L'assicurazione della responsabilità civile, l'obbligo di avviso del sinistro ed il suo inadempimento doloso

19 Ottobre 2021

Nell'assicurazione della responsabilità civile l'obbligo di avviso previsto dall'art. 1913 c.c. a carico dell'assicurato sorge a seguito della notifica della domanda giudiziale o della ricezione della richiesta di risarcimento del terzo danneggiato, consistente in una manifestazione di volontà di quest'ultimo, ancorché generica, di essere risarcito del danno subito.
Massima

[I] Nell'assicurazione della responsabilità civile l'obbligo di avviso previsto dall'art. 1913 c.c. a carico dell'assicurato sorge a seguito della notifica della domanda giudiziale o della ricezione della richiesta di risarcimento del terzo danneggiato, consistente in una manifestazione di volontà di quest'ultimo, ancorché generica, di essere risarcito del danno subito.

[II] Affinché l'assicurato possa ritenersi dolosamente inadempiente all'obbligo di avviso di cui al primo comma dell'art. 1915 c.c., con conseguente perdita del diritto all'indennizzo, non è richiesto lo specifico e fraudolento intento di arrecare danno all'assicuratore, ma sono sufficienti la consapevolezza dell'anzidetto obbligo e la volontà di non osservarlo.

Il caso

Gli acquirenti di un immobile convenivano i venditori ed il notaio rogante per ottenerne la condanna del risarcimento del danno subito perché, diversamente da quanto indicato nell'atto di vendita, l'immobile compravenduto non era risultato "libero da privilegi, ipoteche ed altri gravami", essendo invece soggetto ad una procedura esecutiva.

Il notaio chiamava in causa l'assicuratore della propria responsabilità civile per esserne tenuto indenne, ma questi si costituiva eccependo la tardività della denuncia di sinistro (e l'inoperatività della garanzia).

Il Tribunale di Lecce accoglieva la domanda che gli acquirenti avevano proposto contro i venditori, respingendo quella da essi formulata contro il notaio.

La Corte d'appello di Lecce, decidendo sull'impugnazione dei medesimi acquirenti, in parziale riforma della sentenza impugnata, accertava la responsabilità professionale del notaio, condannando pure lui al risarcimento del danno, e, in accoglimento della sua domanda di garanzia, condannava il suo assicuratore a tenerlo indenne.

A questo riguardo la Corte territoriale fondava la propria decisione su un triplice ordine di ragioni, adducendo anzitutto la mancanza di prova del fatto che il notaio avesse “consapevolmente e deliberatamente ritardato la comunicazione del sinistro alla sua compagnia”; in secondo luogo il fatto che “la lettera di contestazione trasmessagli” dagli acquirenti avesse “un contenuto sostanzialmente interlocutorio, non contenente una specifica richiesta risarcitoria”; ed in terzo luogo affermando che l'assicuratore aveva omesso di provare “in termini puntuali e rigorosi quali conseguenze pregiudizievoli sarebbero scaturite dall'asserito ritardo”.

L'assicuratore impugnava per cassazione la sentenza di secondo grado, censurando tanto la decisione assunta in merito alla responsabilità del proprio assicurato, quanto quella che aveva rigettato la sua eccezione di perdita del diritto all'indennizzo da parte dell'assicurato per l'inosservanza dolosa dell'obbligo di avviso ex artt. 1913 e 1915 c.c..

La questione

Quando la “richiesta di risarcimento”, formulata dal terzo danneggiato nei confronti dell'assicurato, possa reputarsi veramente tale e determini, pertanto, in capo allo stesso assicurato, l'insorgenza dell'obbligo di farne avviso al proprio assicuratore ai sensi dell'art. 1913 c.c.?

Quale sia lo stato psicologico che integra gli estremi del dolo previstodal primo comma dell'art. 1915 c.c., dando luogo all'inadempimento doloso dell'obbligo di avviso del sinistro ed alla perdita del diritto all'indennizzo contrattualmente pattuito?

È giusto sovrapporre “i piani dell'omissione dolosa e di quella colposa” dell'obbligo di avviso, alla luce dell'art. 1915 c.c. che richiede per la sola ipotesi colposa, e non anche per quella dolosa, la prova del pregiudizio?

Le soluzioni giuridiche

I) la “richiesta di risarcimento” del danneggiato nell'assicurazione della responsabilità civile.

Quanto al primo tema, la Suprema Corte ha ritenuto erronea la decisione della Corte territoriale laddove aveva negato che la "lettera di contestazione" inviata dagli “acquirenti al notaio assicurato non potesse definirsi come una vera e propria richiesta di risarcimento “per il solo fatto di non contenere una "specifica" richiesta risarcitoria”.

A questo proposito essa si è limitata ad osservare che, in realtà, tale “lettera di contestazione” conteneva un esplicito invito a “fare in modo di ottenere l'immediata estinzione della procedura esecutiva e, in ogni caso, a tener indenni [gli acquirenti] da qualsivoglia conseguenza pregiudizievole, ivi comprese le spese per la imminente stima dell'immobile”.

In tal modo, la Corte ha mostrato di ritenere che, ai fini dell'assicurazione della responsabilità civile, il “sinistro” che l'assicurato è obbligato a denunciare al proprio assicuratore (entro tre giorni) ai sensi dell'art. 1913 c.c si identifichi in una simile manifestazione di volontà dei danneggiati.

È la prima volta che, seppur ermeticamente, ma inequivocabilmente, la giurisprudenza di legittimità si pronuncia in materia.

In termini generali la nozione di “sinistro”, ai fini dell'assicurazione della responsabilità civile, è stata fortemente dibattuta in dottrina ed in giurisprudenza.

Infatti, né l'art. 1882, laddove disciplina il genus dell'assicurazione contro i danni, né l'art. 1917 c.c., quando tratteggia i caratteri della species dell'assicurazione della responsabilità civile, dettano una nozione di “sinistro”.

In dottrina alla tesi che lo identifica nel fatto illecito (o nell'inadempimento) dell'assicurato (ad es.: GASPERONI, Assicurazioni contro la responsabilità civile, in Novissimo Dig. It., Torino, 1958, I, 1213; ANGELONI, Assicurazioni della responsabilità civile, in Enc. Dir., Milano, 1958, III, 563; DE LUCA, L'attuazione del rapporto assicurativo, in Responsabilità e Assicurazione, Trattato resp. civ. Franzoni, Milano, 2007, 107 e segg) si contrappone quella che, invece, lo ravvisa nella richiesta di risarcimento che il danneggiato abbia a rivolgere a quest'ultimo (ad es.: VIVANTE, Del contratto assicurativo, Torino, 1936, 317; FANELLI, L'assicurazione mutua e norme varie in materia di assicurazione, Roma, 1943, 78; ASCARELLI, Sul momento iniziale della decorrenza della prescrizione nell'assicurazione della responsabilità civile, in Assicurazioni, 1934, II, 194; DE GREGORIO – FANELLI – LA TORRE, Il contratto di assicurazione, Milano, 1987, 162; FARENGA, Diritto delle assicurazioni, Torino, 2006, 184).

Altri, pur ritenendo che per sinistro debba intendersi “il fatto che dà luogo alla responsabilità civile” dell'assicurato, hanno affermato che l'obbligo di avviso avrebbe ad oggetto non solo quel fatto (decorrendo quindi il termine di cui all'art. 1913 c.c. dal momento in cui esso si verifica o l'assicurato ne abbia conoscenza), ma “anche la richiesta del danneggiato ovvero l'iniziativa giudiziaria dello stesso” (BOTTIGLIERI, Dell'assicurazione contro i danni, in Comm. cod. civ. Schlesingher, Torino, 2010, 282).

Sempre in termini generali, e non con specifico riferimento al disposto dell'art. 1913 c.c., la giurisprudenza di legittimità, in epoca più remota, aveva sostenuto che “nel contratto di assicurazione della responsabilità civile il sinistro, in base al quale sorge l'obbligo per l'assicuratore di tenere indenne l'assicurato di quanto da lui dovuto al danneggiato, si identifica con il fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione e non nella richiesta da parte del danneggiato” (Cass. civ. n. 5624/2005).

Al contrario, nelle sue decisioni più recenti, la Suprema Corte ha affermato che “nell'assicurazione della responsabilità civile il sinistro… è collegato non solo alla condotta dell'assicurato danneggiante, ma altresì alla richiesta risarcitoria avanzata dal danneggiato, essendo fin troppo ovvio che ove al comportamento lesivo non faccia seguito alcuna domanda di ristoro, nessun diritto all'indennizzo — e specularmente nessun obbligo di manleva — insorgeranno a carico dei soggetti del rapporto assicurativo” (SS.UU.. n. 9140/2016; Cass. civ. n. 8117/2020).

Già in una precedente decisione la Cassazione aveva osservato che “l'obbligo dell'assicuratore di tenere indenne l'assicurato di quanto dovrà risarcire al terzo diviene concreto ed attuale soltanto quando questi, vale a dire il danneggiato, manifesta la sua intenzione di essere risarcito per il danno subito”, perché “soltanto da questo momento è minacciato il patrimonio dell'assicurato” (Cass. civ. n. 25897/2013).

Il che equivale a dire che solo con la “richiesta di risarcimento” del danneggiato, e non prima di questo momento, si avvera il rischio che è oggetto dell'assicurazione della responsabilità civile e, quindi, si concretizza il “sinistro” da cui scaturisce l'obbligazione indennitaria dell'assicuratore.

La sentenza n. 21533/2020 ora applica per la prima volta all'obbligo di avviso prescritto dall'art. 1913 c.c. la tesi per cui il “sinistro” si perfeziona solo con la richiesta di risarcimento del terzo danneggiato.

Seppure in termini assai sintetici, essa risponde pure al quesito inerente al contenuto che la dichiarazione trasmessa dal danneggiato all'assicurato-danneggiante deve possedere per potersi considerare una “richiesta di risarcimento” e determinare, quindi, l'insorgere dell'obbligo di quest'ultimo di denunciare all'assicuratore il “sinistro” occorsogli.

Nel caso sottopostole, per quanto tale dichiarazione non specificasse né la precisa natura dei danni lamentati dagli acquirenti dell'immobile, né il loro esatto ammontare (ragion per cui la Corte d'appello l'aveva ritenuta non “specifica”), questa manifestava la loro volontà di essere tenuti “indenni da qualsiasi conseguenza pregiudizievole” derivante dall'inesatto adempimento della prestazione resa dal notaio.

Espressione questa certamente non appropriata sotto il profilo del lessico giuridico, ma inequivocabilmente diretta ad esprimere la volontà degli acquirenti di ottenere il risarcimento dei danni loro cagionati dal succitato inesatto adempimento.

Ciò che la Suprema Corte ha ritenuto sufficiente ad integrare una “richiesta di risarcimento”.

E, quindi, ai fini del contratto di assicurazione stipulato dal notaio inadempiente, a determinare l'insorgenza del “sinistro” (nel senso dianzi precisato) e, conseguentemente, quella dell'obbligo di avviso prescritto dall'art. 1913 c.c.

A questo proposito è opportuno osservare che i requisiti propri della “richiesta di risarcimento”, ai fini dell'assicurazione della responsabilità civile sono stati precisati dalla giurisprudenza della Cassazione non già con riferimento al disposto dell'art. 1913 c.c., bensì con riguardo alla norma espressa dal terzo comma dell'art. 2952 c.c., che disciplina il termine di prescrizione del diritto dell'assicurato, stabilendo che questo “decorre dal giorno in cui il terzo ha richiesto il risarcimento all'assicurato o ha promosso contro di questo l'azione”.

Quanto all'aspetto soggettivo, la Corte ha affermato che la “richiesta di risarcimento” deve provenire dal terzo danneggiato, essendo irrilevanti quelle eventualmente trasmesse all'assicurato-danneggiante da altri soggetti, ancorché indirettamente interessati (Cass. civ. n. 25897/2013).

Sotto il profilo oggettivo, invece, essa ha ritenuto che l'art. 2952 c.c. debba essere “interpretato in termini rigorosi” e quindi che per “richiesta di risarcimento” deve intendersi solo quella che possieda un “significato univoco, tale per cui l'assicurato veda minacciato il suo patrimonio da una concreta iniziativa del danneggiato e, quindi, percepisca l'urgenza di darne comunicazione all'assicuratore” (Cass. civ. n. 289/2015).

Perciò la Corte ha affermato che “ove la richiesta del danneggiato sia formulata stragiudizialmente… deve assumere il significato univoco di istanza risarcitoria”, tale cioè da manifestare la “pretesa risarcitoria del danneggiato”, e quindi la sua volontà “di richiedere al danneggiante, vale a dire all'assicurato, il risarcimento dei danni, pur non essendo necessario che questi siano già quantificati nel loro esatto ammontare” (ivi).

La giurisprudenza di merito ha precisato che “tale richiesta è idonea a dare corso al termine iniziale della prescrizione anche se redatta in modo tale che solo dal tenore complessivo dello scritto può essere desunto che si tratta di una domanda risarcitoria, dal momento che la legge non richiede formule particolari” (App. Milano 6.10.1987).

Una comunicazione che alludeva alla mera “possibilità di avanzare successivamente richiesta di risarcimento” non è stata, invece, ritenuta tale da integrare una “richiesta di risarcimento” (Cass. civ. n. 24733/2007).

E di recente, sempre con riguardo all'art. 2952 c.c., alcune decisioni della Suprema Corte (n. 2971/2019 e 11581/2020) hanno ritenuto che il ricorso per consulenza ex art. 696 bis c.p.c. o per accertamento tecnico preventivo non possa essere equiparato ad una richiesta di risarcimento (o integri l'esercizio dell'azione giudiziale). Tali pronunce contraddicono un orientamento che, in generale, con riferimento al disposto dell'art. 2943 c.c., riconosce valore interruttivo al ricorso per accertamento tecnico preventivo (Cass. civ. n. 8637/2020, 29420/2017…).

Riguardo al disposto dell'art. 2943 c.c., la giurisprudenza riconosce valore interruttivo ai soli atti contenenti, sotto il profilo oggettivo, una “richiesta di risarcimento o intimazione” di pagamento, tale da manifestare “l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto”, negandola alle “semplici sollecitazioni prive di carattere di intimazione e di espressa richiesta di adempimento al debitore” (Cass. civ. nn. 15140/2021, 18546/2020).

Una decisione rimasta isolata (Cass. civ. n. 26189/2020) ha invece affermato che, per avere valore interruttivo, un atto “non deve necessariamente consistere in una richiesta o intimazione, essendo sufficiente una dichiarazione che, esplicitamente o per implicito, manifesti l'intenzione di esercitare il diritto spettante al dichiarante”.

La sentenza annotata, con riferimento all'obbligo previsto dall'art. 1913 c.c., quanto alla “richiesta di risarcimento” inviata dagli acquirenti-danneggiati, in realtà, si è limitata a censurare la decisione impugnata per aver negato che questa fosse tale perché non conteneva “una "specifica" richiesta risarcitoria”, così alludendo chiaramente all'elaborazione giurisprudenziale relativa al disposto dell'art. 2952 c.c. testé illustrata.

Infatti, come si è detto, ha riconosciuto il contenuto di “istanza risarcitoria” della suddetta comunicazione perché, seppur formulata in termini inappropriati sotto il profilo lessicale e generici sotto quello contenutistico, manifestava chiaramente la volontà dei danneggiati di esser risarciti delle “conseguenze pregiudizievoli” dell'inadempimento attribuito al professionista assicurato.

Il principio che si trae da tale decisione è, quindi, quello per cui il “sinistro” cui fa riferimento l'art. 1913 c.c., ai fini dell'obbligo di avviso all'assicuratore, è costituito dalla domanda giudiziale rivolta dal danneggiato contro l'assicurato ovvero dalla sua “richiesta di risarcimento” stragiudiziale, intendendosi per tale una manifestazione di volontà che, seppur formulata senza impiegare “formule sacramentali” ed in termini generici, denoti l'intento di essere risarcito del danno causato dall'assicurato stesso.

II) il dolo dell'assicurato ai fini dell'inadempimento dell'obbligo di avviso.

Relativamente alla seconda, importante questione la Cassazione ha colto l'occasione per precisare quali siano i caratteri propri del dolo dell'assicurato di cui al primo comma dell'art. 1915 c.c..

Richiamandosi alla propria costante giurisprudenza (unico precedente difforme: Cass. civ. n. 24210/2019), la Corte ha anzitutto ribadito che “affinché l'assicurato possa ritenersi dolosamente inadempiente all'obbligo di dare avviso all'assicuratore, ai fini dell'art. 1915, primo comma, cod. civ., con l'effetto di perdere il diritto all'indennità, non è richiesto lo specifico e fraudolento intento di arrecare danno all'assicuratore, ma è sufficiente la consapevolezza dell'obbligo previsto dalla norma e la cosciente volontà di non osservarlo» (Cass. n. 13355/2015, conforme a Cass. n. 3044/1997, Cass. n. 5435/2005, Cass. n. 17088/2014, Cass. n. 28625/2019)”.

E, sulla base di tale presupposto, ha censurato la decisione impugnata per aver “fondato l'esclusione della decadenza dall'indennità sull'assunto che fosse necessaria la prova che il notaio aveva "consapevolmente e deliberatamente" ritardato la comunicazione, in tal modo introducendo un elemento di intenzionalità (e non di mera cosciente volontà) che è estraneo al paradigma normativo”.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in effetti, il dolo consiste nella consapevolezza dell'obbligo di avviso e nella cosciente volontà di non osservarlo, non essendo necessario un intento fraudolento dell'assicurato (Cass. civ. nn. 3264/2016, 13355/2015, 25271/2008, 14579/2007, 5435/2005…).

Dovendosi, quindi, escludere un'accezione analoga a quella penale di dolo specifico, secondo la quale la volontà del reo deve essere polarizzata verso un fine determinato.

L'unica decisione di diverso segno (Cass. civ. n. 24210/2019) si è limitata ad affermare, in modo del tutto apodittico, che “nel caso previsto dall'art. 1915 c.c., comma 1 dovrà provare il fine fraudolento dell'assicurato”, limitandosi a rinviare, del tutto erroneamente (come rilevato dalla sentenza annotata), a Cass. civ. n. 5435/2005, che aveva, invece, aderito al predetto orientamento, ribadendo che per aversi inadempimento doloso “non occorre lo specifico e fraudolento intento di creare danno all'assicuratore”.

Tale interpretazione è coerente con la nozione di dolo elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza ai fini dell'inadempimento delle obbligazioni, con riferimento al disposto dell'art. 1225 c.c., per cui questo “non consiste nella coscienza e volontà di provocare tali danni, ma nella mera consapevolezza e volontarietà dell'inadempimento” (Cass. civ. n. 7759/2012) o, più precisamente, “la consapevolezza di dovere una determinata prestazione ed omettere di darvi esecuzione intenzionalmente, senza che occorra altresì il requisito della consapevolezza del danno” (Cass. civ. n. 25271/2008, 2899/1987, 5566/1984).

Nella vigenza del codice attuale, questo univoco orientamento giurisprudenziale ha superato la contrapposizione che, sotto l'imperio del codice abrogato, in dottrina aveva diviso i fautori di una nozione «delittuale», incentrata sulla volontà di cagionare un danno al creditore della prestazione (es.: GABBA, Contributi alla teorica del danno e del risarcimento, nuove questioni di diritto civile, Torino, 1912, I, 173 ss.), e quelli per i quali il dolo si identificava nella mera volontà di non adempiere, accompagnata alla consapevolezza del danno recato al creditore (es.: POLACCO, Le obbligazioni nel diritto civile italiano, Roma, 1914, 385 ss.).

Dell'anzidetta nozione del dolo nell'inadempimento delle obbligazioni la giurisprudenza ha fatto coerente applicazione, in materia di contratto di assicurazione, anche con riguardo alle altre norme che prevedono condotte dolose di un contraente, come, ad esempio, per quella dettata dall'art. 1892 c.c., relativamente alla quale ha ritenuto che “non è necessario, al fine di integrare l'elemento soggettivo del dolo, che l'assicurato ponga in essere artifici o altri mezzi fraudolenti, essendo sufficiente la sua coscienza e volontà di rendere una dichiarazione inesatta o reticente” (Cass. civ. nn. 12086/2015, 29894/2008, 31695/2003, 784/2001).

Merita altresì di essere rammentato che, nel diritto civile, quella di dolo è una nozione polimorfa, poiché al dolo dell'inadempimento, così inteso, si affiancano il dolo negoziale (consistente nel comportamento di un contraente che induce una falsa rappresentazione della realtà in un altro per fuorviarne la volontà negoziale) e il dolo extracontrattuale (che ricorre quando il soggetto agente si prefigura un determinato evento dannoso come conseguenza, certa o probabile, della propria azione o omissione).

Un aspetto importante della tematica in esame è il rapporto fra l'ipotesi dolosa di inadempimento di cui al primo comma dell'art. 1915 c.c. e quella colposa prevista dal secondo comma, che la giurisprudenza risolve assumendo che debba presumersi la natura colposa dell'inadempimento dell'obbligo di avviso e competa, quindi, all'assicuratore di provarne quella dolosa (Cass. civ. n. 32793/2019, 24210/2019, 3264/2010).

Secondo un precedente della Cassazione, la prova della “la consapevolezza” e della “volontarietà della omissione”, nel caso sottopostole, era stata correttamente desunta dalla Corte territoriale “sia dal rilievo che la polizza stipulata dall'assicurato era di carattere individuale e non collettivo, sia dall'ingiustificato ritardo nell'adempimento, protrattosi per quasi nove mesi”, e quindi per un lungo periodo di tempo. Per cui quest'ultima aveva “ritenuto il dolo dell'assicurato non in base al rilievo del mero ritardo nell'adempimento dell'obbligo di avviso, ma in base all'accertamento dell'atteggiamento soggettivo dell'assicurato, connotato da volontà di non adempiere all'obbligo contrattuale e quindi qualificabile come doloso alla stregua della ricordata giurisprudenza di questa Corte” (Cass. civ. n. 5435/2005).

In proposito occorre tener presente che la funzione dell'avviso di sinistro è quella di consentire all'assicuratore il tempestivo accertamento dell'evento dannoso, delle sue cause e dei danni che ne sono conseguiti, così acquisendo gli elementi necessari per l'adempimento della propria prestazione assicurativa.

Di regola, l'obbligo di avviso ed il relativo termine sono richiamati nelle condizioni generali dei contratti di assicurazione, circostanza dalla quale sovente la giurisprudenza di merito desume la consapevolezza dell'assicurato, per cui un atteggiamento di protratto inadempimento di tale obbligo, dimostrando incuria per l'interesse della controparte contrattuale e ponendosi in contrasto con un'esecuzione del contratto secondo buona fede (prescritta dal disposto dell'art. 1375 c.c.), viene ritenuto indice della volontarietà di tale condotta ed idoneo ad integrare i presupposti del dolo (in tal senso: Cass. civ. n. 5435/2005 citata; Tribunale Milano, sez. X, 31/05/2007, n. 6859, in Giust. a Milano 2007, 5, 34).

Osservazioni

I) Assicurazione della responsabilità civile e “richiesta di risarcimento”.

Il principio affermato dalla sentenza annotata è frutto della trasposizione nella specifica materia di un orientamento solo di recente affermatosi nella giurisprudenza di legittimità.

Abbandonando un iniziale orientamento di segno opposto, la Suprema Corte ha ormai condiviso l'idea, da tempo largamente diffusa in dottrina, per cui il “sinistro” nell'assicurazione della responsabilità civile è, in realtà, un “fenomeno complesso” (DE LUCA, L'attuazione del rapporto assicurativo, in Responsabilità e Assicurazione, Trattato Resp. civ. diretto da Franzoni, Milano, 2007, 107) ovvero una “fattispecie a formazione progressiva” (MIOTTO, Dalle Sezioni Unite alla legge Gelli: la claims made dall'atipicità alla tipizzazione, in Resp. civ. e prev. 2017, 1400) che si perfeziona non già nel momento in cui si compie il fatto illecito o l'inadempimento attribuibile all'assicurato, bensì in quello successivo in cui questi riceve la conseguente richiesta di risarcimento.

Del resto l'opinione contraria, per lungo tempo dominante in giurisprudenza, era divenuta insostenibile dopo che il legislatore aveva tipizzato la clausola claims made, sulla base della quale è stata strutturata l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile dei professionisti (art. 3, comma 5, d.l. n. 138/2011 convertito in legge n. 148/2011 per i professionisti in generale; art. 2, d.m. 22.9.2016, attuativo dell'art. 12 l. n. 247/2012, per gli avvocati; art. 10 l. n. 24/2017 per le strutture sanitarie e gli esercenti le professioni sanitarie), come hanno riconosciuto le Sezioni Unite (sentenza n. 22437/2018).

È perciò consequenziale che l'obbligo di avviso, riferito dall'art. 1913 c.c. al “sinistro”, nell'assicurazione della responsabilità civile, decorra dalla richiesta di risarcimento formulata dal terzo danneggiato.

Ed è altresì del tutto logico che, conformemente alla giurisprudenza maturata ai fini dell'art. 2952 c.c. (che riecheggia quella formatasi ai fini dell'art. 2943 c.c.), per “richiesta di risarcimento” debba intendersi, come ha fatto la sentenza in comento, una inequivoca manifestazione di volontà del danneggiato di ottenere il risarcimento del danno subito, fatta per iscritto, seppur formulata in termini imprecisi sotto il profilo lessicale e priva di una precisa identificazione e quantificazione del danno.

Merita di essere segnalato, infine, che la norma dettata dall'art. 1913 c.c. non rientra fra quelle dichiarate inderogabili dall'art. 1932 c.c., per cui nulla vieta che le parti del contratto di assicurazione possano pattuire una diversa decorrenza dell'obbligo in questione, ad esempio dal momento in cui si verifica l'illecito o l'inadempimento dell'assicurato o da quello in cui egli ne venga a conoscenza (come non è infrequente).

II) Assicurazione della responsabilità civile e dolo dell'assicurato.

Pienamente condivisibile è pure il principio di diritto ribadito dalla sentenza in commento relativamente alla nozione del dolo dell'assicurato ai fini dell'inosservanza dell'obbligo di avviso.

Infatti, anche per questo aspetto, la Cassazione non ha fatto altro che applicare alla specifica materia una nozione di dolo di più ampia portata, riferita all'inadempimento delle obbligazioni da tempo radicata in giurisprudenza, secondo la quale questo consiste nello stato psicologico di colui che, sapendo di essere obbligato ad eseguire una prestazione, volontariamente si astenga dal renderla, essendo quindi sufficienti la coscienza e volontà dell'inadempimento, e non occorrendo pure quelle del danno recato al creditore della prestazione.

In questa prospettiva, invero, si spiega come non sia necessario che l'assicurato abbia omesso l'avviso di sinistro con l'intento di recar danno all'assicuratore o addirittura di perpetrare una frode.

Questa nozione del dolo nell'inadempimento è da tempo radicata anche in dottrina (CIANCI, Delle obbligazioni in generale, Comm. Cod. civ. diretto da Gabrielli, Torino, 2013, 227)

Con l'importante precisazione per cui in dottrina è pure ben chiaro che l'“inadempimento, oltre alla forma radicale dell'assenza di prestazione, si può presentare anche nelle forme del ritardo o nell'adempimento inesatto” (ROMEO, Inadempimento doloso e risarcimento del danno imprevedibile, in Resp. civ. e prev. 2004, 993), rilievo perfettamente calzante alla fattispecie in esame.

Essendo, quindi, pacifico che pure il ritardo nell'adempimento dell'obbligo di avviso, rispetto al termine di tre giorni assegnato all'assicurato dall'art. 1913 c.c. (o a quello maggiore eventualmente convenuto dalle parti), può tradursi in un (volontario) inadempimento quando sia non già solo protratto nel tempo, ma altresì privo di giustificazione, oltre che attuato nella consapevolezza dell'esistenza del predetto obbligo, dando luogo all'ipotesi dolosa prevista dal primo comma dell'art. 1915 c.c., come osservato dalla sentenza della Cassazione civile citata (n. 5435/2005).

In conclusione, la sentenza in esame assume particolare rilievo per aver affermato per la prima volta chiaramente, seppur in termini assai sintetici, gli anzidetti principi giuridici con specifico riguardo alla tematica dell'obbligo di avviso nell'assicurazione della responsabilità civile e della sua inosservanza.

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