Scontro con un cinghiale: l'eccessiva velocità dell'automobilista esclude la responsabilità della Regione?
03 Maggio 2021
Massima
Il comportamento colposo dell'automobilista, che procede a velocità non commisurata allo stato dei luoghi, si pone in nesso eziologico con l'evento lesivo occorso e, pertanto, non consente di ritenere superata la presunzione di colpa di cui all'art. 2054, comma 1, c.c., non risultando provato in giudizio che l'attore avesse adottato tutte le misure idonee a poter evitare il verificarsi dell'evento lesivo. Il caso
A.R. conveniva in giudizio la Regione Lombardia, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subìti a seguito del sinistro occorso al medesimo, allorquando si trovava a bordo del proprio veicolo, sinistro causato da un animale selvatico. In particolare, la parte attrice allegava che tale incidente era stato causato da un animale selvatico (segnatamente un cinghiale), che, sbucando dal margine destro della carreggiata, andava ad ostruirla, determinando così lo scontro con l'autovettura che procedeva nel proprio senso di marcia. Si costituiva in giudizio la Regione Lombardia, contestando la domanda attorea, anche tenuto conto del comportamento colposo dell'attore, che viaggiava a velocità non commisurata allo stato dei luoghi tale da non consentirgli di mantenere il controllo dell'autovettura. La causa è stata istruita mediante l'acquisizione del rapporto di incidente stradale e l'assunzione delle prove orali. La questione
La questione che il Tribunale è achiato ad affrontar eè la seguente: quale è l'onere della prova nell'ipotesi di incidente tra un veicolo e un animale selvatico? Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale, all'esito dell'istruttoria, ha rigettato la domanda sulla base della seguente ratio decidendi: il comportamento colposo posto in essere dall'attore – che procedeva a velocità eccessiva, non adeguata allo stato dei luoghi (il sinistro è occorso in una strada provinciale con carreggiata a doppio senso di marcia ctico?on segnaletica orizzontale continua bianca) – si pone in nesso eziologico con l'evento lesivo occorso e, pertanto, non può ritenersi superata nella fattispecie la presunzione di colpa di cui all'art. 2054, comma 1, c.c., non risultando provato in giudizio che l'attore avesse adottato tutte le misure idonee a poter evitare il verificarsi dell'evento lesivo La sentenza in rassegna, nella prima parte, fa applicazione dei principi elaborati di recente dalla giurisprudenza, a seguito del mutato orientamento in tema di danni causati dalla fauna selvatica.
Richiamato nelle sue linee essenziali il quadro normativo di riferimento (l. 27 dicembre 1977, n. 968: “Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia”; l. 11 febbraio 1992, n. 157: “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”), il Tribunale evidenzia come la giurisprudenza di legittimità, in un primo momento, aveva ritenuto che il danno cagionato dalla fauna selvatica non fosse risarcibile in base alla presunzione stabilita dall'art. 2052 c.c., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall'art. 2043 c.c., anche in tema di onere della prova, così richiedendo l'individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico (cfr., ex multis, Cass. civ., 27 febbraio 2019, n. 5722).
Successivamente, la giurisprudenza ha mutato orientamento (cfr. Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2020, n. 7969; Cass. civ., sez. III,, 22 giugno 2020, n. 12113 e, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2020, n. 13848), affermando che la responsabilità imputata in capo alle Regioni è quella di cui all'art. 2052 c.c., in quanto tale disposto normativo non riguarda esclusivamente gli animali domestici, ma quelli suscettibili di “proprietà” o di “utilizzazione” da parte dell'uomo. La norma, inoltre, prescinde dalla sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell'animale, come si desume dal suo stesso tenore letterale, là dove prevede, espressamente, che la responsabilità del proprietario o dell'utilizzatore sussista sia che “l'animale fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito”. Il riferimento, dunque, alla proprietà e all'utilizzazione ha la funzione di individuare un criterio oggettivo di allocazione della responsabilità in forza del quale, dei danni causati dall'animale deve rispondere il soggetto che dallo stesso trae un beneficio, in sostanziale applicazione del principio “ubi commoda ibi et incommoda”, salvo il caso fortuito.
In linea con il mutato orientamento giurisprudenziale, il Tribunale rileva che è a carico del danneggiato allegare e dimostrare che il pregiudizio lamentato sia stato causato dall'animale selvatico e tale onere potrà ritenersi soddisfatto allorché sia stata dimostrata la dinamica del sinistro, nonché il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre che l'appartenenza dell'animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla l. n. 157/1992, o, comunque, che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato. Quanto alla prova liberatoria, che ha ad oggetto la dimostrazione che il fatto sia avvenuto per “caso fortuito”, essa consiste nel dimostrare che la condotta dell'animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, operando, così, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno. Occorre, in altri termini, provare che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che, comunque, non era evitabile, e ciò anche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell'incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto. Inoltre, il danneggiato, oltre a dover provare che la condotta dell'animale sia stata la “causa” dell'evento dannoso, è comunque onerato - ai sensi dell'art. 2054, comma 1, c.c. - della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, cioè di avere, nella specie, adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida. Osservazioni
La sentenza in esame, nella seconda parte, affronta il tema del rapporto la presunzione di responsabilità posta dall'art. 2054 c.c. e quella ex art. 2052 c.c.
Su tale questione la giurisprudenza della Suprema Corte (si veda, per tutte, Cass. Civ., 9 gennaio 2002, n. 200) ha affermato i seguenti principi:
Orbene, la sentenza non sembra aver fatto corretta applicazione dei principi in esame. Invero, risulta accertato che, nel caso in esame, l'attore non ha superato la presunzione di colpa posta a suo carico ex art. 2054 c.c. Ciò, tuttavia, non avrebbe dovuto condurre il Tribunale al rigetto tout court della domanda attorea ma al suo accoglimento parziale, in ragione della responsabilità concorrente gravante sul proprietario/utilizzatore dell'animale ex art. 2052 c.c. Come si è sopra evidenziato, la giurisprudenza della Suprema Corte insegna che, nella fattispecie, opera un concorso di presunzioni ed il mancato superamento della presunzione ex art. 2054, comma 1 c.c. da parte del conducente non implica automaticamente esonero da responsabilità dell'altro. A conclusioni contrastanti con il suddetto insegnamento è, invece, pervenuto il Tribunale nella sentenza in rassegna, avendo rigettato la domanda attorea sulla base del solo mancato superamento della presunzione di responsabilità ex art. 2054 c.c. da parte del conducente del veicolo, omettendo di tener conto della concorrente presunzione di responsabilità ex art. 2052 c.c. Riferimenti
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