Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 71 - (Bandi di gara) 1

Adolfo Candia

(Bandi di gara)1

[Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 59, comma 5, secondo periodo, e 63, tutte le procedure di scelta del contraente sono indette mediante bandi di gara. Al fine di agevolare l'attività delle stazioni appaltanti omogeneizzandone le condotte, successivamente alla adozione da parte dell'ANAC di bandi tipo, i bandi di gara sono redatti in conformità agli stessi. Essi contengono le informazioni di cui all'allegato XIV, Parte I, lettera C, e sono pubblicati conformemente all'articolo72.Contengono altresì i criteri ambientali minimi di cui all'articolo 34. Le stazioni appaltanti nella delibera a contrarre motivano espressamente in ordine alle deroghe al bando-tipo.]

[1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo.

Inquadramento

Il bando di gara costituisce lo strumento con cui – di norma – vengono indette le procedure ad evidenza pubblica, fatti salvi i casi in cui le pubbliche amministrazioni sono legittimate ad avviare la gara mediante un avviso di preinformazione, ovvero a ricorrere alla procedura negoziata senza bando di cui all'art. 63 del Codice.

La disciplina dei bandi di gara è contenuta negli artt. 71 e ss. del Codice, in attuazione degli artt. 49 e ss. della direttiva n. 2014/24/UE.

Funzione e natura giuridica del bando di gara

Posto che la funzione di rendere nota l'intenzione della stazione appaltante di addivenire alla stipula di un contratto è ormai assolta dalla determina a contrarre, il bando ha lo scopo di rendere noti elementi ulteriori rispetto alle informazioni contenute nella determina. Tali elementi attengono sia al contratto che sarà stipulato, sia alla procedura di gara che sarà espletata (cfr. Fontana, 566).

Il bando di gara è un atto amministrativo generale, preventivo e preparatorio, a contenuto prescrittivo, la cui predisposizione è di norma curata dal responsabile unico del procedimento (Urbano, Giustiniani). È una dichiarazione di volontà che si rivolge a destinatari identificabili soltanto a posteriori e che fissa le regole che dovranno essere rispettate nel successivo procedimento di scelta del contraente.

Costituisce la lex specialis di una singola gara insieme al disciplinare e al capitolato speciale, i quali possono soltanto integrare il contenuto del bando e non anche modificarlo, con la conseguenza che l'eventuale contrasto tra il bando e la relativa documentazione complementare va risolto in favore del bando (cfr. ex multis, T.A.R. Lombardia (Brescia), I, n. 79/2019; Cons. St, III, n. 2172/2017; T.A.R. Abruzzo (Pescara), I, n. 279/2017; T.A.R. Puglia (Lecce), III, n. 1833/2016; Cons. St., V, n. 3104/2015).

Il bando di gara, così come il disciplinare e il capitolato speciale, non ha natura normativa (in senso contrario, v. T.A.R. Basilicata, Sez. I, 25 gennaio 2017, n. 279). Non innova il diritto vigente ed è privo dei requisiti di generalità e astrattezza. Le regole ivi contenute si impongono al rispetto sia della pubblica amministrazione che le ha poste sia dei soggetti a cui sono dirette. Nonostante non abbia carattere normativo, in ragione della sua natura di atto amministrativo generale, il bando presenta alcune peculiarità in relazione alla disciplina del procedimento amministrativo di cui alla l. n. 241/1990. In particolare, il bando non necessita di una motivazione, non deve indicare il termine e l'autorità a cui è possibile ricorrere e non è soggetto alle disposizioni in tema di partecipazione al procedimento amministrativo (Fontana, 567).

Il bando non costituisce offerta al pubblico ai sensi dell'art. 1336 c.c., posto che è esso stesso diretto a provocare le offerte (nelle procedure aperte) e le domande di partecipazione (nelle procedure ristrette e nelle procedure negoziate) degli operatori economici che aspirano a contrarre con la pubblica amministrazione (cfr. Sandulli). Esso, nelle procedure aperte, ha piuttosto natura e funzione di invitatio ad offerendum nei confronti dei soggetti in possesso dei requisiti ivi previsti, mentre nelle procedure ristrette e negoziate ha la funzione di provocare manifestazioni di interesse (cfr. Volpe).

Revocabilità e annullabilità d'ufficio del bando

È noto come alla pubblica amministrazione sia riconosciuto un ampio e generale potere di intervenire su propri provvedimenti mediante gli strumenti di autotutela pubblicistica della revoca e dell'annullamento d'ufficio, nei termini e alle condizioni di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. n. 241/1990.

Mentre i presupposti che la legge individua per l'annullamento d'ufficio devono ritenersi sufficientemente stringenti, l'ampia latitudine semantica con cui sono descritti i presupposti della revoca pone il problema di garantire un'adeguata tutela delle posizioni giuridiche dei privati controinteressati, nei quali potrebbe essersi ingenerato un legittimo affidamento a seguito del provvedimento che l'amministrazione intende rimuovere e per i quali la spettanza di un indennizzo potrebbe non essere adeguatamente satisfattiva. È quindi necessario che la revoca sia adeguatamente motivata da parte dell'amministrazione procedente. Il tema della motivazione della revoca si pone in termini problematici specialmente nelle procedure ad evidenza pubblica, con riferimento ai bandi di gara (Fontana, 568).

La disciplina della revoca, in linea generale, non si applica agli atti amministrativi endoprocedimentali aventi unicamente effetti instabili ed interinali. Con riferimento alle procedure di gara, ad esempio, la disciplina della revoca non si applica all'aggiudicazione provvisoria, il cui ritiro da parte dell'amministrazione non soggiace alle forme dell'autotutela, sostanziandosi in un provvedimento interinale e non conclusivo del procedimento di gara (cfr. Cons. St., V, n. 5238/2014) e non richiede un raffronto tra l'interesse pubblico e quello privato sacrificato.

Considerazioni differenti, tuttavia, valgono con riferimento al bando di gara, che può pacificamente essere revocato (oltreché annullato d'ufficio) dalla pubblica amministrazione nonostante rappresenti l'atto iniziale (e non già l'atto conclusivo) della procedura di affidamento. La P.A. può altresì privare di effetti l'intera procedura di gara, intervenendo consequenzialmente in autotutela su tutti gli atti endoprocedimentali successivi al bando (cfr. Fontana, 568 ss.).

In tale contesto, la revoca del bando di gara soggiace alla disciplina di cui all'art. 21-quinquies, l. n. 241/1990, in relazione alla qJump (Alt+J)uale deve essere adeguatamente motivata. Tale obbligo di motivazione è tanto più incisivo quanto più la procedura sia vicina alla conclusione, e tanto più attenuato quanto più la procedura risulti ancora bloccata alla fase iniziale (T.A.R. Puglia (Lecce), III, n. 757/2019). Dall'applicazione di tali coordinate ermeneutiche deriva, ad esempio, che i) prima dell'aggiudicazione la revoca della procedura è soggetta ad un obbligo motivazionale particolarmente blando e che ii) neppure l'avvenuta aggiudicazione osta all'esercizio, da parte della pubblica amministrazione, del potere di intervenire in autotutela sul bando di gara (cfr. T.A.R. Campania (Napoli), I, n. 4824/2016 e T.A.R. Abruzzo (Pescara), I, n. 37/2016), sebbene in quest'ultimo caso sia necessaria una motivazione più stringente, posto che l'aggiudicazione è idonea a costituire un legittimo affidamento in capo alla concorrente che ne sia destinataria (cfr. T.A.R. Lazio (Roma), III-quater, n. 3646/2018; Cons. St., III, n. 5026/2016).

L'unico limite alla possibilità di revocare una procedura di gara è costituito dall'avvenuta stipula del contratto (cfr. Cons. St., V, n. 4934/2015 e Cons. St., III, n. 3748/2015). Dopo la stipula del contratto la revoca della procedura è tendenzialmente impraticabile, dovendo la pubblica amministrazione privilegiare lo strumento privatistico del recesso (cfr. Cons. St. Ad. plen., n. 14/2014).

L'annullamento d'ufficio ex art. 21-nonies, al contrario, deve ritenersi praticabile anche dopo l'avvenuta stipula del contratto di appalto. All'annullamento in autotutela degli atti di gara consegue l'automatica caducazione degli effetti negoziali del contratto (cfr. Cons. St., III, n. 1288/2017; contra, v. T.A.R. Campania (Napoli), VIII, n. 2269/2016, secondo cui l'autoannullamento degli atti di gara non avrebbe effetti automaticamente caducanti sul contratto, essendo necessaria a tal fine una specifica domanda al giudice amministrativo.

L’impossibilitò di disapplicare (in sede giudiziaria ma anche amministrativa) il bando non impugnato  (principio costituente diritto vivente dopo Ad Plen 1/2003; 4/2018 e 22/2020) è stata ribadita, da ultimo, da  Cons. Stato,  V sezione, 17 febbraio 2022, n. 1196Cons. Stato,  V sezione, 17 febbraio 2022, n. 1192: la prima  sull'impossibilità di disapplicare una determina di gara che prevede expressis verbis l'esclusione senza possibilità di soccorso istruttorio per determinate carenze o irregolarità nella documentazione;  la seconda in tema di obbligo di esclusione in caso di offerta che, nonostante l'applicazione del criterio di equivalenza in tema di specifiche tecniche, risulti  priva di un requisito minimo essenziale previsto ragionevolmente  dalla "lex specialis" per assicurare l'adeguatezza del progetto  (Tar Liguria, I, 28 gennaio 2022, n. 64, che ribadisce la doverosa estromissione dell'offerente in caso di mancata rispondenza dell'offerta a una caratteristica minima prescritta dal capitolato, a prescindere da un'espressa clausola di esclusione).

Vincolatività e interpretazione del bando

Con la predisposizione del bando di gara, che compone la lex specialis della procedura, la stazione appaltante autovincola la sua discrezionalità (cfr. T.A.R. Puglia (Bari), I, n. 872/2020).

Le disposizioni contenute nel bando, comprese quelle previste come facoltative dalla legge, hanno natura vincolante e comportano l'obbligo della pubblica amministrazione di applicarle pedissequamente, senza alcuna possibilità di scelta. Il bando di gara non può essere disapplicato nemmeno qualora le sue prescrizioni confliggano con la normativa di rango primario (Fontana, 571), né qualora dette prescrizioni siano ritenute dalla stessa stazione appaltante inutili o meramente formali, o qualora siano state inserite nel bando per mero errore (Meale).

L'applicazione delle regole contenute nel bando e nella relativa documentazione complementare (disciplinare di gara e capitolato speciale) si impone tanto alla pubblica amministrazione che le ha poste quanto ai soggetti a cui sono dirette, fatta salva la facoltà dell'amministrazione di intervenire in autotutela (cfr. Fontana, 571), sebbene il principio di intangibilità della lex specialis di gara sia stato posto in dubbio dalla previsione contenuta nell'art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50/2016, che ha previsto la nullità delle prescrizioni indicate a pena di esclusione ulteriori e diverse rispetto a quelle previste dal Codice (Meale).

Dalla natura vincolante del bando e dalla necessità di garantire la parità di trattamento tra i partecipanti alla gara discende che le clausole del bando di gara debbano essere di stretta interpretazione (cfr. T.A.R. Sicilia (Palermo), III, n. 654/2021; T.A.R. Sardegna, I, n. 1/2018). Laddove tali clausole siano chiare ed univoche, l'amministrazione non può procedere ad interpretazioni estensive o analogiche, dovendo privilegiare criteri formali e testuali (cfr. T.A.R. Campania (Napoli), III, n. 3633/2017). In situazioni di obiettiva incertezza circa il contenuto del bando, la risposta della stazione appaltante ad una richiesta di chiarimenti di un concorrente costituisce una sorta di interpretazione autentica, con cui l'amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale precisando il significato di eventuali previsioni della lex specialis non facilmente intellegibili (Cons. St., V, n. 2260/2021; Cons. St., III, n. 879/2021). I chiarimenti dell'amministrazione, pur potendo chiarire la lex specialis, non possono tuttavia modificarla (cfr. Cons. St., V, n. 1666/2014); ne consegue che non possono contenere previsioni innovative o modificative delle prescrizioni del bando, in quanto ciò equivarrebbe ad un ritiro dello stesso.

All'interpretazione della lex specialis di gara possono essere applicate le disposizioni civilistiche in tema di interpretazione dei contratti comunemente ritenute estensibili agli atti amministrativi – come ad esempio gli artt. 1363 c.c. (interpretazione secondo buona fede), 1367 c.c. (conservazione degli effetti dell'atto), 1369 c.c. (interpretazione conforme alla natura dell'atto) – mentre è da escludere che si possa fare applicazione dell'art. 1370 c.c. (interpretazione contro l'autore della clausola), atteso che le preminenti esigenze di interesse pubblico, al cui perseguimento deve tendere l'azione amministrativa, non consentono che nel dubbio si privilegi l'interpretazione più sfavorevole all'amministrazione. Tuttavia, qualora si tratti di clausole dalla cui interpretazione dipenda la possibilità per un operatore economico di partecipare alla gara, si deve preferire l'interpretazione che favorisce la partecipazione e non quella che la ostacola, in ossequio al principio del favor partecipationis. Qualora la disciplina recata dalla lex specialis presenti delle lacune, essa può essere etero-integrata mediante le disposizioni auto-esecutive della normativa di rango primario o regolamentare, secondo il meccanismo dell'integrazione automatica di cui all'art. 1339 c.c., purché si tratti di disposizioni imperative recanti una rigida predeterminazione dell'elemento destinato a colmare la lacuna (Fontana, 572-573).

Contenuto del bando e bandi tipo

Si è già anticipato che il bando, fatti salvi i casi in cui le stazioni appaltanti possono indire la procedura mediante avviso di preinformazione e quelli in cui possono ricorrere a procedure negoziate senza bando, è l'atto con cui l'amministrazione indice la gara, in attuazione della determina a contrarre.

Al fine di agevolare (e di rendere omogenea) l'attività delle stazioni appaltanti, l'art. 71 del Codice prevede che i bandi di gara debbano essere redatti in conformità ai bandi tipo redatti dall'ANAC, ove sussistenti.

Al momento in cui scriviamo, risultano essere stati adottati dall'ANAC unicamente i) il Bando tipo n. 1 del 22 novembre 2017, recante «Schema di disciplinare di gara per l'affidamento di servizi e forniture nei settori ordinari, di importo pari o superiore alla soglia comunitaria, aggiudicati all'offerta economicamente più vantaggiosa secondo il miglior rapporto qualità/prezzo», ii) il Bando tipo n. 2 del 10 gennaio 2018, recante «Schema di disciplinare di gara Procedura aperta per l'affidamento di contratti pubblici di servizi di pulizia di importo pari o superiore alla soglia comunitaria con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo» e iii) il Bando tipo n. 3 del 31 luglio 2018, recante «Disciplinare di gara per l'affidamento con procedura aperta di servizi di architettura e ingegneria di importo pari o superiore a Euro 100.000 con il criterio dell'offerta economi camente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità-prezzo».

Molto opportunamente, l'ANAC ha redatto tali bandi tipo nella forma di disciplinari tipo, in maniera tale i) da evitare che si risolvessero in un inutile duplicato dei formulari predisposti in sede europea e ii) da offrire alle stazioni appaltanti indicazioni di dettaglio puntuali ed articolate.

Ratio della norma che prescrive alle stazioni appaltanti di conformare i propri bandi è quella di evitare, come sovente accade, che ciascuna stazione appaltante introduca discrezionalmente prescrizioni non necessarie o ultronee rispetto all'oggetto della gara o cause di esclusione che non trovano fondamento nei testi normativi. La creazione di modelli unici, validi su tutto il territorio nazionale, ha quindi l'obiettivo di garantire la predisposizione di bandi uniformi sul territorio nazionale, semplificando le modalità di partecipazione alle gare. Ciò anche al fine di ridurre il contenzioso amministrativo dovuto alla disomogeneità delle disposizioni di gara e all'incertezza interpretativa delle prescrizioni imposte dalle singole stazioni appaltanti (Meale).

I bandi-tipo non vincolano le stazioni appaltanti operanti nei settori speciali, attesa la mancanza di un rinvio espresso alla relativa disposizione. Tuttavia, sarebbe opportuno che anche in tali settori fossero utilizzate le parti dei bandi-tipo (o disciplinari-tipo) ritenute compatibili, ai fini di una maggiore standardizzazione (e di una corrispondente maggiore semplificazione) dell'operato delle stazioni appaltanti (Fontana, 274).

I bandi tipo rientrano tra gli strumenti di regolazione flessibile di cui all'art. 213, comma 2 del Codice, con cui l'ANAC garantisce la promozione dell'efficienza e della qualità dell'attività delle stazioni appaltanti. Il medesimo art. 213, comma 2, d.lgs. n. 50/2016 ne fa salva l'impugnabilità in sede giurisdizionale (cfr. T.A.R. Lazio (Roma), III, n. 6540/2016). Così come i bandi di gara delle singole stazioni appaltanti, anche i bandi tipo non hanno natura normativa (T.A.R. Lazio (Roma), II-ter, n. 9781/2019).

Dovendosi escluderne la natura normativa, in assenza di un chiaro fondamento per un'innovazione così rilevante del sistema delle fonti, si ritiene che i bandi tipo siano qualificabili alla stregua di atti di indirizzo a valenza rinforzata (Scacchi, 43). Le relative previsioni non sono vincolanti per le stazioni appaltanti, che possono discostarsene purché forniscano adeguata motivazione della deroga (c.d. ‘opting-out motivato') in sede di determina a contrarre (De Nictolis), secondo il modello di matrice anglosassone definito ‘comply or explain' (Clarich, 441).

Qualora un bando di gara si discosti dal bando-tipo predisposto dall'ANAC senza che la determina a contrarre abbia motivato adeguatamente in ordine alla deroga, sembra poter trovare applicazione l'art. 211, comma 1-ter del Codice (Fontana, 574). L'ANAC, ravvisando un possibile vizio di legittimità del bando, potrà indirizzare un parere motivato alla stazione appaltante, invitandola ad agire in autotutela per rimuovere il vizio e gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni. Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell'Autorità entro il termine fissato legittima l'ANAC a presentare ricorso al giudice amministrativo entro i successivi trenta giorni.

Quanto al contenuto, il bando non contiene tutti gli elementi essenziali del futuro contratto, posto che il prezzo – eccezion fatta per l'ipotesi contemplata all'art. 95, comma 7, d.lgs. n. 50/2016 – viene definito solo a seguito dell'individuazione dell'offerta migliore.

I bandi di gara devono in ogni caso riportare le informazioni di cui all'Allegato XIV, parte I, lett. c) del Codice e i criteri ambientali minimi (CAM) di cui all'art. 34. Tali contenuti minimi ricalcano, in sostanza, quelli già richiesti dai modelli di formulari per la redazione dei bandi messi a disposizione dalla Commissione europea.

Inoltre, per l'affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale – con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera – il legislatore ha previsto l'obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l'applicazione da parte dell'aggiudicatario dei contratti collettivi di settore di cui all'art. 51 del d.lgs. n. 81/2015. Questa previsione conferma l'attenzione che il Codice riserva alle tematiche sociali.

Problemi attuali: potere discrezionale e tassatività delle cause di esclusione

Fin da tempo risalente, la giurisprudenza ha chiarito come l'amministrazione sia titolare di un ampio potere discrezionale di inserire in un bando di gara tutte le disposizioni ritenute più opportune, più idonee e più adeguate per l'effettivo raggiungimento dello scopo perseguito. Tuttavia, le disposizioni con cui si manifesta tale potere discrezionale non devono essere o apparire illogiche, arbitrarie, inutili o superflue, nel rispetto dei canoni di proporzionalità e adeguatezza (cfr. Cons. St., V, n. 3939/2012).

Tale principio incontra tuttavia un limite invalicabile nel principio di tassatività delle cause di esclusione, che vieta di inserire nei bandi e nelle lettere di invito ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal Codice o da altre leggi vigenti (cfr. Clarich, 441). Devono poi essere evitati i c.d. bandi-fotografia, ossia i bandi formulati in maniera tale da restringere la partecipazione a un solo operatore economico o comunque a una ristretta platea di operatori economici (Fontana, 545).

Questioni applicative.

1) Quando il bando va impugnato subito e in via autonoma e quando in via differita unitamente all'atto applicativo cd. doppia impugnativa?

Come tutti i provvedimenti amministrativi, i bandi di gara devono essere conformi alla legge. Rispetto ai bandi di gara sono configurabili i medesimi vizi idonei a colpire qualsiasi altro atto amministrativo, ossia la violazione di legge, l'incompetenza e l'eccesso di potere. Nel caso in cui siano affetti da vizi, la loro natura provvedimentale li rende impugnabili dinanzi ai competenti organi giurisdizionali (cfr. Giustiniani, Fontana, 17 ss.).

Nel giudizio di impugnazione di un bando di gara non sono individuabili controinteressati (ex multis: Cons. St., V, n. 5926/2019; T.A.R. Campania, Napoli, V, n. 1133/2020). L'annullamento del bando di gara produce effetto caducante (e non meramente viziante) sugli atti successivi della procedura. La legittima revoca del bando – in ragione della rivalutazione dell'interesse pubblico, con particolare riguardo alle criticità finanziarie relative alla copertura dei costi di esecuzione – può implicare responsabilità precontrattuale della stazione appaltante in ragione dei danni causati dalla lesione dell'affidamento legittimo.

Posto che per investire un Tribunale di una domanda giudiziale occorre avervi un interesse non già teorico e generico, bensì attuale e concreto, i bandi di gara di norma sono impugnabili soltanto unitamente all'atto applicativo conclusivo della relativa procedura, in quanto solo quest'ultimo atto – generalmente – è idoneo a produrre una lesione concreta e attuale di situazioni giuridiche soggettive. L'art. 120, comma 5, c.p.a., tuttavia, prevede espressamente l'ipotesi in cui il bando di gara possa configurarsi quale atto autonomamente lesivo, stabilendone – per tali casi – l'immediata impugnabilità nel termine decadenziale di trenta giorni dalla pubblicazione.

In tale contesto, la giurisprudenza ha enucleato una serie di casi in cui il bando di gara deve essere impugnato immediatamente, senza attendere la definizione della procedura.

In particolare, sull'esatta perimetrazione dell'ambito oggettivo dell'onere di immediata impugnazione dei bandi di gara si è ripetutamente pronunciata l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, chiarendo che devono considerarsi direttamente lesive – e quindi immediatamente impugnabili – le c.d. clausole escludenti, ossia quelle clausole che abbiano l'effetto di impedire la partecipazione alla procedura di gara a determinati soggetti (cfr. Cons. St. Ad. plen., n. 1/2003, n. 4/2011 e n. 4/2018).

In altre parole, un operatore economico può impugnare direttamente un bando di gara qualora contenga clausole che abbiano l'effetto di impedirgli la partecipazione alla procedura (cfr. Mininno).

Per giurisprudenza ormai consolidata (Cons. St. Ad. plen., n. 1/2003, n. 4/2011 e n. 4/2018), rientrano nel novero delle clausole (escludenti e quindi) immediatamente impugnabili: i) le clausole che individuino requisiti di partecipazione non posseduti dall'interessato, tali da precludergli con certezza e con immediatezza la partecipazione alla procedura; ii) le clausole che implichino oneri del tutto sproporzionati o che risultino manifestamente incomprensibili in violazione del principio di clare loqui, al punto di impedire all'interessato di percepire le condizioni alle quali sia necessario sottostare; iii) le clausole che impediscano, indistintamente a tutti i concorrenti, una corretta e consapevole elaborazione della proposta economica, come ad esempio quelle disposizioni che prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta, ovvero che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara (sul punto, da ultimo, v. Cons. St., V, n. 2276/2021); iv) le clausole recanti condizioni negoziali che abbiano l'effetto di rendere il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente.

Di converso, tutte le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente i) da un lato, devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo, mentre ii) dall'altro lato possono essere impugnate unicamente dall'operatore economico che abbia partecipato alla gara o che comunque abbia formalmente manifestato il proprio interesse alla procedura.

Tale principio è stato recentemente ribadito pronuncia dell'Adunanza plenaria (Plen 4/2018), chiamata a pronunciarsi nuovamente in merito al regime di impugnabilità dei bandi di gara con particolare riferimento alle clausole del bando relative alla scelta del criterio di aggiudicazione della procedura.

La Sezione rimettente (Cons. St., III, ord. n. 5138/2017) auspicava un ripensamento della tradizionale perimetrazione dell'onere di immediata impugnazione dei bandi, sollecitando l'Adunanza plenaria ad affermare la sussistenza di tale onere anche per il caso di erronea adozione del criterio del prezzo più basso in luogo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, nonché – più in generale – per tutte le clausole attinenti le regole formali e sostanziali di svolgimento della procedura di gara, con la sola eccezione delle prescrizioni generiche ed incerte. Ciò, essenzialmente, sulla scorta di una sentenza del Consiglio di Stato che si era discostata dai tradizionali insegnamenti dell'Adunanza Plenaria, sostenendo la possibilità di proporre ricorso avverso un bando di gara anche in assenza di atti applicativi della lex specialis, tutte le volte in cui il bando individui un criterio di aggiudicazione ritenuto illegittimo.

In tale contesto, pur a fronte di un'indubbia ‘rotturà del fronte giurisprudenziale che limitava entro confini più angusti l'onere di immediata impugnazione dei bandi di gara, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha ribadito ancora una volta che la normativa vigente non consente di affermare che si debba imporre all'offerente di impugnare immediatamente la clausola del bando che prevede il criterio di aggiudicazione, ove la ritenga errata: versandosi nello stato iniziale ed embrionale della procedura, non vi sarebbe infatti né prova né indizio della circostanza che l'impugnante non sarebbe prescelto quale aggiudicatario, ma gli si imporrebbe di agire in giudizio sulla scorta della preconizzazione di una lesione futura ed ipotetica, al fine di tutelare un interesse (quello strumentale alla riedizione della gara) certamente subordinato rispetto all'interesse primario (quello a rendersi aggiudicatario), del quale non sarebbe certa la non realizzabilità (Cons. St., Ad. plen., n. 4/2018).

Ciò, innanzitutto, in ragione del tenore testuale dell'art. 120, comma 5, c. a., che ha previsto l'onere di impugnare direttamente non già tutti i bandi di gara, ma unicamente quelli autonomamente lesivi: tale autonoma lesività è ravvisabile unicamente nelle ipotesi in cui la lex specialis di gara presenti clausole escludenti, pur nell'accezione ampliativa fatta propria dalle Adunanze plenarie n. 1/2003 e n. 4/2011.

A chi spetta la legittimazione all'impugnazione del bando?

La sentenza dell'Adunanza plenaria n. 4/2018 ha altresì confermato che la legittimazione ad impugnare il bando di gara – di norma – spetta solamente a coloro che abbiano presentato domanda di partecipazione (domanda come quid iuris non come mero quid facti, quindi domanda efficace perché conforme ai necessari requisiti soggettivi, oggettivi e cronologici).

Tale regola possono essere derogata soltanto in tre ipotesi.

La prima eccezione riguarda la legittimazione a ricorrere del soggetto che voglia impugnare una clausola del bando che prescriva determinati requisiti palesemente non posseduti dal soggetto stesso e che sia, pertanto, direttamente escludente. In una tale circostanza, la certezza del pregiudizio determinato dal bando rende superflua la domanda di partecipazione e l'adozione di un atto esplicito di esclusione (Cons. St., Ad. plen., n. 4/2011). Tale deroga vuole evitare che un operatore economico palesemente non in possesso dei requisiti richiesti, per poter impugnare la lex specialis di gara, sia costretto a presentare una domanda di partecipazione inutile, che si tradurrebbe in un onere del tutto pleonastico e formalistico.

La seconda eccezione attiene alla legittimazione dell'operatore che intenda contrastare, in radice, la scelta dell'amministrazione di bandire la gara. Tale soggetto deve intendersi legittimato ad impugnare la procedura anche senza prendervi parte, nei soli casi in cui dimostri una adeguata posizione differenziata, costituita, per esempio, dalla titolarità di un rapporto incompatibile con il nuovo affidamento contestato (Cons. St., Ad. plen., n. 4/2011).

L'ultima eccezione riguarda la legittimazione dell'operatore che voglia contestare un affidamento diretto (o senza adeguata pubblicità). Tale deroga ben si comprende alla luce del giudizio di assoluto disvalore manifestato dal diritto dell'Unione europea nei confronti di ogni atto che contrasti con il principio di libera concorrenza. Del resto, in simili ipotesi, proprio la circostanza obiettiva riguardante la mancanza di una procedura selettiva impedisce di collegare la legittimazione al ricorso alla partecipazione al procedimento, che, in radice, è del tutto mancato (Cons., St. Ad. plen., n. 4/2011).

Al di fuori di queste ipotesi tassative, resta fermo il principio per cui la legittimazione al ricorso nelle controversie riguardanti l'affidamento di contratti pubblici spetta esclusivamente ai partecipanti alla gara, poiché solo da tale qualità deriva il riconoscimento di una posizione sostanziale differenziata e meritevole di tutela (Cons. giust. amm. reg. sic., I, n. 444/2014).

La CGUE spegne gli entusiasmi

Anche il giudice eurounitario ha affrontato la tematica in oggetto, chiarendo che la legittimazione a impugnare gli atti di gara spetta solo al concorrente che abbia presentato una valida domanda di partecipazione ed individuando quattro eccezioni a tale regola.

Secondo la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (sent. 28 novembre 2018, C. 328/2017) è conforme al diritto UE la normativa nazionale che impedisce agli operatori economici di proporre un ricorso contro le decisioni dell'amministrazione aggiudicatrice relative a una procedura d'appalto alla quale essi abbiano deciso di non partecipare a causa delle ridotte possibilità di successo provocate dalla disciplina di gara restrittiva della concorrenza.

Il giudice del rinvio aveva rilevato che, secondo l'interpretazione dei requisiti procedurali della legittimazione e dell'interesse ad agire accolta anche dalla Corte costituzionale (sent. n. 245 del 22 novembre 2016), sarebbe inammissibile il ricorso proposto dall'impresa che non abbia partecipato alla gara quando non fosse assolutamente certo, ma soltanto altamente probabile l'esito negativo della procedura per effetto della strutturazione della gara,

La possibilità di accedere alla tutela giurisdizionale sarebbe, a questa stregua, sistematicamente subordinata alle forche caudine della partecipazione alla gara che comporta di per sé rilevanti oneri, e ciò persino nel caso in cui l'impresa intendesse contestarne la legittimità per essere la gara stessa eccessivamente restrittiva della concorrenza.

La Corte di Giustizia spegne gli entusiasmi garantistici del giudice ligure, pervenendo alla conclusione che la normativa nazionale, nell'esplicazione dell'autonomia che spetta agli Stati membri nel campo schiettamente processuale, può legittimamente subordinare il diritto di impugnare gli atti di gara all'onere della rituale partecipazione alla procedura.

I giudici della Corte richiamano, a suffragio dell'assunto, la direttiva 89/665, per cui gli Stati membri sono tenuti a garantire che le procedure di ricorso siano accessibili «per lo meno» a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto pubblico e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata del diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici o delle disposizioni nazionali che attuano tale diritto (in tal senso, sentt. del 12 febbraio 2004, Grossmann Air Service, C230/02, EU:C:2004:93, punto 25, e del 5 aprile 2016, PFE, C689/13, EU:C:2016:199, punto 23).

Secondo la giurisprudenza della Corte, quindi, gli Stati membri non sono tenuti a rendere dette procedure di ricorso accessibili a chiunque voglia ottenere l'aggiudicazione di un appalto pubblico, ma hanno facoltà di esigere che la persona interessata sia stata o rischi di essere lesa dalla violazione da essa denunciata.

Agli stessi principi si richiamano le decisioni di Corte Costituzionale e Consiglio di Stato.

La sentenza rimarca, tuttavia, che sia dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, sia dalla sent. n. 245/2016 della Corte costituzionale si ricavano temperamenti al rigore di siffatto sbarramento aprioristico. È infatti «ius receptum» la regola pretoria per cui l'interesse e la legittimazione ad agire possono essere eccezionalmente riconosciuti a un operatore economico che non abbia presentato alcuna offerta, in quattro casi in cui la condizione della presentazione di una domanda di partecipazione si atteggerebbe a onere manifestamente eccessivo, ossia nelle «ipotesi in cui si contesti che la gara sia mancata o, specularmente, che sia stata indetta o, ancora, si impugnino clausole del bando immediatamente escludenti, o, infine, clausole che impongano oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati o che rendano impossibile la stessa formulazione dell'offerta».

Si tratta di casi (vedi par. 7.1.) in cui, come di recente ribadito da Cons. St. V, n. 441/ 2020, la lesione lamentata consegue – in via immediata e diretta, e non soltanto potenziale e meramente eventuale-, alle determinazioni dell'amministrazione e all'assetto di interessi delineato dagli atti di gara, in relazione a profili del tutto indipendenti dalle vicende successive della procedura e dai correlati adempimenti. Inoltre, i motivi immediatamente escludenti devono avere natura oggettiva e non inerire meramente a pretese situazioni soggettive, ascrivibili a un giudizio meramente individuale di non convenienza della commessa.

È corretto, allora, che solo in tali evenienze peculiari il diritto di proporre ricorso sia riconosciuto a un operatore che non ha presentato alcuna offerta, in quanto, al di fuori di situazioni esorbitanti in cui l'onere si appalesa irragionevole e sproporzionato alla contestazione che si vuole muovere e al risultato in astratto conseguibile, non si può considerare eccessiva la richiesta che quest'ultimo dimostri che le clausole del bando rendevano impossibile la formulazione stessa di un'offerta.

Alla luce delle suesposte considerazioni, la CGE risponde che «sia l'art. 1, par. 3, della direttiva 89/665 sia l'art. 1, par. 3, della direttiva 92/13 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che non consente agli operatori economici di proporre un ricorso contro le decisioni dell'amministrazione aggiudicatrice relative a una procedura d'appalto alla quale essi hanno deciso di non partecipare poiché la normativa applicabile a tale procedura rendeva molto improbabile che fosse loro aggiudicato l'appalto in questione.

Tuttavia, rimane il principio secondo cui la decisione va presa caso per caso da parte del giudice amministrativo, sulla base dell'effettiva impossibilità di partecipazione ad una procedura.»

Si legge così, a conclusione della sentenza, che «spetta al giudice nazionale competente valutare in modo circostanziato, tenendo conto di tutti gli elementi pertinenti che caratterizzano il contesto della controversia di cui è investito, se l'applicazione concreta di tale normativa non sia tale da poter ledere il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva degli operatori economici interessati.»

L'assunto dei giudici di Lussemburgo, confermato poi dalla già illustrata Plenaria n. 4/2018, conferma il modello soggettivo della nostra giurisdizione in cui l'accesso al giudice non è strumento per invocare la legalità oggettiva da parte del «quisque de populo» secondo la logica dell'azione popolare, ma mezzo di tutela di posizioni soggettive differenziate e qualificate azionabile dal soggetto che dimostri di versare in una condizione di specialità rispetto all'agognato bene della vita.

Bibliografia

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