L'inferenza presuntiva del giudice di merito può fondarsi anche su un giudizio di ragionevole probabilità

Giovanni Gea
02 Dicembre 2021

Per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva ossia sulla scorta della regola della c.d. “inferenza necessaria”, essendo, invece, sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'id quod plerumque accidit ossia in virtù della regola della c.d. “inferenza probabilistica”.
Massima

Per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva ossia sulla scorta della regola della c.d. “inferenza necessaria”, essendo, invece, sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'id quod plerumque accidit ossia in virtù della regola della c.d. “inferenza probabilistica”.

Il caso

Il conducente di uno scooter, rimasto coinvolto in un sinistro stradale, conveniva in giudizio avanti il Tribunale il conducente-proprietario della vettura antagonista, che nell'immettersi in un incrocio aveva omesso di concedergli la dovuta precedenza, e la di lui compagnia di assicurazione al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti a causa dell'incidente.

Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda di risarcimento dichiarando che la responsabilità dell'incidente era da addebitarsi, sulla base di un ragionamento presuntivo, per il 25% alla elevata velocità dello scooterista.

La Corte territoriale, adita dallo scooterista, rigettava l'appello dallo stesso interposto avverso la sentenza del Tribunale confermando, con identica motivazione, la decisione del giudice di prime cure.

Lo scooterista ricorreva in Cassazione avverso detta sentenza.

La questione

Il procedimento inferenziale del giudice di merito per risalire dal fatto noto a quello ignoto può essere effettuato anche alla stregua di un canone di ragionevole probabilità, con riferimento alla connessione degli accadimenti la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza, ovvero esclusivamente alla stregua di un canone di necessarietà assoluta, con riferimento alla connessione degli accadimenti come unica conseguenza possibile?

Le soluzioni giuridiche

Per quanto qui di interesse, la Corte d'Appello aveva confermato la decisione del Tribunale che aveva ritenuto sussistente una corresponsabilità dello scooterista nella causazione dell'incidente nella misura del 25%, per un'asserita elevata velocità nell'immettersi nell'incrocio, alla stregua di un giudizio inferenziale basato su elementi indiziari: conformazione dell'incrocio, assenza di tracce di frenata dello scooter e collisione frontale dello stesso contro la fiancata della vettura antagonista.

Il ricorrente in Cassazione aveva invece sostenuto che detti indizi fossero privi, a proprio dire, dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza per giustificare la mezionata sua corresponsabilità per un'asserita elevata velocità nell'immettersi nell'incrocio.

La Cassazione rigetta il ricorso osservando come il ricorrente, nel censurare il ragionamento presuntivo operato dalla Corte d'Appello, muova, erroneamente, da una visione atomistica delle tre diverse circostanze dalla stessa valorizzate, pretendendo che ciascuna di esse singolarmente considerata - e non tutte nel loro insieme, o meglio nella loro interazione - sia idonea a consentire la prova del fatto ignoto.

In particolare, precisa la S.C., come la corretta applicazione dell'art. 2729 c.c. presupponga un apprezzamento degli elementi acquisiti in giudizio, dai quali inferire il fatto ignoto, che riconosca ad essi efficacia probatoria, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, se risultino in grado di acquisirla ove valutati nella loro convergenza globale ossia accertandone la pregnanza conclusiva e ciò in quanto la valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l'uno dell'altro, senza negare valore ad uno o più di essi solo perché equivoci, così da stabilire se sia, comunque, possibile ritenere accettabilmente probabile l'esistenza del fatto da provare.

Nondimeno, puntualizza la S.C., come il ragionamento presuntivo costituisca un iter logico che non è un “risalire all'indietro”, ma piuttosto un “procedere in avanti”, verso un'ipotesi da verificare, ovvero verso la dimostrazione di un fatto (ignoto) che è prefigurato come possibile conclusione dell'inferenza in cui si articola il ragionamento presuntivo.

Ad avviso della S.C., a siffatto modus operandi si è correttamente attenuta la Corte d'Appello la quale ha preso le mosse dal rilievo, peraltro non contestato dal ricorrente, che la conformazione dello stato dei luoghi teatro del sinistro permetteva allo scooterista di avvistare, con anticipo, la vettura antagonista, su tale premessa fondando un ragionamento presuntivo che, attraverso la constatazione, dapprima, dell'assenza di tracce di frenata dello scooter in prossimità del punto di impatto tra i due veicoli, nonché, di seguito, dell'avvenuta collisione della parte anteriore dello scooter con la fiancata della vettura, si è concluso nel senso che l'elevata velocità del primo avesse contribuito, nella misura del 25%, alla causazione dell'incidente, giacché se il ricorrente avesse tenuto una velocità moderata sarebbe stato in condizione, quantomeno, di tentare una frenata.

E, tale ragionamento inferenziale resiste, secondo la S.C., anche alla critica del ricorrente secondo cui la possibilità di avvistamento del veicolo antagonista non significa necessariamente che si possa evitare l'impatto anche tenendo una velocità non elevata.

Invero, per costante orientamento della S.C., la nozione di “gravità” dell'indizio, nel caso di specie travisata dal ricorrente perché fondata su un canone di necessarietà assoluta, con riferimento alla connessione degli accadimenti come unica conseguenza possibile, allude, invece, ad un concetto logico, generale o speciale (cioè rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche lex artis), esprimendo nient'altro che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui, dato un fatto noto, è probabile che si sia verificato il fatto ignoto non essendo, invece, condivisibile l'idea che vorrebbe sotteso alla “gravità” che l'inferenza presuntiva sia certa.

Del resto, per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (secondo quanto reputa, viceversa, il ricorrente, nell'affermare che la possibilità di avvistamento del veicolo antagonista non significa necessariamente che egli potesse evitare l'impatto anche tenendo una velocità non elevata), essendo, invece, sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'id quod plerumque accidit.

Anche la valorizzazione delle ulteriori circostanze apprezzate dalla Corte d'Appello si sottrae, ad avviso della S.C., alla censura del ricorrente, risultando le stesse “precise” e “concordanti” intendendosi per precisione la circostanza che l'inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità (e, dunque, anche in questo caso non di certezza), che si indirizzi solo verso di esso e non anche verso uno o altri fatti, così come la concordanza individua un requisito del ragionamento presuntivo, che non lo concerne in modo assoluto, cioè di per sé considerato come invece gli altri due elementi, bensì in modo relativo, cioè nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori, volendo esprimere l'idea che, intanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi.

Senza dimenticare, poi, che, per costante orientamento della S.C., l'accertamento della intervenuta violazione, da parte di uno dei conducenti, dell'obbligo di dare la precedenza, non dispensa il giudice dal verificare il comportamento dell'altro conducente onde stabilire se quest'ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l'eventuale inosservanza di dette norme comportare l'affermazione di una colpa concorrente (Cass. Civ., Sez. VI-3, ordinanza 16/9/2013, n. 21130).

In conclusione, ad avviso della S.C., il ragionamento presuntivo svolto dalla Corte d'Appello per affermare la corresponsabilità dello scooterita nella causazione del sinistro è esente da censure ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. stante la corretta sussunzione, sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) di fatti concreti (conformazione dell'incrocio, assenza di tracce di frenata dello scooter e collisione frontale dello stesso contro la fiancata della vettura) rispondenti a quei requisiti, sicchè risulta esattamente applicata la norma di cui all'art. 2729 c.c. sia a livello di proclamazione astratta che, anche, sotto il profilo dell'applicazione alla fattispecie concreta ascrivibile alla fattispecie astratta.

La S.C. rigetta, dunque, il ricorso con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Osservazioni

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte conferma il proprio consolidato orientamento secondo cui, in tema di prova per presunzioni, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza “ragionevolmente possibile” secondo un criterio di normalità da stabilire alla stregua di canoni di probabilità con riferimento a una connessione possibile e verosimile di accadimenti.

In altri termini, la relazione inferenziale tra il fatto noto e quello ignoto può porsi, anche, con carattere di consequenzialità ragionevolmente possibile e verosimile secondo un criterio di normalità causale essendo sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'id quod plerumque accidit, in virtù della regola della c.d. “inferenza probabilistica”.

È, allora, evidente che il procedimento inferenziale del giudice di merito per risalire dal fatto noto a quello ignoto incontra il solo limite del “principio di probabilità” secondo cui le circostanze sulle quali la presunzione si fonda devono essere tali da lasciare “apparire” l'esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ritenere che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità.

Non occorre, dunque, che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati, secondo un rapporto di necessità assoluta ed esclusiva, ma è sufficiente che l'operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di ragionevole probabilità, con riferimento alla connessione degli accadimenti la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza.

Il giudice di merito, può, dunque, ritenere provati, sulla base della presunzione fondata su determinati fatti indiziari, ovviamente idonei alla dimostrazione di un fatto (ignoto) determinato alla stregua della regola di esperienza di tipo statistico (o elevato grado di frequenza statistica), gli effetti che da tali fatti normalmente derivano, avendo riguardo ad una "apparenza" basata sul tipico decorso degli avvenimenti (o ciò che accade nella generalità dei casi).

La valutazione di tali “indizi”, che il giudice di merito può porre alla base del proprio convincimento, dopo averli esaminati non già considerandoli isolatamente ma valutandoli complessivamente ed alla luce l'uno dell'altro, senza negare valore ad uno o più di essi solo perché, eventualmente, equivoci, sì da stabilire se sia comunque possibile ritenere “accettabilmente probabile” l'esistenza del fatto da provare, costituisce un giudizio di fatto rimesso al suo “prudente” apprezzamento e, come tale, incensurabile in sede di legittimità in presenza di motivazione congrua, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni.

Tant'è che, l'art. 2729 c.c. dispone che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza” del giudice (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell'art. 116 c.p.c., a proposito della valutazione delle prove dirette) il quale compirà l'inferenza logica dal fatto noto al fatto ignoto sulla base di regole d'esperienza idonee a consentirgli di concludere che l'esistenza del fatto noto deponga, con un grado di probabilità più o meno elevato, per l'esistenza del fatto ignoto.

Il medesimo articolo precisa come la “prudenza” del giudice imponga, altresì, che le presunzioni siano “gravi, precise e concordanti” laddove il requisito della “precisione” vada riferito al fatto noto che costituisce il punto di partenza dell'inferenza e postula che esso non sia vago ma ben determinato nella sua realtà storica, il requisito della “gravità” vada riferito al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola d'esperienza adottata, è possibile desumere dal fatto noto, mentre il requisito della “concordanza” richieda che il fatto ignoto sia, di regola, desunto da una pluralità di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza anche se il requisito della “concordanza” deve ritenersi menzionato dalla legge solo per il caso di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi.

Le differenti possibili valutazioni degli “indizi”, attenendo al piano dell'apprezzamento del giudice di merito, sono incompatibili con il giudizio di legittimità cui spetta, soltanto, la verifica sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute (senza che ciò possa tradursi in un nuovo accertamento ovvero nella ripetizione dell'esperienza conoscitiva propria dei gradi precedenti) nonché il sindacato sulle massime di esperienzaadottate nella valutazione delle risultanze probatorie.

Siffatto controllo non può, peraltro spingersi, fino a sindacarne la scelta, dovendo la S.C. limitarsi a verificare che il giudice di merito non abbia con le massime di esperienza confuso quelle che sono invece delle mere “congetture”.

Infatti, le massime di esperienza sono definizioni o giudizi ipotetici di contenuto generale, indipendenti dal caso concreto sul quale il giudice è chiamato a decidere, acquisiti con l'esperienza, ma autonomi rispetto ai singoli casi dalla cui osservazione sono dedotti ed oltre i quali devono valere; tali massime sono adoperabili come criteri di inferenza, vale a dire come premesse maggiori dei sillogismi giudiziari (tipico caso di ragionamento inferenziale in ambito di circolazione stradale riguarda la presunzione del mancato corretto uso delle cinture di sicurezza laddove la vittima riporti ferite al volto a causa dell'impatto contro le strutture rigide dell'abitacolo che, per le modalità del sinistro, è possibile ritenere “altamente probabile” che siano state favorite dal mancato utilizzo dei sistemi di ritenuta).

Per converso, costituiscono, invece, una mera “congettura”, in quanto tale inidonea ai fini del sillogismo giudiziario, tanto l'ipotesi non fondata sull'id quod plerumque accidit, insuscettibile di verifica empirica, quanto la pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità.

Dell'esercizio dei suoi poteri il giudice è in ogni caso tenuto a dare debitamente conto, con motivazione congrua e immune da vizi logici e giuridici, non essendogli consentito pervenire ad apodittiche ed immotivate conclusioni.

In conclusione, il giudice può trarre il suo libero convincimento, dando atto in motivazione del complesso delle ragioni e giustificazioni che fondano la decisione, dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre è da escludere che possa attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici.

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