seguenti:

1) adozione del criterio "a punto variabile";

2) estrazione del valore medio del punto dai precedenti;

3) modularità;

4) elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e dei relativi punteggi.

Proprio le ragioni addotte dalla Suprema Corte per il conferimento alle tabelle milanesi di una funzione nazionale (vedi Cass. n. 12408 del 2011): “impongono di identificare l'adozione di parametri predeterminati per l'uniforme liquidazione anche del danno da perdita parentale”.

Resta ferma ovviamente la possibilità: “di una liquidazione che si distanzi dalla tabella elaborata dall'ufficio giudiziario ove l'eccezionalità del caso sfugga ad un'astratta schematizzazione, a condizione che la valutazione equitativa si articoli in un complesso di argomenti chiaramente enunciati, ed attingendo ove reputato utile, nella logica del modellamento della regola sul caso specifico, anche alla fonte rappresentata dall'intervallo di valori numerici offerto dalla tabella milanese”.

La Suprema Corte è ben: “consapevole dell'impatto di un simile mutamento evolutivo della giurisprudenza di legittimità sulle controversie allo stato decise nel grado di merito sulla base del precedente indirizzo e dunque delle tabelle milanesi”.

Tuttavia aggiunge che, nella pratica, si dovrà: “guardare al profilo dell'effettiva quantificazione del danno, a prescindere da quale sia la tabella adottata, e, nel caso di quantificazione non conforme al risultato che si sarebbe conseguito seguendo una tabella basata sul sistema a punti secondo i criteri sopra indicati, a quale sia la motivazione della decisione”.

In altre parole: “ove la liquidazione del danno parentale sia stata effettuata non seguendo una tabella basata sul sistema a punti, l'onere di motivazione del giudice di merito, che non abbia fatto applicazione di una siffatta tabella, sorge nel caso in cui si sia pervenuti ad una quantificazione del risarcimento che, alla luce delle circostanze del caso concreto, risulti inferiore a quella cui si sarebbe pervenuti utilizzando la tabella in discorso, o comunque risulti sproporzionata rispetto alla quantificazione cui l'adozione dei parametri tratti da tale tabella avrebbe consentito di pervenire”.

Il criterio per la valutazione delle decisioni adottate sulla base del precedente orientamento dovrà essere: “dunque quello dell'assenza o presenza di sproporzione rispetto al danno che si sarebbe determinato seguendo una tabella basata sul sistema a punti. Ove una tale sproporzione ricorra, il criterio di giudizio riposa nell'esame della motivazione della decisione”.

L'aver fatto questa scelta di campo da parte della Suprema Corte: “si colloca in una progressione evolutiva verso un livello massimo di certezza, uniformità e prevedibilità” che solo la tabella nazionale, per la sua natura di diritto legislativo, una volta adottata, potrà al meglio garantire, salvaguardando, nei limiti previsti dall'art. 138 cod. assicurazioni, il bilanciamento con le esigenze del caso concreto”.

In questa fase di “progressione evolutiva” deve essere letta anche la decisione Cass. 10 novembre 2020, n. 25164, la quale ha affermato che nel singolo caso di specie: “il giudice di merito deve accertare l'eventuale concorso del danno biologico e del danno morale e determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che prevedono la liquidazione congiunta di entrambe le voci di danno” e: “di converso, in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione, della componente morale del danno, deve considerare la sola voce del danno biologico, automaticamente depurata dall'aumento tabellare previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate attraverso un semplice calcolo aritmetico con termini prefissati, così che nessun margine di incertezza o imprevedibilità della decisione possa essere legittimamente predicabile”.

Del resto, aggiunge la Suprema Corte: “nell'edizione 2021 delle tabelle milanesi non è comunque più indicato solo l'ammontare complessivo del danno non patrimoniale, inclusivo del danno biologico e del danno morale, ma è stata opportunamente aggiunta l'indicazione dell'importo monetario di ciascuna delle citate componenti, in conformità peraltro con l'espresso dettato legislativo”.

In definitiva, il ricorso proposto viene accolto con cassazione della sentenza di merito.

Osservazioni

La Tabelle elaborate dall'Osservatorio per la Giustizia Civile del Tribunale di Milano sono state oggetto, nel tempo, di critiche da parte della dottrina e, soprattutto, da parte del Tribunale di Roma che, in particolare dopo la modifica apportata agli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni nel 2017 (vedi Legge Concorrenza 4 agosto 2017, n. 124), ha pubblicato nel dicembre del 2018 una Relazione di accompagnamento alle Nuove Tabelle che è stato un vero e proprio attacco frontale all'impianto delle Tabelle Milanesi.

Fino al 2020, tuttavia, la Suprema Corte non ha mai chiaramente preso posizione sul punto (sebbene in occasione di alcuni convegni ed in articoli di dottrina venissero fornite delle anticipazioni di quello che presumibilmente sarebbe a breve accaduto).

Nel novembre del 2020, invece, il Supremo Collegio è intervenuto criticamente sull'impianto delle Tabelle di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale da postumi permanenti, affermando che le stesse: “pervengono (non correttamente) all'indicazione di un valore monetario complessivo”, costituito dalla somma aritmetica del danno biologico e di quello morale (Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2020, n. 25164).

L'Osservatorio per la Giustizia Civile di Milano, preso atto di ciò, ha modificato la versione 2021 della Tabella (resa pubblica a Marzo 2021) proprio al fine di adempiere alle indicazioni fornite dalla Suprema Corte.

Modifica che pare aver già ricevuto l'avallo dal Supremo Collegio proprio nella decisione qui commentata: “nell'edizione 2021 delle tabelle milanesi non è comunque più indicato solo l'ammontare complessivo del danno non patrimoniale, inclusivo del danno biologico e del danno morale, ma è stata opportunamente aggiunta l'indicazione dell'importo monetario di ciascuna delle citate componenti, in conformità peraltro con l'espresso dettato legislativo” (Cass. civ., 21 aprile 2021, n. 10579).

L'opera di “smantellamento” del sistema del risarcimento del danno alla persona sino a qui applicato praticamente in tutta Italia a far tempo quantomeno dal 2011 (sentenza n. 12408/2011: in realtà l'impianto tabellare con le caratteristiche oggetto di critica è così a far tempo dal 2009) da parte della Suprema Corte, tuttavia, è andato avanti.

Con la sentenza n. 10579/2021, infatti, si dice chiaramente che le Tabelle Milanesi per la liquidazione del c.d. danno da morte (o da perdita del rapporto parentale), non facendo uso del “sistema a punti”, non garantirebbero “uniformità” e “prevedibilità” delle decisioni, con la conseguenza che tali tabelle non avranno più quell'efficacia “paranormativa” avuta sino ad oggi.

In realtà, non si può dire che si tratti di un fulmine a ciel sereno.

Vi erano stati i prodromi poco tempo fa, quando sempre il Supremo Collegio aveva statuito che: “nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale diversamente da quanto statuito per il pregiudizio arrecato all'integrità psico-fisica le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell'equità su tutto il territorio nazionale” (Corte di Cassazione, Sezione 3, Sentenza del 18 Marzo 2021 n. 7770).

Francamente, non si può non rimanere perplessi di fronte a questo vero e proprio “revirement” da parte della Suprema Corte.

In primo luogo, facciamo notare che da sempre anche le tabelle per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale di Milano sono state applicate praticamente in quasi tutti i Fori italiani.

Sino ad oggi, infatti, rimaneva nettamente minoritario in Italia l'utilizzo delle Tabelle di Roma e di Venezia.

La stessa Suprema Corte, peraltro, nella decisione menzionata più volte nella sentenza oggetto qui di commento, aveva statuito come anche la c.d. tabella milanese per il risarcimento del c.d. danno non patrimoniale da morte avesse valore nazionale: “Sono stati contestualmente approvati i nuovi "Criteri orientativi per liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisica e dalla perdita/grave lesione del rapporto parentale", ai quali pure occorrerà fare riferimento, anche per quanto attiene alla personalizzazione del risarcimento” (Cass., 7 giugno 2011, n. 12408).

Numerose sono state le sentenze, del resto, in cui la Suprema Corte ha affermato che anche le tabelle per il danno da morte previste dal Tribunale di Milano dovessero essere necessariamente applicate: “Va cassata la sentenza che, per quantificare il danno morale sofferto dal fratello della persona deceduta all'esito di un sinistro stradale, abbia applicato le tabelle in uso presso il distretto ove è ubicato l'ufficio giudiziario, anziché quelle elaborate dal Tribunale di Milano” (Cass. civ. Sez. III, 20 maggio 2015, n. 10263).

Il 21 aprile 2021 la Suprema Corte ha deciso che per più di un decennio si è fatto uso di un criterio sbagliato, con le gravi conseguenze che questo comporta.

Il Collegio è infatti: “consapevole dell'impatto di un simile mutamento evolutivo della giurisprudenza di legittimità sulle controversie allo stato decise nel grado di merito sulla base del precedente indirizzo e dunque delle tabelle milanesi”.

Certo ci si dice che si dovrà: “guardare al profilo dell'effettiva quantificazione del danno, a prescindere da quale sia la tabella adottata” e che solo “nel caso di quantificazione non conforme al risultato che si sarebbe conseguito seguendo una tabella basata sul sistema a punti secondo i criteri sopra indicati, a quale sia la motivazione della decisione”.

In altre parole, si dovrà capire se vi sia stata nella liquidazione del danno: “l'assenza o la presenza di sproporzione rispetto al danno che si sarebbe determinato seguendo una tabella basata sul sistema a punti. Ove una tale sproporzione ricorra, il criterio di giudizio riposa nell'esame della motivazione della decisione”.

E quindi?

Come e quando potrà essere verificata la “sproporzione” di cui parla il Supremo Collegio?

Cosa dire ai protagonisti (attori e convenuti) delle migliaia di controversie decise o magari oggetto di offerte ritenute congrue o meno, sino ad oggi?

Di quale “uniformità” e “prevedibilità” di giudizio si potrà mai parlare di fronte ad una vicenda come questa?

Al fine di evitare un vero e proprio sconvolgimento nella trattazione (anche stragiudiziale, lo si ripete) di tutte le vicende che hanno ad oggetto una domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, ravviso uno “spiraglio” nel passaggio della decisione ove si richiama l“'intervallo di valori numerici offerto dalla tabella milanese” come fonte a cui attingere per motivare una liquidazione equitativa che si distanzi dalla tabella elaborata dall'ufficio giudiziario.

Ma vi è di più. E' evidente che questa decisione non potrà non avere un impatto anche sul danno non patrimoniale dei congiunti del macroleso (cioè da lesione del rapporto parentale), dove la Tabella Milanese non è certamente basata su un “sistema a punti”, ma prevede un range che è ancora più ampio di quello previsto per il danno da perdita del rapporto parentale!

Sulla tabella del c.d. danno terminale, invece, la Suprema Corte non si è pronunciata (seppure i ricorrenti avessero presentato un motivo di ricorso sul punto), in quanto è mancato nel caso di specie l'accertamento della percezione dell'esito fatale da parte della vittima.

Ma poi, perdonateci la provocazione, si è così sicuri che una voce risarcitoria così peculiare come quella del danno da perdita del rapporto parentale (che comprende sia la sofferenza soggettiva che la perdita della relazione parentale) possa essere ridotta ad un automatismo di punti come previsto dal sistema romano?

I pericoli di fare ricorso ad un sistema “ingessato” che preveda una serie di “punti che devono essere obbligatoriamente riconosciuti” (vedi "Roma – Milano ancora più distanti: le due Tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale a confronto" di Damiano Spera) sono evidenti.

Aggiungiamo che, peraltro, non ci pare che il sistema tabellare di Roma abbia “estratto il valore medio del punto dai precedenti” richiesto dalla Suprema Corte.

Non abbiamo in questa sede lo spazio per approfondire ulteriormente questi temi che tuttavia saranno sicuramente oggetto di discussione nelle prossime riunioni dell'Osservatorio per la Giustizia Civile del Tribunale di Milano.

L'Osservatorio modificherà la tabella per il danno da perdita/lesione del rapporto parentale in ossequio ai principi di cui alla decisione n. 10579/2021, mantenendo le categorie dei soggetti legittimati attivi attualmente presenti nelle Tabelle Milanesi ?

Di certo, questi continui mutamenti di orientamento da parte della giurisprudenza di legittimità, portano a chiedersi se non sia arrivato il momento dell'intervento risolutivo del Legislatore anche in tema di danno da morte.

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