Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 192 - (Regime speciale degli affidamenti in house)1(Regime speciale degli affidamenti in house)1 [1. E' istituito presso l'ANAC, anche al fine di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici, l'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house di cui all'articolo 5. L'iscrizione nell'elenco avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l'esistenza dei requisiti, secondo le modalità e i criteri che l'Autorità definisce con proprio atto. L'Autorità per la raccolta delle informazioni e la verifica dei predetti requisiti opera mediante procedure informatiche, anche attraverso il collegamento, sulla base di apposite convenzioni, con i relativi sistemi in uso presso altre Amministrazioni pubbliche ed altri soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici. La domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sotto la propria responsabilità, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all'ente strumentale. Resta fermo l'obbligo di pubblicazione degli atti connessi all'affidamento diretto medesimo secondo quanto previsto al comma 32. 2. Ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche. 3. Sul profilo del committente nella sezione Amministrazione trasparente sono pubblicati e aggiornati, in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in formato open-data, tutti gli atti connessi all'affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione tra enti nell'ambito del settore pubblico, ove non secretati ai sensi dell'articolo 162.] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. [2] Comma modificato dall'articolo 113, comma 1, del D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56. InquadramentoL'in house è un istituto nato, come noto, nel diritto europeo con la finalità di individuare le ipotesi in cui si può derogare alle regole della «concorrenza per il mercato» mediante il ricorso a forme di affidamenti diretti di compiti relativi alla realizzazione di opere pubbliche o alla gestione di servizi pubblici (la nascita dell'istituto è riconducibile al leading case del 1999 Teckal). Si rinvia al commento all'art. 5 per i profili generali dell'istituto, mentre in questa sede si analizzeranno gli aspetti più strettamente operativi. Nel tempo, la giurisprudenza europea ha indicato i requisiti necessari ai fini della configurazione dell'in house: a) la partecipazione interamente pubblica; b) l'esercizio da parte dell'amministrazione di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; c) lo svolgimento dell'attività prevalentemente a favore dell'amministrazione controllante. Le direttive del 2014 hanno, in parte, modificato i tratti distintivi dell'in house: a) ammettendo, eccezionalmente, forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata; b) indicando in modo puntuale nel limite superiore all'80% l'entità dell'attività che deve essere svolta a favore dell'amministrazione pubblica. Sul piano organizzativo, la previsione di forti poteri di gestione del socio pubblico nella forma del controllo analogo ha comportato, in questo caso, una rilevante deroga all'assetto organizzativo della società disciplinata dal codice civile (Caia; Fortunato, Vessia). Invero, si ritiene che la società in house non sia un vero e proprio soggetto giuridico mancando il requisito dell'alterità soggettiva rispetto all'amministrazione pubblica. In particolare, si è rilevato che la differenza di più immediato rilievo rispetto alla società di capitali – intesa quale persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce – è la totale assenza di un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell'ente pubblico titolare della partecipazione sociale. Ne consegue che la società in house non pare in grado di collocarsi come un'entità posta al di fuori dell'ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna. Essa non è altro che la longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l'affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo; di talché l'ente in house non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa. Pertanto, la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) si realizza non più in termini di alterità soggettiva, ma con la sola configurabilità di un patrimonio separato, nell'ambito di un'unica persona giuridica pubblica. L'attuazione delle direttive del 2014 è avvenuta sia ad opera dell'art. 5 del Codice (vedi il relativo commento) che del d.lgs. n. 175/2016 creando non pochi problemi di coordinamento. Tali disposizioni e in particolare l'art. 5 del Codice, al cui commento si rinvia, si occupano quindi dei requisiti strutturali necessari alla configurazione dell'in house, mentre l'art. 192 qui in commento si incarica di definire il «regime dell'in house» sotto il profilo «procedimentale» disciplinando: a) i requisiti della motivazione della scelta di procedere con l'affidamento in house; b) la previsione di adeguati livelli di pubblicità e trasparenza anche per gli affidamenti in house; c) l'istituzione, a cura dell'ANAC, di un elenco di enti aggiudicatori di affidamenti in house o che esercitano funzioni di controllo o di collegamento rispetto ad altri enti, tali da consentire affidamenti diretti. Il correttivo 2017, dopo il secondo periodo del comma 1, ha inserito il principio per il quale «L'Autorità per la raccolta delle informazioni e la verifica dei predetti requisiti opera mediante procedure informatiche, anche attraverso il collegamento, sulla base di apposite convenzioni, con i relativi sistemi in uso presso altre Amministrazioni pubbliche ed altri soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici». L'intervento correttivo sul primo comma dell'art. 192 stabilisce, quindi, che attraverso le procedure informatiche (in conformità di quanto previsto dagli artt. 12 e 41 del CAD, di cui al d.lgs. n. 82/2005), si deve procedere alla raccolta delle informazioni per la verifica dei requisiti da parte dell'ANAC ai fini dell'iscrizione nell'elenco delle stazioni appaltanti che operano con affidamenti diretti nei confronti delle proprie società in house. L'onere motivazionaleIl comma 2 dell'art. 192 stabilisce che ai fini dell'affidamento in house «le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche». Disposizione in parte analoga è prevista dall'art. 5, d.lgs. n. 175/2016, alla stregua del quale «l'atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica, anche nei casi di cui all'art. 17, o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite deve essere analiticamente motivato con riferimento alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali di cui all'art. 4, evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa». Al proposito merita segnalare che, con specifico riferimento all'affidamento a società in house del supporto tecnico-operativo per l'avvio delle procedure di affidamento ed accelerare l'attuazione degli investimenti pubblici (in particolare di quelli previsti dal PNRR e dai cicli di programmazione nazionale e dell'Unione europea 2014-2020 e 2021-2027) il d.l. n. 77/2021 (Decreto Semplificazione bis), ha individuato quale punto di riferimento ai fini della valutazione della convenienza le convenzioni stipulate alla centrali di committenza, prededendo espressamente che “Ai fini dell'articolo 192, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016, la valutazione della congruità economica dell'offerta ha riguardo all'oggetto e al valore della prestazione e la motivazione del provvedimento di affidamento dà conto dei vantaggi, rispetto al ricorso al mercato, derivanti dal risparmio di tempo e di risorse economiche, mediante comparazione degli standard di riferimento della società Consip S.p.A. e delle centrali di committenza regionali” (art. 10). I dubbi di compatibilità eurounitaria e costituzionale Si è posto il problema della compatibilità di tale onere istruttorio e motivazionale con il diritto eurounitario. Con tre ordinanze del 2019, la V Sezione del Consiglio di Stato ha prospettato un dubbio di compatibilità con il diritto eurounitario dell'art. 192, comma 2, nella parte in cui colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto, richiedendo una «valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche». Il Consiglio di Stato ha richiamato, in particolare, il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche, di cui all'art. 2, direttiva 2014/23/UE, secondo cui «le autorità nazionali regionali e locali possono liberamente organizzare l'esecuzione dei propri lavori o la prestazione dei propri servizi in conformità del diritto nazionale e dell'Unione», nonché il principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche, che deriverebbe dal Considerando 5 della direttiva 2014/24/UE, ove afferma che «nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva» (Cons. St. V, ord., n. 138/2019; Cons. St. V, ord., n. 293/2019 e Cons. St. V, ord., n. 296/2019). Si tratterebbe, dunque, di un caso di gold plating, peraltro a suo tempo non evidenziato dal Consiglio di Stato in sede di parere sulla bozza di Codice (parere n. 855/2016), in quanto il Codice sarebbe apparentemente andato oltre quanto previsto dalle stesse direttive nell'introdurre limiti all'impiego dell'in house. Pronunciandosi sulla questione la Corte di Giustizia (Corte Giust. UE, Sez. IX, ord.ze, 6 febbraio 2020, C-89/19 e C-91/19) ha chiarito che dal principio di libera autorganizzazione delle autorità pubbliche (di cui al quinto considerando della direttiva 2014/24/UE e all'art. 2, par. 1, della direttiva 2014/23 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione) discende la «libertà degli Stati membri di scegliere il modo di prestazione di servizi mediante il quale le amministrazioni aggiudicatrici provvederanno alle proprie esigenze» e, conseguentemente, quel principio «li autorizza a subordinare la conclusione di un'operazione interna all'impossibilità di indire una gara d'appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all'operazione interna». Con la citata Ordinanza 6 febbraio 2020 n. da C-89/19 a C-91/19, la Corte di Giustizia Europea, sez. IX, si è espressa anche sulle questioni pregiudiziali rimesse dal Consiglio di Stato rispetto alla coerenza dei vincoli all'affidamento in house cd. frazionato o pluripartecipato, imposti dalla normativa italiana, rispetto all'art. 12, par. 3 della direttiva n. 2014/24/UE. Nello specifico il Consiglio di Stato aveva sottoposto alla CGE le questioni di compatibilità con la richiamata Direttiva europea delle norme italiane sul vincolo del perseguimento delle proprie finalità istituzionali delle partecipazioni e del controllo analogo congiunto in caso di affidamento in house a società pluri-partecipata (art. 4, comma 1 del d.lgs. n. 175 del 2016). I giudici europei concludono (punto 47 dell'Ordinanza), che «l'art. 12, par. 3, della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale che impedisce ad un'amministrazione aggiudicatrice di acquisire partecipazioni al capitale di un ente partecipato da altre amministrazioni aggiudicatrici, qualora tali partecipazioni siano inidonee a garantire il controllo o un potere di veto e qualora detta amministrazione aggiudicatrice intenda acquisire successivamente una posizione di controllo congiunto e, di conseguenza, la possibilità di procedere ad affidamenti diretti di appalti a favore di tale ente, il cui capitale è detenuto da più amministrazioni aggiudicatrici». In definitiva, la Corte di Giustizia si è limitata ad osservare che l'art. 12 par. 3 della direttiva 2014/24 UE, nel disciplinare le condizioni in presenza delle quali un'amministrazione può ricorrere all'affidamento in house a favore di un organismo pluripartecipato da amministrazioni pubbliche, richiede l'esercizio del controllo analogo congiunto, senza alcuna indicazione sulle modalità di acquisizione delle partecipazioni. L'esito desta perplessità ove si ritenga che una pubblica amministrazione debba contestualmente deliberare l'acquisizione della partecipazione e l'affidamento del servizio; dato che questi adempimenti spesso vengono posti in essere, per ragioni logiche e pratiche, in una prospettiva non sincronizzata. Non resta dunque che valutare le ricadute che tale pronuncia avrà in futuro nella prassi operativa e gestionale delle Amministrazioni Pubbliche Sempre in merito all'art. 192, comma 2, si è posta altresì la questione di costituzionalità per eccesso di delega nella parte in cui prevede l'obbligo di dare conto «delle ragioni del mancato ricorso al mercato» in caso di affidamento in house (T.A.R. Liguria (Genova) II, ord., n. 886/2018). La Corte costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità, ha rimarcato che le condizioni cui l'art. 192 d.lgs. n. 50/2016 legittima il ricorso all'in house sono conseguenza di una politica pro concorrenziale «più rigorosa rispetto a quanto richiesto dal diritto comunitario, non imposta da quest'ultimo – e, dunque, non è costituzionalmente obbligata, ai sensi del primo comma dell'art. 117 Cost., come sostenuto dallo Stato – ma neppure si pone in contrasto (...) con la citata normativa comunitaria, che, in quanto diretta a favorire l'assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri. È infatti innegabile l'esistenza di un «margine di apprezzamento» del legislatore nazionale rispetto a princìpi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall'ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza «nel» mercato e «per» il mercato» (sent. n. 325/2010; nello stesso senso, sent. n. 46/2013)» (Corte cost., n. 100/2020). Secondo i giudici costituzionali, il divieto di gold plating (che è un principio di diritto nazionale e non europeo) deve essere applicato in conformità alla sua ratio, che è di impedire l'introduzione, in via legislativa, di oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa unionale, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, mentre è evidente che la norma censurata si rivolge all'amministrazione e segue una direttrice pro-concorrenziale, in quanto è volta ad allargare il ricorso al mercato. L'obbligo di motivazione sulle ragioni del mancato ricorso al mercato imposto, infatti, risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa oltre che della tutela e della promozione della concorrenza. Il contenuto dell'onere istruttorio e motivazionale Alla luce della previsione dell'art. 192, come interpretata dal giudice lussemburghese e dal giudice nazionale delle leggi, può dunque affermarsi che ai fini dell'ammissibilità degli affidamenti in house occorre una motivazione analitica sulla opportunità di affidamento del servizio senza gara, al fine di evitare violazione dei principi eurounitari e nazionali in tema di tutela della concorrenza, di apertura al mercato e di massima partecipazione alle gare. Tale motivazione deve articolarsi in relazione a tre specifici aspetti: a) congruità economica dell'offerta; b) ragioni del mancato ricorso al mercato; c) universalità e socialità, efficienza ed economicità del servizio, nonché ottimale impiego delle risorse pubbliche. Si ritiene che la motivazione della scelta dell'in house in ragione dei predetti presupposti debba risultare all'esito di un'accurata istruttoria nel provvedimento che precede l'affidamento in house da individuarsi nella relazione di cui all'art. 34, d.l. n. 179/2012 conv. in l. n. 221/2012, alla stregua del quale «Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste». La giurisprudenza ha chiarito che la scelta compiuta dall'amministrazione in relazione a tali aspetti coinvolge valutazioni discrezionali censurabili in sede giurisdizionale solo se viziate da palesi elementi di erroneità e/o illogicità e che, in ogni caso, non è possibile parcellizzare i singoli aspetti motivazionali – visti come monadi isolate, e non in chiave sistematica – e che il giudice non può sostituire la propria valutazione di convenienza ed efficacia, di socialità e universalità del servizio, con quella fatta propria dall'amministrazione, in tal modo sovrapponendosi a quest'ultima (T.A.R. Puglia (Lecce) II, n. 46/2021). Non sono mancate peraltro ipotesi in cui il giudice amministrativo (T.A.R. Lombardia (Brescia) I, n. 329/2021) ha censurato la motivazione della scelta dell'in house, richiedendo che: a) la congruità economica dell'offerta debba risultare evidente rispetto alla precedente gestione del servizio con forme diverse dall'in house ed in particolare rispetto all'affidamento del servizio con procedura ad evidenza pubblica; b) le ragioni del mancato ricorso al mercato non possano ridursi all'affermazione che non sussiste adeguata concorrenzialità tra gli operatori nel contesto territoriale di riferimento, essendo comunque necessaria una indagine di mercato; c) gli obiettivi di universalità e socialità, efficienza ed economicità del servizio non devono essere conseguibili attraverso il ricorso all'appalto. Dal punto di vista del concreto adempimento di tale onere istruttorio e motivazione si è ritenuto congruo che la scelta tra i diversi modelli (ivi compresa la società mista) possa venire «mediante l'attribuzione di punteggi in relazione ai singoli punti di forza e debolezza (...) Deve quindi ritenersi che attraverso le modalità qui descritte la relazione enunci le «ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta», come richiesto dall'art. 192, comma 2, del Codice dei contratti pubblici» (Cons. St. V, n. 1596/2021). Una disciplina assolutamente speciale è prevista per il settore del trasporto pubblico locale per il quale continua a valere il principio della perfetta alternatività tra l'in house e il ricorso al mercato, come chiarito dalla giurisprudenza (Cons. St. V, n. 4310/2020) secondo cui, come si desume dall'art. 5, comma 2,del regolamento CE n. 1370/2007 del 23 ottobre 2007 e dall'art. 18, lett. a) del Codice (che esclude dal proprio campo di applicazione le concessioni di servizi di trasporto pubblico di passeggeri ai sensi del regolamento CE n. 1370/2007), nel settore del trasporto pubblico locale l'in house providing è una modalità ordinaria di affidamento dei relativi servizi, «perfettamente alternativa al ricorso al mercato» e tale previsione impedisce di applicare la regola prevista dall'art. 192, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, incentrata sulla comparazione tra gli opposti modelli di gestione dell'in house providing e del ricorso al mercato, posto che, per il servizio di trasporto pubblico locale, non è invece previsto un rapporto di regola ed eccezione, cosicché difettano le basi logico-giuridiche della pretesa comparazione. In questo senso si pone anche la giurisprudenza della Corte di giustizia (Corte Giust. UE, Sez. X, 24 ottobre 2019, C-515/18), secondo cui il regolamento n. 1370 del 2007 deve essere interpretato nel senso che le autorità nazionali competenti che intendano procedere all'aggiudicazione diretta di un contratto di servizio di trasporto pubblico locale non sono tenute a pubblicare o comunicare agli operatori economici potenzialmente interessati tutte le informazioni necessarie affinché essi siano in grado di predisporre un'offerta sufficientemente dettagliata e idonea a costituire oggetto di una valutazione comparativa e, dall'altro, a svolgere una valutazione comparativa tra tali offerte. Del resto, la regola è confermata a livello nazionale dall'art. 61 della l. n. 99/2009 (recante disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), secondo cui «anche in deroga alla disciplina di settore» le amministrazioni competenti all'aggiudicazione di contratti di servizio di trasporto pubblico locale «possono avvalersi delle previsioni» di cui al citato art. 5, comma 2, del regolamento n. 1370/2007; a ciò si è aggiunto lo ius singulare consistente nell'ulteriore previsione normativa (cfr. l'art. 21-bis del d.l. n. 119/2018) legittimante in termini generali il modello dell'in house providing per i servizi di trasporto pubblico locale, stante l'espressa non applicabilità della riduzione dei trasferimenti statali ai contratti di servizio «affidati in conformità alle disposizioni, anche transitorie, di cui al regolamento (CE) n. 1370/2007». L'elenco ANACL'art. 192, comma 1, conformemente al criterio direttivo della legge delega, ha istituito presso l'ANAC l'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house. L'iscrizione nell'elenco è operata su impulso del soggetto aggiudicatore, «dopo che sia stata riscontrata l'esistenza dei requisiti, secondo le modalità e i criteri che l'Autorità definisce con proprio atto». La stessa disposizione prevede inoltre che la «domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sotto la propria responsabilità, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all'ente strumentale. Resta fermo l'obbligo di pubblicazione degli atti connessi all'affidamento diretto medesimo secondo quanto previsto al comma 3». Si tratta di una precisazione che il Governo ha introdotto nel testo definitivo del Codice in accoglimento di un rilievo formulato dal Consiglio di Stato nel parere 1° aprile 2016 n. 855, reso sulla bozza del decreto. In quella sede l'organo consultivo aveva affermato che l'iscrizione all'albo ha efficacia dichiarativa e non costitutiva e pertanto aveva suggerito di prevedere che, nelle more della adozione dell'atto con cui l'ANAC definisce requisiti, modalità e criteri per l'iscrizione all'elenco, le amministrazioni potessero comunque disporre affidamenti in house affermando sotto la propria responsabilità il possesso dei requisiti di legge (SPAGNA). In data 29 dicembre 2016 l'ANAC ha approvato lo schema recante «Linee guida per l'iscrizione nell'Elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house, previsto dall'art. 192 del d.lgs. 30/2016». Ottenuto il parere favorevole del Consiglio di Stato (parere della comm. spec. 1° febbraio 2017, n. 282 1S), l'ANAC ha adottato le suddette Linee guida, di carattere vincolante, con delibera 15 febbraio 2017, n. 235 (pubblicata nella G. 17., serie gen., 14 marzo 2017, n. 61). Dopo l'entrata in vigore del correttivo (d.lgs. n. 56/2017), le linee guida sono state aggiornate nel testo approvato con la delibera ANAC 20 settembre 2017, n. 951, che ha ottenuto il parere favorevole della commissione speciale del Consiglio di Stato 21 luglio 2017. Le Linee guida indicano le informazioni che devono essere contenute nell'elenco sia per quanto attiene al soggetto aggiudicatario, sia in relazione all'organismo in house, relativamente tra l'altro al possesso dei requisiti del controllo analogo, dell'attività prevalente e della partecipazione pubblica al capitale (punto 2); individuano i soggetti legittimati e tenuti a richiedere l'iscrizione per potere procedere all'affidamento in house (punto 3); definiscono le modalità di presentazione della domanda, precisando che in caso di controllo congiunto deve essere presentata una sola domanda e che nel caso del controllo a cascata, invertito o orizzontale, la domanda deve contenere tutte le informazioni utili a dimostrare il controllo analogo (punto 4); disciplinano l'avvio del procedimento (punto 5), l'istruttoria per la verifica dei requisiti (punto 6), la comunicazione di variazioni (punto 7), la cancellazione (punto 8). Il procedimento è avviato entro 30 giorni dalla data di presentazione della domanda e deve concludersi entro 90 giorni dall'avvio. È prevista la sospensione del procedimento per approfondimenti istruttori, ma la conclusione deve in ogni caso intervenire entro il centottantesimo giorno. I termini non sono espressamente qualificati come termini perentori, pertanto il loro inutile decorso non esaurisce il potere dell'ANAC di pronunciarsi sull'istanza. All'esito delle verifiche, l'ANAC iscrive il soggetto richiedente nell'elenco e gliene dà comunicazione. Se accerta la carenza dei requisiti richiesti per l'iscrizione, l'Autorità comunica all'interessato le risultanze istruttorie e avvia una fase di contraddittorio che deve comunque concludersi nel termine di trenta giorni. Il soggetto interessato può impegnarsi a eliminare la causa ostativa nel termine di sessanta giorni dall'invio delle controdeduzioni, decorsi i quali l'ANAC dispone definitivamente l'iscrizione o adotta il provvedimento di diniego. Pur a fronte di questa scansione procedimentale, il Consiglio di Stato nel citato parere della comm. spec. 1° febbraio 2017, n. 282, reso sullo schema delle Linee guida, ha confermato che la mera presentazione della domanda di iscrizione all'albo è sufficiente a legittimare l'affidamento in house, avendo l'iscrizione efficacia dichiarativa e non costitutiva. Secondo la ricostruzione del Consiglio di Stato, la domanda di iscrizione nell'elenco ha effetti analoghi a quelli derivanti dalla presentazione di una segnalazione certificata di inizio delle attività private ai sensi dell'art. 19, l. n. 241/1990, poiché «innesca una fase di controllo dell'ANAC, tesa a verificare la sussistenza dei presupposti soggettivi ai quali la normativa – comunitaria e nazionale – subordina la sottrazione alle regole della competizione e del mercato». Tali presupposti legittimanti sono quelli definiti dall'art. 12 della direttiva 24/2014/UE e recepiti nell'art. 5 del Codice e dall'art. 16 del d.lgs. n. 175/2016. Le Linee guida dell'ANAC non possono integrarli o aggiungerne altri, in quanto l'art. 192, comma 1, secondo periodo, attribuisce all'Autorità il potere di fissare le modalità e i criteri di iscrizione, senza attribuire alla stessa Autorità il compito di dettare regole innovative sui requisiti sostanziali dell'istituto. Sulla base di questa considerazione, il Consiglio di Stato nel parere del 1° febbraio 2017 aveva rilevato che i parametri fissati dall'ANAC nello schema delle Linee guida, in particolare in relazione al requisito del controllo analogo, fossero da considerare meramente indicativi in quanto «non fissano una griglia esaustiva» e, parallelamente, aveva formulato alcuni rilievi critici rispetto a singole previsioni che sembravano subordinare l'iscrizione all'elenco a requisiti e condizioni non previste dalla normativa primaria o con essa incompatibili. Il testo definitivo delle Linee guida ha recepito queste indicazioni, precisando che i parametri indicati per configurare il controllo analogo sono a titolo esemplificativo. Se il controllo sul possesso dei requisiti legittimanti ha esito positivo, l'ANAC non adotta alcun atto espresso di carattere autorizzatorio, mentre l'esito negativo del controllo si traduce in un «atto di accertamento negativo, assimilabile a un provvedimento di esercizio del potere inibitorio analogo a quello del citato art. 19 della l. n. 241/1990», che comporta il diniego di iscrizione all'elenco o la cancellazione dallo stesso. Il provvedimento di accertamento negativo, ai sensi della previsione contenuta al punto 5.7 delle Linee guida, comporta l'impossibilità di operare mediante affidamenti diretti nei confronti dello specifico organismo in house oggetto di verifica. In considerazione di questo effetto pregiudizievole, il Consiglio di Stato qualifica tale atto alla stregua di un provvedimento amministrativo, esercizio di potere autoritativo, come tale impugnabile davanti agli organi della giustizia amministrativa. Non è chiaro però se il soggetto legittimato all'impugnazione sia l'amministrazione, che perde la capacità di affidare l'appalto alla società strumentale, oppure quest'ultima, che viene privata della facoltà di ricevere l'affidamento. La versione originaria dello schema delle Linee guida prevedeva che, una volta adottato l'atto di accertamento negativo, i contratti già aggiudicati «devono essere revocati e affidati con le procedure di evidenza pubblica previste dal Codice». Tuttavia, nel parere 2 febbraio 2017, il Consiglio di Stato ha chiesto di espungere dal testo questa previsione, in quanto l'automatica caducazione degli affidamenti in essere e dei contratti già stipulati non trova fondamento in alcuna disposizione legislativa e peraltro non sarebbe conforme «ai principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di salvaguardia della sécurité juridique». Così, nel testo attualmente in vigore, le Linee guida prevedono che «avverso i pregressi affidamenti diretti di appalti e concessioni, l'Autorità può esercitare i poteri di cui all'art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti pubblici» ed è pertanto legittimata ad agire in giudizio impugnando l'affidamento (1-bis) e in ogni caso ad adottare un parere motivato nel quale indica i vizi di legittimità riscontrati; il parere è trasmesso alla stazione appaltante, se questa non si conforma l'ANAC può presentare ricorso entro i successivi trenta giorni (comma 1-ter). Problemi attuali: il CdS chiarisce le coordinate dell'elenco e dei poteri dell'ANACIn sede di parere sulle Linee giuda il Consiglio di Stato ha fornito chiarimenti preziosi che è opportuno riepilogare nei passaggi essenziali. La pubblicità è dichiarativa, ma non meramente notiziale Si richiama, in primo luogo, il già citato parere n. 855/2016 reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato che, muovendo dall'assunto della sufficienza, come fattore di legittimazione all'affidamento domestico, della mera presentazione della domanda, e non dell'effettiva iscrizione nell'elenco, ha dedotto che la pubblicità prevista dal Codice abbia efficacia dichiarativa. Il legislatore non ha, quindi, inteso assoggettare l'esercizio della facoltà di avvalersi del modulo in house a un accertamento costitutivo o a un'iscrizione con efficacia abilitante. Infatti, l'art. 192 non ha ampliato il catalogo dei requisiti sostanziali che consentono all'amministrazione aggiudicatrice o all'ente aggiudicatore l'affidamento di compiti di autoproduzione a «proprie» strutture organizzative, senza procedure competitive e in alternativa al ricorso al mercato secondo logiche di outsourcing. Supportano tale conclusione i seguenti, concomitanti, argomenti: – le condizioni di esclusione di un appalto pubblico (o di una concessione) dall'ambito di applicazione del Codice e, quindi, gli elementi costitutivi della fattispecie dell'affidamento in house, sono dettate esclusivamente dall'art. 5 del Codice – norma di portata generale e «auto-sufficiente» – che non contiene alcun riferimento all'elenco; – in linea di continuità con detta normativa, anche l'art. 16 del d.lgs. n. 175/2016 («testo unico in materia di società pubbliche») fissa i requisiti sostanziali di tale modello alternativo all'esternalizzazione (controllo analogo, attività dedicata, partecipazione pubblica qualificata), senza contemplare il profilo pubblicitario; – i criteri direttivi per il recepimento delle direttive europee vietano l'introduzione, ovvero il mantenimento, di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive medesime (cosiddetto gold plating); – rispetto alle finalità perseguite, da leggere nel quadro europeo di riferimento, sarebbe priva di proporzionalità una regola che, pur in presenza dei requisiti sostanziali, subordinasse la praticabilità dell'affidamento all'iscrizione nell'elenco, paralizzando, nelle more della definizione della procedura pubblicitaria, l'esercizio di un potere discrezionale attribuito dalla legge. Cionondimeno, l'elenco non ha una portata meramente notiziale, volta esclusivamente a sollecitare un controllo esterno del «mercato». Lo attesta in primis, sul piano letterale, la constatazione che, alla stregua del dato testuale dell'art. 192, comma 1, l'iscrizione è disposta «anche al fine di garantire livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici», così sottintendendo la sussistenza di altri e più pregnanti effetti giuridici del meccanismo pubblicitario e dei poteri ad esso connessi. Con espressioni di sicura portata precettiva, poi, la medesima norma stabilisce che la domanda di iscrizione «consente» agli enti pubblici di effettuare «sotto la propria responsabilità» affidamenti diretti e che, prima dell'iscrizione nell'elenco, deve essere «riscontrata (da parte dell'ANAC) l'esistenza dei requisiti» per procedere all'affidamento diretto. In presenza di tale dettato legislativo, la Commissione speciale ritiene di accedere a un'interpretazione, coerente con il sistema normativo di riferimento, in cui la funzione di controllo assegnata all'ANAC sia pienamente compatibile con lo schema funzionale secondo cui l'autoproduzione mediante organismi domestici è subordinata soltanto al rispetto delle condizioni fissate direttamente dalla legge. Effetti abilitanti della domanda ed essenza del potere di controllo dell'ANAC L'impostazione ricostruttiva che meglio concilia i due descritti elementi appare essere la seguente. La domanda di iscrizione nell'elenco – doverosa e presidiata dalle sanzioni di cui all'art. 213 del Codice – non costituisce un atto di iniziativa procedimentale diretto ad assegnare all'amministrazione aggiudicatrice o all'ente aggiudicatore un «titolo» abilitativo necessario per procedere ad affidamenti diretti. Essa ha, piuttosto, una duplice rilevanza. Da un lato – secondo uno schema concettuale che estende al potere amministrativo sottoposto a controllo pubblicistico il paradigma della segnalazione certificata delle attività private di cui all'art. 19 della l. n. 241/1990 – essa consente ex se di procedere all'affidamento senza gara, rendendo operativa in termini di attualità concreta, senza bisogno dell'intermediazione di un'attività provvedimentale preventiva, la legittimazione astratta riconosciuta dal legislatore. Dall'altro lato, detta domanda innesca una fase di controllo dell'ANAC, tesa a verificare la sussistenza dei presupposti soggettivi ai quali la normativa – europea e nazionale – subordina la sottrazione alle regole della competizione e del mercato. Tale controllo, quando si esercita con esito positivo, non si realizza mediante l'espressione di un «consenso», incompatibile con l'assenza di un regime autorizzatorio, bensì si esaurisce nel mero «riscontro» della sussistenza dei requisiti di legge, con conseguente iscrizione che consolida una legittimazione già assicurata, nei termini descritti, dalla presentazione della domanda. La verifica dell'ANAC si traduce in un provvedimento solo se si conclude con un esito negativo (diniego di iscrizione nell'elenco o cancellazione dallo stesso). In tal caso, l'Autorità non adotta un provvedimento di rigetto dell'istanza, bensì un atto di accertamento negativo, assimilabile a un provvedimento di esercizio del potere inibitorio analogo a quello del citato art. 19 della l. n. 241/1990. Tale determinazione rende le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori incapaci (rebus sic stantibus) di procedere (per il futuro) ad affidamenti diretti a quella specifica società. È evidente, infatti, che se la domanda di iscrizione consente all'ente controllato di avvalersi della facoltà legale di affidamento domestico, il rigetto della medesima o la cancellazione dell'iscrizione non può non riverberarsi, per coerenza di sistema, nel venir meno, per il futuro, del presupposto legittimante. L'effetto pregiudizievole evidenziato da tale deminutio consente di qualificare tali atti alla stregua di provvedimenti amministrativi, esercizio di potere autoritativo, come tali impugnabili davanti agli organi della giustizia amministrativa. In assenza di una norma di legge abilitante, e in conformità ai principi europei di tutela del legittimo affidamento e di salvaguardia della sécurité juridique, si deve, invece, escludere che il diniego di iscrizione o la cancellazione possa produrre l'automatica caducazione degli affidamenti in essere e, a fortiori, dei contratti già stipulati. Gli ulteriori rilievi del Consiglio di Stato Su queste basi, il Consiglio di Stato formula i seguenti rilievi ulteriori, che sono stati essenzialmente recepiti nella versione finale delle Linee guida. Le Linee guida non possono integrare, alla stregua dei rilievi che precedono, i presupposti legittimanti l'in house providing, come definiti dall'art. 12 della direttiva 24/2014/UE e recepiti nell'art. 5 del Codice e dall'art. 16 del d.lgs. n. 175/2016, ma devono limitarsi ad una loro prudente esemplificazione. Si propone, quindi, la riformulazione del punto 6 dello schema nel senso di rinviare ai requisiti legali o, in alternativa, di chiarire che i parametri fissati, con particolare riferimento al cd. «controllo analogo», sono esemplificativi e non fissano una griglia esaustiva, che si tradurrebbe in non consentiti precetti integrativi o modificativi delle elastiche regole fissate dalla legge. Va segnalato, a conferma di quanto prima rilevato, che l'art. 192, comma 1, secondo periodo, attribuisce all'ANAC il potere di fissare le «modalità» e i «criteri» di iscrizione, senza investirla del compito di dettare regole innovative sui requisiti sostanziali dell'istituto. Ciò rimarcato in linea di principio, il Consiglio passa all'esame di alcuni punti specifici dell'articolato in subiecta materia. I punti 2.1., 6.3. e 6.3.3. inseriscono, tra i possibili indici della presenza del controllo analogo, anche le prerogative speciali garantite all'ente affidante da non meglio precisati «strumenti di diritto pubblico» o dal «contratto di servizio». Tali indicazioni non sono compatibili con gli strumenti giuridici utilizzabili per realizzare il controllo analogo, come definiti all'art. 16 del citato d.lgs. n. 175/2016. Tale norma, sul presupposto che il soggetto in house non configuri un tipo societario aggiuntivo, ha ritenuto di introdurre le sole deroghe al diritto societario strettamente necessarie alla realizzazione dell'assetto di controllo analogo: la facoltà di attribuzione ai soci di poteri ulteriori rispetto al criterio ordinario di distribuzione delle competenze tra assemblea e amministratori; la possibilità di durata dei patti parasociali superiore a quella massima quinquennale. In tale contesto normativo, gli «strumenti di diritto pubblico» e il «contratto di servizio» non rientrano tra le soluzioni giuridiche attraverso le quali è possibile introdurre nello schema societario il requisito del controllo analogo. Le Linee guida non devono suggerire alle amministrazioni aggiudicatrici deroghe al diritto societario non consentite dall'ordinamento. L'ultimo periodo del punto 6.3. prosegue affermando che il «controllo analogo deve avere ad oggetto sia gli organi che gli atti dell'organismo partecipato e deve riguardare gli aspetti economici, patrimoniali, finanziari, di qualità dei servizi e della gestione». Tale proposizione normativa non pare allineata a quella, più duttile ed essenziale, utilizzata dall'art. 5 del Codice, secondo cui all'amministrazione affidante deve essere consentito di esercitare «un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata». Il punto 6.3.1. individua tre diversi momenti del controllo analogo: ex ante, contestuale, ex post. In primo luogo, l'eccesso di esemplificazione (peraltro, con l'utilizzo di espressioni non prive di indeterminatezza: «documento di programmazione dell'amministrazione aggiudicatrice»; «deliberazioni societarie di amministrazione straordinaria») può avere l'effetto indesiderato di irrigidire oltremodo i margini operativi delle stazioni appaltanti. Qualche riferimento, inoltre, appare ultroneo (il bilancio, secondo il regime del diritto societario, deve già essere approvato dall'assemblea dei soci). Andrebbe, da ultimo, precisato se le tre anzidette modalità «temporali» del controllo analogo siano alternative o (come pare preferibile, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche ricavabili dalla giurisprudenza) cumulative. Il punto 8.8. prevede che, dalla data di cancellazione dall'elenco, «i contratti già aggiudicati devono essere revocati e affidati con le procedure di evidenza pubblica previste dal Codice. La continuità del servizio può essere garantita disponendo che, nelle more dello svolgimento delle procedure di gara, l'esecuzione del contratto prosegua da parte dell'organismo controllato». La disposizione, come prima accennato, non gode della necessaria copertura legislativa. Il legislatore non assegna all'ANAC un potere di diretto annullamento straordinario dell'affidamento disposto senza gara o di revoca dei contratti già stipulati, ma il diverso potere di raccomandazione, finalizzato alla rimozione dell'atto illegittimo da parte della pubblica amministrazione che lo abbia adottato (art. 211, comma 2, del Codice dei contratti pubblici; sulla natura giuridica dell'istituto della raccomandazione, si rinvia al parere reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato 28 dicembre 2016, n. 2777 sullo schema di regolamento di attuazione predisposto dall'ANAC). È quindi necessario eliminare il secondo periodo del punto 8.8. e i precetti che trovano fondamento sull'atecnica e irrituale fattispecie di revoca del contratto ivi prevista, introducendo una norma che richiami il potere dell'ANAC di verificare la sussistenza dei presupposti per l'adozione di una raccomandazione vincolante, ex art. 211, comma 2, cit., finalizzata all'eliminazione dell'affidamento contra legem. La «sorte» del contratto, peraltro, resta disciplinata dalle apposite norme in tema di risoluzione (art. 108 del Codice), recesso (art. 109 del Codice) e inefficacia (art. 121 c.p.a.). Va soggiunto, per completezza, che la previsione della revoca del contratto è anche eccentrica rispetto all'art. 16 del citato d.lgs. n. 175/2016 sulle società pubbliche, il quale, in caso di mancato rispetto del requisito dell'attività prevalente (produzione «internalizzata» inferiore ad oltre l'80% del fatturato), non prevede lo scioglimento automatico del contratto, bensì attribuisce all'affidatario (e, indirettamente, all'ente controllante) la possibilità di scegliere se rientrare nei limiti della soglia, ovvero recedere unilateralmente da tutti i rapporti in affidamento diretto. I punti 5.6. e 8.7. stabiliscono che i provvedimenti di rigetto dell'iscrizione e di cancellazione dall'elenco devono indicare il termine e «l'autorità cui è possibile ricorrere per ottenere l'annullamento del provvedimento stesso». Sarebbe utile precisare, sul punto, la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto si controverte su atti esercizio di potere autoritativo inerenti o, almeno, collegati alla materia degli affidamenti pubblici. Si propone quindi, sulla falsariga della previsione contenuta in entrambi i commi dell'art. 211 del codice, la precisazione che il provvedimento di rigetto o di cancellazione «è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa». Ai sensi del punto 8.2., il procedimento di cancellazione è avviato anche laddove «l'Autorità o gli altri enti preposti alla vigilanza sulle società a partecipazione pubblica accertino il mancato rispetto, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, degli enti aggiudicatori e degli organismi in house nello svolgimento della propria attività, delle disposizioni contenute nell'art. 5 del Codice e negli artt. 4 e 16 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175». Le Linee guida, in coerenza con il sistema normativo, assegnano all'ANAC anche il compito di verificare il rispetto del limite «finalistico» introdotto dall'art. 4 del d.lgs. n. 175/2016. Ai sensi di tale norma, le società in house hanno, infatti, come oggetto sociale esclusivo una o più delle seguenti attività: produzione di un servizio di interesse generale; progettazione e realizzazione di un'opera pubblica; autoproduzione di beni o servizi strumentali; servizi di committenza. Sarebbe utile che le Linee guida esplicitassero meglio i termini di tale tipologia di controllo, integrando ad esempio il punto 2.1., lett. d.7 («Settori di attività»). Il parere interlocutorio del Consiglio di Stato sulle Linee guida ex art. 192, comma 2Con parere interlocutorio 7 ottobre 2021, n. 1614, la Sezione normativa del Consiglio di Stato non si è pronunciata sul merito delle linee guida sottoposte dall'ANAC al suo vaglio in quanto ha ritenuto di dover segnalare, nell'ottica di proficua cooperazione, come le nuove linee guida, all'esame del Collegio, si inseriscono in un contesto giuridico e istituzionale molto dinamico, soprattutto sotto la spinta urgente dello sviluppo e dell'attuazione del PNRR, del Piano nazionale per gli investimenti complementare, del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima e, da ultimo del recente disegno di legge AS 2330 di Delega al Governo in materia di contratti pubblici, presentato dal Governo al Senato in data 21 luglio 2021, con l'obiettivo (tra gli altri) di “...assicurare il perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee mediante l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse”. Tutto ciò premesso, la Sezione ha ritenuto di dover demandare preliminarmente all' Autorità un ulteriore approfondimento sui sopra evidenziati profili di impatto operativo, nel contesto di attuazione del PNRR, sul varo e sul tenore delle linee guida in esame. BibliografiaAA.VV., Le società in house, Napoli, 2020; Antonioli, L'in house providing tra funzione e struttura: controllo analogo congiunto, partecipazione «Pulviscolare» ed eterodirezione della Società, in Riv. dir. pubb. comun., 2020, 599 ss.; Caia, Le società in house: persone giuridiche private sottoposte a peculiare vigilanza e tutela amministrativa, in Giur. comm., 2020, 457 ss.; Fortunato, Vessia, Le «nuove società» partecipate e in house providing, Milano, 2017; Spagna, L'elenco ANAC delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti delle proprie società “in house”. Luci e ombre della nuova disciplina, in Riv. giur. ed., 2019, 67 ss. |