Il rapporto tra bancarotta fraudolenta documentale e la violazione degli obblighi di cui all'art. 16 n. 3) l. fall.
15 Marzo 2022
Massima
In tema di concorso di reati, la fattispecie delittuosa disciplinata dagli artt. 220 e 16 n. 3) l. fall., qualora i fatti addebitati abbiano ad oggetto le medesime scritture contabili, è assorbita in quella di bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216, comma 1 n. 2) l. fall. per sottrazione dei libri e delle altre scritture contabili in quanto quest'ultima è maggiormente specifica in ragione dell'elemento soggettivo, il quale è costituito dal dolo specifico dello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori.
In tema di bancarotta semplice, la fattispecie di cui all'art. 217, comma 1 n. 3) l. fall. postula la finalizzazione della condotta, costituita dal compimento di operazioni gravemente imprudenti, a ritardare il fallimento dell'impresa in stato di dissesto per cui, in ragione di tale finalizzazione, essa ha carattere doloso.
In tema di bancarotta semplice, l'elemento soggettivo della fattispecie di cui all'art. 217, comma 1 n. 4) l. fall. è costituito dalla colpa grave, la quale deve essere oggetto di autonomo apprezzamento e non può ritenersi presunta a seguito del mero ritardo nella presentazione della richiesta del proprio fallimento.
Il caso
La vicenda giudiziaria sottoposta all'attenzione della Suprema Corte origina dal ricorso presentato dall'imputato avverso una sentenza della Corte di Appello di Napoli che ne aveva affermato la responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta documentale per avere, in qualità di amministratore di una società a responsabilità limitata, sottratto le scritture contabili allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e recare danno ai creditori nonché per i reati di bancarotta semplice di cui all'art. 217, comma 1 nn. 3) e 4) l. fall. per avere compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento consistite nel non avere nominato un organo di controllo ai sensi dell'art. 2477 c.c., pur ricorrendone i presupposi, ed ancora per avere aggravato il dissesto della società astenendosi dal richiederne il fallimento. Tra le censure mosse alla sentenza di appello merita ricordare come la difesa contestasse la sussistenza sia del reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216, comma 1 n. 2) l. fall., giacché l'imputato avrebbe più volte segnalato la presenza dei registri contabili presso una unità locale della società fallita, per cui al più la sua condotta sarebbe stata inquadrabile nella meno grave fattispecie delittuosa di cui all'art. 220 l. fall, sia dei reati di bancarotta semplice in quanto l'inadempimento dell'obbligo di cui all'art. 2477 c.c. non avrebbe in sé ricadute di rilievo penale né infine essendo stata data prova che la mancata istanza per la dichiarazione del fallimento avesse cagionato l'aggravamento del dissesto. Le appena citate argomentazioni difensive in tema di bancarotta fraudolenta documentale erano ritenute infondate dalla Corte di Cassazione, la quale invece giungeva a conclusioni difformi in riferimento a quelle in tema di bancarotta semplice, per l'effetto annullando con rinvio, in parte qua, la sentenza impugnata.
La questione
Il tema in causa concerne dunque la questione relativa alla rilevanza penale dei casi, non infrequenti, della mancata consegna da parte dell'imprenditore fallito delle scritture contabili nonché della eventuale rilevanza penale del ritardo di questi nel comprendere come siano venute meno le condizioni per continuare utilmente l'attività d'impresa ormai avviata al dissesto, astenendosi dal chiedere il proprio fallimento, e delle azioni eventualmente imprudenti nonostante ciò intraprese. Le soluzioni giuridiche
Nella sentenza qui annotata la Suprema Corte muove, in ragione dei motivi dedotti dal ricorrente, da una sintetica ricognizione della riflessione ermeneutica sul tema dei rapporti tra la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale costituita dalla sottrazione o distruzione delle scritture contabili di cui all'art. 216, comma 1 n. 2) l. fall. (non avendo evidentemente rilievo nell'analisi di detti rapporti l'ulteriore condotta tipica costituita dalla falsificazione delle scritture) e quella di cui all'art. 220 l. fall. per violazione gli obblighi imposti dall'art. 16 n. 3) l. fall. secondo cui con la sentenza dichiarativa di fallimento il Tribunale “ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell'elenco dei creditori, entro tre giorni, se non è stato ancora eseguito a norma dell'art. 14”. La Corte ricorda come tra tali fattispecie delittuose esista una indubbia omogeneità strutturale e funzionale per cui, qualora i fatti addebitati abbiano ad oggetto le medesime scritture contabili, il reato disciplinato dagli artt. 220 e 16 n. 3) l. fall. deve ritenersi assorbito in quello di bancarotta fraudolenta documentale giacché, a fronte di detta omogeneità, la seconda è maggiormente specifica in ragione dell'elemento soggettivo. La prima parte dell'art. 216, comma 1 n. 2) l. fall. postula invero che la condotta tipica sia posta in essere al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, per cui non vi sono dubbi che l'elemento soggettivo del reato sia costituito dal dolo specifico. In ragione di tali premesse, l'argomento difensivo secondo cui la contestazione di bancarotta fraudolenta documentale avrebbe dovuto meglio qualificarsi nel meno grave reato di cui all'art. 220 l. fall. era ritenuto infondato in quanto dalla complessiva condotta dell'imputato, consistita nel non depositare le scritture né nel dare risposta ad una pluralità di solleciti volti a ottenere detto deposito, anche mentendo sul fatto che le scritture si sarebbero trovate in una specifica unità locale della società fallita, si traeva in effetti prova della sussistenza del menzionato dolo specifico, con l'ulteriore conseguenza che le valutazioni in questo senso dei giudici di merito erano ritenute esenti da vizi logici o motivazionali.
In riferimento al reato di bancarotta semplice patrimoniale di cui all'art. 217, comma 1 n. 3) l. fall. la Corte di Cassazione ricorda come le operazioni di grave imprudenza consistano in quelle azioni che, nella speranza di evitare o ritardare il fallimento dell'impresa ormai votata al dissesto, risultino prive di serie e ragionevoli prospettive di successo e dunque vadano oltre anche a quelle “coraggiose” da “extrema ratio” e purtuttavia ragionevolmente capaci di scongiurare il menzionato fallimento. Nel caso di specie l'operazione gravemente imprudente per ritardare il fallimento contestata all'imputato consisteva nell'avere questi omesso di nominare un organo di controllo ai sensi dell'art. 2477 c.c. pur ricorrendone i presupposti. Sul tema i giudici di merito si erano limitati a valorizzare la circostanza che la società fosse sottocapitalizzata, omettendo invece di rappresentare le specifiche ragioni per le quali codesta mancata nomina avrebbe avuto rilievo nel ritardare il fallimento ed ancora omettendo una analisi puntuale sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Quest'ultimo è costituito dal dolo in ragione del fatto che la condotta tipica è caratterizzata dalla menzionata finalizzazione di “ritardare il fallimento”, in questo senso la Corte richiamando e condividendo un conforme precedente (Cass., 20 marzo 2003, n. 24231, in CED Rv. 225938-01).
Quanto alla fattispecie di bancarotta semplice patrimoniale disciplinata dall'art. 217, comma 1 n. 4) l. fall., il cui fatto tipico postula l'aggravamento del dissesto della propria impresa astenendosi dal richiederne la dichiarazione di fallimento o con altra grave colpa, la Corte ricorda come codesto aggravamento debba consistere in un deterioramento della complessiva situazione economico-finanziaria dell'impresa, né potendosi presumere la gravità della colpa dal mero ritardo nell'avanzare la richiesta di fallimento. L'interpretazione contraria appare infatti priva di ragionevolezza giacché il ritardo in questione può derivare da una vasta gamma di dinamiche gestionali che comprendono le valutazioni, ancorché opinabili, sull'efficacia di mezzi ritenuti idonei a procurare nuove risorse. Il fatto oggettivo del ritardo costituisce quindi dato ancora troppo generico perché dallo stesso possa farsi derivare una presunzione assoluta di colpa grave, dipendendo tale carattere dalle scelte che lo hanno determinato. Nel caso al vaglio i giudici di merito avevano ritenuto sussistente il reato in questione ancora una volta valorizzando soltanto come la società fosse sottocapitalizzata e così tendendo erroneamente a sovrapporre i due (al contrario distinti) fatti di bancarotta semplice contestati all'imputato; non era stato dato invece conto dei motivi per cui la mancata richiesta del fallimento della società avrebbe cagionato l'aggravamento del dissesto e sarebbe stata caratterizzata da colpa grave, salvo desumere la sussistenza di quest'ultima, erroneamente, sulla base del mero ritardo nell'avanzare istanza di autofallimento.
Osservazioni
Le conclusioni appena riassunte cui è giunta la Suprema Corte non danno luogo ad alcun particolare novum interpretativo in merito alle questioni analizzate. Il reato di bancarotta fraudolenta documentale prefallimentare è disciplinato dall'art. 216, comma 1 n. 2) l. fall., il quale sanziona l'imprenditore dichiarato fallito che ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Quanto all'individuazione dei soggetti attivi del reato, sicuramente proprio, la disciplina che si trae dagli artt. 216, 217 e 222 l. fall. (bancarotta c.d. “propria”) e dagli artt. 223 comma 1, 224 n. 1) e 227 l. fall. (bancarotta c.d. “impropria”) presuppone un coordinamento con quella civilistica relativa all'obbligo di tenuta delle scritture contabili, il quale è posto a carico soltanto degli amministratori e dei liquidatori sicché detta individuazione si restringe a costoro, salvi evidentemente i casi di concorso nel reato. L'art. 216, comma 1 n. 2) l. fall. in realtà disciplina due distinte fattispecie delittuose: a) l'avere sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili; b) l'averli tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. La fattispecie sub a), che si definisce bancarotta fraudolenta documentale “specifica”, si perfeziona indipendentemente dall'evento costituito dall'impossibilità di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari, che pure certo può verificarsi, ed è caratterizzata dal dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. L'appena citata impossibilità di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari costituisce invece evento della fattispecie sub b), che si definisce bancarotta fraudolenta documentale “generica” o “generale,” ed il cui elemento soggettivo è il dolo generico. In ragione dell'importanza che rivestono le scritture contabili, le quali soddisfano la primaria esigenza di rilevare e documentare i risultati della gestione dell'impresa, assolvendo anche ad una fondamentale funzione strumentale di tutela dei creditori rispetto alle condotte depauperative della garanzia patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c., le violazioni delle regole circa l'esatta loro tenuta sono punite anche dall'art. 217, comma 2 l. fall. (bancarotta semplice documentale) nonché dall'art. 220 l. fall. nel caso in cui il fallito non depositi i bilanci e le scritture contabili entro tre giorni dalla sentenza dichiarativa del fallimento. Tra quest'ultima fattispecie ed il reato di bancarotta fraudolenta documentale specifica per sottrazione o distruzione delle scritture, e salva l'ipotesi in cui esse siano consegnate successivamente ai tre giorni, si registra invero una convergenza sul piano obiettivo per cui appare condivisibile la conclusione della Suprema Corte secondo cui la fattispecie meno grave di cui all'art. 220 l. fall. deve ritenersi assorbita in quella di bancarotta fraudolenta documentale commessa mediante sottrazione del compendio contabile, risultando del tutto omogenea la struttura e l'interesse sotteso ad entrambe le figure di reato ma essendo indubbiamente più specifica, in ragione dell'elemento soggettivo, la seconda (così anche Cass., 2 dicembre 2010, n. 4550, in CED Rv. 249261-01). Quanto infine alle contestazioni di bancarotta semplice, deve osservarsi quanto segue: 1) il fatto tipico di quella disciplinata dall'art. 217, comma 1 n. 3) l. fall. consiste nel compimento di operazioni di grave imprudenza, quali il ricorso al credito rovinoso, per ritardare il fallimento, in proposito non potendosi che condividere le conclusioni della Suprema Corte nel rilevare una carenza motivazionale della pronuncia impugnata circa le ragioni per le quali la mancata nomina dell'organo di controllo avrebbe avuto rilievo in detta finalità di ritardare il fallimento; 2) il fatto tipico della successiva fattispecie di cui al n. 4) consiste nell'omissione della presentazione della richiesta del fallimento della propria impresa cui abbia fatto seguito, eziologicamente, l'aggravamento del dissesto, il quale costituisce evento del reato. Entrambe le fattispecie postulano peraltro che già si sia manifestata l'insolvenza dell'impresa ed in simili situazioni si comprende come le scelte di ricorrere a soluzioni, anche estreme, per sollevare le sorti dell'impresa ovvero di ritardare la presentazione della richiesta del proprio fallimento possano essere certo di non facile adozione. Dunque la valutazione della tipicità dei fatti di bancarotta semplice di cui trattasi, nella più ampia difficoltà di estendere il sindacato giurisdizionale alle scelte imprenditoriali nei termini del “cosa” decidere, non può prescindere dal tener conto delle menzionate difficoltà ed invero lo stesso art. 217, comma 1 l. fall. al n. 3) vuole che l'imprudenza, pur qualificata dall'ulteriore finalità di evitare il fallimento, sia grave ed al n. 4) che la condotta sia qualificata da colpa grave. In realtà l'art. 217, comma 1 n. 4) l. fall., successivamente alla descrizione della condotta tipica costituita della mancata presentazione della richiesta di fallimento, disciplina la diversa ed ulteriore fattispecie delittuosa costituita dall'aggravamento del dissesto cagionato con altra grave colpa. Quest'ultimo inciso peraltro presenta caratteri di ambiguità potendo significare sia che il legislatore abbia considerato come intrinsecamente grave la colpa di chi abbia omesso di chiedere tempestivamente il proprio fallimento, tale omissione così costituendo presunzione assoluta di colpa grave, sia che quest'ultima debba essere oggetto, pure nell'ipotesi di ritardato fallimento, di specifico accertamento. Conclusioni
Le conclusioni cui giunge sul punto la Corte di Cassazione nella sentenza qui in commento appaiono ancora una volta condivisibili, aderendo la Corte alla seconda e più rigorosa tesi, che ormai appare consolidata, ed in particolare riaffermando il principio secondo cui il ritardo nel richiedere il fallimento può seguire anche ad un'opinabile valutazione dell'imprenditore circa l'efficacia dei mezzi ritenuti idonei a procurare nuove risorse, sicché non ogni inerzia può ex se qualificarsi, dal punto di vista subiettivo, in termini di colpa grave.
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