Non basta la colpa del danneggiato ad integrare il caso fortuito

Antonio Scalera
02 Febbraio 2022

Ove il danno consegua all'interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l'agire umano, non basta ad escludere il nesso causale fra la cosa e il danno la condotta lato sensu colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità.
Massima

Ove il danno consegua all'interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l'agire umano, non basta ad escludere il nesso causale fra la cosa e il danno la condotta lato sensu colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa.

Il caso

G. C. convenne in giudizio il Comune di Napoli per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguiti alle lesioni riportate in un sinistro stradale verificatosi il 12.6.2013, in Napoli, allorquando, percorrendo la S.S. 162 alla guida di un motociclo, era finito con la ruota anteriore in una buca presente in corrispondenza di un giunto di dilatazione, perdendo il controllo del mezzo e rovinando al suolo.

Il Tribunale rigettò la domanda.

Provvedendo sul gravame del C., la Corte di Appello lo ha rigettato, osservando che: risultava provata l'anomalia della sede stradale costituita da una buca (delle dimensioni di 21x25 centimetri e profonda 10 centimetri) in corrispondenza di un giunto stradale; 4 «la presenza di una sconnessione del fondo stradale costituisce in tesi una anomalia rispetto all'utente che faccia affidamento sulla normale transitabilità della sede viaria»; tuttavia, tenuto conto delle condizioni di buona visibilità (il sinistro si era verificato alle ore 15,20, in condizioni di tempo sereno e in un tratto rettilineo) e del fatto che la buca aveva «apprezzabili dimensioni» e non era occultata da materiali di sorta, il motociclista avrebbe potuto avvistarla tempestivamente, cosicché l'incidente risultava prevenibile ed evitabile dal C. ove lo stesso avesse prestato la dovuta attenzione alla guida e non avesse proceduto ad elevata velocità; tanto premesso, «sia che si inquadri la fattispecie in esame sotto l'egida normativa dell'art. 2051 c.c. (responsabilità da cose in custodia), ovvero sotto il referente normativo dell'art. 2043 c.c. (cd. insidia o trabocchetto), in entrambe le ipotesi il delineato comportamento colposo dell'utente danneggiato esclude la responsabilità della PA, integrando il c.d. caso fortuito -comprensivo del fatto del terzo e della colpa esclusiva della vittima — che interrompe il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno».

Ha proposto ricorso per cassazione G. C., affidandosi a due motivi.

In particolare, col primo motivo, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2051 e 1227 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c.: richiamate Cass. nn. 2478, 2480, 2482 e 13542 del 2018, lamenta che la Corte territoriale «ha ravvisato gli estremi del caso fortuito, senza valutare che il caso fortuito deve essere connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; assume che la propria condotta di guida «non ha avuto il carattere di autonomia, eccezionalità, imprevedibilità ed inevitabilità tale da escludere la responsabilità del custode, in quanto possa reputarsi "caso fortuito"» e rileva che, quand'anche risultasse accertata una condotta colposa del conducente, ciò non basterebbe di per sé ad escludere la responsabilità del custode, «in quanto occorre, anche, che quella condotta non fosse prevedibile».

La questione

È sufficiente la colpa del danneggiato per ravvisare il caso fortuito ex art. 2051 c.c.?

Le soluzioni giuridiche

Con l'ordinanza in rassegna la Suprema Corte – accogliendo il ricorso proposto da un motociclista, che aveva visto rigettata la domanda di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una caduta causata da una buca stradale - torna ad occuparsi del tema – già noto alla giurisprudenza – del caso fortuito quale causa di esclusione della responsabilità del custode, con particolare riguardo all'ipotesi in cui il caso fortuito sia costituito dalla condotta del danneggiato.

La soluzione offerta dai Giudici di legittimità muove, anzitutto, dalla considerazione che la Corte territoriale, pur avendo formalmente richiamato l'art. 2051 c.c., ha erroneamente ricostruito la fattispecie secondo il paradigma dell'art. 2043 c.c., pervenendo all'esclusione della responsabilità del Comune convenuto, sull'assunto che l'anomalia della strada potesse e dovesse essere rilevata dal motociclista.

Invece, la fattispecie in esame è riconducibile nello schema dell'art. 2051 c.c.

I Giudici di legittimità svolgono, poi, importanti argomentazioni in ordine alla natura e allo schema della fattispecie ex art. 2051 c.c.

Trattasi di responsabilità di natura oggettiva, che discende dall'accertamento del rapporto causale fra la cosa in custodia e il danno, salva la possibilità per il custode di fornire la prova (liberatoria) del caso fortuito, ossia di un elemento esterno che valga ad elidere il nesso causale e che può essere costituito da un fatto naturale e dal fatto di un terzo o della stessa vittima.

L'onere probatorio gravante sul danneggiato si sostanzia nella duplice dimostrazione dell'esistenza (ed entità) del danno e della sua derivazione causale dalla cosa, residuando a carico del custode l'onere di dimostrare la ricorrenza del fortuito; nell'ottica della previsione dell'art. 2051 c.c., tutto si gioca dunque sul piano di un accertamento di tipo "causale" (della derivazione del danno dalla cosa e dell'eventuale interruzione di tale nesso per effetto del fortuito), senza che rilevino altri elementi, quali il fatto che la cosa avesse o meno natura "insidiosa" o la circostanza che l'insidia fosse o meno percepibile ed evitabile da parte del danneggiato (trattandosi di elementi consentanei ad una diversa costruzione della responsabilità, condotta alla luce del paradigma dell'art. 2043 c.c.).

Al cospetto dell'art. 2051 c.c., la condotta del danneggiato può quindi rilevare unicamente nella misura in cui valga ad integrare il caso fortuito, ossia presenti caratteri tali da sovrapporsi al modo di essere della cosa e da porsi essa stessa all'origine del danno in via esclusiva; deve pertanto ritenersi che, ove il danno consegua alla interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l'agire umano, non basti a escludere il nesso causale fra la cosa e il danno la condotta lato sensu colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa.

La Suprema Corte osserva, infine, che quando ricorra una condotta colposa del danneggiato e, tuttavia, essa non abbia i caratteri della imprevenibilità e della imprevedibilità, non significa, peraltro, che - ancorché non integrante il fortuito - non possa assumere rilevanza ai fini della liquidazione del danno cagionato dalla cosa in custodia, ma ciò può avvenire, non all'interno del paradigma dell'art. 2051 c.c., bensì ai sensi dell'art. 1227 c.c. (operante, ex art. 2056 c.c., anche in ambito di responsabilità extracontrattuale), ossia sotto il diverso profilo dell'accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227 c.c., comma 1), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che l'attore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (ex art. 1227 c.c., comma 2), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un'espressa eccezione della controparte.

Osservazioni

L'ordinanza in rassegna si colloca nel solco della giurisprudenza di legittimità che, in tempi recenti, è ritornata ad esaminare i rapporti tra comportamento colposo del danneggiato e caso fortuito.

La responsabilità da cose in custodia è – come è stato ricordato dalla Suprema Corte – una responsabilità di tipo “oggettivo”, il cui accertamento si gioca su un piano “causale”, che prescinde, cioè, dalla colpa.

E, tuttavia, anche in questo ambito, la colpa gioca un qualche ruolo.

È ben vero che l'orientamento che si è venuto affermando è che, al fine di escludere la responsabilità ex art. 2051 c.c. e, dunque, al fine di configurare il caso fortuito, non basta il comportamento colposo del danneggiato. Occorre che questo comportamento assuma i caratteri dell'imprevenibilità e dell'imprevedibilità (si veda, per tutte, Cass. civ., sez. III, ord., 31 ottobre 2017, n. 25837; Trib Milano, 6 luglio 2021, n. 5886).

Cionondimeno, il comportamento colposo assurge al rango di caso fortuito quando la colpa sia talmente grave “da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro” (così Cass. civ., sez. III, 1° febbraio 2018, n. 2481).

È stato, inoltre, affermato che “quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro” (così Cass. civ., Sez. III, 3 aprile 2019, n. 9315).

Se invece il comportamento colposo del danneggiato nella fattispecie concreta non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno, costituita dalla cosa in custodia, ed il danno, esso può anche integrare il concorso colposo del danneggiante nella produzione del danno ai fini dell'art. 1227 c.c., comma 1. Non si può, cioè, sostenere che detto comportamento colposo del danneggiante, integrante fortuito, è rilevante nella fattispecie solo se raggiunge un grado tale da costituire causa esclusiva del danno stesso. Potrebbe, infatti, in concreto, limitarsi ad un livello, per così dire, più basso, integrando in questo caso il fatto colposo concorrente del danneggiante nella produzione dell'evento dannoso (artt. 1227 e 2056 c.c.). Non vi è ragione in questa ipotesi di escludere, con riferimento all'art. 2051 c.c., l'applicabilità dell'art. 1227, comma 1 c.c. L'art. 1227 c.c., comma 1, a norma del quale, quando vi è concorso di colpa del danneggiato, la responsabilità del danneggiante è diminuita secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate, sì applica anche nei casi di responsabilità oggettiva del custode perché è espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso (Cass., ord. n. 34886/2021 ; Cass. Civ., sez. III, 20 luglio 2002, n. 10641; Cass. Civ., Sez. III, 26 aprile 1994, n. 3957; Cass. Civ., Sez. II, 7 giugno 2000, n. 7727).

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