Codice Civile art. 313 - Provvedimento del tribunale (1) (2).Provvedimento del tribunale (1) (2). [I]. Il tribunale, in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero e omessa ogni altra formalità di procedura, provvede con sentenza decidendo di far luogo o non far luogo alla adozione. [II]. L'adottante, il pubblico ministero, l'adottando, entro trenta giorni dalla comunicazione, possono proporre impugnazione avanti la Corte d'appello, che decide in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero. (1) Ai sensi dell'art. 3 l. 5 giugno 1967, n. 431, nelle ipotesi di cui a questo Capo, alla competenza della corte d'appello è sostituita quella del tribunale nel cui circondario l'adottante ha la residenza. Per l'adozione di minorenni è competente il tribunale per i minorenni. (2) Articolo sostituito dapprima dall'art. 65 l. 4 maggio 1983, n. 184 e successivamente dall'art. 30 l. 28 marzo 2001, n. 149. Il testo, nella versione precedente, recitava: «[I]. Il tribunale, in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero e omessa ogni altra formalità di procedura, provvede con decreto motivato decidendo di far luogo o non far luogo alla adozione. [II]. L'adottante, il pubblico ministero, l'adottando, entro trenta giorni dalla comunicazione, possono impugnare il decreto del tribunale con reclamo alla corte di appello, che decide in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero». InquadramentoIl testo dell'art. 313 attualmente vigente costituisce il risultato di ripetute modifiche legislative. In origine era previsto che il provvedimento di adozione dovesse assumere la forma del decreto; poi la legge sull'adozione (l. 4 maggio 1983, n. 184) specificò che il provvedimento doveva essere motivato; infine, la l. 28 marzo 2001, n. 149, impose la forma della sentenza. Il decreto consentiva di non rendere conosciute le circostanze che fondavano l'adozione, a garanzia di una riservatezza che si riteneva esser dovuta. La motivazione fu pretesa per consentire una maggior tutela delle parti e la verifica dell'operato del giudice. La sentenza rappresenta l'ufficializzazione della natura giurisdizionale del provvedimento. Come si riferisce sub art. 291 (paragrafo 1), questa forma dell'atto è stata considerata da una parte della dottrina quale elemento dimostrativo della natura pubblicistica dell'adozione. Si propende a ritenere che la sentenza ha natura ed efficacia costitutiva. Si veda sub art. 312 per quanto concerne il procedimento. La sentenza straniera è automaticamente esecutiva nel nostro ordinamento, alle condizioni di cui all'art. 66 delle norme di diritto internazionale privato dettate dalla l. 31 maggio 1995, n. 218. Le impugnazioniIl secondo comma dell'art. 313 indica nell'impugnazione alla corte d'appello il mezzo di gravame consentito avverso la sentenza che pronuncia sull'adozione. In difetto di ulteriori precisazioni, si era ritenuto da una risalente dottrina che l'impugnazione non configurasse un vero e proprio appello bensì un reclamo, in coerenza alle disposizioni che regolano i procedimenti in camera di consiglio, in generale (Dogliotti, 290). Una siffatta opinione dottrinaria, avrebbe avuto il pregio di eliminare ogni possibile dubbio sul contenuto dell'impugnazione: il reclamo non avrebbe richiesto motivi specifici nel senso preteso dall'art. 342 c.p.c. per il più formale appello. E il gravame avrebbe dovuto essere proposto con ricorso. Per effetto dell'art. 30 della legge 28 marzo 2001, n. 149, che ha novellato l'art. 313 cod. civ., la decisione sulla richiesta di far luogo all'adozione viene assunta, ancorché in esito ad un procedimento che si svolge in camera di consiglio, con sentenza, e non più con decreto motivato come era in precedenza disposto. . Per effetto della detta innovazione il procedimento aveva seguito il modello stabilito per i giudizi in tema di separazione e divorzio: ricorso, decisione collegiale in camera di consiglio, impugnazione con ricorso alla Corte d'appello, decisione camerale sul gravame E aveva dunque abbandonato lo schema tipico del procedimento camerale, imperniato sulla pronuncia di un decreto motivato soggetto a reclamo. E' stato successivamente introdotto dalla riforma processuale di cui al d.lgs. 149/2022 il rito unificato per le controversie in materia di stato delle persone, di minori e di famiglie: nell'ambito della sua sfera di applicazione sono rientrati, per quanto riguarda gli status familiari e personali i giudizi di separazione, di divorzio, di filiazione in genere. In questo senso dispone l'art. 473-bis c.p.c., per il quale le uniche eccezioni da farsi alla sua ampia previsione riguardano, oltre ai casi diversamente previsti, l'adozione dei minorenni e le procedure affidate alle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE. La riserva di applicabilità di norme diverse riguarda soprattutto le norme processuali regolatrici del processo ordinario di primo grado e di impugnazione. Poiché l'adozione di soggetto maggiorenne è costituiva di uno status personale, può sorgere il dubbio che la relativa procedura vada ascritta al novero dei procedimenti soggetti al rito unificato familiare di cui alla norma citata e alle sue successive. L'ampia dizione del testo dell'art. 473-bis, riferito alle controversie in materia di status delle persone giustifica, in astratto, una opinione in senso affermativo. L'originario impianto del codice civile considerava l'adozione nel contesto delle norme dedicate alla filiazione, in genere, e disciplinava le procedure per acquistarne lo status attraverso il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale come pure quelle finalizzate a negarne la verità mediante la contestazione o il disconoscimento. Ammetteva, tuttavia, forme procedurali diverse per l'esercizio di alcune azioni ugualmente producenti effetti sugli status, come era disposto per la separazione, il divorzio, l'interdizione e l'inabilitazione, tutte da trattarsi in camera di consiglio (Titolo II del Libro IV c.p.c.). L'oggetto personalissimo e la natura costitutiva della pronuncia non erano dunque considerati elementi che comportassero una unitarietà di trattamento sotto il profilo processuale mentre erano state ritenute prevalenti considerazioni alternative, quali l'esigenza di una rapida soluzione delle questioni o la sostanziale mancanza di un vero contraddittorio tra parti opposte. Le procedure suddette, già soggette al rito della camera di consiglio, sono state attratte dalla riforma di cui al d.lgs. 149/2022 nel novero di quelle familiari. Nessuna disposizione è stata dettata per l'adozione di maggiorenni. Piuttosto che ad una lacuna legislativa, pare corretto pensare che sia stata data per ferma la normativa antevigente, da desumersi dal disposto degli artt. 313 (decisione in camera di consiglio) e 737 ss. c.p.c.). La natura di sostanziale volontaria giurisdizione del procedimento giustifica questa conclusione. La legittimazione all'impugnazione spetta unicamente all'adottante, al pubblico ministero e all'adottando. L'elencazione è tassativa. Deve intendersi che essa comprenda l'adottato, nel caso in cui l'impugnazione sia da lui proposta avverso la sentenza che dispone la revoca o nega la revoca. Non ha legittimazione all'impugnazione il pubblico ministero, del quale è richiesto unicamente l'intervento. Questo intervento è obbligatorio, nel senso che il pubblico ministero deve essere sentito, deve, cioè, essere posto in grado di esprimere il proprio parere. In difetto delle necessarie comunicazioni ad opera della cancelleria, il procedimento è viziato da nullità rilevabile d'ufficio. Anche il procedimento di impugnazione si svolge nelle forme della camera di consiglio; l'unica condizione richiesta è che sia sentito il pubblico ministero. Nel silenzio normativo, si ammetteva il ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte di appello, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione. Attualmente è consentito il ricorso ordinario, per tutti i motivi di cui all'art. 360, in base al disposto di cui all'ultimo comma di questa disposizione, come sostituita dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (Cass. Sez. 1, n. 22350/11/2004). La giurisprudenza ha affermato che l'impugnazione con reclamo può essere fondata su fatti sopravvenuti, anche se la pronuncia aveva accolto la richiesta iniziale. In proposito si è affermato che la legittimazione ad impugnare il provvedimento non è condizionata dalla presenza di un interesse proprio all'impugnante e che il procedimento è diretto a garantire i preminenti interessi dell'adottando (Cass. n. 4258/1995, in un caso di successivo deterioramento dei rapporti dell'adottante con il coniuge, madre dell'adottando). Quanto alla legittimazione ad impugnare, essa è stata negata al genitore non affidatario, che pur deve prestare l'assenso, in quanto non è compreso tra i soggetti tassativamente indicati nell'art. 313 (Cass. n. 8015/1997). L'incapacità naturale dell'adottando al momento della manifestazione del consenso può essere fatta valere esclusivamente dai soggetti legittimati a proporre il reclamo, ai sensi dell'art. 313 c.c., tassativamente indicati: non potendo trovare applicazione l'art. 428 c.c. (Cass. n. 12556/2012). La mancata comunicazione degli atti al pubblico ministero, che deve essere sentito, cagiona la nullità del procedimento, rilevabile d'ufficio (Cass. n. 13062/2000). La sentenza pronunciata in sede di gravame dalla corte d'appello è ricorribile per cassazione, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ. (Cass. I, n. 2426/2006). 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