La responsabilità del collegio sindacale in caso di indebita compensazione

07 Dicembre 2021

Esprimere un parare favorevole all'acquisto di un compendio aziendale contenente un credito fiscale inesistente può configurare il contributo concorsuale del sindaco di società nel reato d'indebita compensazione, sempre che emerga la prova del dolo.
Massima

Esprimere un parare favorevole all'acquisto di un compendio aziendale contenente un credito fiscale inesistente può configurare il contributo concorsuale del sindaco di società nel reato d'indebita compensazione, sempre che emerga la prova del dolo.

Il caso

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di responsabilità dei sindaci di società per il reato di indebita compensazione della società.

Nel caso di specie, il Tribunale aveva confermato il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato le misure dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e del divieto di esercitare imprese o uffici direttivi di persone giuridiche e imprese o professioni per la durata di un anno nei confronti di un presidente di collegio sindacale, indiziato dei reati di indebita compensazione ex art 10-quater d.lgs. n. 74/2000 e di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, ex art 2638, commi 1 e 2, c.c.

Lo stesso, infatti, nella sua qualità di Presidente del collegio sindacale, aveva espresso parere favorevole all'adozione della delibera di acquisto di un ramo di azienda, del quale faceva parte un credito IVA inesistente per un valore di 5.826.040,00 euro; delibera poi approvata, e seguita dall'utilizzazione di tale credito, a fini di compensazione IRPEF e IRPEG, per un importo complessivo pari a 1.395.129,31 euro.

L'imputato proponeva quindi ricorso per cassazione avverso l'ordinanza, denunciando, per quanto di interesse, che il contributo concorsuale non poteva essere affermato sulla base dell'espressione del parere quale presidente del collegio sindacale, in quanto detto parere non era vincolante, e non spiegandosi peraltro perché la contestazione fosse stata effettuata al solo ricorrente e non anche agli altri due componenti del collegio sindacale, al notaio rogante l'atto ed al professionista, che aveva redatto, ex art. 2465 c.c., la perizia di stima del compendio aziendale oggetto di compravendita.

Si segnalava, ancora, che il collegio sindacale presieduto dal ricorrente aveva deliberato l'azione di responsabilità nei confronti dei precedenti amministratori, ex art. 2409 c.c., e che un eventuale dissenso all'acquisto del ramo di azienda non avrebbe comunque potuto produrre effetti pratici, non essendo peraltro emersi elementi concreti di assoggettamento o di dolosa cooperazione del ricorrente con l'ispiratore delle operazioni illecite.

Si aggiungeva, ancora, che l'ordinanza impugnata non conteneva alcun riferimento al dolo del ricorrente, né alle specifiche esigenze di prevenzione da fronteggiare mediante le misure cautelari applicate.

La questione

La questione oggetto del giudizio riguardava, in sostanza, la configurabilità del reato di cui all'art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000, con riferimento alla condotta di un componente del Collegio sindacale di una società, che esprime un parere favorevole all'acquisto di un credito inesistente.

Tale condotta, del resto, può assumere rilievo a norma dell'art. 110 c.p., quale partecipazione a titolo di concorso nel reato di indebita compensazione, laddove, nella casistica giurisprudenziale, il concorso nel reato di indebita compensazione è stato espressamente già ammesso anche con riguardo a condotte realizzate dal consulente fiscale (cfr., Cass., Sez. 3, n. 1999 del 14/11/2017, dep. 2018).

Secondo i principi generali, ai fini della configurabilità della partecipazione nel reato ex art. 110 c.p., rilevano infatti anche le condotte di agevolazione o di mero rafforzamento della volontà dell'autore c.d. principale.

E, come costantemente osservato anche dalle Sezioni Unite, nella formula dell'art. 110 c.p. sono riunite tutte le diverse forme ed i diversi gradi della partecipazione criminosa, indipendentemente dall'importanza di quest'ultima nella determinazione dell'evento, essendovi, in particolare, compresa la partecipazione morale nelle sue varie forme del mandato, dell'incitamento e del rafforzamento della volontà, e della agevolazione in genere (così Cass., Sez. U, n. 13 del 1955; e più di recente, Cass., Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, e Cass., Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012).

Il collegio sindacale di una società, e i singoli componenti di esso, secondo quanto si evince dalle disposizioni contenute nel codice civile, sono del resto in condizione di "confortare" le scelte degli organi sociali o, al contrario, di attivarsi efficacemente per impedire le operazioni della persona giuridica, ove le ritengano illegittime.

Ed infatti, il collegio sindacale, a norma dell'art. 2403 c.c., ha il dovere di vigilare, tra l'altro, «sul rispetto dei principi di corretta amministrazione».

I sindaci, poi, a norma dell'art. 2407 c.c. «sono responsabili della verità delle loro attestazioni» e «sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica».

E questa responsabilità, per il richiamo effettuato dall'art. 2407, comma 3, c.c., agli artt. 2394, 2394-bis e 2395 c.c., opera anche nei confronti dei creditori e dei terzi comunque danneggiati.

I sindaci, per di più, sono titolari di specifici poteri e facoltà per influire sulla corretta gestione della società, perché, tra l'altro, possono:

- convocare l'assemblea per segnalare irregolarità di gestione, a norma dell'art. 2406 c.c.;

- far ricorso al Tribunale per la riduzione del capitale sociale per perdite, a norma degli artt. 2446 e 2447 c.c.;

- impugnare le delibere sociali ritenute illegittime, a norma degli artt. 2377 e 2388 c.c.;

- chiedere al tribunale la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c.;

- presentare denuncia al tribunale nei confronti degli amministratori a norma dell'art. 2409 c.c.

Le soluzioni giuridiche

Tanto premesso, venendo dunque al caso in giudizio, secondo la Corte di Cassazione, il ricorso era infondato.

Evidenziano i giudici di legittimità che era ragionevole concludere che il sindaco di una società, il quale esprime parere favorevole all'acquisto di un credito fiscale inesistente, o di un compendio aziendale contenente un credito fiscale inesistente, pone in essere una condotta causalmente rilevante, quanto meno in termini agevolativi, e di rafforzamento del proposito criminoso, rispetto alla realizzazione del reato di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, commesso mediante l'utilizzo dell'indicato credito fittizio.

Ovviamente, rileva la Corte, perché possa sussistere la responsabilità del sindaco a titolo di concorso nel reato, occorre anche la sua colpevolezza, e, quindi, è necessario sempre accertare che il medesimo soggetto abbia espresso il parere favorevole nella consapevolezza sia dell'inesistenza del credito fiscale, sia della strumentalità dell'acquisto di tale credito al successivo utilizzo a fini di compensazione.

Osservazioni

Chiarita pertanto la rilevanza, quale forma di contributo concorsuale ex art. 110 c.p., dell'espressione del parere favorevole all'acquisto di un compendio aziendale contenente un credito inesistente, nella consapevolezza dell'inesistenza di questo e della strumentalità dell'acquisito all'effettuazione di compensazioni, quanto alla sussistenza di tale consapevolezza, (anche al fine poi di estendere le stesse valutazioni in via più generale) occorreva, nella specie, osservare quanto segue.

Il Tribunale, per evidenziare la consapevolezza del ricorrente della inesistenza del credito acquisito dalla società di cui era presidente del collegio sindacale, indica una pluralità di elementi. In particolare, con riferimento all'atto di acquisito del credito, i giudici rappresentano infatti che:

- nonostante l'importanza della transazione, mancava qualunque documentazione in ordine alla composizione del ramo di azienda, nel quale era compreso il credito IVA fittizio avente il valore nominale di 5.826.040,00 euro; e, anzi, nell'atto di vendita del bene si faceva menzione esclusivamente di attrezzature esistenti e di un «separato elenco», però non allegato;

- nell'atto di vendita, la società aveva dichiarato di essere edotta dell'insussistenza di oneri fiscali, nonché di aver effettuato le opportune verifiche, esonerando così espressamente la parte cedente dal certificato attestante l'insussistenza di sanzioni e violazioni di carattere fiscale, e così rinunciando ad un documento che avrebbe immediatamente evidenziato qual era la reale situazione fiscale della cedente;

- il prezzo di vendita, pari alla somma di 2.900.000,00 euro, era di molto inferiore al valore anche del solo credito fiscale.

Relativamente poi alla personale condotta ed informazione del sindaco, si segnalava, tra le altre, che il ricorrente, nel partecipare ad un'assemblea, come risultava da intercettazioni ambientali, aveva espressamente dichiarato che l'acquisto del ramo di azienda avrebbe permesso «anche di azzerare in massima parte la propria esposizione debitoria fiscale/tributaria nel tempo accumulata».

Il Tribunale, quindi, secondo la Suprema Corte, aveva giustamente riconosciuto, visto il contesto gravemente indiziario, la sussistenza del dolo del ricorrente, anche considerato che lo stesso:

- era stato sindaco in numerose altre società del gruppo, alcune delle quali coinvolte in operazioni di bancarotta per distrazione,

- era risultato disponibile, per quanto emergeva da una conversazione intercettata, a procurare un prestanome per altra società;

- aveva ottenuto il pagamento del compenso, pari a 32.064,00 euro, in violazione del regime di concordato preventivo, e nonostante specifica indicazione contraria dei commissari della procedura.

Le conclusioni del Tribunale in ordine alla consapevolezza del ricorrente di facilitare un'operazione funzionalmente diretta ad effettuare una indebita compensazione, secondo la Corte, erano dunque correttamente motivate, quanto meno in termini di gravità indiziaria e in ordine alla sussistenza del dolo eventuale.

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