Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 53 - (Accesso agli atti e riservatezza)1(Accesso agli atti e riservatezza)1 [1. Salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il diritto di accesso agli atti del processo di asta elettronica può essere esercitato mediante l'interrogazione delle registrazioni di sistema informatico che contengono la documentazione in formato elettronico dei detti atti ovvero tramite l'invio ovvero la messa a disposizione di copia autentica degli atti. 2. Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, il diritto di accesso è differito: a) nelle procedure aperte, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime; b) nelle procedure ristrette e negoziate e nelle gare informali, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato il loro interesse, e in relazione all'elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata respinta, è consentito l'accesso all'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato il loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da invitare; c) in relazione alle offerte, fino all'aggiudicazione; d) in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell'offerta, fino all'aggiudicazione. 3. Gli atti di cui al comma 2, fino alla scadenza dei termini ivi previsti, non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti. 4. L'inosservanza dei commi 2 e 3 per i pubblici ufficiali o per gli incaricati di pubblici servizi rileva ai fini dell'articolo 326 del codice penale. 5. Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione2: a) alle informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali; b) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all'applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici; c) alle relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell'esecuzione e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto 3; d) alle soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale. 6. In relazione all'ipotesi di cui al comma 5, lettera a), è consentito l'accesso al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto 4.] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. [2] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). [3] Comma modificato dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 19 aprile 2017 n. 56. [4] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). Note operativeÈ confermata nell'art. 53 (rispetto al pregresso art. 13 d.lgs. n. 163/2006) la tecnica normativa di regolare l'accesso in termini impersonali, perimetrando i limiti del diritto senza indicazioni soggettive circa la platea dei soggetti tenuti a garantirlo e quella di chi se ne possa avvalere. La conseguenza è che – come già nel vigore dell'art. 13 cit. – il diritto deve in linea di principio spettare a tutti gli operatori economici partecipanti a una procedura e il relativo dovere incombe ai soggetti che la conducano. Ciò, indipendentemente dalla natura formalmente privata o pubblica di questi ultimi, sia perché da un lato l'assoggettamento del loro agire al d.lgs. n. 50/2016 connota in sé in termini latamente pubblicistici la loro azione, sia perché a confermare la conclusione è l'art. 1 comma 1-ter l. n. 241/1990, il richiamo al quale è corroborato anche dalla forte affermazione di principio scritta nel primo periodo del comma 1 dell'art. 53. InquadramentoL'art. 53 si muove in sostanziale continuità normativa con l'art. 13 d.lgs. n. 163/2006, la cui disciplina è pressoché traslata nell'art. 53, a eccezione dei commi 7 e 7-bis dell'art. 13 in tema di accesso alle specifiche tecniche. Nel complesso, può, quindi, ritenersi che la disciplina prevista dall'art. 53, come d'altro canto per l'art. 13 d.lgs. n. 163/2006 «costituisce una sorta di microsistema normativo, collegato alla peculiarità del settore considerato, pur all'interno delle coordinate generali dell'accesso tracciate dalla l. n. 241/1990;» (Cons. St., III, 15 luglio 2014, n. 3688; in senso analogo Cons. St., V, 17 giugno 2014, n. 3079). Oltre che nel segno della continuità con l'art. 13 d.lgs. n. 163/2006, l'art. 53 si muove nel solco sia delle norme europee all'origine dello stesso corpus del 2006 (artt. 13 direttiva 2004/17/CE e 6 direttiva 2004/18/CE) sia delle norme europee oggetto dell'odierno recepimento (art. 28 direttiva 2014/23/UE, art. 21 direttiva 2014/24/UE e art. 39 direttiva 2014/25/UE), mentre nessuno specifico criterio in materia di accesso è dettato dalla l. n. 11/2016. Un forte indirizzo interpretativo si rinviene nel primo periodo del comma 1 dell'art. 53, solo in apparenza scontato e superfluo, secondo cui «Salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli artt. 22 e ss. della l. 7 agosto 1990, n. 241». L'inciso sottolinea – anche ai fini ex art. 14 disp. gen. – che pure nella materia contrattuale l'accesso è disciplinato dalle norme e principi generali ex l. n. 241/1990 ed è solo in termini di deroga (tassativa) prevista da specifiche disposizioni che il d.lgs. n. 50/2016 può essere letto e applicato come fonte di norme diverse da quelle ordinarie ex l. n. 241/1990. Appare infatti preferibile l'orientamento secondo cui «il rapporto tra la normativa generale in tema di accesso e quella particolare dettata in materia di contratti pubblici non va posto in termini di accentuata differenziazione, ma piuttosto di complementarietà, nel senso che le disposizioni (di carattere generale e speciale) contenute nella disciplina della l. n. 241/1990 devono trovare applicazione tutte le volte in cui non si rinvengono disposizioni derogatorie (e quindi dotate di una specialità ancor più elevata in ragione della materia) nel Codice dei contratti, le quali trovano la propria ratio nel particolare regime giuridico di tale settore dell'ordinamento» (Cons. St., V, n. 1446/2014; Cons. St. n. 5062/2010). Giova poi precisare che l'art. 53 trova applicazione sia nei c.d. «settori ordinari» (sopra e sotto la soglia di rilevanza comunitaria), sia nei c.d. «settori speciali», in virtù del rinvio espresso contenuto nell'art. 114, comma 1, nonché alle concessioni, in virtù sia del richiamo generale di cui all'art. 164, comma 2, sia di quello specifico di cui all'art. 171, comma 6. Si specifica che il diritto di accesso ha ad oggetto sia gli atti della procedura di affidamento, sia gli atti della fase esecutiva dei contratti, nonché le candidature e le offerte dei concorrenti quali atti che si innestano nella procedura di gara, diventando così degli atti amministrativi (Bercelli, Novaro, p. 235). Passando all'esame dell'istituto va subito chiarito che la legittimazione attiva all'accesso spetta innanzitutto ai soggetti partecipanti alla gara. I concorrenti, infatti, sottoposti alle regole di trasparenza ed imparzialità che caratterizzano la selezione, acconsentono implicitamente che l'offerta tecnica-progettuale fuoriesca dalla sfera del proprio riservato dominio, avendo come contropartita la possibilità di esercitare un eguale diritto di accesso, per conseguire o difendere l'aggiudicazione (cfr. Cons. St., III, n. 3688/2014; T.A.R. Campania, Napoli, VI, n. 1657/2013; Cons. St., VI, n. 5062/2010). Nella medesima ottica, la giurisprudenza ha affermato anche, al contempo, che il concorrente legittimamente escluso dalla gara non ha diritto all'ostensione degli atti. Infatti, l'art. 13, d.lgs. n. 163/2006 (ed oggi, in sostanziale continuità l'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016), che disciplina il diritto di accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi, nell'ambito di una complessa operazione di bilanciamento tra gli interessi contrapposti alla trasparenza ed alla riservatezza, in una prospettiva più puntuale e restrittiva di quella che emerge dall'art. 24, l. n. 241/1990, riguarda solo il concorrente che abbia partecipato alla selezione e sia titolare di una posizione concreta, attuale e differenziata, la quale è da ritenersi mancante qualora il richiedente sia stato legittimamente escluso da una procedura di gara (T.A.R. Toscana, Firenze, II, n. 1105/2015). L'interesse all'accesso difensivo agli atti di una procedura per l'affidamento di un contratto non può essere riconosciuto sussistente quando il concorrente istante è escluso dalla gara, poiché viene meno la possibilità di ottenere l'affidamento del contratto stesso (in funzione della quale le esigenze di difesa sono ritenute prevalenti su quelle inerenti la tutela dei segreti e della riservatezza industriale), con la conseguenza che un'eventuale conoscenza dei documenti non ostesi, salva l'eventuale ripetizione della gara, sarebbe utile solamente alla conoscenza «mera» dell'offerta di controparte, che non è consentita dall'art. 53, d.lgs. n. 50/2016 (T.A.R. Lazio, Roma, n. 4054/2017). Di recente, la giurisprudenza ha inoltre ribadito che «al di là della platea dei concorrenti che competono per il bene della vita dell'aggiudicazione e di quanto l'accesso è strumentale, e in ragione del rinvio contenuto nel primo comma dell'art. 53 alla l. 7 agosto 1990, n. 241, le fattispecie, diverse da quelle ricordate dalla giurisprudenza circa i concorrenti, restano per i terzi disciplinate dalle disposizioni generali degli artt. 22 e ss. l. 7 agosto 1990, n. 241» (Cons. Stato, V, n. 4813/2017). Valgono, dunque, per i terzi le regole generali poste dagli artt. 22 e ss. l. 7 agosto 1990, n. 241 e, segnatamente la previsione per la quale possono accedere ai documenti «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso» (art. 22, comma 1, lett. b). Per quanto attiene invece alla legittimazione passiva, ai sensi dell'art. 23, l. n. 241 del 90, i soggetti obbligati a consentire l'esercizio del diritto di accesso sono le amministrazioni dello Stato, comprese le aziende autonome, gli enti pubblici e i gestori di pubblici servizi. L'istituto dell'accesso si applica anche ai soggetti sussumibili nella nozione comunitaria di organismi di diritto pubblico Infatti, secondo l'art. 22, comma 1, lett. e) l. n. 241/1990 per «pubblica amministrazione», nei cui confronti è esercitabile il diritto di accesso, debbono intendersi «tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario» (Caringella). Pertanto si è ritenuto, ad esempio, che l'accesso nei confronti dei soggetti di diritto privato, quale è ENI S.p.a., può essere assicurato solo limitatamente all'attività di pubblico interesse esercitata dall'ente, mentre la richiesta di accesso debba invece essere negata allorché abbia ad oggetto procedure di gara non integranti attività strumentali all'esercizio di un servizio pubblico, come tali estranee all'ambito applicativo del codice dei contratti pubblici e regolata invece da norme di diritto privato (T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 24 marzo 2017, n. 3878). Casi di differimento dell'esercizio del diritto di accessoIl comma 2 conferma la disciplina dei casi e modi di differimento dell'esercizio del diritto di accesso già scritta nell'art. 13 d.lgs. n. 163/2006. Si tratta di elencazione di casi e atti rispetto alla quale la possibilità di differire l'accesso va intesa come eccezionale, tassativa e soggiacente a interpretazione restrittiva. L'art. 53, comma 2, d.lgs. n. 50/2016, contiene un'articolata disciplina delle ipotesi tassative di differimento temporaneo del diritto di accesso, prevedendo quattro fattispecie che ricalcano, in buona sostanza, il previgente art. 13, d.lgs. n. 163/2006. Il differimento dell'accesso è orientato non tanto alla tutela della sfera di riservatezza delle imprese partecipanti al pubblico incanto quanto, piuttosto, a garanzia della concorrenza e trasparenza dei comportamenti connessi alla presentazione delle offerte. Venendo alle singole fattispecie, il differimento nei casi sub lett. a) e b) mira ad assicurare il gioco spontaneo nella presentazione delle offerte. Infatti, le suddette fattispecie posticipano, rispettivamente nelle procedure aperte e in quelle negoziate, la conoscenza immediata dei soggetti che hanno già presentato le loro offerte in quanto tale circostanza potrebbe condizionare la scelta, da parte di altre imprese, di partecipare o meno alla procedura selettiva. Nelle ipotesi sub lett. c) e d), invece, il rinvio ha la sua ratio nell'esigenza di impedire in radice ogni rischio di interferenza nel procedimento di scelta del contraente, sino alla conclusione del procedimento. Per questo motivo è prevista la procrastinazione dell'esercizio del diritto di accesso sulle offerte e sui procedimenti di verifica dell'anomalia dell'offerta «fino all'aggiudicazione». Va, infine, soggiunto che l'inosservanza di tali previsioni determina conseguenze sanzionatorie ben radicali, in ossequio al combinato disposto con i successivi commi 3 e 4. Nello specifico, la violazione del principio di segretezza comporterà, per il responsabile del procedimento o per quanti altri, pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, non differiscano l'accesso, l'applicazione dell'art. 326 del c.p.. La responsabilità penale dei funzionari responsabili, che potrà concorrere anche con quella civile e amministrativa, avrebbe peraltro come conseguenza ulteriore l'illegittimità tout court della successiva fase di scelta del contraente. Le varie ipotesi di differimento sub lett. a), b), c), d) sembrano introdurre una ratio derogatoria alla disciplina ex l. 241/1990 in tema di esercizio dei diritti di partecipazione al procedimento. Quest'ultima, come ben si evince dall'art. 10 l. 241/1990, si alimenta essenzialmente con l'accesso al fascicolo del procedimento, e si sostanzia nell'interlocuzione in esso, in ogni momento e fase, secondo le libere scelte di strategia partecipativa da parte dell'amministrato. In relazione a ciò, sebbene esse non possano – né appare vogliano – soffocare in assoluto la facoltà di esercizio dei diritti partecipativi entro i procedimenti di natura contrattuale, le disposizioni di cui alle citate lettere del comma 2 tendono a controllarne indirettamente l'uso, differendo l'accesso ai documenti procedimentali specificamente individuati dalle disposizioni stesse, sulla quale potrebbe essere poggiata una più ampia difesa procedimentale ex art. 10 l. n. 241/1990 da parte del partecipante al procedimento concorsuale. L'obiettivo è quindi quello di preservare la fluidità di svolgimento del procedimento – che potrebbe invece essere pregiudicata da una partecipazione non regolata nei termini illustrati – il quale d'altronde avviene nella subiecta materia in modo piuttosto strutturato e in assoluto idoneo a garantire il rispetto dei diritti di interlocuzione degli interessanti. Posta questa ratio comune a tutte e quattro le ipotesi di differimento in esame, in relazione alle ipotesi sub lett. a) e b) quanto alla fissazione del momento – limite prima del quale non sia possibile acquisire l'elenco degli operatori economici presentatori di offerte, si profila la concorrente ratio di cercare di prevenire collusioni fra questi ultimi o intimidazioni di alcuni di essi, che sarebbero più agevoli se l'identità dei potenziali offerenti fosse rivelata prima della scadenza del termine per presentare offerta. In relazione a tutto ciò, i commi 3 e 4 irrigidiscono la disciplina normativa del differimento. Il primo dispone che gli atti elencati sub comma 2 «non possono essere comunicati o resi in qualsiasi altro modo noti» prima della scadenza dei termini di differimento, a rimarcare che non solo prima dei termini stessi non è dato evadere le istanze di accesso agli specifici atti indicati dal comma 2, ma in nessun modo, diretto o indiretto, la conoscenza dei contenuti degli atti indicati può essere propalata. Il comma 4 specifica che il fatto del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che non si attengano ai doveri di cui ai commi e 2 e 3 si ascrive alla fattispecie incriminatrice ex art. 326 c.p. Trattandosi di delitto, la condanna ai sensi di questa norma esige che sia provato anche l'elemento soggettivo del dolo. Rispetto al che, malgrado la fattispecie rilevante resti quella ex art. 326 c.p. cit., è chiaro che la disposizione di cui al comma 4 rileva ai fini della creazione di una formale maggior consapevolezza in capo al soggetto agente, che vede quindi facilitata la prova dell'esistenza di un suo dolo nel caso di procurata anticipata conoscenza di atti assoggettati dalla legge al differimento dell'accesso. Da notare che la disciplina del richiamo all'art. 326 c.p. è specificamente riferita dal comma 4 ai precedenti commi 2 e 3, e non è indirizzata ai casi di cui al comma 5 rispetto ai quali (v. infra) la potenziale infrazione non è quella di aver fatto anticipare la conoscenza di dati (quelli di cui al comma 2) in seguito in toto legittimamente conoscibili, ma è quella di avere tout-court rivelato (indebitamente permettendo l'accesso a essi) documenti destinati a restare non accessibili. La ratio del mancato rinvio all'art. 326 c.p. per queste altre infrazioni sta nel fatto che il relativo comportamento appare rientrare con maggiore immediatezza nella fattispecie incriminatrice in esame, e dunque rispetto a esso sarebbe superfluo un rinvio invece essenziale al caso di semplice anticipata procurata conoscenza di dati in seguito comunque accessibili. Esclusioni assolute e relative dall'accessoL'art. 53, comma 5, d.lgs. n. 50/2016 individua le ipotesi tassative di inibizione all'accesso. La norma, ricalcando la disciplina su quella dell'abrogato art. 13 d.lgs. n. 163/2006, prevede alcuni casi di documenti amministrativi sottratti tout-court ad accesso e un caso nel quale l'esclusione dell'accesso assume un carattere relativo. Nel dettare le esclusioni assolute e relative al diritto di accesso l'art. 53 fa comunque salva la disciplina prevista dal Codice per gli appalti secretati o per quelli la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza. Secondo la giurisprudenza amministrativa, infatti, i commi 2 e 5 dell'art. 53, d.lgs. n. 50/2016, che fanno espressamente salva la disciplina prevista nel Codice per gli appalti secretati o per quelli la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, dovrebbero indurre a ritenere che il Codice contenga previsioni specifiche per tali categorie di appalti. A ben vedere, invece, né l'art. 162 (Contratti secretati), né altri articoli del nuovo Codice contengono norme di rilievo sul punto. In assenza di una specifica disciplina, dovrà essere quindi l'interprete a svolgere, di volta in volta, «un'opera di bilanciamento tra l'interesse alla non divulgazione di notizie sensibili e il diritto di difesa, garantito dall'art. 24 Cost., al cui esercizio l'accesso è finalizzato» (T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, n. 830/2017). La fattispecie sub lett. a), posta a tutela della concorrenza, impedisce la divulgazione delle informazioni fornite dai partecipanti nell'ambito delle offerte, nonché di ulteriori aspetti privati delle stesse, che costituiscono espressione motivata e comprovata di segreti tecnici o commerciali. In quest'ultima categoria rientrano gli atti attinenti al segreto industriale, alla scoperta scientifica o al know how aziendale. Va evidenziato, in questa sede, il carattere maggiormente stringente del riferimento alla segretezza industriale rispetto a quello alla riservatezza commerciale, contenuto nella complementare disciplina di cui all'art. 24 della l. n. 241/1990, che si spiega alla luce delle già rimarcate esigenze di tutela della concorrenza e di par condicio intrinseche alle procedure ad evidenza pubblica. Le fattispecie sub lett. b) e c) riguardano, invece, taluni atti inquadrabili sistematicamente nell'attività difensiva e precontenziosa e non in quella amministrativa, come i pareri legali acquisiti per la soluzione delle liti relative ai contratti pubblici e le relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell'esecuzione o dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto. Con riferimento alla previsione di cui alla lett. b), la giurisprudenza ne ha mitigato la portata applicativa, ammettendo l'accessibilità dei pareri legali endoprocedimentali, ossia di quei pareri che, richiamati esplicitamente nel provvedimento finale, si configurino come parte dell'iter procedimentale e, perciò, costituiscono uno degli elementi che ha condizionato la scelta dell'amministrazione (Cons. St., V, n. 3812/2011; VI, n. 7237/2010, T.A.R. Lombardia, Brescia, I, n. 572/2018). Per quanto concerne, invece, le relazioni riservate di cui alla lett. c), va osservato che la giurisprudenza esclude tout court l'ostensibilità delle relazioni del direttore dei lavori e dell'organo di collaudo, giacché determinerebbe un evidente squilibrio nel regime complessivo delle prove processuali, ad unico detrimento della pubblica amministrazione (Cons. St., IV, n. 1768/2014; T.A.R. Lazio, Roma, I, n. 8013/2011). Infine, la successiva lett. d) prevede l'esclusione del diritto di accesso e di ogni forma di divulgazione anche per le soluzioni tecniche e i programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale. I casi di esclusione assoluta del diritto di accesso si rinvengono alle lett. b), c), d) del comma 5, che non pongono particolari problemi. Rispetto a essi i temi di volta in volta controversi possono risultare quelli della corretta delimitazione del perimetro degli atti esclusi da accesso in relazione alla concreta composizione degli atti che siano oggetto delle relative istanze e a tutte le connotazioni di ciascuna specifica fattispecie concreta. Il governo di simili casi va effettuato secondo i principi generali che si sono richiamati, e che vedono le norme ordinarie in tema di accesso come la regola alla quale le disposizioni specifiche ex d.lgs. n. 163/2006 possono introdurre eccezioni, da affrontare nell'ottica interpretativa ex art. 14 disp. gen. Il caso di sottrazione «relativa» all'esercizio del diritto di accesso è quello delineato dal comma 6 in relazione alla lett. a) del comma 5, ossia al caso dell'accesso «alle informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali». Questi ultimi dati sono accessibili in tanto e in quanto si prospetti in capo al richiedente l'esigenza «della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto». Prima osservazione in merito è quella che lega la disposizione alla clausola generale ex art. 24, comma 7, l. n. 241/1990. Alla luce di quest'ultima e della norma di cui al comma 2 dell'art. 22 l. n. 241/1990 che a propria volta fa da ponte verso l'art. 97 Cost., l'assenza nell'art. 53 di una norma come quella scritta al comma 6 avrebbe comportato seri dubbi di costituzionalità. Detta norma di cui al comma 6, dell'art. 53 pare esigere che l'accesso sia sempre ammesso per le prescritte ragioni di difesa e che non possa patire restrizioni, nemmeno laddove l'offerente abbia reso ex art. 53 comma 5 lett. a) «una motivata e comprovata dichiarazione, dalla quale emergano quali parti dell'offerta, specificamente individuate, costituiscano segreti tecnici o commerciali» (T.A.R. Lazio, Roma, I-ter, n. 878/2017). Con ciò si vuole dire della dubbia legittimità di prassi, talora con avalli giurisprudenziali, che vedono ammettere sì l'accesso, ma in forma limitata, per esempio, alla mera visione degli atti di interesse. Anche a prescindere da situazioni poco appaganti offerte dalla prassi di stazioni appaltanti che ammettono visione e presa di appunti o al limite integrale copiatura manuale degli atti, ma non riproduzione fotografica di essi, simili restrizioni del diritto di accesso ammesso nell'an non paiono avere fondamenti nella legge, la quale sul punto è binaria: l'accesso o si ammette o non si ammette. E d'altra, parte, diverse disposizioni, anche processuali (es. artt. 40 e 46 c.p.a.), mostrano che l'esercizio del diritto di difesa esige che l'interessato possa disporre effettivamente e pienamente degli elementi probatori e conoscitivi indispensabili. Il che non può avvenire che tramite un pieno accesso con acquisizione di copie degli atti rilevanti. La restrizione di questo pieno accesso si traduce infatti nella restrizione del diritto di difesa, anche con ricadute in termini di (in) costituzionalità ex artt. 24, 103 e 113 Cost. delle norme che fossero intese a restringere l'ampiezza del pieno accesso. L'inciso secondo il quale è consentito l'accesso dinanzi all'esigenza del richiedente di esercitare la «difesa in giudizio dei propri interessi» è limitato, nel comma 6, dalla precisazione che deve trattarsi di difesa afferente specificamente «alla procedura di affidamento del contratto». Si tratta di applicazione specifica del principio generale che vieta di impiegare lo strumento dell'accesso ai fini di un controllo generalizzato sull'attività amministrativa, e di tentativo di arginare l'esercizio sviato e pretestuoso del diritto di accesso, volto ad acquisire notizie su tecnologie, procedimenti, soluzioni commerciali o tecniche altrui, senza riferimento alla specifica procedura considerata. Ciò detto quanto alle ipotesi e ai fattori che possono rendere relativo il divieto di accesso ex art. 53 comma 5 lett. a), alcune considerazioni vanno dedicate al contenuto intrinseco di questa disposizione. In specie, essa sottrae in linea di principio all'accesso dati e informazioni «che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali». Alla lettera ciò parrebbe erigere il controinteressato sostanziale ad arbitro assoluto dell'accesso (o meno) ai dati che lo riguardino. Ed è ben nota – e in sé più che comprensibile – la facilità con la quale gli operatori commerciali ascrivono all'area dei detti segreti pressoché tutto ciò che afferisca alle loro offerte, spesso mossi dalla mai confessata volontà di interferire con l'esercizio dell'altrui diritto di difesa. Va allora osservato in primo luogo che, per quanto la norma non lo dica, appare che la decisione sull'accesso non possa esulare dalla responsabilità della stazione appaltante, la quale dovrà, certo, considerare le ragioni limitanti espresse dal controinteressato che saranno soppesate ma sarà la sola a dover decidere in merito alla richiesta ostensione. Compete, quindi, all'amministrazione aggiudicataria, in sede di valutazione dell'istanza di accesso valutare sulla base della dichiarazione in precedenza resa dall'offerente poi risultata aggiudicataria, se l'inerenza del documento al segreto tecnico o commerciale si fondi su una motivata e comprovata dichiarazione (T.A.R. Campania, Napoli, VI, n. 2195/2017). Inoltre è stato chiarito che l'amministrazione deve rappresentare quali sono le specifiche ragioni di tutela del segreto industriale e commerciale custoditi negli atti di gara, in riferimento a precisi dati tecnici, sicché in assenza di tale dimostrazione l'accesso deve essere consentito, atteso che, ove non sia fornita in modo puntuale idonea prova in ordine all'esistenza di un vero e proprio segreto, non possono non prevalere le esigenze di trasparenza della procedura cui lo stesso concorrente si è volontariamente ed implicitamente assoggettato con la partecipazione alla procedura competitiva, peraltro con la duplice garanzia offerta dall'ordinamento della limitazione, sul piano della legittimazione soggettiva attiva, dell'accessibilità dell'offerta ad esclusivo vantaggio del solo concorrente che abbia partecipato alla selezione e, sul piano oggettivo, per le sole esigenze di tutela giurisdizionale (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, III, n. 2195/2016). Infine, occorre considerare che spesso le applicazioni della norma soffrono di uno slittamento prospettico che confonde i piani fra quello della decisione sull'an dell'accesso e quello della necessità che non sia intaccata la riservatezza dei dati che siano conosciuti in conseguenza dell'accesso. Una cosa è, cioè, essere tenuto il richiedente a utilizzare le conoscenze acquisite impiegandole ai soli fini cui l'accesso è ammesso. Altra cosa è in sé l'ottenimento dell'accesso. Con ciò si vuole dire che chi abusa delle conoscenze stesse al di fuori della difesa strettamente correlata alla procedura considerata potrà incorrere in responsabilità di varia natura. L'esistenza della possibilità di questi abusi non è legittima ragione di diniego dell'accesso ai fini difensivi. L'accesso «difensivo» Significativa è la giurisprudenza amministrativa sulla natura giuridica di questa speciale forma di accesso prevista dal comma 6 dell'art. 53. Secondo l'orientamento maggioritario, l'art. 53, d.lgs. n. 50/2016, con tratti di specialità rispetto alla disciplina generale – per la quale l'accesso può essere esercitato dalla parte interessata a prescindere dalla pendenza o dalla proponibilità di un rimedio giurisdizionale – introduce, nello specifico campo degli appalti pubblici, una speciale figura di «accesso cd. difensivo» il quale prevale sulle contrapposte esigenze di tutela del segreto tecnico e commerciale solo laddove l'accesso sia azionato in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso. Ne deriva che, alla luce della formulazione letterale della norma e dell'interpretazione sistematica del bilanciamento di valori attuata dall'art. 53, la prevalenza dell'accesso deve essere individuata nei soli casi in cui si impugnino atti della procedura di affidamento, ai fini di ottenerne l'annullamento e, comunque, il risarcimento del danno, anche in via autonoma (Cons. St., III, n. 6083/2018; T.A.R. Lazio, Roma, III, n. 9655/ 2018; T.A.R. Lazio, Roma, I-quater, n. 6614/2018; T.A.R, Lazio, Roma, II-quater, n. 1067/2018; T.A.R. Lazio, Roma, I, n. 10738/2017; T.A.R. Valle d'Aosta, I, n. 34/2017). Una recente pronuncia del giudice amministrativo ha ulteriormente chiarito che «Essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è una condizione sufficiente perché l'interesse rivendicato possa considerarsi «diretto, concreto e attuale», essendo anche necessario che la documentazione cui si chiede di accedere sia collegata a quella posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento (Cons. St., Ad. plen., 24 aprile 2012, n. 7). La posizione sostanziale è la causa e il presupposto dell'accesso documentale e non la sua conseguenza, e la sua esistenza non può quindi essere costruita sulle risultanze, eventuali, dell'accesso documentale. Più specificamente in materia di accesso difensivo ai sensi dell'art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 non può considerarsi sufficiente nell'istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l'ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l'istante intende curare o tutelare (Cons. St., Ad. plen., n. 4/2021). In caso di evidente mancanza di collegamento tra il documento richiesto e le esigenze difensive è legittimo il diniego di accesso, in quanto, in tale ipotesi, il relativo esercizio si presenta pretestuoso o temerario per radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla L. 241/1990 (Cons. St., Ad. plen., n. 4/2021 cit.). Laddove l'interesse dell'istante non corrisponda ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento richiesto, la domanda di accesso si tradurrebbe in un'istanza espressamente vietata dalla legge, perché preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull'attività, pubblicistica o privatistica, dell'Amministrazione (cfr. art. 24 comma 4 l. 241/1990) (T.A.R. Lombardia, I, 1939/2021). Anche il Consiglio di Stato, recentemente, ha evidenziato molto bene la funzione strumentale e servente di questo speciale accesso difensivo ai fini della difesa in giudizio (art. 53, comma 6), precisandone anche le implicazioni processuali. È stato rilevato, sul punto, che l'utilità dei documenti ai fini dell'esplicazione delle facoltà difensive della parte richiedente deve intendersi nel senso della «pertinenza» degli stessi rispetto al thema decidendum delineato con la domanda di annullamento, e non nel senso più ristretto di idoneità (cioè di effettiva utilità) degli stessi a determinare l'accoglimento della medesima domanda. Ove si aderisse a siffatta opzione interpretativa, infatti, si attribuirebbero al giudice, cui è demandata la decisione sul ricorso incidentale in materia di accesso (tanto più in sede di appello avverso la sentenza di rigetto), compiti cognitori travalicanti l'oggetto del giudizio e sconfinanti in quello del giudizio principale (Cons. St., III, n. 4724/2017). Nel quadro del bilanciamento tra il diritto alla tutela dei segreti industriali ed il diritto all'esercizio del c.d. «accesso difensivo» (ai documenti della gara cui l'impresa richiedente l'accesso ha partecipato), risulta necessario l'accertamento dell'eventuale nesso di strumentalità esistente tra la documentazione oggetto dell'istanza di accesso e le censure formulate (Cons. St., III, n. 6083/2018). Appare quindi evidente la necessità di dover effettuare un giudizio prognostico circa l'effettiva utilità della documentazione ai fini dell'azione giurisdizionale, la cui ratio è volta ad assicurare il giusto contemperamento tra esigenza di conoscibilità degli atti di gara e tutela dei segreti tecnici e commerciali e quindi un corretto bilanciamento tra principio di trasparenza e principio di riservatezza. In modo ancor più incisivo il T.A.R. Bari ha evidenziato la strumentalità dell'accesso affermando che, allorquando ricorrano tutti gli elementi richiesti dall'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016, l'amministrazione dovrebbe, «dopo l'aggiudicazione, alla luce della ponderazione degli opposti interessi ivi operata, riconoscere comunque la prevalenza del diritto di accesso difensivo rispetto alle informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione di essa, quand'anche costituenti segreto tecnico o commerciale, secondo comprovata e motivata dichiarazione dell'offerente» (da ultimo, nello stesso senso, Cons. St. sez. II, n. 4220/2020). D'altro canto, un indirizzo giurisprudenziale minoritario ritiene invece che «l'accesso, in quanto strumentale ad imparzialità e trasparenza dell'azione amministrativa (art. 22, comma 2, l. n. 241/1990) nei confronti sia di titolari di posizioni giuridiche qualificate che di portatori di interessi diffusi e collettivi (art. 4 d.P.R. n. 184/2006), deve comunque essere assicurato a prescindere dall'effettiva utilità che il richiedente ne possa trarre e, dunque, è ammissibile anche quando siano decorsi i termini per l'impugnazione o se la pretesa sostanziale che sottende l'accesso sia infondata» (T.A.R. Sicilia, II, n. 1916/2018; T.A.R. Puglia, III, n. 679/2017). In tal senso si è anche affermato che l'avvenuto decorso del termine per impugnare gli atti della procedura non incide sull'attualità dell'interesse all'accesso e non spetta all'amministrazione che detiene il documento valutare le modalità di tutela dell'interesse del richiedente e negare l'accesso per il caso in cui ritenga talune di esse non più praticabili. Infatti, è solo del privato richiedente, una volta ottenuto il documento, la decisione sui rimedi giurisdizionali da attivare ove ritenga lesa la sua situazione giuridica soggettiva e se per taluni di essi (o per quelli unicamente esperibili) siano già spirati i termini di decadenza (o, eventualmente, di prescrizione) l'eventuale pronuncia di inammissibilità non può essere anticipata dall'amministrazione destinataria della richiesta di accesso allo scopo di negare l'ostensione del documento (Cons. St., V, n. 3953/2018). Si deve, infine, rilevare che il Consiglio di Stato ha delineato la nozione di «segreto commerciale» rilevante ex art 53, accogliendone un'accezione restrittiva: «Un punto di equilibrio tra esigenze di riservatezza e trasparenza nell'ambito delle procedure di evidenza pubblica finalizzata alla stipula di contratti di appalto si rinviene nella disciplina di settore dettata dal d. lgs 50/2016, la quale fa prevalere le ovvie esigenze di riservatezza degli offerenti durante la competizione, prevedendo un vero e proprio divieto di divulgazione, salvo ripristinare la fisiologica dinamica dell'accesso a procedura conclusa, con espressa eccezione per «le informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali». Il riferimento al «segreto» commerciale, contenuto nell'art. 53, più rigoroso e stringente dell'art. 24 che invece parla di «riservatezza» commerciale, si spiega in relazione allo specifico contesto dell'evidenza pubblica nell'ambito del quale si svolge una vera e propria competizione governata dal principio di concorrenza e da quello di pari trattamento che ne costituisce il corollario endoconcorsuale. Essendo la gara basata sulla convenienza dell'offerta economica è chiaro che le condizioni alle quali essa è aggiudicata, ed il relativo contratto è stipulato, costituiscono la prova e il riscontro della corretta conduzione della competizione fra gli offerenti, ragion per cui nessuna esigenza di riservatezza potrà essere tale da sottrarre all'accesso i dati economici che non siano così inestricabilmente avvinti a quelli tecnici da costituire parte di un segreto industriale» (Cons. St., III, n. 1213/2017). Questioni applicative1) L'accesso civico generalizzato si applica alle procedure di gara? Una problematica emersa negli ultimi anni, e in particolare a decorrere della introduzione dell'istituto dell'accesso civico generalizzato nel panorama amministrativo, è quella della applicabilità di tale ultimo strumento di trasparenza alle procedure dei contratti pubblici. Dopo un contrasto giurisprudenziale registratosi all'indomani della novella la questione è stata definitivamente risolta, in termini positivi, dal Consiglio di Stato, il quale, in sede di Adunanza Plenaria (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020) ha anche statuito in merito alla portata dell'interesse a conoscere del partecipante alla gara che chiede i documenti della fase esecutiva al fine di esercitare il suo diritto al subentro. Nei prossimi paragrafi si darà conto delle questioni risolte dalla Plenaria n. 10/2020. Quadro normativo di riferimento Sulla scia dei concetti introdotti dall'art. 11 d.lgs. n. 150/2009 in materia di trasparenza e in attuazione della delega recata dall'art. 1, comma 35 e 36 della l. n. 190/2012, c.d. legge anticorruzione, è stato adottato il d.lgs. n. 33/2013 (decreto trasparenza), che ha operato una significativa estensione dei confini della trasparenza amministrativa introducendo obblighi di pubblicazione di dati, documenti e informazioni in capo ad amministrazioni ed enti. L'accesso civico generalizzato è stato introdotto, invece, sulla base della delega di cui all'art. 7, comma 1, lett. h) della c.d. legge Madia (l. n. 124/2015), ad opera dell'art. 6 del d.lgs. n. 97/2016, che ha novellato l'art. 5 del decreto trasparenza. L'accesso civico (generalizzato) è stato aggiunto, quindi, alle forme di pubblicazione on line del 2013 e all'accesso agli atti amministrativi della l. 241/1990, consentendo, del tutto coerentemente con la ratio che lo ha ispirato, l'accesso alla generalità degli atti, dei documenti e delle informazioni, senza onere di motivazione, a tutti i cittadini singoli e associati, in guisa da far assurgere la trasparenza a condizione indispensabile per favorire il coinvolgimento degli stessi nella cura della «cosa pubblica», oltreché mezzo per contrastare ogni ipotesi di corruzione e per garantire l'imparzialità e il buon andamento dell'Amministrazione (con riguardo agli obblighi di pubblicazione in materia di appalti si rinvia al commento dell'art. 29). Dal punto di vista procedurale, l'art. 5, comma 2 del decreto 33/2013 (che disciplina appunto l'accesso generalizzato) consente ai cittadini di accedere a dati e documenti (detenuti dalle amministrazioni) «ulteriori» rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati individuati all'art. 5-bis del decreto. La disciplina prevista per l'accesso civico generalizzato dispone che questo non sia sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente; l'istanza non deve essere motivata e il richiedente deve esclusivamente limitarsi a indicare i dati, le informazioni o i documenti che intende conoscere. La regola della generale accessibilità è temperata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati che possono subire un pregiudizio dalla rivelazione generalizzata di talune informazioni, ma che comunque non si trasformano in limiti tout court alla trasparenza amministrativa, dovendo comunque essere riguardati alla luce dell'interesse alla accessibilità delle informazioni, dei dati e dei documenti richiesti. La disciplina dell'accesso civico generalizzato, avendo l'istituto ambiti di applicazione molto estesi in quanto riferito ai dati, alle informazioni e ai documenti inerenti all'attività e all'organizzazione delle amministrazioni, non poteva, infatti, non prevedere anche dei limiti, in ragione degli interessi pubblici e privati da salvaguardare; e ciò alla stregua di quanto si rinviene anche nell'ambito della disciplina sull'accesso ai documenti (art. 24, l. n. 241/1990) e, nel decreto sulla trasparenza, in merito agli obblighi di pubblicazione (art. 7-bis, d.lgs. n. 33/2013). L'art. 5-bis comma 1 stabilisce i limiti da applicare alle richieste di accesso civico generalizzato, prevedendo che esso deve essere rifiutato se il diniego è necessario per evitare un «pregiudizio concreto» alla tutela di uno dei seguenti interessi pubblici: la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale, la difesa e le questioni militari, le relazioni internazionali, la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato, la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento, il regolare svolgimento di attività ispettive. Ancora, ai sensi dell'art. 5-bis, comma 2, l'accesso generalizzato deve essere negato per evitare un «pregiudizio concreto» alla tutela di uno dei seguenti interessi privati: la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia, la libertà e la segretezza della corrispondenza e gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali. Accanto a questi, comunemente indicati come limiti «relativi», vi sono poi i limiti «assoluti», elencati all'art. 5-bis, comma 3, a mente del quale «Il diritto di cui all'art. 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'art. 24, comma 1, della l. n. 241/1990». Per quanto concerne l'applicazione della disciplina dell'accesso generalizzato alla materia dei contratti pubblici deve considerarsi che, alla luce di quanto sopra delineato, la disciplina in tema di accesso ai documenti soggiace a finalità e presupposti diversi da quelli in tema di trasparenza e di accesso generalizzato: il primo è strumentale alla tutela degli interessi individuali di un soggetto che si trova in una posizione differenziata rispetto agli altri cittadini, in ragione della quale ha il diritto di conoscere e di avere copia di un determinato documento amministrativo o di atti della procedura; il secondo è, invece, azionabile da chiunque, senza la previa dimostrazione della sussistenza di un interesse attuale e concreto, per la tutela di situazioni rilevanti, senza dover motivare la richiesta e con la sola finalità di consentire una pubblicità diffusa e integrale dei dati, dei documenti e delle informazioni che sono considerati conoscibili. Come è evidente, le due discipline sono profondamente diverse non solo nelle finalità, ma anche nei presupposti, ciò comportando che anche l'esito delle rispettive istanze potrà essere fisiologicamente diverso soprattutto con riguardo a quanto «profonda e penetrante» sarà la conoscenza degli atti che ne deriva. L'accesso documentale si fonda su una prospettazione soggettiva, ponendo al centro della disciplina il richiedente con la sua legittimazione, il suo interesse, la sua motivazione, che gli consente un'ampia conoscenza della documentazione amministrativa richiesta fino a giungere a conoscere addirittura i dati riguardanti la salute delle persone (o una offerta tecnica segreta), cioè i dati in assoluto più riservati e protetti quando tuttavia ne sussistono i presupposti (art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, art. 60 d.lgs. n. 196/2003, art. 53, comma 6, d.lgs. n. 50/2016); in materia di appalti pubblici, la prospettazione soggettiva implica che il partecipante potrà conoscere gli documenti di gara, se ciò gli è utile per tutelare i propri interessi giuridici. L'accesso generalizzato, invece, si fonda su una prospettazione «oggettiva» in quanto la disciplina non richiede all'istante di dimostrare alcuna legittimazione o interesse a conoscere ovvero di motivare la sua richiesta. Centrale, nell'ambito dell'accesso generalizzato diventa allora la considerazione di che cosa si vuole conoscere e di che cosa, di conseguenza, si può conoscere alla luce del dato normativo. All'esito di una istanza di accesso generalizzato, il cittadino può ottenere la documentazione, i dati e le informazioni che gli fanno comprendere la scelta amministrativa effettuata e che rappresentano la decisione dell'amministrazione, con la conseguenza che, in linea di massima, con l'accesso generalizzato si potrà avere una documentazione che consente una conoscenza meno «profonda» rispetto all'accesso documentale, ma più estesa a tutta l'attività amministrativa e alle decisioni sulla spesa pubblica. Il contrasto giurisprudenziale Il contrasto registrato in giurisprudenza in ordine all'interpretazione da dare all'art. 5-bis, comma 3 se cioè andava interpretato nel senso di precludere la conoscenza diffusa ai cittadini relativamente agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici in quanto si riteneva applicabile solo la disciplina dell'art. 53 per assicurare la trasparenza delle procedure, è una delle questioni rimesse e decise all'Adunanza plenaria n. 10/2020. La soluzione data, in senso più favorevole alla conoscenza diffusa riveste, come è facile immaginare, particolare rilevanza perché, è stata l'occasione per il più elevato consesso della giustizia amministrativa per fare alcune considerazioni sistematiche sull'istituto dell'accesso generalizzato, declinato in chiave soggettiva come diritto fondamentale e come strumento di trasparenza per assicurare la realizzazione di un ordinamento democratico. L'interpretazione dell'art. 5-bis comma 3 del d.lgs. n. 33/2013, e cioè se il legislatore, con esso, avesse voluto o meno introdurre un limite assoluto a conoscere gli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ha dato luogo a due diversi orientamenti culminati in due differenti pronunce del Consiglio di Stato susseguitesi a distanza di alcuni mesi, che hanno in qualche modo radicalizzato il «contrasto» già registrato in materia: da una parte, infatti, vi sono state pronunce che hanno affermato che anche nella materia dei contratti pubblici, escluse le limitazioni di cui al menzionato art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013, doveva essere garantita la più ampia trasparenza; dall'altra, si colloca quella giurisprudenza che ha ritenuto applicabile, in questo ambito, la sola regola della conoscenza «qualificata» disciplinata dalla l. 241/1990 e dalla normativa speciale di riferimento di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016. Da una parte si è registrato, quindi, un orientamento di maggiore «apertura» verso la conoscenza dei detti atti (Cons. St., III, n. 3780/2019) il quale, muovendo proprio dall'interpretazione dell'art. 5-bis, comma 3 ha sostenuto che tale ultima prescrizione fa riferimento, nel limitare tale diritto, a «specifiche condizioni, modalità e limiti» non ad intere «materie». Diversamente interpretando, si sarebbe escluso per l'intera materia relativa ai contratti pubblici una disciplina, qual è quella dell'accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto di un principio fondamentale, il principio di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione. È stato chiarito che entrambe le discipline, contenute nel d.lgs. n. 50/2016 e nel d.lgs. n. 33/2013, mirano all'attuazione dello stesso, identico principio e non si vedrebbe per quale ragione, la disciplina dell'accesso civico dovrebbe essere esclusa dalla disciplina dei contratti pubblici. «D'altro canto, il richiamo contenuto nel primo comma, del citato art. 53 Codice dei contratti, alla disciplina del c.d. accesso «ordinario» di cui agli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990 è spiegabile alla luce del fatto che il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 è anteriore al d.lgs. 25 maggio 2016, n. 67 modificativo del d.lgs. n. 33/2013...... dal medesimo principio – ricavabile dalla testuale interpretazione dell'art. 5-bis comma 3 d.lgs. n. 33/2013 come novellato – discende la regola, ben chiara ad avviso del Collegio, per cui, ove non si ricada in una «materia» esplicitamente sottratta, possono esservi solo «casi» in cui il legislatore pone specifiche limitazioni, modalità o limiti». Il giudice amministrativo di appello ha, quindi, ritenuto con questa pronuncia che il rinvio, all'art. 53 del «Codice dei contratti» alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990, non può condurre alla generale esclusione dall'accesso civico della materia degli appalti pubblici, in quanto una volta che la gara si è conclusa e viene perciò meno la necessità di tutelare la «par condicio» dei concorrenti, la possibilità di assicurare l'accesso generalizzato del cittadino risponde ai canoni generali di «controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche» (art. 5 comma 2 cit. d.lgs. 33) e consente di avere procedure di appalti trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione. Il secondo diverso segnalato orientamento fa capo in particolare alle sentenze Cons. St., V, n. 5502/2019 e Cons. St. 5503/2019, il quale – nel negare l'accesso generalizzato agli atti di gara – ha affermato che «La previsione dell'art. 5-bis, comma 3 si distingue da quella dei comma 1 e 2, ...perché è disposizione volta a fissare, non i limiti relativi all'accesso generalizzato consentito a «chiunque», bensì le eccezioni assolute, a fronte delle quali la trasparenza recede. Secondo il giudice di appello il richiamo testuale alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. 7 agosto 1990 n. 241 va inteso come rinvio alle condizioni, modalità e limiti fissati dalla normativa in tema di accesso documentale, che devono sussistere ed operare perché possa essere esercitato il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici. Nella pronuncia da ultimo richiamata si fa poi riferimento alla circostanza che l'accesso generalizzato non sarebbe stato introdotto, nell'ambito del codice dei contratti pubblici, nemmeno in sede di correttivo di cui al d.lgs. 56/2017, come segno evidente della volontà del legislatore di non consentire l'accesso generalizzato in detta materia; inoltre, la sentenza considera che quelli della procedura di gara sono «atti formati e depositati nell'ambito di procedimenti assoggettati, per intero, ad una disciplina speciale ed a sé stante. Questa disciplina attua specifiche direttive europee di settore che, tra l'altro, si preoccupano già di assicurare la trasparenza e la pubblicità negli affidamenti pubblici, nel rispetto di altri principi di rilevanza euro unitaria, in primo luogo il principio di concorrenza, oltre che di economicità, efficacia ed imparzialità...». Oltre queste due posizioni così «nette», si è registrata una terza posizione che possiamo indicare come «mediana», nell'ambito della quale si collocano quelle decisioni (T.A.R. Toscana, n. 577/2019) con le quali il giudice amministrativo ha ritenuto di procedere, ai fini dell'accoglimento dell'istanza di accesso generalizzato, a un distinguo in base ai documenti in concreto richiesti. È stato così chiarito che deve ritenersi consentito, con riferimento agli atti e ai documenti della fase pubblicistica del procedimento, oltre all'accesso ordinario, anche l'accesso civico generalizzato, proprio allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico; mentre, per quanto riguarda atti e documenti della fase esecutiva del rapporto contrattuale tra stazione appaltante ed aggiudicataria, l'accesso è stato ritenuto esplicabile solo ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990 e nel rispetto delle condizioni e dei limiti individuati dalla giurisprudenza. La decisione dell'Adunanza Plenaria La risposta dell'Adunanza è stata netta e non lascia spazio ad alcun dubbio: «la disciplina dell'accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all'esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l'eccezione del comma 3 dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013 in combinato disposto con l'art. 53 e con le previsioni della l. n. 241/1990, che non esenta in toto la materia dall'accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell'accesso con le eccezioni relative di cui all'art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza». La Plenaria ha preliminarmente affermato che l'intento del legislatore di assicurare a chiunque forme diffuse di controllo significa innanzitutto superare il limite previsto dall'art. 24, comma 3 della l. n. 241/1990 secondo cui l'accesso documentale non può essere preordinato a un controllo generalizzato sull'attività delle pubbliche amministrazioni. Mentre con l'accesso documentale, infatti, il soggetto che chiede di conoscere lo fa perché è mosso dall'esigenza di tutelare un interesse individuale e la trasparenza risulta essere «occasionalmente protetta», nell'accesso civico generalizzato si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull'attività amministrativa, teso a tutelare l'interesse individuale alla conoscenza diffusa che va assicurato sempre se non ci sono ragioni di protezione di interesse pubblici o privati contrapposti e prevalenti. Secondo l'Adunanza plenaria, il principio di trasparenza, che si esprime nella conoscibilità dei documenti amministrativi, rappresenta il fondamento della democrazia amministrativa in uno stato di diritto, ma essa assicura anche il buon funzionamento della pubblica amministrazione attraverso l'intellegibilità dei processi decisionali e l'assenza di corruzione. Partendo da queste premesse, l'Adunanza plenaria è giunta a chiarire che l'accesso civico generalizzato sostanzia un diritto fondamentale che contribuisce al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l'ordinamento giuridico riconosce alla persona. L'Adunanza plenaria ha chiarito, con riguardo ai limiti assoluti, che le tre categorie di eccezioni previste dall'art. 5-bis, comma 3 del d.lgs. n. 33/2013, (i documenti coperti da segreto di stato, gli altri casi previsti dalle legge incluso quelli in cui l'accesso è subordinato al rispetto di pacifiche «condizioni, modalità o limiti» e, infine, le ipotesi contemplate dall'art. 24, comma 1, della l. n. 241/1990) non devono essere interpretate come riferite a interi ambiti di materie, ma devono riferirsi alle precise ipotesi di restrizione, non essendo consentita una interpretazione che conduca a vanificare ogni forma di accesso per intere materie (come si rischierebbe di fare per i contratti pubblici). Lo stesso rinvio che viene fatto nell'ambito delle eccezioni assolute alla l. 241, art. 24, comma 1 non implica che intere materie siano sottratte all'accesso, ma solo fattispecie specifiche, e che in tali situazioni devono essere tutelati gli interessi specifici (da salvaguardare) sottesi anche al fine di assicurare la «tutela preferenziale dell'interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta per materia delle singole discipline». Né è possibile introdurre in sede interpretativa il limite della «materia», non previsto dal legislatore e quindi non consentito ex art. 10 CEDU, in quanto si lascerebbe una tale «non prevista» eccezione assoluta (estensione alla materia) alla discrezionalità della pubblica amministrazione o all'opera dell'esegeta. Conf. Cons. Stato V, 22 lulio 2022, n. 6448 La conoscibilità degli atti della fase esecutiva da parte del quisque de populo Fatta eccezione per le ipotesi di esclusione, sia temporali che di contenuto previste dall'art. 53, per il resto (e anche allorquando siano venute meno tali limitazioni ovvero le ragioni dei limiti posti) l'intera materia dei contratti pubblici è assoggettata alla disciplina dell'accesso generalizzato per cui l'eventuale istanza del quisque de populo dovrà essere vagliata alla luce delle eccezioni relative previste dall'art. 5-bis, commi 1 e 2 del d. lgs 33/2013, senza che vi siano ulteriori limitazioni di sorta per l'intera materia e senza la necessità che vi siano norme che ne autorizzino l'operatività. Condividendo quindi la giurisprudenza caratterizzata dal favor per l'applicazione dell'istituto, la scelta operata dall'Adunanza plenaria consente di affermare che non tutta la «materia» dei contratti pubblici deve essere sottratta alla «conoscenza diffusa» di cui al d.lgs. n. 33/2013, giungendo in soccorso anche considerazioni di ordine sistematico e teleologico: se la materia degli appalti pubblici è una di quelle dove è più elevato il rischio corruzione (ricompresa tra le aree più a rischio di cui all'art. 1, comma 16 della l. n. 190/2012) e sulla quale, in misura maggiore, si è appuntata l'attenzione della disciplina anticorruzione (anche nell'ambito dei vari piani nazionali anticorruzione) e della stessa Autorità Nazionale Anticorruzione, sarebbe stato incomprensibile o, quanto meno, irragionevole che il legislatore avesse voluto sottrarre alla disciplina sulla trasparenza, e quindi all'accesso del quisque de populo, proprio la materia degli appalti. Inoltre, a rafforzare in materia l'ammissibilità dell'accesso civico, vi sarebbe «una esigenza specifica e più volte riaffermata nell'ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione....per cui una volta che la gara sia conclusa e venuta, perciò, meno l'esigenza di tutelare la «par condicio» dei concorrenti, risponde proprio ai canoni generali di «controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche» di cui all'art. 5 comma 2 del d.lgs. n. 33/2013». Non può non considerarsi, infatti, che una volta che la gara è conclusa (e non si ravvisino ragioni di riservatezza in base al tipo di appalto o con riguardo ad alcune parti dell'offerta tecnica), l'offerta dell'aggiudicataria, benché proveniente dal privato, rappresenta oramai la «scelta» operata dall'amministrazione e l'accesso generalizzato costituisce lo strumento da assicurare in generale ai cittadini per conoscere e apprezzare appieno la «bontà» della scelta effettuata, inclusi naturalmente e a fortiori, i partecipanti alla gara (allorquando non possono più vantare un interesse «qualificato») e i soggetti latamente interessati alla gara, che avranno le cognizioni e le competenze per effettuare un vero «controllo» esterno e generalizzato sulle scelte effettuate dall'amministrazione. Il «chiunque» potrà, come è evidente, conoscere l'offerta selezionata (premiata con l'aggiudicazione) e gli atti della fase esecutiva, al di fuori delle precise limitazioni di cui sopra. Ciò che si applica all'accesso civico generalizzato, con il rinvio operato proprio dal comma 3 dell'art. 5-bis del decreto trasparenza, sono, quindi, le puntuali limitazioni di cui all'art. 53 poste a tutela della gara stessa e dei partecipanti (che rappresentano i limiti assoluti). Non solo la fase dell'aggiudicazione è, quindi, aperta all'accesso generalizzato, ma anche la fase esecutiva. L'Adunanza plenaria chiarisce sul punto che la fase della esecuzione del contratto non è, come si è già ricordato, «terra di nessuno» lasciata all'arbitrio dei contraenti e all'indifferenza dei terzi, trattandosi di una fase rilevante per l'ordinamento giuridico, come dimostrano le funzioni pubbliche di vigilanza e controllo nell'ambito delle quali trova spazio, in funzione complementare, l'accesso generalizzato. Ad esempio, il cittadino potrebbe avere contezza, attraverso l'accesso generalizzato, di violazioni da sottoporre poi alla vigilanza dell'ANAC, inoltrando alla stessa Autorità una segnalazione quale possibilità consentita a tutti i cittadini, espressione di un interesse a carattere generale alla trasparenza delle procedure; l'accesso generalizzato soddisfa, infatti, il diffuso desiderio alla conoscenza finalizzato alla garanzia della legalità nei contratti pubblici, sia nella fase pubblicistica che privatistica, per cui rende concretamente realizzabile l'interesse pubblico ad avere procedure di gara trasparenti e legittime. In definitiva, può dirsi che viene finalmente riconosciuto il principio della accessibilità totale agli atti di gara nel rispetto degli interessi limite previsti, pubblici e privati, assoluti e relativi. Si deve, quindi, ritenere, in una complessiva considerazione del sistema di accesso (accesso documentale e accesso civico generalizzato), interpretato in una chiave di complementarietà e integrazione delle discipline e non di separatezza, che il soggetto partecipante alla gara e secondo classificato che vedrà respinta la sua istanza per mancanza di interesse attuale e concreto ovvero perché lo stesso è stato ritenuto insussistente dall'amministrazione in quanto non fondato su precise circostanze, potrà proporre successivamente istanza di accesso generalizzato e ottenere dalla stessa la documentazione di gara, anche con riguardo alla fase esecutiva, che non risulta assoggettata a specifici limiti assoluti e relativi (Corrado) (sul punto Cons. St. V, n. 2050/2021). Segue. Posizione del soggetto collocato utilmente in graduatoriaAltra questione all'esame della Adunanza plenaria n. 10/2020 ha riguardato la posizione del soggetto collocato utilmente nella graduatoria dei partecipanti a una gara e in particolare se questi può avere accesso agli atti della fase esecutiva al fine di accertare eventuali inadempienze che gli potrebbero consentire il subentro. Secondo la decisione dell'Adunanza plenaria, «è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell'art. 22 della l. n. 241/1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell'aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale». Assume particolare rilievo la questione relativa alla sussistenza, al momento dell'istanza di accesso, delle ipotesi di grave inadempimento (da rappresentare nell'istanza) oppure se deve ritenersi che l'accesso documentale (ex l. n. 241/1990) vada garantito proprio al fine di consentire al soggetto istante di verificare se inadempimento c'è stato e quindi, in caso, se sussiste la possibilità di subentro. Va ricordato sul punto l'orientamento della giurisprudenza amministrativa (Cons. St., III, ord. n. 8501/2019) secondo cui la richiesta di accesso documentale non può sostanziarsi in un controllo «preventivo e generalizzato» dell'attività dell'amministrazione, dovendo essere correlato ad uno specifico interesse anche non funzionalmente connesso ad una immediata tutela in via giudiziale, purché, però, concreto ed attuale. Nel caso di istanza proposta dal secondo graduato nella procedura di gara per l'affidamento del contratto, il presupposto «soggettivo» di essere seconda classificata non bastava a giustificare una richiesta di accesso a tutti gli atti attinenti alla fase esecutiva. Il giudice amministrativo di appello, quindi, aveva affermato che, con riferimento agli atti relativi alla fase esecutiva del rapporto, manca in radice un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso quando non sussiste la possibilità che il rapporto si risolva ovvero ricorrano ipotesi di grave inadempimento; «ciò esclude la configurabilità di un interesse della seconda classificata a conoscere la correttezza o meno dell'esecuzione contrattuale da parte dell'aggiudicatario della gara, attesa la sua estraneità al rapporto contrattuale in essere e ai possibili esiti della sua esecuzione (ex art. 1372 c.c.)» (Cons. St., V, n. 3398/2012). L'Adunanza plenaria, prima ancora di rispondere al quesito posto, ha richiamato il principio secondo cui gli operatori economici che hanno partecipato alla gara sono legittimati ad accedere agli atti della fase esecutiva con le limitazioni di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 purché dimostrino di avere un interesse attuale, concreto e diretto a conoscere tali atti. Gli operatori economici, quindi, pacificamente possono accedere agli atti dell'attività di pubblico interesse indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della stessa, in quanto attività finalizzata alla cura in concreto di un interesse pubblico, quale ben potrebbe essere la fase esecutiva. Anche nell'ambito di questa ultima fase, infatti, si rinviene la compresenza di diversi interessi pubblici da tutelare come quelli della trasparenza, della non discriminazione e della concorrenza. Si rinvengono, così, situazioni tutelate in capo agli operatori economici che hanno partecipato alla gara che saranno interessati a conoscere eventuali illegittimità e inadempimenti successivi alla fase di approvazione del contratto non solo per far valere vizi originari dell'offerta, ma anche con riferimento alla fase esecutiva della stessa per tutelare un interesse al subentro in caso di risoluzione del rapporto con l'aggiudicatario nonché alla riedizione della gara. Secondo i giudici dell'Adunanza plenaria, l'interesse concorrenziale alla corretta esecuzione del contratto «riacquista concretezza ed attualità, in altri termini, in tutte le ipotesi in cui la fase dell'esecuzione non rispecchi più quella dell'aggiudicazione, conseguita all'esito di un trasparente, imparziale, corretto gioco concorrenziale, o per il manifestarsi di vizi che già in origine rendevano illegittima l'aggiudicazione o per la sopravvenienza di illegittimità che precludano la prosecuzione del rapporto (c.d. risoluzione pubblicistica, facoltativa o doverosa) o per inadempimenti che ne determinino l'inefficacia sopravvenuta (c.d. risoluzione privatistica), sì che emerga una distorsione di tutte quelle regole concorrenziali che avevano condotto all'aggiudicazione della gara in favore del miglior concorrente per la miglior soddisfazione dell'interesse pubblico». La fase di esecuzione del contratto o della pubblica concessione, come afferma suggestivamente l'Adunanza, non è quindi «terra di nessuno» in quanto regolata da un rapporto privatistico tra amministrazione e aggiudicatario, ma resta assoggettata oltre che al controllo dei soggetti pubblici anche alla verifica e alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti interessati al subentro o, se del caso, alla riedizione della gara. Tutto ciò porta a ritenere che sussiste l'interesse a conoscere lo svolgimento del rapporto contrattuale ma che tuttavia, ai fini dell'accesso, si richiede che l'interesse sia attuale, concreto e diretto e cioè che detto interesse sia preesistente alla richiesta di accesso documentale e non successivo alla stessa, non potendosi attribuire all'istanza una finalità esplorativa non essendo consentito l'accesso documentale preordinato a un controllo generalizzato sull'attività delle amministrazioni. In sintesi, l'accesso è consentito laddove necessario ad acquisire documentazione che serve a dimostrare o a corroborare la tesi che una illegittimità o un inadempimento nella procedura nel suo complesso c'è stato e non invece a fini esplorativi per andare a verificare se in caso si sia verificato «qualsivoglia» inadempimento che potrebbe consentire al richiedente di attivare gli strumenti posti a tutela dei suoi interessi di partecipante alla procedura di gara. Ciò che è stato ribadito è che ai sensi della l. n. 241/1990 non sono ammissibili istanze di accesso con finalità meramente esplorative finalizzate solo ad accertare se un inadempimento si sia verificato in quanto in caso contrario si attribuirebbe agli operatori economici un non consentito ruolo di vigilanza sulla esecuzione delle prestazioni contrattuali e sull'inadempimento delle obbligazioni assunte dall'aggiudicatario. Questa opzione interpretativa è comunque destinata a perdere di «rigore» se si considera che l'Adunanza Plenaria ha riconosciuto in favore del quisque de populo la conoscibilità degli atti di gara, anche della fase esecutiva, attraverso lo strumento dell'accesso civico generalizzato. In ragione di tale apertura il partecipante alla gara potrà attivare l'istituto dell'accesso civico generalizzato che gli consentirà comunque di conoscere la documentazione della fase esecutiva della procedura di gara, esclusi i casi di limiti assoluti e previo bilanciamento degli interessi pubblici e privati da tutelare da parte della pubblica amministrazione. L'istanza del richiedente, alla luce dell'accesso generalizzato non dovrà essere esaminata in una prospettazione soggettiva ma piuttosto oggettiva: cioè l'amministrazione dovrà considerare non «chi vuole conoscere e perché» ma «che cosa si può conoscere» al netto della tutela degli altri interessi pubblici e privati da tutelare (Corrado). Preme, quindi, evidenziare che, nella logica di completamento/inclusione ed integrazione tra i diversi regimi di accesso sposata dalla stessa Adunanza Plen, n. 10/2020, potrebbe accadere che un'istanza di accesso documentale, non accoglibile per l'assenza di un interesse attuale e concreto (nel senso sopra divisato), possa essere invece accolta sub specie di accesso civico generalizzato, fermi restando naturalmente i limiti di cui all'art. 5-bis, comma 1 e 2, del d.lgs. n. 33/2013, limiti che sono certamente più ampi e oggetto di una valutazione a più alto tasso di discrezionalità (v., su questo punto, anche Cons. St. V, n. 1817/2019). Il bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco è, infatti, ben diverso nel caso dell'accesso previsto dalla l. n. 241/1990, dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti, e nel caso dell'accesso generalizzato, dove invece le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all'operatività dei limiti), ma più esteso, avendo presente che l'accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni (Caringella). Sempre nella medesima ottica di inclusione/integrazione tra i diversi regimi di accesso, la Plenaria chiarisce che è possibile anche il cumulo, in un medesimo atto, di differenti istanze di accesso. La coesistenza dei due regimi e la possibilità di proporre entrambe le istanze, consente quindi, sia all'amministrazione che al giudice, di procedere all'esame contestuale della sussistenza dei presupposti tanto dell'accesso documentale quanto di quello civico generalizzato qualora l'istanza del privato sia formulata in maniera generica e indistinta, senza specificare se si faccia riferimento al modello “classico” dell'accesso o a quello civico generalizzato. Invece, nei casi in cui il richiedente abbia circoscritto il suo interesse all'accesso documentale uti singulus ai sensi dell'art. 22 ss. della l. n. 241/1990, l'esame dovrà essere limitato ai presupposti indicati da tale disposizione. Per completezza si dà conto in questa sede di una recentissima pronuncia del T.A.R. Milano con cui il giudice amministrativo, nel decidere un ricorso sull'accesso proposto ex art. 22 della l. n. 241/1990 e d.lgs. n. 33/2013, concernente documentazione relativa all'esecuzione di un appalto di servizi ha stabilito che «L'art. 5 del d.lgs. 33/2013 pone quale limite all'accesso civico “la tutela di interessi giuridicamente rilevanti”, che, per le ragioni che precedono, non si rinvengono in capo alla ricorrente. Va osservato in proposito che il rapporto tra la disciplina generale dell'accesso documentale e quella dell'accesso civico generalizzato deve essere letto secondo un canone di integrazione dei diversi regimi (cfr. Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020). La qualificazione con cui un soggetto pretende l'ostensione in relazione ad una disciplina non può essere vista diversamente se quella richiesta viene vagliata secondo il cono prospettico di una disciplina differente, dovendo il sistema complessivo essere coordinato ed integrato. L'accesso civico, detto altrimenti, non può costituire una sorta di lascia passare attribuito al soggetto che, in base alla generale disciplina ex l. n. 241/1990, non sia titolare di una posizione giuridica tutelabile in relazione alla domanda di accesso» (T.A.R. Lombardia, I, 1939/2021). Segue. Rapporti tra accesso documentale e accesso informaleLa Plenaria n. 12/2020 non ha approfondito i rapporti tra accesso documentale e accesso informale di cui all'articolo 76, comma 2, del codice. È ragionevole ritenere, in una sintesi equilibrata tra i valori della trasparenza e dell'effettività della tutela, che al concorrente non vincitore competa una scelta tra a) la formulazione della richiesta di accesso di cui al comma 2 dell'art. 73, nel quale caso decorre il termine di trenta giorni per il ricorso al buio; b) la presentazione di un'istanza entro il termine di decadenza ex art. 120 c.p.a., nel qual caso il termine di impugnazione sarà sospeso e riprenderà a fluire, per la parte rimanente, a far data dallo spirare dei quindici giorni di cui al comma 2 o dalla previa risposta amministrativa. Si rileva come il punto centrale della Plenaria sia rappresentato dall'affermazione del principio della piena conoscenza dell'atto, inteso come facoltà per il ricorrente di avere contezza dei vizi inficianti la legittimità dell'atto. In tal senso, sono seguite pronunce successive sia del Consiglio di Stato che dei giudici di prime cure. In particolare, si segnala una pronuncia con cui il T.A.R. Calabria, muovendo dai principi enunciati dall'Adunanza Plenaria n. 12/2020, sottolinea come l'individuazione del dies a quo per l'impugnazione dipenda sia dalle forme di comunicazione e di pubblicazione, sia dall'iniziativa intrapresa dall'impresa che effettua l'accesso: la richiesta di accesso, infatti, prolunga il termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l'aggiudicazione. Se la pubblica amministrazione deve concedere senza ritardo l'ostensione dei documenti richiesti, al contempo l'impresa deve proporre l'istanza di accesso nel rispetto dei limiti temporali e nell'osservanza della regola di diligenza. Tale onere discende dalla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia, laddove si attesta la compatibilità di un sistema di contenzioso sui contratti pubblici il cui termine per impugnare inizi a decorrere da quando l'impresa ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza delle presunte violazioni. Sicché, l'impresa, in ossequio al proprio onere di diligenza, dovrà presentare l'istanza di accesso nel termine di quindici giorni di cui all'art. 76 comma 2 c.c.p.: siffatto termine, nonostante indichi il tempo entro cui la p.a. può concedere l'accesso, è infatti applicabile in via analogica. Ritenendo diversamente, ha rilevato il Collegio, il termine di impugnazione dipenderebbe esclusivamente dalle iniziative di ostensione dell'operatore economico, determinandosi in tal modo inaccettabili conseguenze di incertezza sulla stabilità degli atti della procedura di evidenza pubblica ed insostenibili ripercussioni sui tempi di gestione della commessa pubblica. In altri termini, verrebbe minato il coordinamento tra i tempi del processo e i tempi di conclusione del contratto che il legislatore si è premurato di assicurare, da ultimo, con la novella dell'art. 32 c.c.p. ad opera del decreto semplificazioni (d.l. n. 76/2020). Una diversa soluzione, a giudizio del T.A.R. Calabria, non sarebbe percorribile, in quanto si finirebbe con l'escludere la sussistenza di un termine per esercitare il diritto di accesso agli atti della procedura e non resterebbe che accogliere quell'indirizzo giurisprudenziale che, invece di aggiungere, sottrae i giorni attesi dall'impresa per l'ostensione a quello di decadenza di cui all'art. 120 c.p.a. Tale approdo contrasterebbe con il principio di effettività della tutela. Alla luce di tali principi, il T.A.R. aveva dichiarato il ricorso irricevibile, giacché l'istanza di accesso dell'impresa era stata proposta oltre il termine di quindici giorni, ripercuotendosi tale ritardo sul termine di decadenza del ricorso giurisdizionale (T.A.R. Calabria (Catanzaro), I, n. 359/2021; in tal senso anche Cons St., 1918/2021). Ancora il T.A.R. Lazio, ha ribadito sulla scorta di quanto statuito dall'Adunanza Plenaria n. 12/2020, che la proposizione dell'istanza di accesso agli atti di gara comporta la c.d. ‘dilazione temporale' quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che integrano l'offerta dell'aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell'ambito del procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta, atteso che solo in questo caso rileva il tempo necessario per accedere alla documentazione presentata dall'aggiudicataria, ai sensi dell'art. 76, comma 2. In particolare, «l'omessa comunicazione completa ed esaustiva dell'aggiudicazione, che risulti priva dunque dell'esposizione completa delle ragioni di preferenza per l'offerta dell'aggiudicatario, può determinare uno slittamento del termine per la contestazione dell'aggiudicazione solo in relazione all'esigenza dell'interessato di conoscere gli elementi tecnici dell'offerta dell'aggiudicatario e, in generale, gli atti della procedura di gara, al fine di poter esaminare compiutamente il loro contenuto e verificare la sussistenza di eventuali vizi. In questi casi, pertanto, può ritenersi tempestiva l'impugnazione proposta oltre i 30 giorni decorrenti dalla comunicazione degli esiti della gara soltanto allorché contenga la formulazione di specifiche doglianze riferite e fondate sulle ulteriori circostanze e/o elementi dell'offerta conosciuti soltanto in sede di ostensione degli atti di gara. Del resto, il principio generale della piena conoscenza o conoscibilità consente l'invocato differimento del termine stabilito dalla legge per l'impugnazione solo nell'eventualità in cui l'esigenza di proporre l'impugnazione medesima sia emersa dopo aver conosciuto (a seguito di accesso agli atti) i contenuti dell'offerta dell'aggiudicatario o le sue giustificazioni rese in sede di verifica dell'anomalia dell'offerta, non potendosi imporre la previa proposizione di un ricorso «al buio», di per sé destinato ad essere dichiarato inammissibile, per violazione della regola sulla specificazione dei motivi di ricorso, contenuta nell'art. 40, comma 1, lett. d) c.p.a. e al quale, dunque, dovrebbe seguire la inevitabile proposizione di specifici motivi aggiunti» (in tal senso T.A.R. Lazio, Roma, I, n. 1815/2021 e n. 1025/2021; T.A.R. Sicilia, Catania, I, 3605/2020). In sostanza, sulla base di tali pronunce è stata riconosciuta l'opportunità di sommare ai trenta giorni per l'impugnazione i giorni (fino ad un massimo di 15) impiegati dalla stazione appaltante per fornire un riscontro all'istanza. Si evidenzia che si tratta di una interpretazione volta ad incentivare comportamenti virtuosi sia dal lato dell'istante, il quale ha interesse ad accedere agli atti di gara a fini difensivi, che dal lato della stazione appaltante a cui interessa principalmente che il termine per impugnare spiri velocemente. Problemi attuali: accessibilità degli atti di diritto privato della P.A. e questioni di legittimazioneCon specifico riferimento all'ambito soggettivo dell'art. 53 si è già rilevato che, in linea di principio, il diritto d'accesso spetta a tutti gli operatori economici che partecipano alla gara, così come il corrispondente dovere ostensivo è in capo a tutte le stazioni appaltanti, ivi compresi i soggetti privati sottoposti all'applicazione del Codice dei contratti pubblici, quali, a titolo meramente esemplificativo, le società a partecipazione pubblica, i soggetti privati che beneficiano di finanziamento pubblico e gli enti aggiudicatori nei «settori speciali». Sul punto, è stata sollevata la questione dell'accessibilità agli atti di diritto privato posti in essere nell'ambito di procedure ad evidenza pubblica. La questione è stata rimessa all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che, con sent. 22 aprile 1999, n. 5, si è espressa nel senso dell'accessibilità degli atti di diritto privato dell'amministrazione, in quanto comunque riconducibili nell'alveo dell'attività amministrativa (Cons. St., Ad. plen., n. 5/1999). Ne discende, quindi, l'ammissibilità dell'accesso procedimentale nei confronti di tutti gli atti delle procedure ad evidenza pubblica e di quelle negoziate, a prescindere dalla circostanza che vengano adottati dalle amministrazioni ovvero da soggetti privati, in quanto comunque sottoposti all'osservanza delle disposizioni del Codice dei contratti (Iannuzzi). Resta rimesso ai soggetti richiedenti l'accesso l'onere di dimostrare la titolarità di un interesse, giuridicamente rilevante, pacificamente ravvisabile in capo agli operatori economici partecipanti alla gara, ma anche in capo a coloro che ne siano stati legittimamente esclusi o ai quali sia stata preclusa la partecipazione. Si precisa che giurisprudenza amministrativa consolidata ammette la legittimazione attiva dei concorrenti alla gara, in quanto acconsentono implicitamente a che l'offerta tecnico-progettuale fuoriesca dalla sfera del proprio riservato dominio per il solo fatto della loro partecipazione alla gara e, quindi, per l'accettazione tacita delle regole di trasparenza ed imparzialità che la caratterizzano. Diversamente, non si è registrata analoga uniformità di vedute in ordine alla legittimazione attiva dei concorrenti legittimamente esclusi dalla procedura evidenziale. (Cons. St., VI, n. 5062/2010; T.A.R. Campania (Napoli), n. 1657/2013; Cons. St., III, n. 3688/2014). In particolare, il Consiglio di Stato ha affermato che «al di là della platea dei concorrenti che competono per il bene della vita dell'aggiudicazione e di quanto l'accesso è strumentale e in ragione del rinvio contenuto nel primo comma dell'art. 53 alla l. 7 agosto 1990, n. 241, le fattispecie, diverse da quelle ricordate dalla giurisprudenza circa i concorrenti, restano per i terzi disciplinate dalle disposizioni generali degli artt. 22 e ss. della l. 7 agosto 1990, n. 241» (Cons. St., V, n. 4813/2017). In particolare, secondo un primo filone giurisprudenziale, la disciplina dettata dall'art. 53 del Codice si connota per una maggiore restrittività rispetto a quella generale racchiusa nella legge sul procedimento amministrativo, sia sul piano soggettivo, essendo l'accesso consentito soltanto al concorrente che abbia partecipato alla selezione, che su quello oggettivo, essendo l'accesso condizionato alla sola comprovata esigenza di una difesa processuale (Cons. St., V, n. 1056/2016; idem, n. 4813/2017; idem, n. 39/2018). Altra parte della giurisprudenza protende per un orientamento opposto, asserendo che l'art. 53 non contiene limitazioni soggettive espresse, in quanto al comma 3, fa riferimento ai «terzi» e, quindi, evidenziando come non sussista alcuna restrizione (Cons. St., V, n. 1446/2014). Da tale ricostruzione discende, dunque, che la disciplina dell'accesso contenuta nel Codice dei contratti pubblici impone un riconoscimento, sia pure implicito, del diritto di accesso a tutti gli atti afferenti al procedimento competitivo, ad eccezione delle specifiche fattispecie di differimento e, soprattutto, di esclusione (De Nictolis). Accesso documentale all'offerta tecnica nelle gare d'appalto La richiesta di accesso relativa all'offerta tecnica deve sempre essere sostenuta dalla necessità, concreta, di esperire un ricorso, non essendo sufficiente la mera intenzione di valutare l'opportunità di proporre ricorso giurisdizionale (Cons. St., V, n. 64/2020). In attuazione delle direttive europee, l'art. 53, comma 5, lett. a) del d.lgs. n. 50/2016 esclude dal regime di ostensibilità degli atti di gara quella parte dell'offerta o delle giustificazioni della anomalia che contengono le specifiche e riservate capacità tecnico-industriali o, in genere, gestionali appartenenti al concorrente (il know how). Si tratta dell'insieme del «saper fare», delle competenze ed esperienze, originali e tendenzialmente segrete, maturate ed acquisite durante lo svolgimento dell'attività industriale e commerciale e che concorre a definire e qualificare la peculiare competitività dell'impresa nel mercato aperto alla concorrenza. Si tratta di beni essenziali per lo sviluppo e per la stessa competizione qualitativa, che costituiscono il prodotto patrimoniale della capacità ideativa o acquisitiva della singola impresa a cui l'ordinamento, nell'ottica di promuovere pienamente le dinamiche concorrenziali, offre tutela in quanto segreti commerciali. La ratio legis è di impedire che, nelle procedure ad evidenza pubblica, il diritto di accesso possa essere impiegato strumentalmente, come, ad esempio, da parte di contendenti che potrebbero formalizzare l'istanza allo scopo di giovarsi di specifiche conoscenze industriali o commerciali acquisite e detenute da altri (Cons. St., VI, n. 6393/1990). La scelta di partecipare ad una procedura di aggiudicazione di una commessa pubblica non implica, quindi, una accettazione del rischio di veder divulgati i propri segreti industriali o commerciali, che dovrebbero rimanere sottratti all'accesso, nell'ottica di preservarne il valore concorrenziale. Il limite posto alla ostensibilità è comunque subordinato all'espressa «manifestazione di interesse» da parte dell'impresa proprietaria del segreto commerciale, sulla quale incombe l'onere dell'allegazione di «motivata e comprovata dichiarazione», mediante la quale sia dimostrata l'effettiva sussistenza di un segreto industriale o commerciale meritevole di protezione. A tal fine, la presentazione di un'istanza di accesso impone alla stazione appaltante di coinvolgere, nel rispetto del contraddittorio, il concorrente controinteressato, nelle forme previste dalla disciplina generale del procedimento amministrativo e richiede una motivata valutazione delle argomentazioni offerte, ai fini dell'apprezzamento dell'effettiva rilevanza per l'operatività del regime di segretezza. Non deve esser sottaciuto inoltre che, nella materia in esame, l'accesso è strettamente connesso alla sola esigenza di «difesa in giudizio», trattandosi di una previsione più restrittiva di quella dell'art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, che contempla un ventaglio più ampio di possibilità e consente l'accesso, ove necessario, senza limitarlo alla sola dimensione processuale. Ne consegue che, «al fine di esercitare il diritto di accesso riguardo a informazioni contenenti eventuali segreti tecnici o commerciali, è essenziale dimostrare non già un generico interesse alla tutela dei propri interessi giuridicamente rilevanti, bensì la concreta necessità (da interpretarsi, restrittivamente, in termini di indispensabilità) di utilizzo della documentazione in uno specifico giudizio. La mera intenzione di sondare l'opportunità di proporre ricorso giurisdizionale (anche da parte di chi vi abbia, come l'impresa seconda graduata, concreto ed obiettivo interesse) non legittima un accesso esplorativo a delle informazioni riservate, perché, in tal caso, mancherebbe la dimostrazione della specifica e concreta indispensabilità a fini di giustizia» (Cons. St., V, n. 64/2020). Il termine entro il quale opporsi alla richiesta di ostensione La giurisprudenza si è interrogata anche in ordine al termine entro il quale l'interessato debba eccepire l'esistenza di un segreto tecnico o commerciale, al fine di impedire l'accesso alla relativa documentazione. Al riguardo, si fronteggiano due opposti orientamenti: una parte della giurisprudenza ha sostenuto che la tutela del segreto industriale non possa essere eccepita per la prima volta con l'opposizione all'istanza di accesso. Secondo tale impostazione, infatti, la dichiarazione da parte dell'interessato deve essere effettuata esplicitamente e preventivamente, già in sede di presentazione dell'offerta. In particolare, ciò verrebbe desunto dalla lettera dell'art. 53, comma 5, lett. a) del Codice che fa espresso riferimento alle «informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte» e alle «dichiarazioni dell'offerente» – e dalla norma, in virtù della quale una dichiarazione successiva dell'aggiudicatario (a tutela della posizione conseguita) potrebbe pregiudicare la tutela giurisdizionale agli altri concorrenti. Dunque, secondo tale orientamento, sussisterebbe una decadenza per l'opponente che non deduca l'esistenza di un segreto tecnico o commerciale al momento della presentazione dell'offerta (Cons. St., IV, n. 3431/2016). Un diverso filone giurisprudenziale, invece, asserisce che la motivata e comprovata dichiarazione dell'opponente non debba essere prodotta, a pena di decadenza, in sede di presentazione dell'offerta, dal momento che non può essere richiesto al partecipante alla gara di effettuare, già in tale fase, una valutazione preventiva in ordine alla possibilità che l'offerta possa presentare profili di segretezza. Peraltro, secondo tale interpretazione, la conclusione opposta priverebbe l'amministrazione della facoltà di valutare la fondatezza dell'eccezione. In ogni caso, occorre tener presente che l'eventuale opposizione da parte dell'offerente può essere influenzata dalle caratteristiche del soggetto richiedente (ad esempio, qualora si tratti o meno, secondo una valutazione dell'offerente, di un soggetto in diretta concorrenza). Secondo questo orientamento giurisprudenziale individuare un termine decadenziale entro il quale l'offerente dovrebbe opporsi all'istanza di accesso, in primo luogo, finirebbe con l'introdurre nel nostro ordinamento un'ipotesi di decadenza non prevista dal legislatore. Inoltre, l'accoglimento di questa impostazione renderebbe pleonastico il procedimento amministrativo previsto in materia di accesso agli atti ex l. n. 241/1990, che richiede il necessario coinvolgimento del controinteressato, in una fase successiva – e non precedente – alla presentazione dell'istanza (T.A.R. Lazio, Roma, I, n. 10738/2017). BibliografiaBercelli, Novaro, I principi sull'assetto organizzativo delle stazioni appaltanti, in Mastragostino (a cura di), Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive alla luce del nuovo codice, del decreto correttivo 2017 e degli atti attuativi, Torino, 2019; Caringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), Trattato dei contratti pubblici, Roma 2021; Carigella, M. Protto, Il Codice dei contratti pubblici dopo il correttivo, Roma, 2017; Caringella, Manuale dei contratti pubblici, Roma 2019; A. Corrado, L'accesso civico generalizzato, diritto fondamentale del cittadino, trova applicazione anche per i contratti pubblici: l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato pone fini ai dubbi interpretativi, in federalismi.it, n. 16/2020; De Nictolis, Appalti pubblici e concessioni dopo la legge «sblocca cantieri», Bologna, 2020; Iannuzzi, L'accesso «speciale» agli atti delle procedure ad evidenza pubblica: il punto della situazione, in italiaappalti.it, 17 dicembre 2020, S. Mezzacapo Codice dei Contratti Pubblici, (a cura di Esposito) Milano, 2017;Mirra, Accesso agli atti di gara e segretezza industriale: una conciliazione impossibile?, in Urb. app., n. 2/2020; Provenzano, Codice dei Contratti Pubblici (a cura di Giuffrè, Provenzano, Tranquilli), Napoli, 2019; Sandulli, Rito speciale in materia di contratti pubblici e il Focus, Nuovi limiti al diritto di difesa introdotti dal d.lgs. n. 50/2016 in contrasto con il diritto eurounitario e la Costituzione, in L'Amministrativista.it; Volpe, Un anno di giurisprudenza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sui contratti pubblici tra dubbi e certezze, 2021, in giustizia-amministrativa.it |