Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 180 - (Partenariato pubblico privato)1(Partenariato pubblico privato)1 [1. Il contratto di partenariato è il contratto a titolo oneroso di cui all'articolo 3, comma 1, lettera eee). [Il contratto può avere ad oggetto anche la progettazione di fattibilità tecnico ed economica e la progettazione definitiva delle opere o dei servizi connessi.]2 2. Nei contratti di partenariato pubblico privato, i ricavi di gestione dell'operatore economico provengono dal canone riconosciuto dall'ente concedente e/o da qualsiasi altra forma di contropartita economica ricevuta dal medesimo operatore economico, anche sotto forma di introito diretto della gestione del servizio ad utenza esterna. "Nel caso di contratti di rendimento energetico o di prestazione energetica (EPC), i ricavi di gestione dell'operatore economico possono essere determinati e pagati in funzione del livello di miglioramento dell'efficienza energetica o di altri criteri di prestazione energetica stabiliti contrattualmente, purché quantificabili in relazione ai consumi; la misura di miglioramento dell'efficienza energetica, calcolata conformemente alle norme in materia di attestazione della prestazione energetica degli immobili e delle altre infrastrutture energivore, deve essere resa disponibile all'amministrazione concedente a cura dell'operatore economico e deve essere verificata e monitorata durante l'intera durata del contratto, anche avvalendosi di apposite piattaforme informatiche adibite per la raccolta, l'organizzazione, la gestione, l'elaborazione, la valutazione e il monitoraggio dei consumi energetici. Il contratto di partenariato può essere utilizzato dalle amministrazioni concedenti per qualsiasi tipologia di opera pubblica3. 3. Nel contratto di partenariato pubblico privato il trasferimento del rischio in capo all'operatore economico comporta l'allocazione a quest'ultimo, oltre che del rischio di costruzione, anche del rischio di disponibilità o, nei casi di attività redditizia verso l'esterno, del rischio di domanda dei servizi resi, per il periodo di gestione dell'opera come definiti, rispettivamente, dall'articolo 3, comma 1, lettere aaa), bbb) e ccc). Il contenuto del contratto è definito tra le parti in modo che il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dall'operatore economico, per eseguire il lavoro o fornire il servizio, dipenda dall'effettiva fornitura del servizio o utilizzabilità dell'opera o dal volume dei servizi erogati in corrispondenza della domanda e, in ogni caso, dal rispetto dei livelli di qualità contrattualizzati, purché la valutazione avvenga ex ante. Con il contratto di partenariato pubblico privato sono altresì disciplinati anche i rischi, incidenti sui corrispettivi, derivanti da fatti non imputabili all'operatore economico. 4. A fronte della disponibilità dell'opera o della domanda di servizi, l'amministrazione aggiudicatrice può scegliere di versare un canone all'operatore economico che è proporzionalmente ridotto o annullato nei periodi di ridotta o mancata disponibilità dell'opera, nonché ridotta o mancata prestazione dei servizi. Se la ridotta o mancata disponibilità dell'opera o prestazione del servizio è imputabile all'operatore, tali variazioni del canone devono, in ogni caso, essere in grado di incidere significativamente sul valore attuale netto dell'insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi dell'operatore economico4. 5. L'amministrazione aggiudicatrice sceglie altresì che a fronte della disponibilità dell'opera o della domanda di servizi, venga corrisposta una diversa utilità economica comunque pattuita ex ante, ovvero rimette la remunerazione del servizio allo sfruttamento diretto della stessa da parte dell'operatore economico, che pertanto si assume il rischio delle fluttuazioni negative di mercato della domanda del servizio medesimo. 6. L'equilibrio economico finanziario, come definito all'articolo 3, comma 1, lettera fff), rappresenta il presupposto per la corretta allocazione dei rischi di cui al comma 3. Ai soli fini del raggiungimento del predetto equilibrio, in sede di gara l'amministrazione aggiudicatrice può stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico. A titolo di contributo può essere riconosciuto un diritto di godimento, la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all'opera da affidare in concessione. Le modalità di utilizzazione dei beni immobili sono definite dall'amministrazione aggiudicatrice e costituiscono uno dei presupposti che determinano l'equilibrio economico-finanziario della concessione. In ogni caso, l'eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al quarantanove per cento del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari5. 7. Si applica quanto previsto all'articolo 165, commi 3, 4 e 5, del presente codice6. 8. Nella tipologia dei contratti di cui al comma 1 rientrano la finanza di progetto, la concessione di costruzione e gestione, la concessione di servizi, la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità e qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le caratteristiche di cui ai commi precedenti.] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. [2] Comma modificato dall'articolo 107, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56. [3] Comma modificato prima dall'articolo 107, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56 e successivamente dall'articolo 8, comma 5, lettera c-quater), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120. [4] Comma modificato dall'articolo 107, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56. [5] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164), successivamente modificato dall'articolo 107, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56. [6] Comma sostituito dall'articolo 107, comma 1, lettera e), del D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56. InquadramentoLa definizione che il vecchio Codice forniva dei «contratti di partenariato pubblico privato» era contenuta nell'art. 3, comma 15-ter: tali contratti erano definiti come «aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un'opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti». La stessa norma presentava un elenco esemplificativo di tali contratti (la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, il contratto di disponibilità, l'affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste) e prevedeva che potesse essere considerato tra le «operazioni di partenariato pubblico privato l'affidamento a contraente generale ove il corrispettivo per la realizzazione dell'opera (fosse) in tutto o in parte posticipato e collegato alla disponibilità dell'opera per il committente o per utenti terzi». Era prevista, in ultimo, l'applicazione a tali contratti dei contenuti delle decisioni Eurostat. In tal modo il Codice del 2006, da un lato, rinunciava a specificare gli elementi della categoria contrattuale e a indicarne il regime giuridico, dall'altro, individuava un genus di «contratti di partenariato pubblico-privato» caratterizzati dall'oggetto, rispetto alle varie species specificamente indicate all'interno della disposizione (la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria etc.), come si evince chiaramente dalla locuzione «a titolo esemplificativo» contenuta nella disposizione appena citata. L'articolo in trattazione recepisce i principi di delega di cui all'art. 1, comma 1, lett. ss) e tt) della l. n. 11/2016. Il principio contenuto nella lett. ss) è il seguente: «razionalizzazione ed estensione delle forme di partenariato pubblico privato, con particolare riguardo alla finanza di progetto e alla locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità, incentivandone l'utilizzo anche attraverso il ricorso a strumenti di carattere finanziario innovativi e specifici ed il supporto tecnico alle stazioni appaltanti, garantendo la trasparenza e la pubblicità degli atti». Il principio contenuto nella lett. tt) recita: «al fine di agevolare e ridurre i tempi delle procedure di partenariato pubblico privato, previsione espressa, previa indicazione dell'amministrazione competente, delle modalità e delle tempistiche per addivenire alla predisposizione di specifici studi di fattibilità che consentano di porre a gara progetti con accertata copertura finanziaria derivante dalla verifica dei livelli di bancabilità, garantendo altresì l'acquisizione di tutte le necessarie autorizzazioni, pareri e atti di assenso comunque denominati entro la fase di aggiudicazione». La definizione di partenariato pubblico privato è contenuta nell'art. 3, comma 1, lett. eee) del Codice, che lo definisce come «il contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto con il quale una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o più operatori economici per un periodo determinato in funzione della durata dell'ammortamento dell'investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un'opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connesso all'utilizzo dell'opera stessa, con assunzione di rischio secondo modalità individuate nel contratto da parte dell'operatore». Tale definizione pare enfatizzare, rispetto alla precedente, i tratti economico finanziari dell'istituto, ancorando la durata del contratto alla durata dell'ammortamento dell'investimento o alle modalità di finanziamento previste. Si prevede che il contratto disciplini le modalità di assunzione del rischio da parte del privato ed esclude la progettazione dalle attività affidabili all'operatore. Peraltro l'ultima parte del comma 1, nella prima stesura del Codice, prevedeva che «il contratto può avere ad oggetto anche la progettazione di fattibilità tecnico ed economica e la progettazione definitiva delle opere o dei servizi connessi», facendo rientrare tra le possibili attività del privato anche la progettazione, e con ciò suscitando in autorevole dottrina (Di Giovanni) dubbi di eccesso di delega rispetto all'art. 1, comma 1, lett. oo) della l. n. 11/2016 (la norma esclude infatti «l'affidamento dei lavori sulla base della sola progettazione di livello preliminare»). Sotto altro aspetto, l'art. 180, comma 8, del nuovo Codice ha previsto che nella tipologia dei contratti di partenariato pubblico-privato rientrano (anche) «la finanza di progetto, la concessione di costruzione e gestione, la concessione di servizi, la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità e qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le caratteristiche di cui ai commi precedenti». Alla regolamentazione del modello negoziale provvede la parte IV del nuovo Codice dei contratti pubblici, la quale, per un verso, disciplina i rapporti tra remunerazione delle prestazioni e rischio operativo, le procedure di affidamento e le modalità di finanziamento dei contratti di partenariato; per altro verso, enuclea alcuni degli strumenti applicativi nei quali concretamente si articola tale paradigma di collaborazione tra pubblica Amministrazione e soggetti privati nella realizzazione e gestione di opere e servizi di pubblico interesse. L'art. 180 precisa che i ricavi dell'operatore economico possano derivare tanto da canoni corrisposti dall'ente concedente, quanto da altre forme di contropartite economiche, ivi inclusi gli introiti prodotti dalla gestione di servizi ad utenza esterna (comma 2). Il successivo comma 3 dispone peraltro che, per effetto della stipulazione di un accordo di partenariato, gravano sull'affidatario non soltanto i rischi di costruzione, ma anche quelli connessi alla disponibilità o alla domanda dei servizi resi. L'assetto d'interessi definito dalle parti deve inoltre preventivamente determinare dei criteri di adeguamento della remunerazione all'«effettiva fornitura del servizio o utilizzabilità dell'opera», al «volume dei servizi erogati in corrispondenza della domanda», nonché, in generale, al «rispetto dei livelli di qualità contrattualizzati». Il perseguimento dell'equilibrio economico finanziario dell'operazione può inoltre giustificare, ai sensi del comma 6, l'erogazione al soggetto privato di un contributo pubblico, purché la misura di quest'ultimo non ecceda il 49% dell'investimento complessivo. In ragione dei guadagni potenzialmente percepibili dal partner privato nello svolgimento del progetto di collaborazione, l'art. 181 rinviene nelle norme in materia di evidenza pubblica il parametro di regolamentazione delle procedure di scelta del contraente (comma 1). Oltre a prevedere che la base di gara sia costituita dalla predisposizione di un progetto definitivo, di uno schema di contratto e di piano economico finanziario (comma 2), la norma da ultimo citata richiede inoltre, ai sensi del comma 3, una preliminare indagine circa le condizioni di mercato nel quale si iscrive l'operazione economica, anche in relazione alle utilità astrattamente derivanti dallo svolgimento di normali procedure di appalto. La «permanenza in capo all'operatore economico dei rischi trasferiti» costituisce invece uno dei principali criteri ai quali le modalità di monitoraggio dell'attività dell'operatore economico devono ispirarsi (comma 4). Opportunamente, il correttivo del 2017 è intervenuto sul comma 1, abrogandone l'ultimo periodo e permettendo, in tal guisa, di superare il già evidenziato dubbio di eccesso di delega. L'articolo, di seguito, si sofferma dettagliatamente sui contenuti del contratto di partenariato, nella cui tipologia rientrano la finanza di progetto, la concessione di costruzione e gestione, la concessione di servizi, la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità (comma 8). Il legislatore delegato, per garantire il più ampio utilizzo dell'istituto, prevede che il partenariato pubblico privato possa realizzarsi, oltre che nelle tipologie sopra enumerate, con qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presenti le caratteristiche contenute nell'articolo in trattazione. Nel nuovo Codice vengono enfatizzati e dettagliati una serie di importanti profili economici dell'istituto. In primis, viene chiarito che «i ricavi di gestione dell'operatore economico provengono dal canone riconosciuto dall'ente concedente e/o da qualsiasi altra forma di contropartita economica ricevuta dal medesimo operatore economico, anche sotto forma di introito diretto della gestione del servizio ad utenza esterna». Più in generale, l'articolo disciplina le caratteristiche dell'istituto, soffermandosi su alcuni concetti chiave, che meritano un dettagliato approfondimento in quanto costituiscono i cardini dell'istituto. Le modifiche del correttivo del 2017Come visto sopra, il correttivo del 2017 ha allineato il testo della norma in commento al parere del Consiglio di Stato del 2016 e che coordinano la disciplina del PPP con quella delle concessioni. L'eliminazione della possibilità di fare rientrare tra le attività del privato anche la progettazione aveva suscitato, anche in dottrina, fondati dubbi di eccesso di delega, che vengono pertanto ora superati. Peraltro, tale precisazione deve leggersi in combinato disposto la modifica prevista al comma 2, con la quale si è provveduto a precisare che «il contratto di partenariato può essere utilizzato dalle amministrazioni concedenti per qualsiasi tipologia di opera pubblica». Ovviamente, l'esclusione delle attività di progettazione non vale nel caso in cui lo stesso Codice le preveda come elemento dell'offerta, come nel caso del project financing pubblico, per cui si prevede che sia redatto lo studio di fattibilità e che le offerte «devono contenere un progetto definitivo» (art. 183, comma 9). In pratica, il correttivo da una parte delimita, restringendolo, l'ambito delle possibili attività del privato nel PPP, dall'altra amplia la possibilità di utilizzo dello stesso a tutte le opere pubbliche. Il correttivo del 2017 interviene anche sul comma 4, che disciplina le riduzioni del canone. Esplicitando un principio che poteva comunque già rinvenirsi nella norma di prima stesura, il correttivo ha precisato che tali riduzioni sono consentite solo se la ridotta o mancata disponibilità dell'opera, ovvero la ridotta o mancata prestazione del servizio, siano imputabili all'operatore privato. L'ultimo intervento di rilievo sull'art. 180 mira ad armonizzare la normativa codicistica, sostituendo interamente il comma 7 con il mero richiamo alla normativa in materia di rischio ed equilibrio economico-finanziario di cui all'art. 165, commi 3, 4 e 5, del Codice. Il decreto Semplificazioni: l'estensione del PPP ai contratti EPCIl decreto Semplificazioni ha integrato il comma 2 dell'art. 180 prevedendo che «Nel caso di contratti di rendimento energetico o di prestazione energetica (EPC), i ricavi di gestione dell'operatore economico possono essere determinati e pagati in funzione del livello di miglioramento dell'efficienza energetica o di altri criteri di prestazione energetica stabiliti contrattualmente, purché quantificabili in relazione ai consumi; la misura di miglioramento dell'efficienza energetica, calcolata conformemente alle norme in materia di attestazione della prestazione energetica degli immobili e delle altre infrastrutture energivore, deve essere resa disponibile all'amministrazione concedente a cura dell'operatore economico e deve essere verificata e monitorata durante l'intera durata del contratto, anche avvalendosi di apposite piattaforme informatiche adibite per la raccolta, l'organizzazione, la gestione, l'elaborazione, la valutazione e il monitoraggio dei consumi energetici». Si tratta di una novità importante sia dal punto di vista teorico che pratico in ragione del sempre più frequente ricorso a contratti volti all'efficientamento energetico dei beni di proprietà della pubblica amministrazione. In ragione dell'ampiezza definitoria dell'art. 180, del tutto correttamente il decreto Semplificazioni vi ha inserito il contratto di rendimento energetico (o secondo la terminologia anglosassone Energy Performance Contract, EPC) che normalmente presenta caratteri affini al contratto di appalto e soprattutto segue perfettamente la logica di partenariato pubblico privato. Recependo la già citata direttiva CE/32/06, attraverso il d.lgs. n. 115/2008, ha introdotto (o meglio tradotto) la nozione normativa del contratto di EPC (o, come lo chiama il legislatore italiano, contratto di rendimento energetico), definendolo come «accordo contrattuale tra il beneficiario e il fornitore riguardante una misura di miglioramento dell'efficienza energetica, in cui i pagamenti a fronte degli investimenti in siffatta misura sono effettuati in funzione del livello di miglioramento dell'efficienza energetica stabilito contrattualmente» (art. 2, lett. l), d.lgs. cit.). L'oggetto del contratto si sostanzia dunque nella individuazione, progettazione e realizzazione di un livello di efficienza energetica con riferimento ad un determinato impianto o edificio, tale da consentire un risparmio di spesa sulla bolletta energetica del cliente. Il rapporto contrattuale vede coinvolte normalmente due parti, il «beneficiario» e il «fornitore» (normalmente una Energy Service Companies, ESCO); quest'ultimo, di norma, anticipa i costi degli investimenti necessari per gli interventi da realizzare o comunque assume l'obbligo di reperire i mezzi finanziari presso soggetti terzi (normalmente, istituti di credito). In talune ipotesi, peraltro, il soggetto finanziatore, laddove diverso dal «fornitore», entra anch'esso nel rapporto contrattuale di EPC in qualità di parte: si instaura, cioè, un rapporto trilaterale, che vede direttamente coinvolto anche il soggetto finanziatore nello schema fondamentale dell'operazione. La peculiarità del modello contrattuale descritto è costituito dal fatto che il fornitore viene remunerato sulla base dei risultati effettivi che il cliente consegue attraverso l'implementazione e l'ammodernamento della tecnologia, degli impianti e delle strutture esistenti, di talché è il fornitore che si assume la responsabilità dell'individuazione, programmazione, progettazione e realizzazione di un'iniziativa – normalmente una riqualificazione immobiliare – che determina il miglioramento dell'efficienza energetica, laddove possibile anche attraverso l'impiego di fonti rinnovabili, agganciando la remunerazione della propria attività al flusso di cassa dei risparmi realmente ottenuti nel corso di un certo arco temporale. Appare quindi evidente la perfetta riconducibilità dell'EPC al genus del partenariato pubblico privato, soprattutto sotto il profilo dell'assunzione del rischio operativo in capo al fornitore, sotto il profilo della cura ed al coordinamento di tutte le attività volte alla progettazione, realizzazione, gestione e manutenzione dell'intervento individuato, attraverso l'assunzione su di sé del rischio tecnico e, a seconda delle diverse varianti, anche del rischio finanziario e della garanzia in senso tecnico-giuridico circa l'effettivo raggiungimento del livello di risultato ipotizzato. Infatti, l'EPC presenta numerose analogie con il contratto di appalto, sebbene non si esaurisca completamente in esso e presenti certamente dei tratti sensibilmente differenti, in quanto l'attività di costruzione di opere o fornitura di servizi è compensata, in questo particolare modello contrattuale, dall'autonoma gestione dell'impianto da parte del fornitore privato, per un certo arco temporale previamente concordato con la pubblica amministrazione, durante il quale il primo incamera il risparmio di spesa conseguito dal sistema energetico per effetto dell'intervento stesso. L'EPC, inoltre, si caratterizza in dipendenza dello specifico settore in cui è destinato ad essere impiegato, che ne fa un contratto estremamente tecnico e specialistico, ancorato a logiche e meccanismi suoi propri che poco si conciliano con il modello legale dell'appalto. È infatti l'efficienza energetica, e dunque il conseguimento di un certo margine di risparmio, a connotare la prestazione dell'operatore privato; l'amministrazione si impegna a rinunciare all'immediato godimento del risparmio conseguito dal sistema energetico sottoposto all'intervento, riversandolo sul privato come remunerazione della prestazione eseguita. In relazione a quanto osservato, l'EPC si rivela uno strumento particolarmente utile ed interessante per quei soggetti, pubblici o privati, che abbiano la necessità di effettuare ingenti interventi di miglioramento e di riqualificazione degli edifici e/o degli impianti, ma che siano tuttavia sprovvisti di esperienza tecnica nel campo energetico o di adeguata informazione sugli strumenti e sulle tecnologie, e che non abbiano a propria disposizione sufficienti risorse finanziarie. In particolare, per le pubbliche amministrazioni, il ricorso a tale contratto presenta innegabili vantaggi, tenuto conto delle stringenti regole che governano la spesa pubblica: il contratto consente, infatti, di rinnovare gli impianti senza ricorrere a stanziamenti di bilancio per la realizzazione di nuove opere, utilizzando semplicemente i meccanismi contabili delle spese per acquisto di servizi. Appare, pertanto di tutta evidenza come, sotto il profilo delle obbligazioni assunte dall'amministrazione debba considerarsi improprio affermare che gli interventi effettuati con l'EPC vengano effettuati a costo zero. Se è vero, infatti, che le risorse finanziarie sono reperite – in via diretta o indiretta – dall'operatore privato, tuttavia, l'amministrazione, da un lato, rinunzia a fare in proprio interventi di efficientamento energetico sugli impianti oggetto dell'EPC per tutta la durata dello stesso e, dall'altro, cede i risparmi futuri che divengono, quindi, il vero corrispettivo contrattuale. Ne deriva che l'EPC deve considerarsi, in ogni caso, contratto a titolo oneroso, sia pure con accentuate peculiarità nella determinazione e corresponsione del corrispettivo. Sotto il profilo procedimentale, prima dell'affidamento del contratto di EPC l'amministrazione dovrà provvedere al censimento degli impianti sui quali effettuare interventi di risparmio energetico e potrà invitare gli operatori del settore a presentare offerte per l'intervento di riqualificazione ritenuto più appropriato e tale da comportare una certa quota di risparmio rispetto ai livelli di consumo rilevati. Tra le diverse declinazioni che l'EPC ha nella prassi, sicuramente quelle più confacente all'archetipo del Codice pare quello «First out», in cui l'operatore fornisce il capitale (ricorrendo eventualmente a finanziatori terzi) e il risparmio energetico conseguito viene interamente utilizzato per ripagare il finanziamento dell'intervento e remunerare l'attività di efficientamento. Alla scadenza contrattuale (nella prassi la durata varia da 3 a 5 anni) l'amministrazione diverrà proprietaria degli impianti e delle opere eseguite. Con questo approccio il privato incamera il 100% dei risparmi realmente ottenuti fino alla scadenza contrattuale. Tutti i costi e i profitti sono dovranno essere dichiarati in anticipo e i risparmi sono impiegati innanzi tutto per la copertura completa di questi costi. La riferita circostanza è destinata a riflettersi anche sul differente criterio di valutazione dell'adempimento che, nell'appalto, è rappresentato dall'esecuzione a regola d'arte dell'opera o servizio, nell'EPC, si estende fino a comprendere il conseguimento di un certo margine di risparmio energetico. Di qui una differente modalità di determinazione e corresponsione del corrispettivo. Nell'EPC, infatti, il corrispettivo si sostanzia in un canone periodico variabile, che viene parametrato in base al risparmio di spesa effettivamente conseguito dal titolare del sistema energetico che forma oggetto dell'intervento. Nell'appalto, il corrispettivo è rappresentato da una somma di denaro, complessivamente determinata, che il committente si impegna a pagare per la realizzazione dell'opera o del servizio commissionato, normalmente una volta intervenuta la propria accettazione. Il pagamento del canone, inoltre, nell'EPC si estende per tutta la durata del contratto che, a differenza di quanto accade nell'appalto, non coincide con il termine di ultimazione dei lavori o fornitura del servizio, ma coinvolge un certo arco temporale, previamente concordato dalle parti al fine di consentire alla ESCO di rientrare dei costi sostenuti e di remunerare la propria attività. Soltanto al termine di detto arco temporale il cliente acquisisce la proprietà di tutte le opere e delle installazioni eseguite. Ed è proprio con riferimento a tale delicato profilo dell'adempimento che il legislatore ha inteso specificare, a tutela delle stazioni appaltanti che la misura di miglioramento dell'efficienza energetica deve essere resa disponibile all'amministrazione concedente a cura dell'operatore economico e, comunque, «verificata e monitorata durante l'intera durata del contratto». La natura giuridica del partenariato pubblico-privatoCon riferimento alla natura dell'istituto e alla portata precettiva dell'art. 180, nel parere della Commissione speciale n. 855 del 21 marzo 2016 reso sullo schema di decreto legislativo recante «Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione», il Consiglio di Stato ha osservato come le previsioni del Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione «recano un archetipo generale del partenariato pubblico privato contrattuale (...) di cui sono concreta declinazione la finanza di progetto, la locazione finanziaria di opere pubbliche, la concessione di costruzione e gestione, il contratto di disponibilità, nonché le figure di minor rilievo economico, ma di sicuro impatto sociale, del baratto amministrativo e degli interventi di sussidiarietà orizzontale quali forme di partenariato sociale. Si introduce così una disciplina quadro valevole, oltre che per le figure tipizzate, anche per figure atipiche, definite, nel comma 8 come «qualunque altra procedura di realizzazione di partenariato in materia di opere o servizi che presentino le caratteristiche» descritte nell'art. 180». Con il successivo parere della Commissione speciale n. 755 del 29 marzo 2017 (reso sullo schema di linee guida recanti «Monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull'attività dell'operatore economico nei contratti di partenariato pubblico-privato») si è ulteriormente precisato che: – l'espressione partenariato pubblico-privato indica un complesso fenomeno giuridico, di matrice europea, caratterizzato da una sostanziale equiordinazione tra soggetti pubblici e soggetti privati per la realizzazione di un'attività volta al conseguimento di interessi pubblici, in cui ai primi (soggetti pubblici) è attribuito il compito di individuare/selezionare gli interessi pubblici da tutelare e garantire, nonché lo strumento economico/giuridico/finanziario più adeguato per poterli conseguire, oltre che la vigilanza e il controllo sul loro effettivo raggiungimento, mentre ai secondi – i soggetti privati, che mettono a disposizione dell'amministrazione pubblica, le proprie capacità finanziarie e il proprio complessivo know how– è riconosciuto il diritto di ritrarre utilità, mediante la disponibilità o lo sfruttamento economico dell'opera, attraverso le ordinarie fasi della sua realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione; – il partenariato pubblico-privato costituisce un fenomeno economico-finanziario che trova disciplina giuridica nel relativo contratto di partenariato, qualificabile come contratto atipico, in cui le parti fissano nel modo ritenuto più idoneo e adeguato l'assetto dei propri rispettivi interessi in funzione del conseguimento dell'interesse pubblico individuato esclusivamente dalla parte pubblica; il partenariato pubblico-privato si delinea come un genus contrattuale riferibile a più modelli specifici, tra cui «rientrano la finanza di progetto, la concessione di costruzione e gestione, la concessione di servizi, la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità e qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere e servizi che presentano le caratteristiche di cui ai commi precedenti (art. 180, comma 8)». Si è pertanto ritenuto che l'espressione «partenariato pubblico-privato» non integri una categoria giuridica in senso proprio – neanche dopo il nuovo Codice del 2016 – ma costituisca una nozione meramente descrittiva di istituti giuridici caratterizzati da alcuni elementi comuni. In sostanza si tratta di un modulo procedimentale, disciplinato dal Codice dei contratti pubblici, volto alla realizzazione degli interessi pubblici, che si avvale della collaborazione tra privati e amministrazioni e che si articola in schemi contrattuali tipici e atipici. Lo scopo è quello di individuare finanziamenti alternativi a quelli tradizionali attraverso un rapporto di lunga durata e una corretta allocazione del rischio in capo ai privati, secondo le modalità individuate nel contratto. Ne consegue che il partenariato pubblico-privato si appalesa come uno strumento di cooperazione per la effettiva ed efficace realizzazione degli interessi pubblici, che non solo si presenta come attuativo del principio di solidarietà orizzontale di cui all'art. 118, comma 4, della Costituzione, ma che costituisce concretamente anche un rimedio significativo per il superamento di crisi finanziarie e dei vincoli posti alla spesa pubblica (Fioritto; Mastragostino; Cerrina Feroni; Dipace); esso risulta altresì tendenzialmente idoneo a promuovere un significativo rinnovamento della pubblica amministrazione attraverso l'acquisizione di specifiche conoscenze tecniche e scientifiche, proprie delle realtà private, capaci di fornire nuovi e innovativi strumenti per rendere l'azione amministrativa sempre maggiormente coerente con i principi di imparzialità e buon andamento predicati dall'art. 97 della Costituzione. Si conferma quindi che il partenariato pubblico privato di cui all'art. 180 si configuri sostanzialmente come la disciplina di un modulo organizzatorio che, in particolar modo nell'attuale periodo di grave crisi economica e finanziaria del Paese, se ben utilizzato può costituire un volano per la ripresa economica, soprattutto se assistito da un costante dialogo tra Stato, Regioni ed enti locali, poiché idoneo ad assicurare l'utilizzo di risorse private nel settore pubblico con conseguentemente allentamento delle restrizioni di bilancio. Peraltro, la di là dei tentativi di ricostruzione di un istituto nato dalla prassi e sfuggevole per la molteplicità e complessità dei profili, non sembra doversi escludere la portata precettiva dell'art. 180 sotto almeno due rilevanti aspetti. Il primo è costituito dal riconoscimento dell'ammissibilità di contratti non riconducibili ai tipi previsti dallo stesso Codice (finanza di progetto, contratto di disponibilità, etc.), ovvero di contratti che, pur rappresentando deviazioni rispetto a tali tipi, rispondono alle caratteristiche del partenariato pubblico privato. Si pensi ai casi in cui la fattispecie riguarda servizi non rivolti direttamente all'utenza, in cui vi è comunque un rischio operativo connesso indirettamente all'utenza che non può peraltro identificarsi in un rischio di domanda (come ad es. la realizzazione di un impianto per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani, la cui quantità dipende dalla propensione degli utenti a ridurre il quantitativo di rifiuti attraverso la raccolta differenziata). Il secondo è rappresentato dal fatto che tutti i contratti sia tipici che atipici sono comunque sottoposti alla disciplina dell'evidenza pubblica (art. 181). Essenzialità del trasferimento del rischio operativoElemento essenziale di ogni operazione di partenariato pubblico privato è il trasferimento del rischio operativo in capo all'operatore privato che, come noto, costituisce un tratto caratteristico dell'istituto della concessione. La concessione – pur essendo disciplinata nella parte III del Codice – è attratta nel genus del partenariato pubblico-privato (come facilmente ricavabile dall'art. 180, comma 8, Codice) e, in particolare, in quello di tipo contrattuale, in quanto caratterizzata dal coinvolgimento del privato nella gestione dell'opera o del servizio, con l'obiettivo del soddisfacimento di un interesse pubblico predeterminato. In questa figura, come è noto, la ripartizione del rischio tra le parti costituisce l'elemento discriminante tra la concessione e l'appalto pubblico. Secondo la giurisprudenza dalla Corte di giustizia, difatti «la differenza tra un appalto di servizi e una concessione di servizi risiede nel corrispettivo della fornitura di servizi .... «Un appalto pubblico di servizi» ai sensi delle direttive 2004/18 e 2004/17 comporta un corrispettivo che è pagato direttamente dall'amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi .... Si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest'ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione». (Corte Giust. UE, Sez. III, 15 ottobre 2009, C-196/08). La caratteristica precipua delle concessioni, idonea a differenziarle dagli appalti, è quindi data dall'assunzione di un rischio, che va ben al di là, ed è qualitativamente differente, da quello sopportato da un normale appaltatore. In mancanza, dunque, del trasferimento del rischio «operativo», come ricorda la Corte di giustizia UE, il contratto dovrebbe essere definito come di appalto, almeno per quel che concerne la fase di aggiudicazione, ma non mancano, come è noto, delicate questioni interpretative, non solo sotto l'aspetto qualitativo, in ordine a tale trasferimento. La differenza fondamentale rispetto all'appalto risiede proprio nella circostanza che il concessionario contribuisce con capitale proprio al finanziamento dell'opera e sopporta il rischio operativo derivante dal relativo sfruttamento economico con particolare riferimento alla disponibilità dell'opera (Corte Giust. UE, Sez. III, 10 marzo 2011, C-274/2009; Corte Giust. UE, Sez. II, 10 novembre 2011, C-348/10; Cons. St. V, n. 5745/2015; Cons. St. VI, n. 4682/2012). In condizioni operative normali, al concessionario non è garantito il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti per le attività oggetto della Concessione (Cons. St. IV, n. 1352/2016). La parte di rischio trasferita in capo al Concessionario deve essere reale e non puramente nominale o trascurabile (art. 3, comma 1, lett. zz), del Codice). Ciò detto, va in ogni caso considerato che la remunerazione del concessionario è, nella sostanza, legata alle performance delle prestazioni erogate in favore del partner pubblico, nell'ambito di un rapporto contrattuale di durata nel quale gli obiettivi istituzionali strategici della P.A. e gli obiettivi di profitto del privato devono essere allineati. Nel PPP, l'operatore economico è co-responsabile con la P.A. del conseguimento di un determinato risultato, da cui deve dipendere la sua remunerazione. Il trasferimento al Concessionario dei rischi economici insiti nella gestione affidata in concessione costituisce la causa giustificativa tipizzante del contratto. La componente «rischio» deve pertanto ricorrere sempre in concreto, ancorché eventualmente ridotta in ragione del riconoscimento in favore del Concessionario di un prezzo, di garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della P.A. Anche in questo caso, i rischi devono essere identificati, quantificati e chiaramente assegnati alla parte che è maggiormente in grado di assumerli (cfr. parere Comitato economico e sociale sul tema «Rafforzamento del diritto delle concessioni e dei contratti di partenariato pubblico privato (PPP)» – 2001/C 14/19). Sotto il profilo qualitativo, la direttiva precisa che deve trattarsi di un rischio «sul lato della domanda o sul lato dell'offerta, o entrambi» (art. 5, comma 2, n. 1). Ed il considerando n. 20 precisa ulteriormente che tale rischio «dovrebbe derivare da fattori al di fuori del controllo delle parti». Il che se è conciliabile con il rischio della domanda, che dipende da comportamenti di soggetti terzi (fruitori del servizio), lo è di meno con il rischio dell'offerta, dato che la medesima è resa dallo stesso concessionario. Sicché deve ritenersi che in tal caso le componenti del rischio riguardino essenzialmente elementi che sono al di fuori del controllo dell'operatore privato, come l'andamento dei costi (anche finanziari) che dipendono puramente dalle oscillazioni del mercato, e quindi, come tali, sono estranei al dominio delle parti. Di particolare interesse, anche nell'ambito del rischio dell'offerta, è il cd. rischio di disponibilità, tipico delle concessioni associate alle opere cd. fredde (ed ai relativi servizi, avvinti dalla stessa logica) – ovvero le opere che sono prive della capacità di generare reddito attraverso la fruizione da parte dei terzi – e che, risultando legato alla capacità da parte del concessionario di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità, dovrebbe legarsi alla performance dello stesso concessionario. L'applicazione del modello concessorio alle cd. opere fredde (il privato che le realizza e gestisce fornisce direttamente servizi all'amministrazione traendo la propria remunerazione da pagamenti effettuati dalla stessa: per es. nei casi di carceri o ospedali) ha destato perplessità, dato che l'ambito naturale dell'istituto è certamente costituito dalle cd. opere calde, ovvero da quelle dotate di intrinseca capacità di generare reddito attraverso ricavi di utenza (modello autostrade, gas, parcheggi), ovvero, al più, da quelle cd. tiepide, categoria intermedia per la quale, non essendo sufficienti i ricavi di utenza a ripianare interamente le risorse impiegate, risulta necessario un contributo pubblico per la fattibilità finanziaria (impianti sportivi e, per i servizi, trasporto pubblico locale). Tuttavia, non vi sono elementi per affermare che, in base alla direttiva, il modello della concessione non si applichi anche alle opere fredde (ed ai servizi dello stesso tipo), per le quali, a differenza delle opere calde (dove viene prevalentemente in rilievo il rischio della domanda, e dunque il rischio sul versante dei ricavi, come nel caso dell'esempio –non infrequente– della sovrastima dei flussi di traffico da parte di concessionari autostradali), viene in rilievo prevalentemente il rischio dell'offerta e, quindi, anzitutto quello sul versante dei costi (cfr., al riguardo, anche l'art. 165 del Codice). Dal punto di vista quantitativo e quindi dell'entità del rischio operativo, la direttiva 23 lascia margini ai legislatori nazionali e pone dei limiti, essenzialmente in termini negativi, ammettendo che una parte del rischio possa rimanere a carico dell'amministrazione aggiudicatrice o dell'ente aggiudicatore e risultando esclusi espressamente solo i casi in cui il rischio sia eliminato del tutto (considerando nn. 18 e 19). In definitiva la «componente rischio» deve essere effettivamente sussistente, ancorché proporzionalmente ridotta, come emerge dal recepimento nazionale recato dall'art. 165, comma 2, secondo cui «l'eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al 50% del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari» (Cons. St., Comm. spec., n. 855/2016). Giova anche rammentare quanto ritenuto dal parere della Commissione speciale n. 775/2017, sopra citato, secondo cui «L'art. 180, comma 3, in particolare individua tre tipi di rischio: il rischio di costruzione; il rischio di disponibilità e, nei casi di attività redditizia, il rischio di domanda dei servizi resi; (...). Malgrado tale ultima previsione possa prestarsi ad una diversa interpretazione, deve ammettersi che l'elencazione dei rischi sopra ricordati (cui per completezza deve aggiungersi il rischio operativo concernente in special modo le concessioni, come definito dall'art. 3, comma 1, lett. zz) (...) debba considerarsi tassativa, anche in omaggio al principio di legalità, fermo restando tuttavia la possibilità all'interno di tali tipi di rischi di procedere ad una loro ulteriore specificazione, quale espressione della volontà contrattuale delle parti, per rendere cioè la disciplina contrattuale del partenariato coerente e adeguata con la fattispecie concreta (e con l'interesse pubblico concreto da perseguire) in pieno accordo con la natura atipica del contratto di partenariato, precedentemente delineata». Nel partenariato pubblico privato, al rischio proprio dell'appalto derivante dalla cattiva gestione della fase di costruzione si aggiunge il rischio consistente nella possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per l'operazione, e quindi di subire perdite derivanti da possibili squilibri generatisi sul lato della domanda (inferiore alle previsioni) e/o sul lato dell'offerta (fornitura di servizi non in linea con i livelli di performance accordati). Tali squilibri si devono tradurre necessariamente in una contrazione dei ricavi nel caso in cui si manifestino situazioni la cui responsabilità ricade sul privato. Generalmente, in un contratto di partenariato a tariffazione sull'amministrazione è critico e saliente il rischio di disponibilità piuttosto che quello di domanda, proprio perché si tratta di contratti in cui il principale pagatore è la P.A. In questo senso, il richiamato art. 180, comma 3, del Codice si preoccupa di stabilire una relazione di proporzionalità diretta tra ricavi ritraibili dalle attività oggetto di Concessione, da un lato, ed entità e qualità delle prestazioni rese, dall'altro. Tale relazione deve necessariamente trovare un'adeguata definizione nel Contratto di PPP, nel senso di una chiara e stretta dipendenza tra la possibilità di recupero degli investimenti effettuati e/o dei costi sostenuti e l'effettiva fornitura del servizio o utilizzabilità dell'opera ovvero la qualità dei servizi erogati. Presupposto per la corretta allocazione dei rischi è l'equilibrio economico-finanziario dell'operazione, inteso come contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica (capacità del progetto di creare valore nell'arco di durata e di efficacia del contratto e di essere quindi conveniente sulla base dell'analisi del value for money per la P.A.) e sostenibilità finanziaria (capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso del finanziamento e la remunerazione dell'equity). Il partenariato è il punto di incontro tra le esigenze di convenienza e di value for money, lato P.A., e quelle di remunerazione, lato investitori e finanziatori. Benché il contributo pubblico non sia in astratto un elemento essenziale e/o necessario per il raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario di un'operazione di partenariato, l'amministrazione in ogni caso può, ai soli fini del raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario dell'operazione stabilire, in sede di gara, un prezzo consistente in un contributo in denaro ovvero nella cessione di beni immobili che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico, fermo restando che l'ammontare di tale prezzo sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche ovvero a ulteriori meccanismi di finanziamento non deve comunque superare il 49% del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari (art. 180, comma 6, del Codice). Il contributo può aiutare positivamente la valutazione del value for money, sempre entro certi limiti oltre i quali può divenire elemento che determina l'automatica contabilizzazione on balance per Eurostat. L'essenzialità dell'elemento del rischio rileva anche sotto il profilo tecnico-contabile, poiché secondo la decisione dell'Ufficio statistico europeo (Eurostat) dell'11 febbraio 2004 (Treatment of public-private partnership), i beni (asset) oggetto di tali operazioni non vengano registrati nello stato patrimoniale delle pubbliche amministrazioni, ai fini del calcolo dell'indebitamento netto e del debito secondo le definizioni del regolamento europeo SEC, solo se c'è un sostanziale trasferimento di rischio dalla parte pubblica alla parte privata. Ciò avviene nel caso in cui si verifichino contemporaneamente le seguenti due condizioni: il soggetto privato assume il rischio di costruzione; il soggetto privato assume almeno uno dei due rischi: di disponibilità o di domanda (v. da ultimo, Circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri 10 luglio 2019 in G.U. n. 198 del 24 agosto 2019). Sotto tale profilo va anche segnalato quanto ha ritenuto la Corte dei conti, secondo cui «Se ... i rischi contrattuali sono correttamente allocati in capo all'operatore economico privato, in aderenza alle decisioni Eurostat ... richiamate dall'art. 3, comma 1, lett. eee), del d.lgs. n. 50/2016, l'operazione non va qualificata in termini di indebitamento (rectius, debito) per la P.A. committente, ma ritenuta, come detto in gergo, «off balance». Al contrario, nel caso in cui la locazione finanziaria di opere pubbliche, come altro contratto di PPP, mascheri l'assunzione di debito per la P.A. committente, in quanto i rischi sono allocati prevalentemente su quest'ultima (in virtù di garanzie, clausole di indicizzazione dei prezzi, mancata decurtazione del canone in assenza del godimento del bene, adeguamento del corrispettivo di riscatto in caso di incremento dei costi di costruzione, etc.), allora il contratto viene considerato fonte di debito per la P.A. (e, come tale, va contabilizzato on balance)» (C. conti, sez. contr. Lombardia, n. 359/2019/P.A.R. del 24 settembre 2019). Schema-tipo di contratto di PPP adottato da MEF e ANAC: fondamentale modello di riferimentoDa più parti si avvertiva l'esigenza di disporre di uno schema-tipo di contratto di PPP che costituisse un modello di riferimento per le stazioni appaltanti, ferma la possibilità di adeguamento in relazione alle specifiche esigenze concrete. Al fine di rispondere a tale esigenza la Ragioneria Generale dello Stato ha istituito nel 2013 un gruppo di lavoro per la predisposizione dello schema di contratto di concessione per il partenariato pubblico privato. La predisposizione di contratto-tipo è volta non solo al fine di fornire una guida per la predisposizione di contratti di partenariato pubblico privato costruiti in ragione di una corretta allocazione dei rischi tra le parti negoziali che consenta di qualificare l'operazione di partenariato come una concessione e non come un appalto, ma anche, sotto il profilo economico, di conseguire un corretto value for money e, infine, sotto il profilo contabile e statistico, di consentire la classificazione dell'operazione off balance e di contabilizzare quindi il valore totale della stessa operazione (parte pubblica e parte privata) sul bilancio dell'ente concedente come non generativa di nuovo debito e di nuovo deficit con effetti positivi per la finanza pubblica. In relazione a tali esigenze sono ritenuti essenziali alcuni aspetti contrattuali, in particolare la corretta definizione degli obblighi e delle prestazioni di ciascuna parte in fase di costruzione e gestione; delle modifiche contrattuali; delle vicende estintive del rapporto concessorio; dei termini, delle modalità di pagamento e delle decurtazioni del corrispettivo per i servizi erogati dal concessionario e, infine, dei presupposti e le condizioni di base determinanti l'equilibrio economico-finanziario del rapporto e le cause di disequilibrio. Nella predisposizione dello schema peraltro sono apparse particolarmente complesse sotto il profilo interpretativo due questioni, la prima attinente ai lavori affidati dal concessionario di un PPP, ed in particolare se il concessionario sia obbligato ad affidare agli appaltatori eventuali lavori oggetto del contratto attraverso procedure selettive concorsuali o se invece possa scegliere gli stessi con procedure semplificate fermo il rispetto degli obblighi generali di trasparenza, restando salva la libertà del concessionario di affidare lavori o servizi in subappalto a terzi senza il preventivo esperimento di una procedura di gara, la seconda attinente la compatibilità tra il trasferimento del rischio in capo al concessionario e la possibilità riconosciuta dall'art. 175, comma 7, del Codice di apportare modifiche alla concessione in corso di esecuzione. Lo schema licenziato dal MEF presenta, peraltro, alcune discordanze rispetto alle Linee guida ANAC n. 9 del 2018 (cfr. art. 181, comma 4, recanti indicazioni per il monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull'attività dell'operatore economico nei contratti di partenariato pubblico-privato, adottate con la delibera n. 318 del 28 marzo 2018, in particolare, per quanto concerne la matrice dei rischi da allocare tra concedente e concessionario e agli indici di sostenibilità economico-finanziaria, quali il VAN, ritenuto rilevante da ANAC e non dalle Linee guida EPEC – Eurostat). Tale schema è stato sopposto al parere del Consiglio di Stato ai sensi dell'art. 17, comma 25, lett. c), l. 15 maggio 1997, n. 127. Con parere della I Sezione, 28 aprile 2020, n. 823, il Consiglio ha rilevato che se è vero, da un lato, che rientra senz'altro nella competenza di carattere generale delle pubbliche amministrazioni, nei limiti dei propri fini istituzionali stabiliti per legge, il potere di elaborare e pubblicare schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni, allo scopo di orientare e di dare uniformità alla prassi applicativa degli uffici, è altresì vero che, nella specifica materia dei contratti pubblici preordinati alla realizzazione di opere pubbliche, in base al codice di settore, esiste una disciplina normativa di rango primario che regola in modo puntuale, tra i tanti profili, anche quello dell'adozione di Linee guida e contratti tipo e che demanda tale compito all'ANAC (art. 213, comma 2) in base al quale «L'ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell'efficienza, della qualità dell'attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche». Si è quindi chiarito che se l'intenzione delle Autorità richiedenti è quella di dar vita ad un contratto-tipo ex art. 213, comma 2, del Codice dei contratti pubblici – con le relative implicazioni sotto un profilo giuridico – sarà necessario che lo schema di contratto, ora in esame, venga adottato dall'ANAC nel rispetto delle regole applicabili a tale Autorità e non può essere oggetto di solitaria approvazione da parte del MEF. Solo l'ANAC, infatti, in questo contesto ordinamentale ha attribuito dalla legge il compito di assicurare la «omogeneità dei procedimenti amministrativi» e di favorire «lo sviluppo delle migliori pratiche» (art. 213, comma 2, Codice); se tali compiti fossero demandati alle singole amministrazioni, infatti, verrebbe in radice frustrata la possibilità di assicurare l'omogeneità dei procedimenti. Quanto alle divergenze dello schema-tipo rispetto alle Linee guida dell'ANAC n. 9/2018, il Consiglio di Stato osserva che tali divergenze debbano esser risolte, nell'ottica della leale collaborazione, tra Ministero e ANAC in quanto il già richiamato art. 181, comma 4, prevede che per l'adozione delle Linee guida l'ANAC debba sentire il MEF. Tra il Ministero e ANAC è stato sottoscritto uno specifico protocollo di intesa che ha portato, con delibera n. 1116 del 22 dicembre 2020, all'approvazione da parte di ANAC dello schema di «Contratto di concessione per la progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche a diretto utilizzo della Pubblica amministrazione, da realizzare in partenariato pubblico privato». L'approvazione è avvenuta richiamando l'art. 213, comma 2, Codice, precisando che «con l'adozione dello schema di contratto standard, non vincolante, intende fornire alle stazioni appaltanti uno strumento che, mediante una corretta allocazione dei rischi al soggetto privato e un'adeguata bancabilità del progetto, sia capace di promuovere l'efficienza e la qualità dell'attività amministrativa in un settore, quello del partenariato pubblico privato, caratterizzato da un'elevata mortalità delle procedure; che sotto il profilo contabile e statistico, tale strumento può, altresì, rappresentare una guida per le stazioni appaltanti per una corretta classificazione off balance dell'operazione e, quindi, per una contabilizzazione del valore totale della stessa operazione (parte pubblica e parte privata) sul bilancio dell'ente concedente come non generativa di nuovo debito e di nuovo deficit con effetti positivi per la finanza pubblica». Sebbene si tratti di un contratto-tipo non vincolante, pare potersi ritenere che ove seguito dalle stazioni appaltanti, comporti una corretta allocazione dei rischi e la collocazione dell'operazione off balance nel bilancio dell'ente. Alcune precisazioniNel richiamato parere n. 823/2020, il Consiglio di Stato non si sottrae dal rispondere, comunque, ai quesiti posti dal MEF. L'esecuzione dei lavori e la gestione dei servizi da parte dei soggetti terzi La prima questione verte sulle condizioni affinché i soggetti terzi possano qualificarsi come appaltatori rispetto al concessionario e quando, invece, debbano considerarsi subappaltatori e se il concessionario sia obbligato ad affidare agli appaltatori eventuali lavori oggetto del contratto attraverso procedure selettive concorsuali o se invece possa sceglierli con procedure semplificate, fermo il rispetto degli obblighi generali di trasparenza. Il dubbio deriva dal non perfetto coordinamento delle pertinenti disposizioni del Codice dei contratti pubblici: da un lato, l'art. 1, comma 2, lett. c), secondo il quale le disposizioni del Codice si applicano ai lavori pubblici affidati dai concessionari che non sono amministrazioni aggiudicatrici, previsione che, in uno all'art. 164, comma 5 (che stabilisce che i concessionari sono tenuti, per gli appalti di lavori affidati a terzi, all'osservanza della Parte III e delle disposizioni di cui alle Parti I e II in materia di subappalto, progettazione, collaudo e piani di sicurezza, non espressamente derogate dalla Parte III) deporrebbe nel senso della necessità di selezionare i terzi appaltatori mediante procedura di gara; dall'altro lato l'art. 174, comma 2, che prevede che gli operatori economici indicano in sede di offerta le parti del contratto di concessione che intendono subappaltare a terzi, aprendo, dunque, alla possibilità che il concessionario, ove qualificato per i lavori e per i servizi da realizzare e da erogare, possa scegliere liberamente sul mercato le imprese terze, subappaltatrici, per la realizzazione dell'opera e per la gestione del servizio. In quest'ottica il soggetto terzo chiamato a realizzare l'opera dovrebbe essere qualificato come appaltatore nei casi in cui il concessionario non sia qualificato; dovrebbe, invece, essere considerato un subappaltatore quando il concessionario già possegga i requisiti di qualificazione. Un disallineamento tra le norme del Codice vi sarebbe, inoltre, anche nel raffronto tra l'art. 1, comma 2, lett. c), del Codice dei contratti pubblici – che prevede l'applicazione tout court delle disposizioni del Codice medesimo per l'affidamento di lavori da parte dei concessionari che non sono amministrazioni aggiudicatrici – e il successivo art. 164, comma 5, che limita le disposizioni applicabili per gli appalti di lavori affidati a terzi a quelle della Parte III e a quelle inerenti il subappalto, la progettazione, il collaudo e i piani di sicurezza delle Parti I e II, prevedendo, nella sostanza, una procedura semplificata di selezione dell'appaltatore. Secondo il Consiglio, la questione deve essere risolta considerando che l'art. 164 deve essere riferito alle «vecchie» concessioni, assegnate senza gara, mentre il subappalto (art. 174) dovrebbe applicarsi alle concessioni affidate in base al nuovo Codice ad operatori economici «operativi»: infatti, il concessionario, assumendo il rischio operativo legato alla gestione delle opere o dei servizi, non può essere obbligato ad affidare i lavori o i servizi a terzi. Sotto altro aspetto, per garantire l'autonomia delle scelte imprenditoriali, se il concessionario dovesse decidere di avvalersi dell'opera di terzi, non dovrebbe essere costretto a selezionarli mediante gara. Pertanto, con riferimento alle concessioni già in essere, ed aggiudicate in precedenza senza gara, occorre prevedere l'obbligo di indire regolare procedura di evidenza pubblica per la scelta degli appaltatori. Solo in questo modo, infatti, si garantirà la concorrenza. Tali regole, oltre ad essere coerenti con l'art. 1, comma 2, lett. c), Codice, si spiegano alla luce del fatto che, ogni qual volta sia mancata la gara a monte per la scelta del concessionario, è necessario garantire la concorrenza a valle, prevedendo delle gare pubbliche, per la scelta degli appaltatori. Sulla base poi del chiaro disposto dell'art. 164, comma 4, le procedure di evidenza pubblica dovranno necessariamente essere rispettate in relazione «agli appalti di lavori pubblici affidati dai concessionari che sono amministrazioni aggiudicatrici», ove con il termine amministrazione aggiudicatrici si intendono «le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti» (art. 3, comma 1, lett. a). Ciò rende coerenti, come detto, l'art. 1, comma 2, lett. c), l'art. 164, comma 4, e l'art. 177, Codice. Proprio tale ultima norma, infatti, con le sue disposizioni di dettaglio, è la conferma della necessità di imporre regole concorrenziali, seppure a valle, in una certa misura, quando sono mancate le gare a monte. Con riferimento ai concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici – e che dunque sono stati scelti previo esperimento di gara pubblica – per gli appalti di lavori affidati a terzi sono tenuti all'osservanza delle disposizioni contenute agli artt. 164-178 (Parte III del Codice) nonché delle disposizioni di cui alle Parti I e II del Codice in materia di subappalto, progettazione, collaudo e piani di sicurezza, purché non derogate dalla Parte III. Da ciò si ricava che tali concessionari, essendo stati scelti normalmente tramite gara e non rientrando tra le amministrazioni aggiudicatrici, potranno ricorrere al subappalto, più che all'appalto, nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 174 Codice che, icasticamente, richiama anche l'art. 30 destinato ad individuare, tra l'altro, i principi generali cui si deve uniformare la disciplina degli appalti e delle concessioni. L'operatività dell'art. 175 Altra questione riguardava la compatibilità delle modifiche previste dall'art. 175, e in particolare la compatibilità degli eventi non riconducibili al concessionario, che devono consentire il riequilibrio del piano economico finanziario a favore del concessionario, con le previsioni di cui all'art. 175, comma 7, che introduce una presunzione legale della natura sostanziale della modifica della concessione «se almeno una delle seguenti condizioni è soddisfatta: a) la modifica introduce condizioni che, ove originariamente previste, avrebbero consentito l'ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l'accettazione di un'offerta diversa da quella accettata, oppure avrebbero consentito una maggiore partecipazione alla procedura di aggiudicazione; b) la modifica altera l'equilibrio economico della concessione a favore del concessionario in modo non previsto dalla concessione iniziale; c) la modifica estende notevolmente l'ambito di applicazione della concessione; d) se un nuovo concessionario sostituisce quello cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato la concessione in casi diversi da quelli previsti al comma 1, lett. d)» ossia in base a una clausola di revisione in conformità della lett. a) oppure quando al concessionario iniziale succeda, in via universale o particolare, a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico. Su tale quesito, il Consiglio di Stato si limita ad osservare che «in relazione a tale delicato profilo sia sommamente opportuno fare esclusivamente un rinvio alle disposizioni di legge, onde evitare che il sovrapporsi delle regole possa generare contenzioso». Peraltro, non sembra potersi ravvisare una vera e propria incompatibilità ed anzi può ritenersi che laddove lo squilibrio economico-finanziario della concessione non sia addebitabile al concessionario e non dipenda da rischi che il medesimo si è assunto, non vi sia ragione per ritenere che il riequilibrio possa essere raggiunto attraverso una modifica disposta ai sensi dell'art. 175, comma 7. L'essenzialità degli indicatori finanziari Ulteriore questione riguarda le indicazioni fornite da Eurostat per l'identificazione e l'accurata valutazione dei rischi connessi ai contratti di PPP, con riferimento tra l'altro al richiamo agli indicatori finanziari del TIR e del minimo DSCR, mentre risulterebbe, diversamente dalle Linee Guida ANAC n. 9, irrilevante il VAN. Con riferimento a tale questione, pur non entrando nel merito degli indicatori finanziari, il Consiglio di Stato «non può che condividere, in linea di massima, la scelta di adesione ai suddetti indicatori di fonte Eurostat». Il rischio amministrativo Si tratta di un rischio che molto spesso costituisce un deterrente per gli investitori privati. Il Consiglio lo affronta sotto il profilo dell'accollo del rischio relativo al ritardo nell'ottenimento dei titoli autorizzativi necessari alla realizzazione dell'opera. In via generale, si osserva che il riparto tra concedente e concessionario di tali oneri deve essere calibrato, per un verso, con riferimento all'oggetto della concessione che si vuole porre in essere e, per altro verso, alla necessità di evitare «fughe di responsabilità» sulla base di asserite mancanze (in realtà non) imputabili alla controparte. Il punto del corretto e funzionale assetto dei rispettivi impegni nell'assicurare l'acquisizione tempestiva di tutti i titoli autorizzativi necessari per la realizzazione del progetto assume, deve rammentarsi, un rilievo essenziale per la buona riuscita complessiva dell'iniziativa, come peraltro sottolineato anche dal legislatore della legge di delega n. 11/2016 che, nell'art. 1, comma 1, punto ttt), ha imposto di garantire «altresì l'acquisizione di tutte le necessarie autorizzazioni, pareri e atti di assenso comunque denominati entro la fase di aggiudicazione». Il valore residuo Infine, ci si chiede se debba essere sempre prevista la corresponsione al concessionario del valore residuo delle opere al termine della concessione, posto che la Guida EPEC-Eurostat (pag. 115) ammette la possibilità che l'opera passi al concedente al termine del contratto, senza il pagamento di un valore residuo. Secondo il Consiglio non si ravvisano profili di illegittimità se c'è un'evidenza che i costi d'investimento e quelli sostenuti durante il ciclo di vita del progetto del partner saranno recuperati attraverso i ricavi che riceverà per tutto il periodo del contratto PPP e se la fase di gestione dura almeno 10 anni non evidenziano, a giudizio della Sezione, elementi di rilevanza in punto di legittimità. Finanza di progetto. Locazione finanziaria. Contratto di disponibilità. Affidamento a contraenteDall'art. 180, comma 8 del d.lgs. n. 50/2016, si ricava che le forme di collaborazione fra la P.A. e i soggetti privati nello svolgimento di attività d'interesse generale non si esauriscono nell'affidamento di concessioni di lavori o di servizi ma rinvengono nella prassi una molteplicità di manifestazioni applicative. Come detto, infatti, il partenariato pubblico-privato, piuttosto che configurare un tipo contrattuale autonomo, può essere qualificato come un modulo procedimentale comprensivo di fattispecie distinte, ciascuna delle quali condivide la comune preordinazione alla gestione imprenditoriale di un'operazione economicamente complessa. Nell'ambito di tali tecniche negoziali la finanza di progetto (cd. project financing), disciplinata dagli artt. 183-186 del d.lgs. n. 50/2016, costituisce una delle modalità di realizzazione e gestione di un'opera di pubblico interesse fondata sulla predisposizione del progetto preliminare e del piano economico da parte di un promotore privato, il quale, per il tramite del coinvolgimento di soggetti finanziatori, assume a proprio carico gli oneri derivanti dai costi di esecuzione. Al pari del modello concessorio, i ricavi potenzialmente percepibili dal promotore discendono dal conseguimento del diritto di gestione dell'opera realizzata. Al bando di gara è inoltre affidata la disciplina della costituzione di «società di progetto» fra i soggetti privati che abbiano partecipato all'operazione. Lo scopo di finanziamento costitutivo della tecnica negoziale sottostante al project financing può parimenti riscontrarsi nella locazione finanziaria immobiliare (art. 187 del Codice dei contratti pubblici), consistente nel godimento da parte della stazione appaltante di un'opera la cui realizzazione è previamente affidata ad un imprenditore privato. In tale ipotesi i costi di esecuzione dei lavori, le spese di gestione ed il prezzo di erogazione del credito sono remunerati dalla corresponsione di un canone periodico a carico della P.A., la quale, nel valutare gli strumenti di gestione delle proprie carenze finanziarie, è tenuta ad un puntuale esame delle opzioni di investimento alternative. Passando al contratto di disponibilità, va evidenziato che il rischio ed i costi operativi sono sostenuti dal partner privato non soltanto per la realizzazione di un'opera destinata all'esercizio di un pubblico servizio ma anche per garantire la «costante fruibilità» della medesima (art. 3, lett. hhh). Peraltro, la permanenza dell'opera nella proprietà dell'affidatario assicura, per un verso, l'esecuzione di opere funzionali al soddisfacimento degli scopi d'interesse pubblico cui l'amministrazione è istituzionalmente preposta; per altro verso, la trasposizione a carico del privato dei soli rischi di costruzione e di disponibilità, con esclusione di quelli gestori comunemente ascrivibili alle operazioni di concessione. Le forme di remunerazione della «messa a disposizione» sono infatti di volta in volta individuate (art. 188) nel pagamento di canoni di disponibilità, di contributi in corso d'opera ovvero, per il caso del riscatto dell'opera da parte del committente, di un prezzo di trasferimento. Al Titolo III della Parte IV del Codice dei contratti pubblici è infine stabilita la disciplina dell'affidamento a contraente generale (cosiddetto general contractor), delle cui capacità organizzative e finanziarie l'amministrazione si serve per realizzare opere conformi al progetto definitivo posto a base di gara (art. 194). La specialità della fattispecie può rinvenirsi nell'estensione dei compiti affidati al contraente generale, il quale, oltre all'esecuzione dei lavori, assume gli oneri connessi alla predisposizione del progetto esecutivo, al prefinanziamento totale o parziale dell'opera, nonché all'esercizio della potestà di apprensione delle aree. A differenza del contratto di concessione, siffatta modalità di affidamento non implica il trasferimento in capo all'aggiudicatario del rischio operativo, in ragione dell'obbligo di pagamento di un corrispettivo gravante sull'amministrazione a seguito dell'ultimazione dei lavori. L'esercizio di prerogative tipicamente pubblicistiche da parte del contraente generale consente dunque di riconoscere nell'istituto una delle principali manifestazioni applicative della collaborazione tra la P.A. e gli operatori privati nello svolgimento di attività d'interesse generale. BibliografiaCartei, Ricci (a cura di), Finanza di progetto e Partenariato Pubblico-Privato (Temi europei, istituti nazionali e operatività), Napoli, 2015; Cerrina Feroni (cur.), Il partenariato pubblico privato. Modelli e strumenti, Torino, 2011; Di Giovanni, Il contratto di partenariato pubblico privato tra sussidiarietà e solidarietà, Torino, 2012; Dipace, Partenariato pubblico privato e contratti atipici, Milano, 2006. Sui contratti EPC, Benanti C., Contratti di rendimento energetico o di prestazione energetica, Napoli, 2018; Fioritto (a cura di), Nuove forme e nuove discipline del partenariato pubblico-privato, Torino, 2017; Mastragostino (cur.), La collaborazione pubblico-privato e l'ordinamento amministrativo, Torino, 2011; Maugeri, Il contratto di rendimento energetico e i suoi «elementi minimi», in NGCC, 2014, 420 ss. |