Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 25 - (Verifica preventiva dell'interesse archeologico)1(Verifica preventiva dell'interesse archeologico)1 [1. Ai fini dell'applicazione dell'articolo 28, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, per le opere sottoposte all'applicazione delle disposizioni del presente codice, le stazioni appaltanti trasmettono al soprintendente territorialmente competente, prima dell'approvazione, copia del progetto di fattibilità dell'intervento o di uno stralcio di esso sufficiente ai fini archeologici, ivi compresi gli esiti delle indaginigeologicheearcheologichepreliminari,conparticolareattenzionea idatidi archivio e bibliografici reperibili, all'esito delle ricognizioni volte all'osservazione dei terreni, alla lettura della geomorfologia del territorio, nonché, per le opere a rete, alle fotointerpretazioni. Le stazioni appaltanti raccolgono ed elaborano tale documentazione mediante i dipartimenti archeologici delle università, ovvero mediante i soggetti in possesso di diploma di laurea e specializzazione in archeologia o di dottorato di ricerca in archeologia. La trasmissione della documentazione suindicata non è richiesta per gli interventi che non comportino nuova edificazione o scavi a quote diverse da quelle già impegnate dai manufatti esistenti. 2. Presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è istituito un apposito elenco, reso accessibile a tutti gli interessati, degli istituti archeologici universitari e dei soggetti in possesso della necessaria qualificazione. Con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, sentita una rappresentanza dei dipartimenti archeologici universitari, si provvede a disciplinare i criteri per la tenuta di detto elenco, comunque prevedendo modalità di partecipazione di tutti i soggetti interessati. Fino alla data di entrata in vigore di detto decreto, si applica l'articolo 216, comma 7. 3. Il soprintendente, qualora sulla base degli elementi trasmessi e delle ulteriori informazioni disponibili, ravvisi l'esistenza di un interesse archeologico nelle aree oggetto di progettazione, può richiedere motivatamente, entro il termine di trenta giorni dal ricevimento del progetto di fattibilità ovvero dello stralcio di cui al comma 1, la sottoposizione dell'intervento alla procedura prevista dai commi 8 e seguenti. Per i progetti di grandi opere infrastrutturali o a rete il termine della richiesta per la procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico è stabilito in sessanta giorni.2 4. In caso di incompletezza della documentazione trasmessa o di esigenza di approfondimenti istruttori, il soprintendente, con modalità anche informatiche, richiede integrazioni documentali o convoca il responsabile unico del procedimento per acquisire le necessarie informazioni integrative. La richiesta di integrazioni e informazioni sospende il termine di cui al comma 3, fino alla presentazione delle stesse. 5. Avverso la richiesta di cui al comma 3 è esperibile il ricorso amministrativo di cui all'articolo 16 del codice dei beni culturali e del paesaggio. 6. Ove il soprintendente non richieda l'attivazione della procedura di cui ai commi 8 e seguenti nel termine di cui al comma 3,ovverotale procedura si concluda con esito negativo, l'esecuzione di saggi archeologici è possibile solo in caso di successiva acquisizione di nuove informazioni o di emersione, nel corso dei lavori, di nuovi elementi archeologicamente rilevanti, che inducano a ritenere probabile la sussistenza in sito di reperti archeologici. In tale evenienza il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo procede, contestualmente, alla richiesta di saggi preventivi, alla comunicazione di avvio del procedimento di verifica o di dichiarazione dell'interesse culturale ai sensi degli articoli12e13 del codice dei beni culturali e del paesaggio 3. 7. I commi da 1 a 6 non si applicano alle aree archeologiche e ai parchi archeologici di cui all'articolo 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, per i quali restano fermi i poteri autorizzatori e cautelari ivi previsti ,compresa la facoltà di prescrivere l'esecuzione, a spese del committente dell'opera pubblica, di saggi archeologici. Restano altresì fermi i poteri previsti dall'articolo28, comma 2, del codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché i poteri autorizzatori e cautelari previsti per le zone di interesse archeologico, di cui all'articolo142,comma1,letteram),del medesimo codice. 8. La procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico si articola in [ due ] fasi costituenti livelli progressivi di approfondimento dell'indagine archeologica. L'esecuzione della fase successiva dell'indagine è subordinata all'emersione di elementi archeologicamente significativi all'esito della fase precedente. La procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico consiste nel compimento delle seguenti indagini e nella redazione dei documenti integrativi del progetto di fattibilità 4: a) esecuzione di carotaggi; b) prospezioni geofisiche e geochimiche; c) saggi archeologici e, ove necessario, esecuzione di sondaggi e di scavi, anche in estensione tali da assicurare una sufficiente campionatura dell'area interessata dai lavori. 9. La procedura si conclude in un termine predeterminato dal soprintendente in relazione all'estensione dell'area interessata, con la redazione della relazione archeologica definitiva, approvata dal soprintendente di settore territorialmente competente. La relazione contiene una descrizione analitica delle indagini eseguite, con i relativi esiti di seguito elencati, e detta le conseguenti prescrizioni: a) contesti in cui lo scavo stratigrafico esaurisce direttamente l'esigenza di tutela; b) contesti che non evidenziano reperti leggibili come complesso strutturale unitario, con scarso livello di conservazione per i quali sono possibili interventi di reinterro, smontaggio, rimontaggio e musealizzazione, in altra sede rispetto a quella di rinvenimento; c) complessi la cui conservazione non può essere altrimenti assicurata che in forma contestualizzata mediante l'integrale mantenimento in sito. 10. Per l'esecuzione dei saggi e degli scavi archeologici nell'ambito della procedura di cui al presente articolo, il responsabile unico del procedimento può motivatamente ridurre, previo accordo con la soprintendenza archeologica territorialmente competente, i livelli di progettazione, nonché i contenuti della progettazione, in particolare in relazione ai dati, agli elaborati e ai documenti progettuali già comunque acquisiti agli atti del procedimento. 11. Nelle ipotesi di cui al comma 9,lettera a), la procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico si considera chiusa con esito negativo e accertata l'insussistenza dell'interesse archeologico nell'area interessata dai lavori. Nelle ipotesi di cui al comma 9, lettera b), la soprintendenza determina le misure necessarie ad assicurare la conoscenza, la conservazione e la protezione dei rinvenimenti archeologicamente rilevanti, salve le misure di tutela eventualmente da adottare ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, relativamente a singoli rinvenimenti o al loro contesto. Nel caso di cui al comma 9, lettera c),le prescrizioni sono incluse nei provvedimenti di assoggettamento a tutela dell'area interessata dai rinvenimenti e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo avvia il procedimento di dichiarazione di cui agli articoli 12 e 13 del predetto codice dei beni culturali e del paesaggio. 12. La procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico è condotta sotto la direzione della soprintendenza archeologica territorialmente competente. Gli oneri sono a carico della stazione appaltante. 13. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro il 31 dicembre 2017, sono adottate linee guida finalizzate ad assicurare speditezza, efficienza ed efficacia alla procedura di cui al presente articolo. Con il medesimo decreto sono individuati procedimenti semplificati, con termini certi, che garantiscano la tutela del patrimonio archeologico tenendo conto dell'interesse pubblico sotteso alla realizzazione dell'opera 5. 14. Per gli interventi soggetti alla procedura di cui al presente articolo, il soprintendente, entro trenta giorni dalla richiesta di cui al comma 3,stipula un apposito accordo con la stazione appaltante per disciplinare le forme di coordinamento e di collaborazione con il responsabile del procedimento e con gli uffici della stazione appaltante. Nell'accordo le amministrazioni possono graduare la complessità della procedura di cui al presente articolo, in ragione della tipologia e dell'entità dei lavori da eseguire, anche riducendole fasi e i contenuti del procedimento. L'accordo disciplina, altresì, le forme di documentazione e di divulgazione dei risultati dell'indagine, mediante l'informatizzazione dei dati raccolti, la produzione di edizioni scientifiche e didattiche, eventuali ricostruzioni virtuali volte alla comprensione funzionale dei complessi antichi, eventuali mostre ed esposizioni finalizzate alla diffusione e alla pubblicizzazione delle indagini svolte. 15. Le stazioni appaltanti, in caso di rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto per il territorio o di avvio di attività imprenditoriali suscettibili di produrre positivi effetti sull'economia o sull'occupazione, già inseriti nel programma triennale di cui all'articolo 21, possono ricorrere alla procedura di cui al regolamento adottato in attuazione dell'articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in caso di ritenuta eccessiva durata del procedimento di cui ai commi 8 e seguenti o quando non siano rispettati i termini fissati nell'accordo di cui al comma 14 6. 16. Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano disciplinano la procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico per le opere di loro competenza sulla base di quanto disposto dal presente articolo.] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. [2] A norma dell'articolo 44, comma 2, del D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108, il termine di cui al presente comma è ridotto a quarantacinque giorni. Vedi inoltre l'articolo 1, comma 2, del D.L. 16 giugno 2022, n. 68, convertito, con modificazioni dalla Legge 5 agosto 2022, n. 108. [3] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). [4] Comma modificato dall'articolo 15, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56. [5] Comma sostituito dall'articolo 15, comma 1, lettera b), del D.Lgs 19 aprile 2017, n. 56. [6] Comma sostituito dall'articolo 15, comma 1, lettera c), del D.Lgs 19 aprile 2017, n. 56. InquadramentoL'articolo in esame si occupa dell'istituto della verifica preventiva dell'interesse archeologico. La disciplina riguardante la cosiddetta archeologia preventiva si è posta all'attenzione del legislatore solo dopo il 2000, nonostante già nel 1992 l'Italia avesse sottoscritto la Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico. Si tratta di un accordo promosso dal Consiglio d'Europa, firmato a La Valletta il 16 gennaio 1992, quale aggiornamento dei principi contenuti nella Convenzione europea per la salvaguardia del patrimonio archeologico, sottoscritta a Londra il 6 marzo 1969. Detta convenzione prende atto della necessità di proteggere il patrimonio archeologico europeo, gravemente minacciato dal moltiplicarsi dei grandi lavori di pianificazione del territorio e dai rischi naturali, ed impegna gli Stati aderenti alla conservazione integrata del patrimonio archeologico a cercare di conciliare ed articolare i bisogni dell'archeologia e della pianificazione (art. 5). La ratifica da parte dell'Italia della Convenzione è intervenuta soltanto con legge 29 aprile 2015, n. 57. Nel frattempo, la legge quadro sui lavori pubblici, anche nelle sue successive modificazioni, non ha mai introdotto norme specifiche su saggi archeologici preventivi ai fini della progettazione. Viceversa, il regolamento di attuazione della legge 11 febbraio 1994, n. 109, ha previsto che il progetto preliminare contenesse tra gli elaborati anche quello recante indagini archeologiche preliminari (d.P.R. n. 554/1999, art. 18, comma 1, lett. d). Successivamente, il d.lgs. 20 agosto 2002, n. 190, Recante la disciplina per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale, a proposito del progetto preliminare, ha previsto che l'autorizzazione ad accedere ai luoghi interessati ex art. 15 d.P.R. n. 327/2001 può essere estesa al compimento di ricerche archeologiche ... e può essere rilasciata dalla autorità espropriante ovvero dal concessionario delegato alle attività espropriative, ai soggetti o alle società incaricate della predetta attività anche prima della redazione del progetto preliminare. Le ricerche archeologiche sono compiute sotto la vigilanza delle competenti soprintendenze, che curano la tempestiva programmazione delle ricerche ed il rispetto della medesima, allo scopo di evitare ogni ritardo all'avvio delle opere (art. 3, comma 8). La norma, abrogata, è stata ripresa nell'art. 165 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163. In ambito giurisprudenziale, sulla base della menzionata normativa primaria, si è affermato il principio che l'eventuale intervento della soprintendenza competente per la tutela dell'interesse archeologico possa essere differito alla fase di svolgimento effettivo dei lavori (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 229/2004). Orientamento ancora affermato in una pronuncia del 2021, secondo cui la procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico di cui all'art. 25 del d.lgs. n. 50/2016 attiene alla fase della progettazione esecutiva (T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, n. 398/2021). È noto, peraltro, come il patrimonio archeologico e culturale italiano sia tra i più cospicui al mondo e, dunque, sia talmente ricco e vasto da esigere una particolare attenzione nello svolgimento dei lavori di scavo, delle attività edilizie, estrattive e infine nella realizzazione delle opere infrastrutturali. Di qui la previsione dell'art. 28, comma 4, del codice dei beni culturali, d.lgs. n. 42/2004, secondo cui, in caso di realizzazione di lavori pubblici ricadenti in aree di interesse archeologico, anche quando per esse non sia intervenuta la verifica di cui all'articolo 12, comma 2, ovvero la dichiarazione di cui all'articolo 13 dello citato codice, il soprintendente può richiedere l'esecuzione di saggi archeologici preventivi sulle aree stesse a spese del committente. La dottrina ha accolto la norma in esame come novità “utile”, attesa la sua ratio di armonizzare la realizzazione delle opere pubbliche con la tutela archeologica, incorporando il costo della tutela nella spesa per le opere pubbliche. Allo stesso tempo, però, ha rappresentato due problemi pratici connessi alla stessa, quali l'assenza di un obbligo generalizzato d'informare la competente soprintendenza di tutti i progetti di realizzazione delle opere pubbliche, onde consentirle di potere valutare il rischio archeologico, e la tempestività dell'informazione, affinché la richiesta di saggi archeologici preventivi potesse essere soddisfatta nel rispetto delle procedure amministrative per la committenza delle opere e per la successiva realizzazione (Roccella, 175). I problemi sono stati risolti con la legge di conversione del d.l. n. 63/2005, la quale ha inserito nell'ordinamento e, in particolare, nel sistema della progettazione di opere pubbliche, la verifica preventiva del progetto preliminare da parte del soprintendente territorialmente competente, in applicazione di quanto previsto dall'articolo 28, comma 4, del codice dei beni culturali e ambientali. Le previsioni dei commi 2-ter, 2-quater e 2-quinquies del citato decreto legge sono state successivamente trasfuse negli articoli 95 e 96 del d.lgs. n. 163/2006. Come è stato osservato, le citate norme hanno introdotto nell'ambito delle procedure degli affidamenti delle opere pubbliche un istituto che rappresenta un punto di equilibrio tra tutela del patrimonio archeologico e “prevenzione” e gestione del così detto “rischio archeologico”. Si tratta di una disciplina che si è dimostrata indispensabile per la speditezza e certezza dei tempi di realizzazione dei lavori pubblici (in mancanza di verifica preventiva dell'interesse archeologico dell'area interessata dall'intervento, i lavori restano esposti al rischio costante di blocco per effetto di ritrovamenti archeologici imprevisti) (Carpentieri, Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia preventiva), 1023). Quindi, tali disposizioni hanno previsto forme di tutela avanzata per i beni archeologici, in riferimento anche allo specifico dettato dell'articolo 9 della Costituzione, secondo cui “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica ed etnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Il legislatore ha così disciplinato la procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico con omogeneità di applicazione in ambito nazionale, in un'ottica di efficacia, efficienza e speditezza procedimentale. Sullo specifico problema della individuazione dei beni sottoposti a tutela, occorre rilevare che la definizione legale della categoria dei beni culturali rimette all'amministrazione la ricognizione dell'interesse che essi presentano per la cultura, per cui si tratta di un tipico caso di discrezionalità tecnica. Per i beni di interesse archeologico, e più precisamente per i terreni, i presupposti per la sottoposizione al regime di tutela configurano una discrezionalità tecnica che riguarda non soltanto la rilevazione dell'interesse culturale dei beni sottostanti, ma anche l'esistenza e la consistenza materiale stessa di quei beni, con evidenti conseguenze sull'estensione del vincolo. Solo il canone della proporzionalità consente di ottenere un bilanciamento tra l'obiettivo di tutelare beni particolarmente rilevanti e l'interesse del privato sacrificato. Con specifico riferimento, poi, alla verifica preventiva dell'interesse archeologico in relazione alle procedure di committenza di opere pubbliche, la dottrina ha evidenziato che l'ambito elettivo di applicazione è quello delle aree non ancora assoggettate al relativo vincolo, in cui cioè l'interesse culturale non è ancora stato accertato ai sensi degli artt. 12 e 13 ss. del codice dei beni culturali e del paesaggio. Se, infatti, l'area fosse “vincolata”, la possibilità di richiedere saggi sarebbe da ritenersi ricompresa nella generale potestà autorizzatoria disciplinata dall'art. 21, avente appunto ad oggetto beni (già) culturali e finalizzata alla previa valutazione dell'impatto di ogni opera e/o lavoro su quelli e della loro compatibilità con le esigenze di tutela. Pertanto, si tratta di aree che presentano un obiettivo interesse archeologico, ovvero, pur in assenza di un provvedimento di vincolo, vi siano comunque indizi specifici di interesse archeologico, da “stabilirsi”, sulla base di una valutazione tecnico-discrezionale da parte del soprintendente, nella ricerca di un bilanciamento tra l'interesse alla tutela dell'interesse culturale (archeologico nello specifico) e quello al perseguimento dell'efficacia dell'azione amministrativa in materia di realizzazione di opere pubbliche (Videtta, 27). Infatti, per esclusione, per “aree di interesse archeologico” deve intendersi qualcosa di diverso sia dalle aree archeologiche (indicate come luogo della cultura aperto alla pubblica fruizione dall'art. 101 d.lgs. n. 42/2004), per le quali occorre che sia già intervenuto il vincolo, sia dalle zone di interesse archeologico (art. 142, comma 1, lett. m), d.lgs. n. 42/2004). Del resto, l'art. 28, comma 4, del codice dei beni culturali specifica che i saggi di archeologia preventiva possono essere richiesti anche quando per esse (aree) non siano intervenute la verifica di cui all'art. 12, comma 2, o la dichiarazione di cui all'art. 13 (Carpentieri, Verifica preventiva dell'interesse archeologico, 1321). Nel senso che non occorre avviare la procedura di preventiva verifica dell'interesse archeologico (ex artt. 95 e 96 d.lgs. n. 163/2006) qualora l'intervento contemplato ricada in area il cui interesse archeologico è già acclarato, non implicando alcuna attività di scavo, né la realizzazione di opere strutturali di rilievo, v. T.A.R. Puglia, Lecce, III, n. 882/2016. Nella procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico, la suddivisione per fasi delle indagini e la previsione di misure di tutela differenziate, secondo le caratteristiche dei reperti, sono finalizzate proprio ad assicurare il massimo obiettivo della proporzionalità dell'azione finalizzata alla loro tutela. Dopo il d.lgs. n. 163/2006, anche il codice dei contratti pubblici del 2016 conferma l'applicazione della archeologia preventiva alla progettazione di opere pubbliche, accorpando in un unico articolo quanto previsto dagli articoli 95 e 96 del precedente codice. L'unica novità rispetto al codice del 2006 è costituita da alcuni interventi sui termini e sulle modalità del procedimento al fine di accelerarne la durata. Sempre con finalità acceleratorie, la procedura di verifica sembra essere concepita in un'unica fase, sebbene con taluni aspetti non chiari o addirittura contraddittori della disciplina. Il decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, ha introdotto, al comma 15 dell'articolo in commento, la possibilità per le stazioni appaltanti di applicare la procedura di cui al d.P.R. n. 194/2016 (adottato in attuazione dell'articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124), nell'ipotesi di ritenuta eccessiva durata del procedimento di cui ai commi 8 e seguenti dello stesso articolo 25 ovvero di inosservanza dei termini previsti dall'accordo stipulato dal soprintendente con la stazione appaltante circa la disciplina delle forme di coordinamento e di collaborazione con il responsabile del procedimento e con gli uffici della stazione appaltante. Ambito soggettivo e oggettivoIl riferimento sul piano oggettivo alle opere sottoposte all'applicazione della procedura di verifica preventiva d'interesse archeologico e, sul piano soggettivo, il riferimento alle “stazioni appaltanti” rende particolarmente ampio l'ambito di applicazione dell'articolo in commento. Secondo quanto previsto alla lettera o) del comma 1 dell'articolo 3 del codice, nella definizione di stazioni appaltanti sono annoverate le categorie di soggetti che posso svolgere il ruolo di committente/affidante secondo la disciplina del codice, intendendosi comprese le amministrazioni aggiudicatrici, gli enti aggiudicatori che operano nei settori speciali, i soggetti aggiudicatori e i soggetti privati tenuti all'osservanza delle disposizioni del codice. In sostanza, l'obbligo di verifica preventiva sussite per tutti i soggetti che possono assumere il ruolo di committente di lavori pubblici. Ulteriore estensione dell'obbligo in esame è stata operata ad opera della giurisprudenza secondo cui, pur non avendo il legislatore codificato il principio della verifica preventiva dell'interesse archeologico (previsto dal codice dei contratti pubblici) anche in ordine alle opere di interesse pubblico ma ad iniziativa privata (nella specie, impianti di energia rinnovabile), deve ritenersi che alle medesime conclusioni possa giungersi qualora sull'area, anche in assenza di specifici vincoli, risulti attestata la presenza di seri “indizi di culturalità, ossia di elementi di rilevante interesse archeologico”, sulla base di documentazione attendibile (T.A.R. Puglia, Lecce, I, n. 1890/2009). Del resto, il precedente codice aveva esteso l'ambito di applicazione della verifica preventiva ai soggetti operanti nei settori speciali, a seguito della modifica dell'articolo 206, operata dal d.l. n. 70/2011, che aveva inserito gli articoli 95 e 96 tra le norme applicabili ai contratti pubblici di lavori nei settori speciali di rilevanza comunitaria. L'applicazione delle norme in questione anche ai soggetti operanti nei settori speciali è stato espressamente indicato anche dall'ANAC con la delibera n. 291/2018. Sul piano oggettivo, la norma si applica per tutte le opere sottoposte all'applicazione del codice, comprese quelle realizzate con forme diverse dall'appalto, quali la concessione e le varie forme di partenariato pubblico privato. In particolare, sono assoggettati al procedimento di verifica preventiva dell'interesse archeologico tutti i progetti di opere pubbliche o di interesse pubblico che comportino mutamenti nell'aspetto esteriore o nello stato dei luoghi, movimentazioni di terreno (comprese le opere a verde), anche nel caso di ripristino dell'assetto preesistente, ovvero nuove edificazioni, anche se realizzate nell'ambito della ristrutturazione di manufatti esistenti, in ragione dell'impatto che detti interventi potrebbero determinare su beni o contesti di interesse archeologico presenti nell'area coinvolta dalle trasformazioni. Infatti, la valutazione preventiva della sovrintendenza sul progetto preliminare è prevista quale obbligo generale per tutti i progetti di opere, e non è limitata alla preesistenza di un accertato vincolo archeologico sulla zona stessa. È perfettamente coerente, sia con la logica che con il principio di buona amministrazione che da essa discende, che nell'ottica della tutela preventiva dell'interesse archeologico, perseguita con gli articoli 95 e 96 del d.lgs. n. 163/2006 e con il codice dei beni culturali e del paesaggio, tali indagini “preventive” debbano essere compiute su aree che presentino, per le loro caratteristiche, un interesse archeologico anche potenziale, sia al fine di scongiurare il rischio di rinvenimento di reperti in corso d'opera, sia, nel caso in cui siano rinvenuti reperti rilevanti, al fine di addivenire all'imposizione del vincolo stesso (Corte conti, Lazio, sez. reg. giurisd., n. 708/2014). D'altronde, l'intervenuta sdemanializzazione di un bene e la successiva cessione al patrimonio comunale non impediscono l'applicabilità della tutela prevista per i beni di interesse culturale che è strettamente connessa alle caratteristiche del bene tutelato che presenti interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico (T.A.R. Sardegna I, n. 593/2020). Un limite oggettivo è costituito dalla natura di taluni interventi che, in quanto tali, non dovrebbero comportare compromissioni per i beni archeologici. Trattasi degli interventi che non prevedono una nuova edificazione o scavi a quote diverse da quelle già impegnate dai manufatti esistenti. Altra limitazione all'ambito oggettivo di applicazione della verifica preventiva è riferita agli interventi in aree archeologiche e nei parchi archeologici, formalmente individuati ai sensi dell'articolo 101 del codice dei beni culturali, in quanto, in detti casi, l'interesse è stato già formalmente accertato al momento della costituzione dell'area o del parco. Per tali aree e parchi restano fermi i poteri autorizzatori e cautelari già previsti dal codice dei beni culturali, compresa la facoltà di prescrivere l'esecuzione, a spese del committente dell'opera pubblica, di saggi archeologici. Anche le zone di interesse archeologico, considerate aree tutelate per legge dall'articolo 142, comma 1, lettera m), del codice dei beni culturali sono escluse d'ordinario dal procedimento di verifica preventiva, in quanto la sussistenza di tale interesse è stabilita, per esse, ex lege. Ad ogni buon fine, per le aree escluse dalla verifica preventiva restano i poteri del soprintendente di ordinare l'inibizione o la sospensione di interventi previsti dall'articolo 28, comma 2, del codice dei beni culturali. La verifica preventivaL'articolo in commento, come l'articolo 95 del previgente codice, individua una disciplina inerente la verifica preventiva circa i lavori pubblici che interessano beni di interesse archeologico ed è finalizzata a privilegiare, appunto, tale verifica rispetto alle altre forme di intervento previste dal codice dei beni culturali. L'articolo 28, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004, stabilisce infatti che, anche quando non siano intervenute la verifica o la dichiarazione dell'interesse culturale, il soprintendente territorialmente competente può richiedere l'esecuzione di saggi archeologici preventivi sulle aree interessate dai lavori, a spese del committente. Al fine di evitare o limitare l'esecuzione di tali saggi, si è previsto l'obbligo per tutte le stazioni appaltanti di trasmettere al soprintendente territorialmente competente copia del progetto di fattibilità dell'intervento o di uno stralcio di esso sufficiente ai fini archeologici, ivi compresi gli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari, con particolare attenzione ai dati di archivio e bibliografici reperibili, all'esito delle ricognizioni volte all'osservazione dei terreni, alla lettura della geomorfologia del territorio, nonché, per le opere a rete, alle fotointerpretazioni. Al fine di agevolare l'esame del progetto, appare opportuno redigere una relazione in cui vengono dettagliatamente e accuratamente valutati e analizzati tutti gli aspetti legati alle evidenze archeologiche, riscontrabili direttamente o anche solamente ipotizzabili, sulla base dell'indagine territoriale, una sorta di documento di valutazione archeologica preventiva. La documentazione progettuale da trasmettere al soprintendente deve essere corredata di una specifica cartografia e sottoscritta da un professionista archeologo, fornito di specifici titoli universitari (specializzazione o dottorato). La norma prevede che venga istituito, presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (ora Ministero della cultura), un elenco, accessibile a tutti gli interessati, degli istituti archeologici universitari e dei soggetti in possesso della necessaria qualificazione. Un apposito decreto ministeriale dovrà disciplinare i criteri per la tenuta dell'elenco e le modalità di accesso per i soggetti interessati. Nelle more dell'emanazione del decreto, resta valido l'elenco degli istituti archeologici universitari e dei soggetti in possesso della necessaria qualificazione esistente e continuano ad applicarsi i criteri per la sua tenuta adottati con decreto ministeriale 20 marzo 2009, n. 60. Si ritiene che l'elenco in questione non sia assimilabile a un albo professionale e non interferisca con altre attività professionali comunque concernenti la materia dei beni culturali. Peraltro, l'iscrizione a detto elenco non costituirebbe condizione dirimente ai fini dell'affidamento dell'incarico di eseguire le prestazioni professionali in esame, ma per poter essere affidatari occorre comunque essere in possesso dei requisiti prescritti per l'iscrizione all'elenco stesso (Videtta, 32). Alle soprintendenze è richiesto di vigilare sempre sulla corretta applicazione della procedura, soprattutto in relazione agli adempimenti cui sono tenute le stazioni appaltanti in fase di progettazione preliminare. Il soprintendente, ove ravvisi sulla base di quanto ricevuto dalla stazione appaltante o di ulteriori informazioni disponibili l'esistenza di un interesse archeologico, può richiedere – nel termine di trenta giorni dal ricevimento del progetto di fattibilità o di uno stralcio di esso – la sottoposizione dell'intervento alla procedura di verifica, motivando le ragioni di tale richiesta. Rispetto a quanto previsto nel codice del 2006, quello di trenta giorni rappresenta una significativa riduzione del termine a disposizione del soprintendente, che originariamente era di novanta giorni per tutti i tipi di intervento. Al riguardo, il Consiglio di Stato, nel parere reso sullo schema di decreto legislativo recante “Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione”, aveva osservato che, pur comprendendosi le ragioni acceleratorie, quello di trenta giorni poteva risultare in concreto troppo breve con riguardo alla capacità organizzativa delle soprintendenze e al pregio del patrimonio italiano (Cons. St. comm. spec., n. 855/2016). Il legislatore del 2016, invece, ha mantenuto il termine di trenta giorni, introducendo quello più lungo di sessanta solo per i progetti riguardanti grandi opere infrastrutturali o a rete. Infine, anche quest'ultimo termine di sessanta giorni è stato ora ridotto a quarantacinque giorni per effetto dell'articolo 44, comma 2, del d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, con legge 29 luglio 2021, n. 108. Nel caso in cui si riscontrasse una incompletezza della documentazione trasmessa o si rendessero necessari ulteriori approfondimenti istruttori, il soprintendente può acquisire le informazioni integrative, convocando il responsabile unico del procedimento. A differenza di quanto previsto in precedenza, la richiesta di integrazioni non ha efficacia interruttiva del termine per l'eventuale richiesta di sottoposizione alla procedura, ma un mero effetto sospensivo. Trattasi di un ulteriore e significativo fattore di accelerazione del procedimento. Avverso le determinazioni del soprintendente che dispongono l'avvio della fase del procedimento di verifica preventiva, è in facoltà della stazione appaltante presentare ricorso in via amministrativa, ai sensi dell'articolo 16 del codice dei beni culturali, entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento. È opportuno sottolineare che la mancata applicazione, totale o parziale, della procedura di verifica preventiva può esporre l'intervento ad un elevato rischio di rinvenimenti archeologici in corso d'opera, con conseguenti rallentamenti nella sua realizzazione, possibili aggravi di costi e possibile contenzioso con l'appaltatore. Infatti, sulla scorta delle esperienze passate, si può affermare che quasi sempre il rinvenimento di reperti nel corso dei lavori ha rappresentato il presupposto per l'imposizione di varianti e in extrema ratio ha comportato l'impossibilità della realizzazione e utilizzazione dell'opera. La procedura di verificaLa trasmissione al soprintendente del progetto di fattibilità o di uno stralcio di esso costituisce la fase prodromica del procedimento, che si avvia in coincidenza con la elaborazione del primo livello di progettazione dell'opera pubblica e prima della sua approvazione. Tale fase è finalizzata ad accertare la sussistenza di un interesse archeologico nelle aree prescelte per la localizzazione delle opere, ai fini dell'avvio del procedimento vero e proprio di verifica preventiva. Nell'ipotesi in cui, a seguito della valutazione della documentazione trasmessa dalla stazione appaltante e delle eventuali integrazioni richieste, la soprintendenza non rilevi la presenza, nell'area prescelta per l'intervento, di elementi di interesse archeologico e, pertanto, non richieda l'attivazione del procedimento di verifica preventiva, l'esecuzione di indagini archeologiche tramite saggi di scavo potrà essere disposta solo in caso di emersione, nel corso dei lavori, di nuovi elementi archeologicamente rilevanti. Invece, qualora all'esito della valutazione, il soprintendente rilevi la presenza di elementi di interesse archeologico, chiede l'attivazione del procedimento di verifica preventiva. Secondo quanto previsto dal comma 8 dell'articolo in commento, il procedimento di verifica preventiva si articola in fasi che costituiscono livelli progressivi di approfondimento dell'indagine archeologica. Il procedimento in esame si articola in fasi funzionali, che si attivano progressivamente, in ragione dell'esito di quelle precedenti. Infatti, la norma stabilisce espressamente che l'esecuzione della fase successiva di indagine è subordinata all'emersione di elementi archeologicamente significativi nella fase precedente. Il decreto correttivo, risolvendo una aporia presente nell'originaria formulazione del codice, ha eliminato la previsione di due distinte fasi, dal momento che risulta accorpata all'esecuzione di saggi archeologici anche l'eventuale esecuzione di sondaggi e scavi, ove ritenuti necessari. Nei casi in cui la documentazione della fase prodromica alla verifica renda evidente la necessità di procedere comunque all'esecuzione di scavi archeologici, è possibile, ai fini dell'efficacia e della speditezza del procedimento, effettuare in un'unica soluzione le indagini archeologiche ritenute necessarie. Ciò specie quando si intraveda la possibilità che la concentrazione delle indagini garantisca una migliore comprensione del deposito archeologico e una maggiore salvaguardia della sua integrità, con particolare riguardo alle aree urbane pluristratificate. La norma prevede, infatti, che il responsabile unico del procedimento possa motivatamente ridurre, previo accordo con la soprintendenza competente, i livelli di progettazione. In verità, per nella sua unicità, è stato osservato che il procedimento di cui trattasi ha mantenuto immutato l'impianto logico-giuridico già presente in quello precedente, con una scansione operativa che si può articolare in quattro fasi. La prima è propedeutica, finalizzata al potenziamento dell'indagine archeologica documentale, e termina con la valutazione del soprintendente circa la sussistenza dell'interesse archeologico. Se il giudizio è positivo, si apre la seconda fase integrativa della progettazione di fattibilità (esecuzione di carotaggi, prospezioni geofisiche e geochimiche, saggi archeologici). La terza fase, integrativa del progetto definitivo, consiste nell'esecuzione di veri e propri sondaggi e scavi archeologici. Nella quarta fase si redige la relazione archeologica definitiva di chiusura della fase istruttoria operativa, in base agli esiti dell'indagine, si definiscono gli interventi, si predispone la documentazione e si divulgano i risultati della ricerca (Carpentieri, Verifica preventiva dell'interesse archeologico, 1332). Altra novità è che nel testo del comma 8 le indagini e i documenti che costituiscono la procedura di verifica sono considerati come integrativi del progetto di fattibilità, eliminando ogni riferimento ai successivi livelli di progettazione. Si deve ritenere che l'intento del legislatore sia stato quello di unificare le fasi del procedimento attraendole al primo livello della progettazione dell'opera. Come detto, la procedura di verifica termina con la redazione della relazione archeologica definitiva approvata dal soprintendente territorialmente competente. Tale relazione deve essere elaborata e approvata entro un termine che viene fissato dal medesimo soprintendente in relazione all'estensione dell'area. La previsione di un termine finale per l'approvazione della relazione costituisce una novità rispetto al codice precedente e si spiega con il già ricordato intento acceleratorio. Il procedimento si conclude, dunque, con l'approvazione della relazione archeologica c.d. definitiva, che contiene una descrizione analitica delle indagini eseguite, con i relativi esiti, e detta, in funzione di questi ultimi, le conseguenti prescrizioni, a seconda della rilevanza archeologica del sito e dell'impatto dell'opera in progetto con le emergenze archeologiche accertate. In taluni casi la relazione si conclude con l'accertamento dell'inesistenza di particolari esigenze di tutela, il che comporta che la verifica preventiva si considera chiusa con esito negativo e risulta accertata l'insussistenza dell'interesse archeologico. Nell'ipotesi in cui la relazione accerti l'esistenza di contesti per i quali sono possibili interventi di reinterro, smontaggio, rimontaggio e musealizzazione, in altra sede rispetto a quella di rinvenimento, la soprintendenza determina le misure necessarie ad assicurare la conoscenza, la conservazione e la protezione dei rinvenimenti archeologicamente rilevanti, salve le misure di tutela eventualmente da adottare ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, relativamente a singoli rinvenimenti o al loro contesto. Qualora la relazione accerti l'esistenza di complessi la cui conservazione non può essere altrimenti assicurata che in forma contestualizzata mediante l'integrale mantenimento in sito, le prescrizioni sono incluse nei provvedimenti di assoggettamento a tutela dell'area interessata dai rinvenimenti e il Ministero della cultura avvia il procedimento di dichiarazione di cui agli articoli 12 e 13 del codice dei beni culturali e del paesaggio. La relazione conclusiva è stata definita un provvedimento complesso a contenuto decisorio (Carpentieri, Verifica preventiva dell'interesse archeologico, 1348). Il decreto correttivo ha modificato il comma 13 stabilendo l'adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro della cultura, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili che, contenga, oltre ai già previsti procedimenti semplificati, anche l'individuazione di linee guida finalizzate ad assicurare speditezza, efficienza ed efficacia alla procedura in commento. Il correttivo ha anche modificato il testo originario del comma 15, stabilendo che, per taluni eccezionali casi (rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto sul territorio o avvio di attività imprenditoriali significative per l'economia e l'occupazione), si possa applicare il regolamento recante norme per la semplificazione e l'accelerazione dei procedimenti amministrativi, di cui al d.P.R. 12 settembre 2016, n. 94. La procedura in esame ha subìto deroghe a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 44, comma 2 del d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, in legge 29 luglio 2021, n. 108, nel senso dell'accelerazione dei tempi e della semplificazione delle procedure. Infatti, la norma prevede che, ai fini della verifica preventiva dell'interesse archeologico di cui all'art. 25 d.lgs. n. 50 del 2016, il progetto di fattibilità tecnica ed economica relativo agli interventi di cui all'Allegato IV al decreto è trasmesso dalla stazione appaltante alla competente soprintendenza decorsi quindici giorni dalla trasmissione al Consiglio superiore dei lavori pubblici del progetto di fattibilità tecnica ed economica, ove questo non sia stato restituito per le necessarie integrazioni o modifiche, ovvero contestualmente alla trasmissione al citato Consiglio del progetto modificato nei termini dallo stesso richiesti. Il termine di sessanta giorni, previsto dall'art. 25, comma 3, secondo periodo, del codice per la verifica preventiva dell'interesse archeologico è ridotto a quarantacinque giorni. Si pone il dubbio, però, se la riduzione del termine riguardi soltanto gli interventi di cui all'Allegato IV al decreto ovvero in generale i progetti di grandi opere infrastrutturali o a rete. Il dubbio nasce dall'inserimento della disposizione all'interno del primo comma dell'art. 44, dedicato per l'appunto agli interventi specificamente indicati nell'Allegato IV. Al tempo stesso, però, la norma in esame richiama il comma 3, secondo periodo, dell'art. 25 d.lgs. n. 50 del 2016 il quale, a sua volta, disciplina i “progetti di grandi opere infrastrutturali o a rete”. L'interpretazione letterale deporrebbe per la seconda soluzione, atteso che il dato letterale è inequivoco nel riferimento in via generale al “termine di cui al comma 3, secondo periodo, dell'articolo 25 del decreto legislativo n. 50 del 2016 è ridotto ...”. Tuttavia, dal punto di vista sistematico sembra preferibile la prima soluzione in quanto la norma si inserisce all'interno del primo comma dell'art. 44, dedicato agli interventi elencati nell'Allegato IV al decreto. Conseguentemente, la riduzione da sessanta a quarantacinque giorni si riferisce al termine per l'avvio della procedura di verifica preventiva d'interesse archeologico concernenti soli interventi di cui all'Allegato IV al d.l. n. 77/2021. Infine, prevede l'art. 44 di cui trattasi, le risultanze della verifica preventiva sono acquisite nel corso della conferenza di servizi per l'approvazione del progetto ai sensi dell'articolo 27, comma 3, del decreto legislativo n. 50 del 2016 che si svolge in forma semplificata ai sensi dell'articolo 14-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241. BibliografiaCarpentieri, Verifica preventiva dell'interesse archeologico, in Sandulli, De Nictolis (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2019; Carpentieri, Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia preventiva), in Urbanistica e appalti, 8-9/2016; Cianflone, Giovannini, Lopilato, L'appalto di opere pubbliche, Milano, 2018; De Nictolis, Appalti pubblici e concessioni, Torino, 2020; Roccella, Commento all'art. 28, in Cammelli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2007; Videtta, La verifica preventiva dell'interesse archeologico: inquadramento giuridico, in Atti e rassegna tecnica della società degli ingegneri e degli architetti in Torino, dicembre 2020, n. 2-3. |