Videosorveglianza illegittima: per ottenere il risarcimento del danno occorre dimostrare un pregiudizio effettivo

Ilenia Alagna
03 Settembre 2021

Per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale per violazione del diritto alla riservatezza è necessario che l'offesa sia grave, ossia che il diritto sia inciso oltre una soglia minima, cagionando un pregiudizio effettivo.
Massima

Ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale per violazione del diritto alla riservatezza, è necessario che l'offesa sia grave, ossia che il diritto sia inciso oltre una soglia minima, cagionando un pregiudizio effettivo. Occorre cioè una certa soglia di offensività, che renda il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela. Per valutare il livello della gravità della lesione e della serietà del danno deve procedersi ad un giudizio di bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima e quello della tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo laddove sia superato il pregiudizio di tollerabilità e il pregiudizio non sia futile.

Il caso

Al centro del provvedimento analizzato vi è la pretesa violazione della privacy di due sorelle, proprietarie di un immobile ove vivevano, a 400 metri dal quale una associazione, costituita dai proprietari delle abitazioni presenti nel complesso residenziale adiacente, aveva installato tre videocamere con l'obiettivo di tutelarsi dai ricorrenti furti della zona. Le due sorelle lamentavano una situazione lesiva della riservatezza e della loro vita privata tale da provocare in loro un costante stato di stress e ansia, non essendo a conoscenza delle finalità del trattamento e dell'utilizzo dei dati acquisiti. Esse, pertanto, chiedevano l'immediata rimozione delle videocamere e un risarcimento di 20 mila euro per i danni patiti.

La questione

Per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale per violazione del diritto alla riservatezza è necessario che l'offesa sia grave? Occorre la dimostrazione del pregiudizio effettivo?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Palermo con la Sentenza n. 912/2021 ritiene illegittima l'acquisizione delle immagini ritratte dall'associazione, in quanto non effettuate per fini esclusivamente personali e senza il previo consenso delle due sorelle. L'installazione delle videocamere da parte dell'associazione ha configurato, pertanto, una lesione del diritto alla riservatezza delle ricorrenti.
Tuttavia, afferma il Tribunale, non vi è alcuna prova che le videoriprese abbiano provocato nelle due donne quel lamentato «continuo stato di ansia e stress», essendo il raggio di ripresa delle videocamere «piuttosto limitato, non intercettando alcun punto di ingresso di private abitazioni».

L'art. 82 del GDPR disciplina espressamente la responsabilità civile nel trattamento dei dati personali e sul conseguente diritto al risarcimento. In particolare il primo comma della norma stabilisce che: «Chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del presente regolamento ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno dal titolare del trattamento o dal responsabile del trattamento»; al comma 3°, l'art. 82 del GDPR sancisce che il titolare o il responsabile del trattamento è esonerato da responsabilità «se dimostra che l'evento dannoso non gli è in alcun modo imputabile». In assenza di chiara giurisprudenza formatasi sulla nuova disciplina, potrebbe sostenersi che il citato art. 82 del GDPR delinei una fattispecie di illecito con colpa presunta in continuità con la precedente disciplina o che dalla nuova normativa possa configurarsi una responsabilità oggettiva comportante una prova liberatoria ancor più gravosa per il danneggiante.

Pur avendo espressa considerazione dalla disciplina settoriale, il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dall'illecito o comunque non consentito trattamento dei dati personali deve essere collocato all'interno delle categorie giuridiche che caratterizzano il sistema della responsabilità civile. Al di là dell'individuazione del criterio (oggettivo o soggettivo) di imputazione della responsabilità, il diritto al risarcimento del danno in parola non può ritenersi sussistente in conseguenza della mera lesione del diritto al corretto trattamento dei dati personali.

Infatti, il diritto al risarcimento del danno è subordinato alla verifica della ricorrenza sia del c.d. danno evento che del danno conseguenza. Il primo ricorre allorché risulti essere lesa una situazione giuridica differenziata e qualificata; il secondo si configura ove si accerti che dal danno evento, come in precedenza declinato, siano derivate delle ripercussioni pregiudizievoli nella sfera giuridica del danneggiato, sia di matrice patrimoniale, sub specie di danno emergente e lucro cessante, che di matrice non patrimoniale, ossia in termini di conseguenze pregiudizievoli alla sfera non reddituale del danneggiato. Inoltre in tema di danno non patrimoniale, la giurisprudenza della Corte di Cassazione che appare maggioritaria, per evitare la risarcibilità anche di danni meramente bagatellari ossia di scarsissima gravità e rilevanza, esige che debba esserci sia una lesione significativa alla situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela che una conseguenza grave che derivi dalla prima. In tale ottica interpretativa, quindi, vengono individuati due filtri, che riguardano sia il danno evento che il danno-conseguenza che possono ritenersi collegati al dovere di tolleranza e di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost.

Il soggetto leso, pertanto, laddove sia la lesione che le conseguenze dannose siano minimali, del tutto trascurabili e non significative, non potrà vantare alcun diritto al risarcimento del danno alla luce del dovere di tolleranza insito nell'evocato principio di solidarietà sociale. In tale solco ermeneutico, che esclude la risarcibilità di mere lesioni in sé considerate, si colloca, confermandolo, una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 17383/2020) avente ad oggetto il rigetto da parte del Tribunale di Roma della domanda proposta nei confronti di un istituto bancario avente ad oggetto la violazione del dovere di segretezza delle informazioni bancarie in relazione ad una raccomandata priva di busta e ripiegata su se stessa contenente la revoca degli affidamenti concessi, quindi con una modalità che secondo il ricorrente non consentiva l'adeguata protezione dei dati personali e da cui derivava un lesione risarcibile in re ispa.

Nella citata ordinanza della Suprema Corte si afferma che “non è esatto che gli artt. 11 e 15 del D.lgs. n. 196 del 2003 riconoscono il risarcimento in re ipsa del danno per il solo fatto del trattamento dei dati personali. Il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 15 del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (codice della privacy), pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall'art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno” (quale perdita di natura personale effettivamente patita dall'interessato), in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui il principio di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall'art. 11 del codice della privacy ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva”. Anche nel caso analizzato, secondo il Tribunale di Palermo, il danno patito dalle due sorelle non può dirsi "serio", e dunque meritevole di tutela risarcitoria, non essendo nella fattispecie «superato quel livello di tollerabilità che è imposto dal vivere sociale».

Osservazioni

Nella prassi, frequentemente ci si domanda quali sono i presupposti e le condizioni per ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alla lesione del diritto al corretto e legittimo trattamento dei dati personali. Alla luce del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali n. 679/2016 e dal D.lgs. 101/2018 che ha novellato il c.d. “Codice privacy” è stato abrogato l'art. 15 del D.lgs. 193/06, che disciplinava tale tipologia di illecito riconducendolo nel paradigma dell'art. 2050 del c.c., norma che scolpisce un'ipotesi speciale di responsabilità extracontrattuale, in particolare quella che può derivare dall'esercizio di attività pericolose. L'art. 2050, che secondo la tesi che appare maggioritaria prevede un illecito con colpa presunta, richiede un'inversione dell'onere della prova a carico dell'autore del danno, tenuto a dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo per essere esente da responsabilità, di contro, residua in capo al danneggiato la prova del nesso eziologico fra fatto ed evento nonché delle conseguenze dannose che derivano dall'evento dannoso.

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