L’assicurazione a favore di terzo: la premorienza del beneficiario

Andrea Penta
10 Giugno 2021

La designazione generica degli ‘eredi' come beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita, in difetto di una inequivoca volontà del contraente in senso diverso, non comporta la ripartizione dell'indennizzo tra gli aventi diritto secondo le proporzioni della successione ereditaria, spettando a ciascuno dei creditori, in forza della eadem causa obligandi, una quota uguale dell'indennizzo assicurativo, il cui pagamento ciascuno potrà esigere dall'assicuratore nella rispettiva misura.
Massima

- "La designazione generica degli ‘eredi' come beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita, in una delle forme previste dall'art. 1920 c.c., comporta l'acquisto di un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione da parte di coloro che, al momento della morte dello stipulante, rivestano tale qualità in forza del titolo della astratta delazione indicata all'assicuratore per individuare i creditori della prestazione".

- "La designazione generica degli ‘eredi' come beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita, in difetto di una inequivoca volontà del contraente in senso diverso, non comporta la ripartizione dell'indennizzo tra gli aventi diritto secondo le proporzioni della successione ereditaria, spettando a ciascuno dei creditori, in forza della eadem causa obligandi, una quota uguale dell'indennizzo assicurativo, il cui pagamento ciascuno potrà esigere dall'assicuratore nella rispettiva misura".

- "Allorché uno dei beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita premuore al contraente, la prestazione, se il beneficio non sia stato revocato o il contraente non abbia disposto diversamente, deve essere eseguita a favore degli eredi del premorto in proporzione della quota che sarebbe spettata a quest'ultimo”.

Il caso

La vicenda prende le mosse da un giudizio instaurato con un ricorso proposto, ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., da B. G.A. nei confronti della Alfa Vita Compagnia di Assicurazione e Riassicurazione s.p.a., con il quale il primo chiedeva la condanna della seconda alla liquidazione di ulteriori somme derivanti da quattro polizze assicurative sulla vita sottoscritte nel periodo 2008-2009 dal fratello deceduto, di cui egli era erede unitamente a quattro nipoti, succeduti per rappresentazione alla sorella defunta in data precedente alla stipula dei contratti.

L'adito Tribunale di Caltagirone rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello il B., chiedendo, in riforma della stessa, in via principale, di dichiarare la non applicabilità alla fattispecie dell'istituto della rappresentazione di cui all'art. 467 c.c. e, per l'effetto, di condannare la Alfa Vita Compagnia di Assicurazione e Riassicurazione s.p.a. al pagamento dell'intera somma dovuta, pari ad euro 847.611,40, dalla quale andava detratta quella di euro 169.522,28 già liquidata, oltre interessi dalla domanda sino al soddisfo; in via subordinata, la condanna della controparte al pagamento del 50% della somma dovuta, pari ad euro 423.805,70, dalla quale andava detratta quella di euro 169.522,28 già liquidata, oltre interessi dalla domanda sino al soddisfo.

La Corte d'appello di Catania accoglieva il gravame (quanto alla domanda reiterata in via subordinata) e, per l'effetto, condannava la Beta Paribas Alfa Vita Compagnia di Assicurazione e Riassicurazione s.p.a. al pagamento, in favore del B., della somma di euro 254.283,42, quale differenza tra la somma già liquidatagli e la maggior somma dovutagli.

Avverso la detta sentenza proponeva ricorso l'istituto assicurativo, affidandosi a due motivi.

Resisteva l'intimato, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato basato su un unico motivo.

Con il primo motivo, la società ricorrente deduceva, ex art. 360, c. 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1920 e 1362 c.c.

Assumeva che - con riferimento alle quattro polizze stipulate che contenevano, tutte, la clausola che designava come beneficiari in caso di morte "gli eredi legittimi" del contraente - era stato affermato, a suo dire erroneamente (diversamente dalla decisione di primo grado), che tale espressione, oltre ad indicare i beneficiari delle polizze assicurative stipulate, individuava anche la misura dell'acquisizione e, conseguentemente, il diverso valore delle quote spettanti, da commisurarsi alle regole successorie: ciò in adesione ad un orientamento isolato della Suprema Corte (Cass. 19210/2015) che si era espressa in tal senso in contrasto con tutta la giurisprudenza precedente.

Lamentava, al riguardo, che la fonte regolatrice del rapporto era di natura contrattuale e non successoria e che, pertanto, l'indicazione della clausola contrattuale relativa ai beneficiari della polizza era idonea ad indicare soltanto gli aventi diritto iure proprio all'indennità assicurativa, senza che ciò potesse intendersi come un rinvio alla disciplina codicistica in materia successoria, idoneo ad individuare anche la misura delle quote spettanti.

Con il secondo motivo, si denunciava, ancora ex art. 360, c. 1, n. 3), c.p.c., la violazione degli artt. 1362, 1369 e 1371 c.c.

La ricorrente censurava, infatti, la violazione dei criteri ermeneutici prescritti dall'art. 1362 c.c., in primis "la comune intenzione delle parti", e lamentava l'interpolazione del significato della clausola, essendo stato aggiunto, impropriamente a suo dire, il riferimento alle "rispettive quote successorie" che risultava in contrasto sia con il senso più conveniente alla natura ed all'oggetto del contratto (art. 1369 c.c.) sia con la regola secondo cui doveva essere realizzato l'equo contemperamento degli interessi delle parti (art. 1371 c.c.).

Con l'unico motivo di ricorso incidentale condizionato, il controricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 570 e 467 c.c.: assumeva che, qualora fosse stato accolto il ricorso principale, con conseguente inosservanza delle regole successorie, avrebbe dovuto applicarsi l'art. 570 c.c., con il risultato che, poiché il beneficiario della polizza era, in tesi, titolare di un diritto autonomo che traeva origine dal contratto assicurativo, i giudici di merito avrebbero dovuto considerare lui stesso come l'unico erede della sorella premorta, non ricorrendo l'ipotesi di "rappresentazione".

La questione

Dopo aver premesso che l'art. 1920 c.c., da un lato, prevede, in materia di assicurazione sulla vita in favore di un terzo, che la designazione del beneficiario possa essere fatta nel contratto di assicurazione, o con successiva dichiarazione scritta comunicata all'assicuratore o per testamento e che essa è efficace anche se il beneficiario è determinato solo genericamente e, dall'altro, sancisce, altresì, che "equivale a designazione l'attribuzione della somma assicurata fatta nel testamento a favore di una determinata persona" e che "per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione" (cfr. art. 1920, c. 3, c.c.), l'ordinanza interlocutoria di rimessione aveva evidenziato che la Suprema Corte era stata reiteratamente investita della questione interpretativa concernente l'individuazione dei "beneficiari" e la misura dell'indennizzo da liquidare in loro favore, posto che, nella grande maggioranza dei casi, la clausola delle polizze assicurative nelle quali sono indicati riporta la rituale e generica espressione "legittimi eredi", senza alcuna specifica ulteriore determinazione.

I punti di frizione sistematica prospettati da Cass. 19210/2015 meritavano, ad avviso del Collegio remittente, una stabile risoluzione: ciò in quanto le due differenti interpretazioni dell'art. 1920, c. 3, c.c. conducevano, soprattutto, a non indifferenti conseguenze economiche per i destinatari del vantaggio indennitario.

Risultava, infatti, molto diversa la determinazione della misura del beneficio ispirato al valore "meramente descrittivo" dell'indicazione di "eredi legittimi" dal quale derivava una suddivisione in parti uguali dell'indennizzo spettante, rispetto a quella riferita, pro quota, alle regole successorie (nel caso di specie, determinata dai diritti di più eredi succeduti per "rappresentazione"), in tutti i numerosissimi casi in cui l'intenzione del contraente non traspariva in modo chiaro ed evidente dalla clausola contrattuale indicativa dei beneficiari.

Con l'ordinanza n. 33195 del 2019, pertanto, la Terza Sezione Civile, rilevata l'esistenza di un contrasto e, quindi, ritenuti sussistenti i presupposti di cui all'art. 374, c. 2, c.p.c., aveva rimesso gli atti al Primo Presidente, perché valutasse l'opportunità di assegnare il ricorso alle Sezioni Unite.

Le soluzioni giuridiche

Le Sezioni Unite (sentenza S.U. n. 11421 del 2021), premesso che l'assicurazione sulla vita a favore di un terzo è riconducibile alla più generale figura del contratto a favore di terzi (art. 1411 ss. c.c.), con la differenza che il terzo nell'assicurazione sulla vita acquista il suo diritto ai correlati vantaggi, e dunque all'indennità, per effetto non della stipulazione, ma della designazione, sicché il beneficiario può rivolgersi direttamente al promittente assicuratore per ottenere la prestazione (essendo il contratto la fonte regolatrice dell'acquisto), ha evidenziato che la questione di diritto decisa in senso difforme dalle sezioni semplici attiene alla sussistenza, o meno, di un criterio immanente di interpretazione presuntiva, in forza del quale la clausola dell'assicurazione sulla vita, che preveda quali beneficiari gli eredi dello stipulante, comporti anche un rinvio alle quote di ripartizione dell'eredità secondo le regole della successione legittima o testamentaria.

Essendo la designazione del beneficiario dei vantaggi di un'assicurazione sulla vita, quale che sia la forma prescelta fra quelle previste dal secondo comma dell'art. 1920 c.c., atto inter vivos con effetti post mortem, da cui discende l'effetto dell'immediato acquisto di un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione, la generica individuazione quali beneficiari degli «eredi [legittimi e/o testamentari]» ne comporta l'identificazione soggettiva con coloro che, al momento della morte dello stipulante, rivestano tale qualità in forza del titolo della astratta delazione ereditaria prescelto dal medesimo contraente, indipendentemente dalla rinunzia o dall'accettazione della vocazione.

La natura inter vivos del credito attribuito per contratto agli «eredi» designati quali beneficiari dei vantaggi dell'assicurazione esclude l'operatività riguardo ad esso delle regole sulla comunione ereditaria, valevoli per i crediti del de cuius, come anche l'automatica ripartizione dell'indennizzo tra i coeredi in ragione delle rispettive quote di spettanza dei beni caduti in successione. La qualifica di «eredi» rivestita al momento della morte dello stipulante sopperisce, invero, con valenza meramente soggettiva, alla generica determinazione del beneficiario, in base al disposto del secondo comma dell'art. 1920 c.c., che funziona soltanto al fine di indicare all'assicuratore chi siano i creditori della prestazione, ma non implica presuntivamente, in caso di pluralità di designati, l'applicazione tra i concreditori delle regole di ripartizione dei crediti ereditari.

In forza della designazione degli «eredi» quali beneficiari dell'assicurazione sulla vita a favore di terzo, la prestazione assicurativa vede quali destinatari una pluralità di soggetti in forza di una eadem causa obligandi, costituita dal contratto.

Rispetto alla prestazione divisibile costituita dall'indennizzo assicurativo, come in ogni figura di obbligazione soggettivamente complessa ove non risulti diversamente dal contratto, a ciascuno dei beneficiari spetta una quota uguale, il cui pagamento ciascuno potrà esigere dall'assicuratore nella rispettiva misura.

L'attribuzione del diritto iure proprio al beneficiario per effetto della designazione giustifica altresì l'applicabilità all'assicurazione sulla vita per il caso morte del secondo comma dell'art. 1412 c.c., con conseguente trasmissibilità agli eredi del terzo premorto della titolarità dei vantaggi dell'assicurazione. In tal caso, l'acquisto del diritto alla prestazione assicurativa in favore degli eredi del beneficiario premorto rispetto allo stipulante opera, peraltro, iure hereditatis, e non iure proprio, e quindi in proporzione delle rispettive quote ereditarie, trattandosi di successione nel diritto contrattuale all'indennizzo entrato a far parte del patrimonio del designato prima della sua morte, nella medesima misura che sarebbe spettata al beneficiario premorto, secondo la logica degli acquisti a titolo derivativo (quale conseguenza dell'acquisto già avvenuto in capo a quest'ultimo).

La premorienza di uno degli eredi del contraente, già designato tra i beneficiari dei vantaggi dell'assicurazione, comporta, quindi, non un effetto di accrescimento in favore dei restanti beneficiari, ma, stando l'assenza di una precisa disposizione sul punto ed in forza dell'assimilabilità dell'assicurazione a favore di terzo per il caso di morte alla categoria del contratto a favore di terzi, un subentro per "rappresentazione" in forza dell'art. 1412, c. 2, c.c.

Alla stregua di tali rilievi, le Sezioni Unite hanno fornito la riposta ai quesiti nei termini esposti con le tre massime.

Osservazioni

In termini generali, non è mortis causa il contratto di assicurazione sulla vita: l'evento della morte è elemento che attiene semplicemente alla esecuzione del negozio, in quanto regola il modo e il tempo della prestazione dell'assicuratore.

Nell'assicurazione sulla vita la designazione, anche dal punto di vista cronologico, può risultare distinta dalla stipulazione, per cui la legge (art. 1920, ultimo comma, c.c.) avverte esattamente che il terzo acquista il diritto ai vantaggi del contratto «per effetto della designazione». Si pone la questione sul se la diversa formula, rispetto a quella dell'art. 1411, secondo comma (per cui il terzo, salvo patto contrario, acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione, ossia al momento stesso della conclusione del contratto), determini una differenza di struttura nel fenomeno.

Quanto all'espressione «per effetto della designazione», due sono le interpretazioni possibili: la designazione è costitutiva del diritto del terzo oppure non è altro che determinativa, da un punto di vista soggettivo, dell'obbligazione contratta dall'assicuratore.

Non vi è dubbio che la previsione dimostra che il contratto e l'attribuzione indiretta a favore del terzo (sia in esso implicita, sia da esso materialmente distinta perché cronologicamente successiva) sono due entità concettuali autonome e perfettamente isolabili anche sul piano giuridico.

La previsione, contenuta nell'art. 1411, c. 2, c.c., secondo cui il terzo per effetto della designazione acquista immediatamente (e definitivamente, per quanto il beneficio possa essere sottoposto alla condizione risolutiva del verificarsi di una revoca - o, se si vuole, alla condizione sospensiva del suo non verificarsi -) il diritto ai vantaggi del contratto, a tal punto che, in caso di sua premorienza allo stipulante, il beneficio è anche trasmissibile ai suoi eredi (art. 1412, c. 2, c.c.), depone nel senso di escludere la ricorrenza di un'attribuzione mortis causa, in quanto la condizione di sopravvivenza del beneficiario dovrebbe esserne un elemento essenziale.

Ciò vale altresì senz'altro se la designazione del terzo beneficiario è effettuata nel contratto di assicurazione, o comunque successivamente ma nelle forme inter vivos, non essendo revocabile in dubbio che al momento della designazione il terzo acquista il beneficio: l'attribuzione, in suo favore, del diritto ai vantaggi derivanti dal contratto (sia essa un'attribuzione donandi o credendi vel solvendi causa) opera immediatamente; e il terzo, così come acquista tale diritto (sia pure a termine iniziale della morte dell'assicurato e sotto condizione sospensiva del non verificarsi di una revoca), può trasmetterlo ai suoi eredi (art. 1412, cpv., c.c.). Invero, il codice, nello stabilire all'art. 1920, ultimo comma, che «per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione», non lascia dubbi sul fatto che il terzo acquisti un diritto proprio verso l'assicuratore, avente la propria fonte nel contratto di assicurazione, per cui la morte vale solo come condizione dell'esigibilità del credito nei confronti dell'assicuratore e non come elemento costitutivo del medesimo. Sussiste, dunque, un'attribuzione inter vivos, e, dove ricorre la causa liberale, si ha una donazione indiretta o, meglio, liberalità tra vivi.

L'attribuzione come entità commisurata in tutti i suoi elementi (esistenza, consistenza e modo di essere) al tempo della morte dell'attribuente è criterio identificativo dell'atto mortis causa utilizzabile solo quando si tratti di attribuzioni di beni e diritti compresi nel patrimonio del disponente, laddove, nel caso in esame, oggetto dell'attribuzione è l'indennità assicurativa derivante dalla polizza e solo i premi corrisposti in vita dal de cuius sono immediatamente a lui riconducibili. Depone in tal senso la previsione contenuta nel primo comma dell'art. 1923 c.c., nella parte in cui dispone che non sono pignorabili le somme dovute dall'assicuratore al contraente o al beneficiario, e nel secondo, lì dove afferma che i creditori e gli eredi del contraente assicurato non vantano alcun diritto sulla somma assicurata (ovviamente, ogni qual volta detta somma non sia destinata ad entrare nel patrimonio di costui), ma possono avanzare delle pretese solo sui premi pagati dallo stesso assicurato o, meglio, sulla somma corrispondente a quei premi.

Da non confondere con questo è un altro piano: il beneficio per il terzo diviene definitivo solo con la morte dell'assicurato, perché soltanto allora l'assicuratore provvederà a corrispondere l'indennità alla persona designata.

In definitiva, la tesi che è meritevole di condivisione è quella secondo la quale, parlando di designazione, il legislatore ha solo inteso dar rilevanza al fatto che nell'assicurazione sulla vita a favore di terzo è possibile indicare il beneficiario anche con atto successivo al contratto ovvero con testamento o con dichiarazione scritta. Questo non vuol dire che il diritto nasca con la designazione. Il diritto nei confronti dell'assicurazione sorge col contratto, ma, ove non vi sia designazione nello stesso, l'obbligazione dell'assicuratore sorgerà in incertam personam e sarà determinato il titolare della relativa pretesa solo con la successiva designazione. In tal caso, però, gli effetti si producono nella sfera del terzo con effetto ex tunc dalla stipulazione del contratto, che è la vera fonte del diritto all'indennizzo. La designazione avrà, quindi, la funzione di mera determinazione del soggetto titolare del diritto sorto dal contratto di assicurazione sulla vita nei confronti dell'assicuratore.

Qualora i beneficiari siano individuati, nell'àmbito del contratto di assicurazione, negli eredi legittimi dell'assicurato, gli stessi devono identificarsi, di necessità, in coloro i quali, in linea teorica e astratta (e, quindi, a prescindere dall'accettazione o dalla rinuncia dell'eredità) e con riferimento alla qualità esistente al momento della morte dell'assicurata, siano i successibili legittimi, indipendentemente dalla loro effettiva vocazione, e quand'anche intervenga, in séguito, una successione testamentaria.

Ove si ritenesse che i beneficiari, genericamente divisati nei successori universali dell'assicurato, fossero da rinvenire in coloro i quali avessero effettivamente accettato l'eredità (e dovesse farsi, indi, applicazione delle regole della successione mortis causa in ordine alla ripartizione del capitale o della rendita assicurati), verrebbe misconosciuto il principio, oramai consolidato, anche per via normativa, dell'acquisto iure proprio, da parte del beneficiario, del diritto alla somma assicurata, il quale trae la sua origine non già dal patrimonio del contraente, bensì dall'atto di designazione, ed è estraneo alle vicende successorie del contraente medesimo.

In particolare, a fronte dell'espressione “eredi legittimi”, saranno beneficiari tutti coloro che rivestiranno tale qualifica al momento della morte dell'assicurato (cioè al momento dell'apertura della sua successione) anche se taluno di essi fosse escluso in tutto o in parte dalla successione per disposizione testamentaria, purchè ovviamente tale disposizione non revochi la designazione.

Pertanto, l'effetto della stipulazione si produce già durante la vita dello stipulante (e, precisamente, all'atto della designazione), mentre soltanto l'esecuzione della prestazione, effettuata dall'impresa assicuratrice in favore del terzo beneficiario, ha luogo al momento del decesso del soggetto assicurato.

Ove si tratti di clausola attributiva del beneficio “agli eredi legittimi”, non potrà operarsi riferimento ai criteri di ripartizione delle quote previste dagli artt. 566 ss. c.c., dovendosi, al contrario, ritenere che, salvo espressa previsione contraria dello stipulante, si applicheranno le norme in tema di obbligazioni solidali, e, in particolare, l'art. 1298, c. 2, c.c. a norma del quale «le parti di ciascuno si presumono uguali», mentre la disciplina successoria potrà essere interrogata solo in riferimento all'individuazione delle classi di successibili, alla distinzione tra i diversi ordini e, infine, alla disciplina del concorso tra membri del medesimo ordine.

In quest'ottica, il diritto di credito alla somma assicurata, quale obbligazione pecuniaria divisibile (art. 1314 c.c.), riferita ad una pluralità di soggetti, non trovando un differente trattamento nella polizza, è esigibile nei confronti dell'assicuratore da parte dei concreditori parziari (i beneficiari) in identica proporzione, a nulla importando la differente modalità di acquisizione, diretta o indiretta, dello status di erede.

In tal guisa ragionando, si supera l'indirizzo, sostenuto nella giurisprudenza della S.C. solo da Cass. n. 19210/2015, second cui “il dire che qualcuno è erede di un soggetto significa, secondo l'espressione letterale, evocare tanto chi lo è quanto anche in che misura lo è”.

In conclusione, in caso di premorienza del beneficiario originariamente individuato, gli subentrano i suoi eredi a titolo successorio (id est, per diritto di rappresentazione), ove il beneficio non sia stato revocato o il contraente non abbia diversamente disposto, essendo il diritto ai vantaggi dell'assicurazione entrato nel patrimonio del beneficiario sin dal momento della conclusione del contratto.

La somma spettante agli eredi del beneficiario premorto viene attribuita per diritto di rappresentazione, alla luce dell'immanenza del diritto in capo al beneficiario sin dalla designazione ed a prescindere dall'intervenuta irrevocabilità della designazione. E', quindi, corretta la soluzione per cui al beneficiario premorto subentreranno i suoi eredi per rappresentazione, i quali, come tali, avranno diritto a ricevere la sola quota già di spettanza del de cuius.

Riferimenti
  • E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, Torino, 1950.
  • G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento, Contributo ad una teoria dell'atto di ultima volontà, Milano, 1954.
  • M. IEVA, I fenomeni parasuccessori, in Trattato breve delle Successioni e donazioni, I, a cura di P. Rescigno, Padova, 2010.
  • G. VOLPE PUTZOLU, L'assicurazione, in Trattato di dir. priv., diretto da P. Rescigno, XIII, Torino, 1997.

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