L'assenza di convivenza con il de cuius non riduce il quantum risarcitorio del danno da perdita del rapporto parentale

Giovanni Gea
16 Settembre 2021

Il danno iure proprio da perdita del rapporto parentale, da quantificarsi necessariamente in via equitativa e con l'esplicita indicazione dei criteri tabellari di base adottati e delle variazioni (in aumento o in diminuzione) applicate in considerazione di tutte le circostanze del caso concreto, così da rendere evidente il percorso logico-giuridico seguito nella sua determinazione..
Massima

Il danno iure proprio da perdita del rapporto parentale, da quantificarsi necessariamente in via equitativa e con l'esplicita indicazione dei criteri tabellari (giurisprudenziali o normativi) di base adottati e delle variazioni (in aumento o in diminuzione) applicate in considerazione di tutte le circostanze del caso concreto, così da rendere evidente il percorso logico-giuridico seguito nella sua determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi di adeguatezza, proporzionalità ed integralità del risarcimento, sussiste ove venga provata l'effettività e la consistenza della relazione tra i congiunti ed, in particolare, l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, a nulla rilevando l'assenza di convivenza né lo stato di invalidità pregresso del de cuius.

Il caso

La sorella di una persona deceduta a seguito di errato trattamento medico, adiva il Tribunale di Pavia chiedendo la condanna dell'Azienda Ospedaliera al risarcimento del danno iure proprio da perdita del rapporto parentale.

Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda di risarcimento liquidando un importo di poco superiore al valore monetario base indicato dalle Tabelle del Tribunale di Milano in ragione dell'età non più giovane e dell'assenza di convivenza tra i fratelli nonché del pregresso stato di salute del de cuius.

La Corte d'Appello di Milano, adita dall'erede per ottenere una più congrua ed equa liquidazione del danno lamentato, ne respingeva la domanda, confermando, sul punto, la sentenza del Tribunale.

Avverso la sentenza della Corte territoriale, l'erede proponeva ricorso per cassazione.

La questione

L'assenza di convivenza e lo stato di invalidità pregresso del congiunto deceduto a causa di errore medico possono riverberare in termini di riduzione del risarcimento del danno iure proprio da perdita del rapporto parentale?

Le soluzioni giuridiche

La S.C., con la sentenza in commento, accoglie il ricorso della danneggiata e cassa con rinvio la decisione della Corte d'Appello stante la contraddizione in cui è incorsa nell'aver ritenuto comunque congrua, senza tuttavia indicare sulla base di quali criteri, la liquidazione operata dal giudice di prime cure nonostante la rilevata errata riduzione del quantum risarcitorio in considerazione del pregresso stato di salute del de cuius

In particolare, la S.C. evidenzia che se, da un lato, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere risarcito mediante il ricorso a criteri di valutazione equitativa, rimessi alla prudente discrezionalità del giudice di merito, dall'altro, le regole di equità applicate in relazione al caso concreto devono essere esplicitate onde consentire il sindacato del rispetto dei principi di adeguatezza, proporzionalità ed integralità del ristoro pecuniario.

Nel caso di specie, la Corte d'Appello, accertata l'irreparabilità della perdita della comunione di vita e di affetti e della integralità della famiglia subita dalla sorella del de cuius e dell'irrilevanza della invalidità pregressa del de cuius ai fini della quantificazione del danno iure proprio, è pervenuta a concludere di ritenere comunque “del tutto consona al caso di specie” la liquidazione effettuata dal giudice di prime cure ravvisando essere “equa e giusta” la quantificazione del danno anche in considerazione “della non più giovane età“ dei fratelli e della “mancata convivenza tra la vittima e il congiunto al momento del decesso”.

Ad avviso della S.C., siffatte argomentazioni risultano, invero, contraddittorie ed intrinsecamente illogiche nonché erronee.

Infatti, la Corte d'Appello non ha spiegato in quali termini abbia considerato riverberare sull'operata quantificazione del danno non patrimoniale operata dal giudice di prime cure la ravvisata erronea riduzione del quantum risarcitorio in considerazione del pregresso stato di salute del de cuius e ciò, a maggior ragione, se si considera che, normalmente, le gravi affezioni o preoccupanti patologie di un congiunto intensificano, e non fanno certamente diminuire, il legame emozionale dei parenti, come può anche presuntivamente desumersi dalla quantità e qualità di cure prodigate all'infermo.

Inoltre, la Corte d'Appello non ha spiegato le ragioni e i termini in cui gli evocati criteri “della non più giovane età” dei fratelli e la “mancata convivenza tra la vittima e il congiunto al momento del decesso” siano stati ritenuti idonei a rendere “equa e giusta” una valutazione del danno dal giudice di prime cure effettuata sulla base di presupposti almeno in parte erronei.

Tant'è che la Corte d'Appello si è limitata ad apoditticamente evocare le suddette circostanze senza, invero, dare debitamente conto dell'iter logico-giuridico al riguardo seguito.

Infatti, a fronte dell'accertato “stretto legame esistente tra i fratelli” nonché del richiamato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in base al quale la lesione o la perdita della relazione parentale è risarcibile ove sia provata la relativa effettività e consistenza, non essendo al riguardo invero necessario che essa risulti altresì connotata dalla convivenza la quale non assurge a connotato minimo della relativa esistenza, non risulta spiegato in che termini sia stata considerata tale ultima circostanza diversamente dalla relativa valutazione operata dal giudice di prime cure.

La S.C., nel ribadire gli ormai consolidati principi che governano la materia del danno da perdita del rapporto parentale ed i corretti criteri per la sua liquidazione nonché la necessità, pena la nullità della sentenza per difetto di motivazione, che sia reso evidente il percorso logico-giuridico seguito nella determinazione del danno onde consentire il sindacato del rispetto dei principi di “equità e giustizia” nell'apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, cassa con rinvio la decisione della Corte d'Appello che in diversa composizione dovrà procedere a nuovo esame facendo applicazione dei suddetti principi.

Osservazioni

Per costante orientamento della S.C., il danno da perdita del rapporto parentale, in quanto danno iure proprio dei congiunti, è risarcibile ove venga provata l'effettività e la consistenza di tale relazione e, in particolare, l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, non essendo al riguardo richiesto che essa risulti caratterizzata altresì dalla convivenza la quale non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l'”ampiezza” e la “profondità”.

Infatti, ciò che rileva è la relazione parentale, ossia quel sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla quotidianità dei rapporti tra congiunti, anche estranei al ristretto ambito della famiglia c.d. “nucleare”, che, laddove “spezzata” dall'evento morte, determina nei superstiti una sofferenza interiore e/o uno sconvolgimento delle abitudini di vita con conseguente violazione di interessi essenziali della persona quali il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà ed alla libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, di diritto o di fatto, che trovano rispettivo riconoscimento nelle norme di cui agli artt. 2, 29, 30, Cost..

Il risarcimento di tale danno, diversamente dal danno patrimoniale, il cui ristoro deve normalmente corrispondere alla sua esatta commisurazione, non può che avvenire che con valutazione equitativa di tutte le ripercussioni negative dell'evento luttuoso sul valore persona mediante il ricorso a criteri di liquidazione che consentano, in relazione all'effettiva natura ed entità del danno, un congruo risarcimento.

Tale criterio di liquidazione, di cui il giudice deve dare adeguatamente conto in motivazione, indicando il parametro tabellare di base, il percorso logico-giuridico seguito nella propria determinazione e le ragioni dell'operato apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, onde consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento, pena la nullità della sentenza per difetto di motivazione, deve essere idoneo a consentire di pervenire ad una valutazione informata ad “equità e congruità” ed evitare che sia meramente fittizia, irrisoria o simbolica.

La S.C. ha evidenziato che, in assenza di tabelle normativamente determinate per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, il giudice di merito deve prendere a riferimento i parametri delle Tabelle di Milano, anche solo quale criterio di riscontro e verifica della “equità e congruità” della somma riconosciuta a ristoro di tale danno, essendo erronea la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri indicati dalle dette Tabelle di Milano consente di pervenire (Cass. Civ., 30/6/2011, n. 14402; Cass. Civ., 20/8/2015, n. 16992; Cass. Civ., 19/10/2016, n. 21059).

Infatti, poiché le Tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una "vocazione nazionale", in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell'equità valutativa e ad evitare ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell'art. 3, comma 2, Cost., la S.C. è pervenuta a ritenerle valido criterio di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. (Cass. Civ., 7/6/2011, n. 12408; Cass. Civ., 30/6/2011, n. 14402).

Pertanto, con particolare riferimento al sistema delle tabelle, al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità, e di evitare che la valutazione risulti sostanzialmente arbitraria, il giudice di merito deve dare adeguatamente conto dei criteri posti a base del procedimento valutativo seguito per addivenire all'adottata liquidazione, indicando il parametro “standard” adottato, come sia stato esso individuato, quali siano i relativi criteri ispiratori e le modalità di calcolo, quale sia l'incidenza al riguardo assegnata ai parametri considerati, le ragioni della mancata considerazione di altri parametri, a maggior ragione in caso di discostamento in diminuzione dai parametri indicati dalle Tabelle di Milano ovvero di omessa adozione di questi ultimi, i cui criteri devono essere presi a riferimento dal giudice ai fini di tale liquidazione, dovendo il medesimo indicare in motivazione le ragioni che lo hanno condotto ad una quantificazione del risarcimento che, alla luce delle circostanze del caso concreto, risulti inferiore a quella cui si sarebbe pervenuti utilizzando dette tabelle (Cass. Civ., 6/5/2020, n. 8508).

Quanto, poi, al pregresso stato di salute del congiunto, lo stato di invalidità non può tuttavia rilevare ove si tratti di danni risarcibili iure proprio ai superstiti, potendo solo condurre ad una riduzione del quantum dei pregiudizi risarcibili iure successionis laddove sia stata fornita la prova che la conseguenza dannosa dell'evento (nella specie, la morte) sia stata cagionata anche dal pregresso stato di invalidità.

Pertanto, ove il danneggiato, già in condizioni invalidanti comunque non idonee di per sé e nell'immediatezzaa condurlo alla morte, deceda in conseguenza di eventuali condotte (commissive od omissive) di terzi, la risarcibilità iure proprio del danno non patrimoniale riconosciuto ai congiunti non può subire un ridimensionamento.

Laddove, invece, il danneggiato versi in condizioni invalidanti di per sé idonee a condurlo alla morte, la risarcibilità iure proprio del danno non patrimoniale può essere ridimensionato solamente in ragione della diversa considerazione del verosimile arco temporale in cui i congiunti avrebbero potuto ancora godere, sia sul piano affettivo che sul piano economico, del rapporto con il soggetto anzitempo deceduto (Cass. Civ., 21/7/2011, n. 15991).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.