Ordine di rimozione dei contenuti diffamatori su Facebook

Ilenia Alagna
09 Settembre 2020

Il Provvedimento analizzato ha ad oggetto l'obbligo di rimozione di contenuti a carattere illecito presenti sui Social network ed il loro ambito di operatività territoriale e, precisamente, se esso debba dispiegare i propri effetti a livello mondiale ovvero limitatamente agli Stati Europei.
Massima

Il Tribunale di Milano si è pronunciato sulla legittimità di un'ordinanza cautelare che, in accoglimento del ricorso di un manager diffamato dall'ex compagna mediante le piattaforme dei social network Instagram e Facebook, ordinava alle suddette società la rimozione di tutti i contenuti contestati, a livello mondiale condannando le stesse, in via solidale, alla rifusione delle spese di lite in favore del ricorrente.

Il caso

Un imprenditore italiano, con ricorso ex art. 700 c.p.c., ha chiesto al Tribunale di Milano di ordinare a Facebook Inc., Facebook Ireland Limited, Instagram LLC, Twitter Inc, YouTube LLC, Google Inc e Google Ireland Holding la rimozione di contenuti online, presenti nelle pagine social, ritenuti denigratori nei propri riguardi. Il ricorrente ha dedotto che tali contenuti fossero stati inseriti intenzionalmente a suo discredito ed in relazione ad una vicenda di carattere personale che lo ha visto coinvolto e che fossero stati pubblicati per porre in essere una “campagna denigratoria violentissima” nei suoi riguardi, caratterizzata da “un'aggressività sempre crescente” sui social network elencati.

In particolare ha dedotto che i post e le immagini avessero un contenuto gravemente diffamatorio del proprio onore e della propria reputazione, personale e professionale.

Dall'altra parte, con reclamo depositato il 6 aprile 2020, Facebook Inc., Facebook Ireland LTD e Instagram LLC hanno chiesto la revoca dell'ordinanza e la condanna del reclamato al pagamento delle spese di lite del ricorso cautelare e della fase di reclamo. In particolare le società reclamanti hanno dedotto che: le stesse erano prive di legittimazione passiva, atteso che unico responsabile dei contenuti visibili per gli utenti italiani era Facebook Ireland; il Giudice della fase cautelare aveva ordinato erroneamente la rimozione a livello mondiale di tutti i contenuti, atteso che tale domanda non era stata formulata nel ricorso introduttivo ma solo nella successiva memoria autorizzata; non poteva ritenersi sussistente il requisito del periculum in mora, posto che l'accesso ai contenuti illeciti era stato prontamente rimosso per gli utenti italiani di Facebook e Instagram e che i restanti contenuti non potevano ritenersi illeciti. Facebook Ireland aveva adempiuto agli obblighi sulla stessa gravanti (in forza degli artt. 16 e 17 del d.lgs. 70/2003) provvedendo a rimuovere i contenuti (tra i quali erano presenti messaggi dal tenore inoffensivo, che non potevano considerarsi illeciti).

L'imprenditore si è costituito chiedendo il rigetto del reclamo e la conferma dell'ordinanza impugnata. Egli in particolare deduceva che: le società convenute avevano la possibilità e l'obbligo di rimuovere i contenuti offensivi e denigratori, anche in via d'urgenza (come previsto dagli artt. 14, 15, 16 e 17 del d.lgs. 70/2003); l'eccezione di difetto di legittimazione passiva doveva ritenersi infondata, atteso che oggetto del ricorso era un ordine di rimozione a livello mondiale; l'ordinanza reclamata aveva correttamente richiamato i principi affermati dalla Corte di Giustizia, che aveva espressamente riconosciuto la possibilità di uno Stato membro di ordinare la rimozione dei contenuti a livello mondiale; la rimozione a livello mondiale era necessaria atteso che le società in cui era coinvolto il ricorrente esportavano gran parte dei prodotti in tutto il mondo, avendo sede in 62 Paesi e godendo di una politica imprenditoriale caratterizzata dalla riservatezza e dall'impegno nella filantropia e che, inoltre, i contenuti erano redatti in lingua inglese (dunque conoscibili in tutto il mondo).

La questione

I Social Network devono rimuovere i contenuti segnalati a livello mondiale? Quali sono gli aspetti considerati dai giudici?

Le soluzioni giuridiche

Con l'Ordinanza n.12616, il Tribunale di Milano ha ritenuto che l'ordine di rimozione fosse idoneo a garantire una tutela equa ed effettiva all'utente senza tuttavia necessità di estensione a tutto il mondo; la rimozione, pertanto, è stata ordinata a Facebook Ireland con riferimento esclusivamente agli Stati Europei.

I giudici del Tribunale di Milano hanno chiarito preliminarmente come dal punto di vista della competenza: “l'evento illecito possa ritenersi dannoso nel momento in cui provochi la lesione concreta del bene protetto, in relazione al soggetto che per tale lesione chieda tutela”. In particolare, detta lesione poteva ritenersi consumata nel luogo e nel momento in cui il soggetto leso avesse preso consapevolezza dei commenti denigratori postati sui profili Facebook e Instagram. Tale consapevolezza ha trovato concreta attuazione nel paese di origine del danneggiato; pertanto, non poteva essere messa in dubbio la sussistenza della giurisdizione dell'autorità giurisdizionale italiana a pronunciarsi sulla questione.

Per quanto riguarda poi la legittimazione passiva delle società reclamanti, il Tribunale ha rilevato come: “Facebook Ireland Limited, società registrata in Irlanda con sede a Dublino, è una controllata della società statunitense Facebook Inc. Facebook Ireland la quale gestisce, per gli utenti situati al di fuori degli Stati Uniti e del Canada, una piattaforma di rete sociale che consente agli utenti di creare pagine di profili e di pubblicare commenti. In base ai documenti depositati dalla difesa di Facebook, Facebook Inc e Instagram Llc, invece, non ospitano né gestiscono i servizi Facebook e Instagram per gli utenti Europei”. Dunque, è stato riformato il provvedimento cautelare nella parte in cui erano state condannate anche Facebook Inc e Instagram LLC.

Esaminate le ulteriori questioni preliminari, il Tribunale si è poi espresso nel merito ed ha posto dei cenni in merito alla figura dell'hosting provider. Ciò in quanto – sebbene sia pacifico che la piattaforma Facebook Ireland fornisca servizi di hosting ai sensi dell'art. 14 della direttiva 2000/31, è sembrato opportuno comprendere se esso fosse qualificabile come hosting provider attivo o passivo. Al fine di comprendere il contenuto dell'ordinanza in esame, è opportuno far luce sul regime di responsabilità da contenuti illeciti in capo all'Internet Service Provider e sulla figura dell'Hosting provider.

La figura dell'Internet Service Provider (di seguito anche ISP) è disciplinata dalla direttiva comunitaria 2000/31/CE, la quale ha definito i “servizi della società dell'informazione” come quei servizi generalmente prestati dietro retribuzione, a distanza, mediante strumenti elettronici di trattamento e di memorizzazione di dati. Il provider, dunque, è il soggetto che offre agli utenti l'accesso alla rete internet e ai servizi connessi al suo utilizzo permettendo così il collegamento tra i soggetti che intendono comunicare un'informazione sul web e i soggetti destinatari della stessa. Su tale tema si sono soffermate sia la dottrina che la giurisprudenza sullo stabilire se il prestatore di servizi possa essere chiamato a rispondere degli eventuali illeciti messi in atto da soggetti che accedono alla rete. Per far ciò si è dovuto considerare il diverso ruolo che svolgono gli hosting nonché le circostanze per le quali si hanno le condotte contrarie alla legge, che tuttavia non sono sempre controllabili dai provider. Il riferimento normativo nazionale, per chiarire quale siano le attività svolte e il regime di responsabilità in capo al provider, è costituito dal d.lgs. 70/2003 che ha previsto delle esenzioni di responsabilità sulla base dell'attività compiuta dal prestatore di servizi. Le attività sono sancite agli artt. 14 (responsabilità per le attività di semplice trasporto o mere conduit), (responsabilità nell'attività di memorizzazione temporanea o Caching provider e 16 (responsabilità nell'attività di memorizzazione di informazioni o Hosting provider, si pensi ai c.d. social network come Facebook, Youtube, Instagram, Twitter). Tali disposizioni prevedono un'esenzione di responsabilità per il provider nell'ambito della fornitura del servizio a patto che siano rispettate alcune condizioni, che verranno analizzate nel paragrafo seguente con particolare riferimento alla figura dell'hosting provider. E' in ogni caso previsto che l'autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza possa esigere, anche in via d'urgenza, che il prestatore impedisca o ponga fine alle violazioni commesse e il prestatore resta comunque tenuto ad informare l'autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell'informazione; nonché a fornire, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l'identificazione del destinatario dei suoi servizi, al fine di individuare e prevenire attività illecite.

Il discrimen tra le due figure è stato oggetto di recente analisi da parte della Suprema Corte di Cassazione che con la sentenza n. 7708 del 2019 ha stabilito che si possa parlare di hosting “attivo” quando questo svolga un ruolo attivo nella prestazione dei propri servizi agli utenti, e sia dunque “ravvisabile una condotta di azione che completa e arricchisce in modo non passivo la fruizione dei contenuti. Tale attività può desumersi da una serie di indici di interferenza da accertare ad opera del giudice e cioè le attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione”. Questi, sostanzialmente, secondo la Corte, sono tutti segnali di una condotta non meramente passiva del prestatore. La figura del provider “passivo” è ravvisabile qualora il prestatore si limiti ad ospitare in modo del tutto neutrale i contenuti (informazioni, dati, immagini, video e simili) degli utenti e svolga sostanzialmente prestazioni dal carattere meramente tecnico, automatico e, dunque, di natura passiva. Ora, quale principio generale derivante tanto dal tenore delle predette disposizioni quanto dalla recente sentenza della Cassazione, emerge quello secondo cui vi sia responsabilità del prestatore di servizi passivo se – avendo egli avuto conoscenza degli illeciti che potessero pregiudicare un utente – non ne abbia dato comunicazione all'autorità ovvero non abbia risposto alle richieste di essa. In altre parole, può rimproverarsi al provider passivo la “condotta commissiva mediante omissione” per aver concorso nel comportamento lesivo altrui (avendone avuto conoscenza senza aver agito con la rimozione o con la disabilitazione degli accessi ai contenuti). Per quanto riguarda invece la responsabilità in capo all'hosting attivo, la Corte di Cassazione ha previsto un differente e più severo regime in quanto – stante il ruolo attivo svolto in tal caso dal provider – non si può ritenere che esso sia estraneo alla condotta ma che piuttosto concorra nella commissione dell'illecito, laddove si verifichi. La natura della responsabilità del provider attivo rientra infatti nel regime della responsabilità civile applicabile quando egli abbia avuto la conoscenza effettiva – o la ragionevole possibilità di conoscere – il fatto illecito altrui e ne deriva pertanto che non goda del regime privilegiato concesso invece ai provider passivi. Infine, giova ricordare che con riferimento alla citata pronuncia n. 7708/2019 della Cassazione e al requisito della “conoscenza effettiva”, era stato chiarito che: la conoscenza dell'altrui illecito, quale elemento costitutivo della responsabilità del prestatore stesso, coincide con l'esistenza di una comunicazione in tal senso operata dal soggetto il cui diritto si assume leso; l'onere della prova a carico del mittente riguarda l'avvenuto recapito all'indirizzo del destinatario; il sorgere dell'obbligo in capo al prestatore del servizio non richiede una “diffida” in senso tecnico – quale richiesta di adempimento dell'obbligo di rimozione dei documenti illeciti – essendo a ciò sufficiente la mera “comunicazione” o notizia della lesione del diritto.

Nel caso in esame, per individuare la disciplina applicabile, il Tribunale di Milano si è interrogato sul ruolo di Facebook Ireland come provider attivo o provider passivo, stante il differente regime di responsabilità previsto. Nel corso del giudizio è stato accertato che Facebook Ireland e Instagram fornivano – e tutt'ora forniscono – servizi online gratuiti, mediante i quali gli utenti possono entrare in contatto, condividere informazioni e condividere e scambiare immagini. Facebook e Instagram erogano, pertanto, servizi di fruizione di contenuti e di immagini, con mera prestazione di servizi di “ospitalità” di dati o hosting, senza proporre altri servizi di elaborazione dei dati. Non è emersa in alcun modo, pertanto, l'avvenuta manipolazione dei dati, dunque ciò non ha permesso di determinare il mutamento della natura del servizio, rimasto meramente “passivo”. Facebook ed Instagram, quindi, sono stati qualificati come hosting provider passivi. Inoltre, dalla pronuncia del Tribunale è emerso che la “comunicazione” alle società reclamanti sia avvenuta solo con la notifica del ricorso ex art. 700 c.p.c. e gli ulteriori contenuti per mezzo della memoria autorizzata; pertanto, solo in tale momento poteva ritenersi sorto l'obbligo e la conseguente responsabilità dell'hosting provider. Quanto poi all'ordine di rimozione dei contenuti, una volta accertata l'illiceità di taluni dei contenuti oggetto del presente caso, nella scelta del rimedio da adottare, il Tribunale ha ritenuto che per assicurare al ricorrente una tutela effettiva fosse il caso di optare per un rimedio dal carattere fortemente incisivo, quale la rimozione definitiva dei contenuti. Soluzione, questa, che sembrava confermare quanto statuito in via cautelare. Tuttavia, l'esigenza di bilanciamento tra la protezione dei dati personali e il diritto all'informazione, e ancora, tra dignità della persona e libertà di espressione ha imposto un'analisi sull'estensione territoriale del rimedio per garantire la più equa tutela al soggetto leso dal contenuto diffamatorio, ed in particolare sul se bastasse una condanna giudiziale limitata unicamente all'ambito europeo ovvero estesa a livello mondiale. In tal senso, in applicazione del principio di proporzionalità e in ragione della tipologia di contenuti, delle caratteristiche del soggetto denigrato e delle espressioni utilizzate, il Tribunale ha ritenuto che l'ordine di rimozione fosse idoneo a garantire una tutela equa ed effettiva all'utente senza tuttavia necessità di estensione a tutto il mondo; la rimozione, pertanto, è stata ordinata a Facebook Ireland con riferimento esclusivamente agli Stati Europei. Le attività lavorative del ricorrente non hanno giustificato l'estensione territoriale a livello mondiale.

Osservazioni

La pronuncia in esame ha sancito un importante sviluppo rispetto alla disciplina già esistente che ha accolto la tesi sulla rimozione di contenuti a livello globale senza limitazioni agli effetti ed alle conseguenze da ciò scaturenti. La predetta tesi, confermata da diverse sentenze della Corte di Giustizia, sancisce infatti che qualunque Paese possa ordinare a Facebook di eliminare contenuti quali post, fotografie e video e limitarvi l'accesso a livello mondiale. Non solo, in base al tenore delle preesistenti pronunce della Corte di Giustizia Europea, la piattaforma sulla quale erano presenti i contenuti illeciti era chiamata altresì ad eliminare i contenuti, dati o commenti “equivalenti” a quelli denunciati. Il Tribunale ha stabilito, invece, che l'imposizione in uno Stato membro di un obbligo consistente nel rimuovere contenuti a livello mondiale – in conseguenza di un accertamento in fase sommaria – per tutti gli utenti di una piattaforma elettronica, avrebbe come conseguenza inevitabile che l'accertamento del loro carattere illecito esplichi effetti in altri Stati che ben potrebbero, invece, secondo le norme nazionali di conflitto, ritenere leciti i contenuti. Dunque, sebbene in teoria possa ottenersi la rimozione delle informazioni manifestamente illecite a livello globale, sono apparse non trascurabili le differenze esistenti fra le leggi nazionali, da un lato, e la tutela della vita privata e dei diritti della personalità da esse prevista, dall'altro; pertanto, al fine di rispettare i diritti fondamentali, si è deciso per un atteggiamento di autolimitazione, attraverso l'applicazione del principio di proporzionalità.

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