Il danno parentale tra vincolo affettivo e sconvolgimento delle abitudini di vita

11 Giugno 2021

In tema di danno da perdita del rapporto parentale, l'assenza di un effettivo vincolo affettivo tra padre e figlio non consente di individuare lo sconvolgimento delle abitudini di chi sopravvive in dipendenza del vuoto lasciato da chi scompare, non potendo, per tale ragione, ritenersi sussistente alcun danno risarcibile.
Il caso

Il ricorrente procedeva ad ATP dinnanzi al Tribunale di Udine onde accertare la responsabilità dei sanitari che ebbero in cura il proprio padre, un paziente psichiatrico deceduto in conseguenza di una caduta dal secondo piano del nosocomio presso cui era ricoverato.

A seguito delle operazioni peritali, all'esito delle quali veniva riconosciuta la responsabilità dell'Azienda Sanitaria resistente per omesso controllo di paziente fragile, il ricorrente procedeva nel merito con rito sommario per l'ottenimento del risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale.

La causa, istruita unicamente mediante prova orale vertente il rapporto affettivo tra padre e figlio, perveniva immediatamente in decisione ex art. 702-ter c.p.c.

La questione

È possibile il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale senza la prova del vincolo affettivo e dello sconvolgimento delle abitudini di vita?

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in esame, il Tribunale di Udine ha rigettato l'istanza del ricorrente poiché, attesa la totale assenza del vincolo di affectio tra padre e figlio, questi non poteva ragionevolmente lamentare uno sconvolgimento delle proprie abitudini di vita per l'asserito vuoto causato dalla morte del genitore.

In particolare, il ricorrente aveva allegato l'esistenza del requisito dell'affectio limitandosi a richiamare le presunzioni legali relative al rapporto padre-figlio.

Attraverso l'escussione dei testi nel corso del giudizio, veniva appurato che i rapporti del ricorrente con il de cuius erano, nella sostanza, totalmente assenti: i medici sostenevano di non avere mai visto una sola volta il ricorrente e davano, altresì, atto delle enormi difficoltà riscontrate nel contattare lo stesso addirittura per procedere al pietoso ufficio delle esequie, al punto da dovere richiedere l'intervento dei servizi sociali per la celebrazione.

Osservazioni

Il danno da perdita del congiunto, riconducibile, com'è noto, nella categoria del danno non patrimoniale, secondo la prevalente interpretazione della Suprema Corte, “consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell'esistenza, rilevato da fondamentali e radicali cambiamenti di vita”.

Tale danno si concretizza, dunque, “nel vuoto costituito dal non poter godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell'irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti (…), nel non poter fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce nelle relazioni tra i superstiti” (Cass. civ., Sez. III, 9 maggio 2011, n. 10107, sent.; Cass. civ., Sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992, sent.; Cass. civ., Sez. III, 5 novembre 2020, n. 24689, sent.).

La ratio sottesa alla risarcibilità di tale pregiudizio va rinvenuta nella tutela di un duplice interesse: l'intangibilità della sfera affettiva e della reciproca solidarietà familiare, da un lato e l'inviolabilità della libera e piena esplicazione della propria personalità nell'ambito della famiglia, ex artt. 2, 29 e 30 Cost, dall'altro (Cass. civ., Sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827, sent.; Cass. civ., Sez III, 31 maggio 2003, n. 8828, sent.).

Quanto ai presupposti necessari ai fini del riconoscimento del danno, si richiede che l'interessato agisca sulla base di un vincolo giuridicamente rilevante con il de cuius (Cass. civ., Sez. III, 5 novembre 2020, n. 24689, sent.; Cass. civ., Sez. III, 21 agosto 2018, n. 20835, ord.) e che sussista tra questi un legame affettivo intenso e tangibile (Cass. civ., Sez. VI, 24 marzo 2021, n. 8218, sent.; Cass. civ., Sez. III, 20 aprile 2018, n. 10321, sent.).

Su tali condizioni necessarie si innesta l'ulteriore requisito, di matrice eminentemente giurisprudenziale, della prova del “reale sconvolgimento di vita”, circostanza più volte affacciatasi nell'ordinanza in commento.

L'Osservatorio sulla giustizia civile, a proposito della richiesta di danno da parte di soggetti non contemplati nella Tabella, richiede “la prova di un intenso legame affettivo e di un reale sconvolgimento di vita della vittima secondaria a seguito della morte del congiunto.

Tale formulazione, con l'utilizzo della congiunzione “e”, lascerebbe intendere che il danno parentale si configuri quando sussistano simultaneamente entrambi i requisiti, oltre, beninteso, alla presenza del vincolo giuridicamente rilevante tra richiedente e de cuius.

Tuttavia, un'indicazione in senso contrario pare potersi trarre, quasi in sede di interpretazione autentica, dallo stesso Osservatorio, nel passaggio in cui si ricorda che “la misura massima di personalizzazione prevista in tabella deve essere (…) applicata dal giudice solo laddove la parte, nel processo, alleghi e rigorosamente provi circostanze di fatto da cui possa desumersi il massimo sconvolgimento della propria vita in conseguenza della perdita del rapporto parentale”.

Lo sconvolgimento di vita, sotto questo profilo, pare, dunque, connotarsi maggiormente per la sua capacità di incidere nella modulazione del quantum entro il range delineato dall'Osservatorio, piuttosto che per rappresentare una locuzione portante dell'endiadi “intenso legale affettivo- sconvolgimento di vita”.

Non appaiono, quindi, come è stato correttamente affermato in dottrina (P. Ziviz, La tutela risarcitoria del nipote non convivente per la perdita del nonno, in RI.DA.RE- Risarcimento Danno Responsabilità, Giurisprudenza commentata del 12 marzo 2018, p. 5), del tutto condivisibili le indicazioni giurisprudenziali secondo cui la compromissione esistenziale è destinata a rilevare soltanto qualora si traduca in un radicale cambiamento di vita: qualsiasi alterazione negativa della dimensione personale deve essere presa in considerazione sul piano risarcitorio e non già soltanto quella che determina uno sconvolgimento globale dell'esistenza.

In questa direttrice interpretativa si muove, del resto, la recentissima pronuncia della Terza Civile (Cass. civ., Sez. III, 21 aprile 2021, n. 10579, sent.), che ha scomunicato niente di meno che la Tabella di Milano sul danno da perdita del congiunto, preferendo, ad una forchetta liquidativa troppo dilatata - nel cui range il giudice avrebbe agio di muoversi tra rebbi ritenuti eccessivamente distanti -, un sistema a punti che preveda una quantificazione quanto più possibile in consonanza con tutte le variabili in gioco (M. Rodolfi, La fine della tabella di Milano per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale (o danno da morte)? Conseguenze e riflessi, in RI.DA.RE- Risarcimento Danno Responsabilità, 28 Aprile 2021).

La pronuncia del Tribunale di Udine, nell'affermare che “il danno parentale, (…) può essere riconosciuto in capo a tutti quei soggetti che possono far valere un vincolo giuridicamente rilevante con la vittima (presupposto di diritto) e che erano legati da vincoli affettivi intensi e tangibili con la vittima (presupposto di fatto)”, pertanto, sembra collocarsi nel solco dell'interpretazione, qui condivisa, che privilegia la sussistenza di questi soli due presupposti per dare corpo al danno in parola e che individua nello sconvolgimento di vita un parametro di cui il giudice dovrà tenere conto, unitamente agli altri, in sede di liquidazione.

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