Eccezione di inadempimento e autosospensione del canone di locazione in caso di malafede del locatore

Vincenzo Liguori
13 Luglio 2021

In applicazione del principio di correttezza e buona fede, la condotta della parte inadempiente va valutata in relazione all'incidenza che essa ha sulla funzione economico-sociale del contratto e all'influenza che essa ha sull'equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all'interesse perseguito dalle parti e, perciò, deve legittimare causalmente e proporzionalmente la sospensione dell'adempimento dell'altra parte, in ottemperanza al principio di autotutela sancito dall'art. 1460 c.c..
Massima

In applicazione del principio di correttezza e buona fede, la condotta della parte inadempiente va valutata in relazione all'incidenza che essa ha sulla funzione economico-sociale del contratto e all'influenza che essa ha sull'equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all'interesse perseguito dalle parti e, perciò, deve legittimare causalmente e proporzionalmente la sospensione dell'adempimento dell'altra parte, in ottemperanza al principio di autotutela sancito dall'art. 1460 c.c..

Il caso

Un locatore intimava alla conduttrice di un immobile locato ad uso commerciale lo sfratto per morosità per il mancato pagamento di dieci mensilità.
La conduttrice si costituiva in giudizio assumendo di aver legittimamente sospeso il pagamento dei canoni ai sensi dell'art. 1460 c.c. in quanto l'immobile oggetto della locazione era parzialmente inidoneo all'uso pattuito per mancanza del cambio di destinazione d'uso e della necessaria agibilità e, di conseguenza, chiedeva in riconvenzionale la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del locatore ed il risarcimento dei danni consequenziali.
Il Tribunale rigettava la domanda principale di convalida di sfratto per morosità ed accoglieva la domanda riconvenzionale della conduttrice. La decisione di primo grado veniva poi ribaltata in secondo grado dalla Corte di Appello che accoglieva parzialmente il gravame del locatore dichiarando la risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice e condannava quest'ultima al pagamento dei canoni di locazione dovuti.

Avverso tale decisione la conduttrice proponeva ricorso in Cassazione affidato a due motivi:

  • violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2697 c.c. e 112, 113, 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte di Appello disatteso l'eccezione d'inammissibilità della domanda nuova proposta dal locatore in sede di gravame;
  • violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2697, 1362 e ss., 1337, 1375, 1453, 1460 c.c. e artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte di Appello posto alla base della decisione fatti e circostanze non risultanti allo stato degli atti nonché avendo omesso di analizzare il contenuto del contratto al fine di interpretare ed individuare quali fossero gli interessi delle parti al fine di verificare la correttezza della exceptio non rite adimpleti contractus e la gravità dell'inadempimento imputabile al locatore.
La questione

Può il conduttore agire in autotutela ex art. 1460 c.c. e sospendere il pagamento del canone di locazione?

Le soluzioni giuridiche

Con l'ordinanza in esame la Suprema Corte ha voluto, da un lato, ribadire l'abbandono dell'orientamento più vetusto e rigoroso che, con riferimento al rapporto locativo, riteneva legittima l'autosospensione del canone solo quando vi fosse un'assoluta mancanza di prestazione della controparte (orientamento espresso dalle più risalenti Cass. 1 giugno 2006, n. 13133; 23 aprile 2004, n. 7772; 5 ottobre 1998, n. 9863) e, dall'altro, dare continuità al suo più recente e consolidato orientamento il quale, in relazione all'istituto della sospensione dell'adempimento regolato dall'art. 1460 c.c., al fine di valutare la legittimità o meno di tale sospensione in autotutela, pone particolare attenzione al principio di correttezza e buona fede oggettiva di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. (orientamento richiamato dalla pronuncia in esame e da Cass. 26 luglio 2019, n. 20322; Cass. 25 giugno 2019, n. 16917 e n. 16918; Cass. 22 settembre 2017, n. 22039).

In particolare, come evidenziato nel provvedimento in esame, è proprio l'art. 1460 c.c. che, al secondo comma, correla alla considerazione delle circostanze del caso concreto la valutazione della legittimità della sospensione secondo buona fede.

Tale valutazione, secondo la S.C., non può che consistere nella "commisurazione del rilievo sinallagmatico delle obbligazioni coinvolte", ossia nella "proporzionalità" dei rispettivi inadempimenti (da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, ma in relazione alla oggettiva proporzione degli inadempimenti stessi, riguardata con riferimento all'intero equilibrio del contratto ed alla buona fede”.

Secondo tale orientamento, pertanto, al fine di valutare se l'eccezione d'inadempimento sia stata sollevata secondo buona fede o meno, il giudice di merito ha il compito verificare se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all'incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull'equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all'interesse perseguito dalla parte e, pertanto, abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell'adempimento dell'altra parte.

Osservazioni

È evidente che i canoni della buona fede e della proporzionalità sinallagmatica che “regolano” il funzionamento dell'istituto dell'eccezione d'inadempimento verrebbero traditi laddove, pur in presenza di accertati inadempimenti del locatore - anche se non gravi da escludere ogni possibilità di godimento del bene immobile - non si ammettesse una “proporzionale” sospensione della prestazione della controparte ma se ne richiedesse, al contrario, l'integrale adempimento.

Ne consegue, pertanto, che se in astratto si riconosce alla parte non inadempiente la possibilità di esperire la più radicale scelta della risoluzione del contratto al verificarsi dei presupposti ivi previsti, a maggior ragione, allo stesso modo in cui il “più” comprende il “meno” (principio ribadito da Cass. n. 21262/2020 in relazione alla domanda di restituzione del doppio della caparra che, secondo la S.C., comprende già anche quella di restituzione “semplice”) ed in virtù del principio di conservazione che permea l'ordinamento, deve anche riconoscersi la legittimità della sospensione della controprestazione della parte non inadempiente, trattandosi di un rimedio meno radicale rispetto alla risoluzione contrattuale e consentito dalla legge in via di autotutela nella fase esecutiva del contratto, in presenza dei medesimi presupposti ed, anzi, anche in presenza di presupposti meno gravi considerato che l'art. 1460, comma 1, c.c., non richiede la gravità dell'inadempimento e che, secondo consolidata giurisprudenza (vedasi già Cass. n. 21973/2007), l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.:

  • prescinde finanche dalla responsabilità della controparte e può essere azionata anche quando il mancato adempimento della prestazione dipenda dalla sopravvenuta relativa impossibilità per causa non imputabile;
  • può essere pertanto sollevata anche nei confronti del contraente il cui inadempimento sia incolpevole.

Secondo il richiamato precedente orientamento, molto più rigoroso, la sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore era legittima solo laddove fosse venuta a mancare completamente la controprestazione da parte del locatore. Al di fuori di questa ipotesi, quindi, al conduttore non era consentito astenersi dal versare il canone, ovvero ridurlo unilateralmente, neanche nell'ipotesi in cui il mancato o il minore godimento del bene fosse ricollegabile al fatto del locatore (Cass. n. 7766/2018, Cass n. 18987/2016, Cass. n. 13133/2006).

Il conduttore, pertanto, secondo tale orientamento non poteva per nessun motivo astenersi dal corrispondere il canone di locazione o ridurlo unilateralmente nel caso in cui si fosse verificata una riduzione o diminuzione nel godimento del bene.

La sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore, quindi, era considerata legittima nella sola ipotesi in cui fosse venuta completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che avrebbe determinato uno squilibrio tra le prestazioni delle parti.

Tale precedente orientamento, pertanto, non trovava fondamento sull'art. 1460 c.c. inteso come mezzo di autotutela.

Con l'ordinanza in esame, invece, la Suprema Corte ha inteso ribadire gli effetti fondamentali che l'eccezione d'inadempimento ha nei contratti a prestazioni corrispettive, come il contratto di locazione, al fine di conservare l'equilibrio sinallagmatico tra le parti.

L'exceptio non rite adimpleti contractusdi cui all'art. 1460 c.c. viene inteso oggi quale mezzo di autotutela in quanto integra un fatto impeditivo della pretesa di pagamento avanzata dal creditore e può essere sollevata dal debitore in buona fede in seguito all'inadempimento dello stesso creditore: essa tuttavia non mira, come la risoluzione, allo scioglimento del vincolo ma, anzi, ne presuppone la permanenza.

L'eccezione d'inadempimento, invero, trova il suo limite nel principio della buona fede oggettiva di cui al combinato disposto degli artt. 1175 e 1375 c.c., in virtù del quale le parti devono comportarsi secondo regole di correttezza e buona fede tanto nella fase delle trattative (cfr., per quanto concerne la rilevanza della condotta dei contraenti nella c.d. formazione progressiva del contratto, Vincenzo Liguori “Danno da ingiustificata interruzione delle trattative: la ricerca della volontà negoziale quale epicentro della responsabilità pre-contrattuale”), quanto in quella dell'esecuzione dello stesso contratto.

La Relazione Ministeriale al codice civile, infatti, afferma che l'art. 1175 c.c. richiama “nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore”.

Questo criterio di reciprocità deve essere inteso, anche al di fuori dell'ambito strettamente contrattuale, come una specificazione degli inderogabili doveri di solidarietà sociale imposti successivamente dall'art. 2 Cost..

La buona fede nell'esecuzione del contratto discende dunque dal generale obbligo di solidarietà sociale, che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, anche a prescindere da specifici obblighi contrattuali, poiché imposto dal dovere extracontrattuale del “neminem laedere”, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell'interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell'interesse della controparte, nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico (cfr. Cass. n. 10182/2009).

Di contro si ha alterazione del sinallagma contrattuale ogniqualvolta il titolare di un diritto soggettivo lo eserciti in maniera irrispettosa del dovere di correttezza e buona fede, cagionando uno sproporzionato sacrificio alla controparte al fine di conseguire risultati ulteriori rispetto a quello per cui il diritto gli è stato attribuito (Cass. n. 10568/2013).

Pertanto, al fine di verificare se l'eccezione d'inadempimento sia stata sollevata secondo buona fede, occorre accertare se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo dell'incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull'equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all'interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato causalmente e proporzionalmente la sospensione dell'adempimento dell'altra parte.

Ne consegue che il giudice, ove venga proposta dalla parte l'eccezione inadimplenti non est adimplendum, dovrà procedere ad una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto ed alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, per cui, qualora rilevi che l'inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l'eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all'interesse dell'altra parte, a norma dell'art. 1455 c.c., dovrà ritenere che il rifiuto di quest'ultima di adempiere la propria obbligazione sia contraria alla buona fede e, quindi, non giustificato ai sensi dell'art. 1460, comma 2, c.c. (Cass. n. 22626/2016).

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