Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 146 - (Qualificazione)1(Qualificazione)1 [1. In conformità a quanto disposto dagli articoli 9-bis e 29 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, per i lavori di cui al presente capo è richiesto il possesso di requisiti di qualificazione specifici e adeguati ad assicurare la tutela del bene oggetto di intervento. 2. I lavori di cui al presente capo sono utilizzati, per la qualificazione, unicamente dall'operatore che li ha effettivamente eseguiti. Il loro utilizzo, quale requisito tecnico, non è condizionato da criteri di validità temporale. 3. Per i contratti di cui al presente capo, considerata la specificità del settore ai sensi dell'articolo 36 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, non trova applicazione l'istituto dell'avvalimento, di cui all'articolo 89 del presente codice. 4. Con il regolamento di cui all'articolo 216, comma 27-octies, sono stabiliti i requisiti di qualificazione dei direttori tecnici e degli esecutori dei lavori e le modalità di verifica ai fini dell'attestazione. Il direttore tecnico dell'operatore economico incaricato degli interventi di cui all'articolo 147, comma 2, secondo periodo, deve comunque possedere la qualifica di restauratore di beni culturali ai sensi della normativa vigente. Fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 216, comma 27-octies, si applica la disposizione transitoria ivi prevista 2. ] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. [2] Comma modificato dall'articolo 1, comma 20, lettera aa), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55. InquadramentoL'art. 146 disciplina uno dei profili più rilevanti nell'ambito del regime speciale dei contratti concernenti beni culturali, poiché la qualificazione specifica degli operatori – e la sua non «delegabilità» a terzi – è assunta a garanzia di competenza professionale adeguata alla specializzazione del settore, vista la rilevanza degli interessi in gioco e l'esigenza di evitare il rischio di pregiudizi irreversibili ai reperti e valori culturali derivanti da una esecuzione non diligente dei lavori. Dagli artt. 9-bis e 29 del d.lgs. n. 42/2004 richiamati dal comma 1 si ricava che gli interventi operativi di tutela, protezione e conservazione dei beni culturali devono essere affidati alla responsabilità ed all'attuazione secondo le rispettive competenze delle figure specializzate nei singoli settori, nonché che gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali devono essere affidati in via esclusiva a soggetti formalmente individuati come restauratori di beni culturali. La specialità emerge in relazione al profilo in esame anche in relazione alle fonti regolatorie, poiché la relativa disciplina è demandata ad un «decreto del ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di concerto con il ministero delle infrastrutture e del trasporti» di cui al comma 3 che è costituito dal decreto 22 agosto 2017, n. 154 «Regolamento sugli appalti pubblici di lavori riguardanti i beni culturali tutelati ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, di cui al d.lgs. n. 50/2016» (su cui cfr. parere dell'Adunanza della Commissione speciale del Consiglio di Stato 9 gennaio 2017, n. 263). Evoluzione storica del regime della qualificazioneAnaloga previsione – salva la specifica intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997 n. 281 – era contenuta anche nel comma 3 dell'art. 201 del d.lgs. n. 163/2006; anch'esso rimasto lettera morta. Ma la peculiarità della articolazione delle fonti trovava espressione, ancora prima, nel d.P.R. n. 34/2000 e nel d.m. 3 agosto 2000, n. 294 recante «Requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici», emanato in attuazione dell'art. 8 comma 1-sexies, della l. 11 febbraio 1994, n. 109 (introdotto dalla l. n. 415/1998). Il citato «Regolamento recante istituzione del sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici» prevedeva la suddivisione del settore dei lavori dei beni culturali in tre categorie: OG 2: Restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela ai sensi delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali; OS 2: Superfici decorate e beni mobili di interesse storico ed artistico – poi successivamente distinte, in forza del d.P.R. n. 207/2010 – in una una categoria OS 2 A – Superfici decorate di beni immobili del patrimonio culturale e beni culturali mobili di interesse storico, artistico, archeologico ed etnoantropologico – e una categoria OS 2 B – Beni culturali mobili di interesse archivistico e librario) – OS 25: Scavi archeologici”. Per la seconda categoria, la disciplina regolamentare prevedeva anche un collegamento necessario tra qualificazione e l'assetto organizzativo dell'impresa, per la quale si richiedeva la presenza di figure professionali specializzate (restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori), in relazione al quale era anche sorto un contrasto tra il giudice di primo grado (T.A.R. Lazio (Roma), II, 1844/2004 che aveva accolto il ricorso dell'associazione di categoria dei restauratori edili, annullando l'art. 5, comma 1 (unitamente agli artt. 7, comma 2, e 8, comma 2) del d.m. n. 294/2000) e il giudice di appello (Cons. St., VI, 5114/2009 che ha invece riformato la sentenza) in relazione alla censura di illogicità di tale misura prescrittiva rispetto ai principi della tutela della concorrenza e del mercato. In forza della disposizione transitoria dell'art. 253, comma 30, primo periodo, del codice dei contratti pubblici del 2006, la disciplina dettata dal d.m. n. 294/2000 e dalle disposizioni (da esso non derogate) del d.P.R. n. 34/2000 continuava ad applicarsi fino all'entrata in vigore della disciplina regolamentare prevista dai commi 1 e 3 dell'art. 201. Tale condizione transitoria è stata confermata dall'art. 357, comma L'impianto originario è stato mantenuto anche nel vigente art. 146 che, riaffermando il principio fondamentale della materia della necessaria qualificazione specifica e adeguata per i lavori sui beni culturali, in conformità a quanto disposto dagli artt. 9-bis e 29 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 ha anche previsto quello dell'utilizzabilità curriculare dei lavori unicamente dall'operatore che li ha effettivamente eseguiti, senza limiti di validità temporale, accentuando in tal modo il rilievo qualitativo della competenza acquisita e rinviato (comma 4) a un apposito decreto, avente natura regolamentare, la definizione dei requisiti di qualificazione dei direttori tecnici e degli esecutori dei lavori e delle modalità di verifica ai fini dell'attestazione. Con norma primaria, incidente contemporaneamente su profili di qualificazione e di organizzazione, il legislatore ha però anche previsto che il direttore tecnico dell'operatore economico incaricato degli interventi di cui all'art. 147, comma 2, secondo periodo, deve comunque possedere la qualifica di restauratore di beni culturali ai sensi della normativa vigente. I requisiti di qualificazione previsti nel d.m. n. 154/2017Il regolamento, adottato con il d.m. n. 154/2017 «si pone in continuità (nonostante sia nella Relazione sia nell'AIR si faccia, riferimento, evidentemente per un mero refuso, ad una «soluzione di continuità») con la disciplina regolamentare previgente» (Cons. St., parere 263/2017). Premessa l'indicazione della sua sfera di applicazione prevista dall'art. 1, la definizione di «scavo archeologico» («consiste in tutte le operazioni che consentono la lettura storica delle azioni umane, nonché dei fenomeni geologici che hanno con esse interagito, succedutesi in un determinato territorio, delle quali con metodo stratigrafico si recuperano le documentazioni materiali, mobili e immobili, riferibili al patrimonio archeologico. Lo scavo archeologico recupera altresì la documentazione del paleoambiente anche delle epoche anteriori alla comparsa dell'uomo»), di cui all'art., il Titolo II è interamente dedicato ai requisiti di qualificazione degli esecutori dei lavori riguardanti i beni culturali, operando una distinzione tra lavori di importo inferiore (per i quali si applica l'art. 12) o superiore ai 150.000 Euro specificando, in relazione a questi ultimo, che le categorie sono quelle già previste dall'allegato A del d.P.R. n. 207/2010 (art. 4 comma 3); che, quanto ai requisiti generali, l'iscrizione dell'impresa al registro istituito presso la competente camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura deve essere relativa a lavori: a) inerenti a scavi archeologici, a scavi archeologici; b) inerenti alla manutenzione e al restauro dei beni culturali mobili e di superfici decorate di beni architettonici e materiali storicizzati di beni immobili culturali, a conservazione e restauro di opere d'arte; c) inerenti al restauro ed alla manutenzione di beni culturali immobili, a conservazione e restauro di opere d'arte; d) inerenti al verde storico di cui all'art. 10, comma 4, lett. f), del Codice dei beni culturali e del paesaggio, a parchi e giardini (art. 5); quanto ai requisiti speciali, che l'idoneità tecnica deve essere dimostrata dalla contemporanea sussistenza di: a) una idonea direzione tecnica e b) della avvenuta esecuzione di lavori di cui all'art. 1, per un importo complessivo non inferiore al 70% dell'importo della classifica per cui è chiesta la qualificazione, così prevedendo un minor rigore rispetto al precedente DM 294/2000, sia quanto all'importo dei lavori pregressi (pari al 70% e non al previgente 90%), sia quanto alla possibilità di valenza temporalmente illimitata della pregressa esperienza (che nella previgente disciplina era limitata al pregresso quinquennio), la quale è però compensata dal principio di continuità nell'esecuzione dei lavori (art. 7). Quanto all'idoneità organizzativa, l'art. 8 prevede una disciplina molto più complessa e minuziosa rispetto a quella del previgente art. 5 del d.m. n. 294/2000 (tanto che in sede consultiva, il Consiglio di Stato aveva stigmatizzato tale formulazione come contraria al principio di semplificazione che ispira il Codice; in merito, si richiama la controversa questione di violazione anche del principio di proporzionalità che ha dato luogo alla querelle giurisprudenziale confluita nella sentenza Cons. St. VI, n. 5114/2009 sopra richiamata); l'art. 11 ai fini della utilizzabilità dei lavori richiama la certificazione che deve contenere la dichiarazione dei committenti che «i lavori eseguiti sono stati realizzati regolarmente e con buon esito», prevedendo altresì che, mentre l'impresa sub-appaltatrice può utilizzare i lavori eseguiti in tale ruolo, tale possibilità è esclusa per l'impresa appaltatrice, dovendo sussistere, a garanzia della competenza dell'operatore, una piena coincidenza tra chi si accredita per i lavori eseguiti e chi li ha effettivamente svolti, anche se eseguiti in qualità di impresa subappaltatrice. L'art. 13 si occupa infine nello specifico dei requisiti di qualificazione dei direttori tecnici (comma 2), richiedendo in ogni caso il requisito di almeno due anni di esperienza nel settore dei lavori su beni culturali. L'eccezione culturale alla regola generale dell'avvalimentoLa specialità del settore dei contratti aventi ad oggetto beni culturali emerge in maniera evidente dal comma 3 dell'art. 146 che, derogando al principio generale della sua generale ammissibilità, esclude l'avvalimento ex art. 89 del Codice per il settore in esame. Con una tecnica normativa che è volta a fugare anche i dubbi interpretativi di compatibilità della norma con le norme Eurounitarie, il medesimo legislatore richiama, a giustificazione di tale deroga, l'art. 36 del TFUE concernente la c.d. «eccezione culturale» in relazione alla quale si è anche favorevolmente pronunciata la Corte di Giustizia con sentenza correttamente giudicata ammissibile anche dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema di decreto delegato. Regime transitorioQuanto al regime transitorio, il comma 4 dell'art. 146 fa salve in via transitoria – alla luce del rinvio al comma 19 dell'art. 206 – le disposizioni di cui agli artt. 248 e 251 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, concernenti, per un verso la necessaria certificazione del buon esito dei lavori ai fini dell'utilizzo dei lavori stessi a fini di qualificazione, il necessario affidamento della direzione dei lavori a un restauratore, nonché e quella dell'esperienza quinquennale per partecipare ad affidamenti di lavori sui beni culturali fino a Euro 150.000; per l'altro, l'obbligo di collaudo in corso d'opera, l'obbligatoria presenza nell'organo di collaudo di un restauratore, nonché di uno storico dell'arte o di un archivista o un bibliotecario o un archeologo con esperienza almeno quinquennale in possesso di specifiche competenze coerenti con l'intervento (rispettivamente, per i lavori delle categorie OG2, OS2-A, OS2-B e OS25), nonché la possibilità di partecipare all'organo di collaudo, limitatamente ad un solo componente, dei funzionari delle stazioni appaltanti, laureati ed inquadrati con qualifiche di storico dell'arte, archivista o bibliotecario, che abbiano prestato servizio per almeno cinque anni presso amministrazioni aggiudicatrici. Questioni applicative.1) Il divieto del «c.d. cumulo alla rinfusa» per i consorzi stabili nei contratti relativi ai beni culturali Secondo indirizzo consolidato (Cons. St.o V, n. 6114/2018), il principio del “cumulo alla rinfusa” per i consorzi stabili di cui all'art. 45, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016 (i quali, ferma restando la possibilità di qualificarsi con i requisiti posseduti in proprio e direttamente, possono ricorrere anche alla sommatoria dei requisiti posseduti dalle singole imprese partecipanti), trova un'eccezione per le qualificazioni nelle gare per lavori relativi ai beni culturali, in ragione della espressa indicazione del comma 2 dell'art. 146 che impone la qualificazione «unicamente» in capo all'operatore che esegue i lavori. In particolare, è stato da ultimo sottolineato che «l'interpretazione ormai prevalente del comma 2 dell'art. 146 del codice dei contratti pubblici muove dall'esame congiunto dei commi 1 e 3 dello stesso articolo, poiché il comma 1 dichiara espressamente che tali disposizioni sono dettate in conformità agli artt. 9-bis e 29 del codice dei beni culturali – d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – per i quali coloro che seguono lavori attinenti detti beni necessitano del possesso dei requisiti qualificazione specifici ed adeguati ad assicurare la tutela dei beni oggetto di intervento (con il corollario rafforzativo – comma 3 – dell'eccezionale esclusione dell'istituto dell'avvalimento). Tanto induce ad escludere che nei contratti in materia di beni culturali i consorzi stabili possano qualificarsi con il cumulo alla rinfusa, essendo richiesto dalla norma il possesso di requisiti di qualificazione specifici ed adeguati ad assicurare la tutela del bene oggetto di intervento» (Cons. giust. amm. Sicilia, n. 49/2021; in tal senso, anche Cons. St. V, n. 403/2019). D'altra parte, un operatore che ha eseguito un tipo di lavori potrà “spenderli” come requisito esclusivamente proprio, precludendosi la possibilità di prestare tale qualificazione ad altri operatori del medesimo consorzio (T.A.R. Campania (Salerno) I, n. 508/2020). BibliografiaAlbissini, Il nuovo codice dei contratti pubblici - i contratti pubblici concernenti i beni culturali, Giornale dir. amm., 2016, 4, 436; Antoniazzi, Contratti pubblici e beni culturali, Giust. amm., 2019, 7; Carpentieri, Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia preventiva), in Urb. app., 2016, 8-9, 1014. |