Natura dell'azione proposta dai congiunti del paziente deceduto che non sono "terzi protetti dal contratto”

Ilaria Oberto Tarena
02 Maggio 2022

La responsabilità della struttura sanitaria per i danni da perdita del rapporto parentale, invocati iure proprio dai congiunti di un paziente deceduto, è qualificabile come extracontrattuale. Infatti, il rapporto contrattuale che si instaura fra il paziente e la struttura sanitaria (o il medico) esplica i suoi effetti tra le sole parti del contratto...
Massima

La responsabilità della struttura sanitaria per i danni da perdita del rapporto parentale, invocati iure proprio dai congiunti di un paziente deceduto, è qualificabile come extracontrattuale.
Infatti, il rapporto contrattuale che si instaura fra il paziente e la struttura sanitaria (o il medico) esplica i suoi effetti tra le sole parti del contratto e, pertanto, l'inadempimento della struttura o del professionista genera responsabilità "contrattuale" esclusivamente nei confronti del paziente (responsabilità che, in caso di decesso, può essere fatta valere dai congiunti iure ereditario)”.

Il caso

Tizio agiva in giudizio nei confronti di una azienda ospedaliera per il risarcimento del danno subito a seguito del decesso della propria moglie, sostenendo che la morte della moglie per shock cardiogeno e arresto cardiorespiratorio era stata cagionata da condotte negligenti dei sanitari della struttura.

Il Tribunale riteneva che l'azione proposta da Tizio avesse natura extracontrattuale e quindi rilevava che l'attore non aveva fornito né la prova del nesso di causalità tra la morte della moglie e la condotta dei sanitari, né la prova dell'elemento psicologico, non avendo provato la colpa dei medici e della struttura.

La decisione del Tribunale si fondava sulla consulenza tecnica d'ufficio, da cui emergeva la correttezza della diagnosi posta e della procedura tecnica eseguita. Dalla relazione peritale risultava poi che una serie di circostanze indipendenti dalle cure sanitarie escludevano, con certezza probabilistica, la riferibilità del decesso alla condotta dei medici, con conseguente esclusione del nesso di causa.

La sentenza di primo grado veniva impugnata da Tizio, ma era ugualmente confermata dalla Corte d'Appello, la quale dichiarava inammissibile l'appello ai sensi dell'art. 348-bis c.p.c.

Tizio proponeva allora ricorso per cassazione affidandosi a due motivi.

Con il primo motivo, Tizio lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, affermando che la sentenza impugnata avrebbe disatteso i principi dell'onere della prova del nesso di causalità in tema di responsabilità civile aquiliana, onerando erroneamente l'attore della prova del nesso causale. Secondo Tizio, egli, in quanto attore, avrebbe dovuto solo provare l'esistenza del contratto e l'insorgenza o aggravamento della patologia, allegando un inadempimento dei sanitari astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato.

Col secondo motivo, Tizio censurava l'omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, rilevando che, al contrario di quanto sostenuto dal Tribunale, la consulenza tecnica d'ufficio non avrebbe escluso il nesso causale. Secondo Tizio, dalla relazione peritale emergeva il comportamento negligente dei medici, consistente nell'aver omesso la somministrazione di profilassi antitrombotica. Inoltre, la stretta contestualità tra la condotta dei medici e esito infausto dell'intervento chirurgico doveva ritenersi altamente indicativa di un nesso di causalità.

La questione

La questione principale sottesa al ricorso richiedeva alla Corte di Cassazione di soffermarsi sulla natura dell'azione proposta dal congiunto della paziente deceduta e di qualificarla quindi come azione contrattuale oppure come azione extracontrattuale, per poi valutare quale fosse l'onere probatorio in capo all'attore.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ritiene che entrambi i motivi del ricorso siano infondati.

Nell'esaminare il primo motivo di ricorso, la Cassazione si pronuncia in merito alla natura dell'azione proposta da Tizio, affermando il principio per cui la responsabilità della struttura sanitaria per i danni da perdita del rapporto parentale, invocati iure proprio dai congiunti di un paziente deceduto, è qualificabile come extracontrattuale.

Secondo la Corte, infatti, il rapporto contrattuale si instaura soltanto fra paziente e struttura sanitaria - o tra paziente e medico – e, pertanto gli effetti si esplicano tra le sole parti del contratto. Conseguentemente, l'inadempimento della struttura o del professionista genera responsabilità "contrattuale" esclusivamente nei confronti del paziente.

Diversamente, poiché tra Tizio e la azienda ospedaliera non si è instaurato alcun rapporto contrattuale, l'azione esperita da Tizio ha natura extracontrattuale.

Per l'effetto, la Corte afferma che Tizio avrebbe dovuto provare l'esistenza di un comportamento censurabile, sotto il profilo della colpa, da parte dei medici e il nesso di causalità, confermando così la decisione del Giudice di primo grado.

In relazione al secondo motivo, la Cassazione non ritiene vi sia stata una omessa pronuncia giacché, con la sentenza di primo grado, il Tribunale aveva valutato la possibile riconducibilità della causa del decesso alla mancata somministrazione di eparina, escludendola espressamente sulla scorta delle conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio e delle risposte fornite dai consulenti tecnici d'ufficio alle osservazioni del consulente di parte attrice.

Sull'onere di motivazione, la Cassazione rammenta che quando il giudice di merito aderisce alle conclusioni del consulente tecnico ed abbia tenuto conto dei rilievi dei consulenti di parte, egli esaurisce il suo obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte. Quest'ultime, sebbene non siano espressamente confutate dalla sentenza, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa, al riguardo, configurarsi la fattispecie del vizio di motivazione.

Osservazioni

Il principio per cui l'azione proposta iure proprio dai congiunti avrebbe natura extracontrattuale è stato affermato a più riprese dalla Cassazione negli ultimi anni.

A partire infatti dalla sentenza della Cassazione 8 maggio 2012, n. 6914, che, per prima, ha affermato la natura extracontrattuale di tale azione, si sono succedute numerose pronunce che hanno confermato tale orientamento. In senso conforme troviamo infatti: Cass. civ., sez. VI, 26 luglio 2021, n. 21404; Cass. civ., sez. III, 15 settembre 2020, n. 19188; Cass. civ., sez. III, 9 luglio 2020, n. 14615.

L'orientamento espresso dalla sentenza in commento non ritiene che i congiunti possano rientrare tra i terzi protetti dal contratto, affermando che tale concetto debba avere un ristretto campo di applicazione potendo essere “circoscritto - nell'ambito della responsabilità medica - al solo "sottosistema" in cui vengono in rilievo quelli che, nel modo di lingua inglese, vengono definiti come "wrongful birth damages"" (così, in motivazione, Cass. civ., sez. III, sent. 8 luglio 2020, n. 14258)” (Cass. civ., sez. VI, 26 luglio 2021, n. 21404).

Pertanto, in base a questo orientamento, la figura dei così detti “terzi protetti dal contratto” dovrebbe essere limitata, in ambito di responsabilità medica, ai soli casi di danni da nascita indesiderata. Soltanto in questi ipotesi, l'azione proposta per il risarcimento dai congiunti avrebbe natura contrattuale, mentre, in tutti gli altri casi, l'azione avrebbe natura aquiliana.

Il fondamento di tale tesi risiede nella circostanza che soltanto il contratto concluso dalla gestante con riferimento alle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione sarebbe, per la peculiarità dell'oggetto, l'unico idoneo ad incidere in modo diretto sulla posizione del nascituro e del padre, al punto da farne scaturire una tutela estesa anche a tali soggetti (cfr. Cass. civ., sez. III, 9 luglio 2020, n. 14615).

In un'altra pronuncia, la Cassazione ha aggiunto che: “La figura del contratto con effetti protettivi verso terzi è giustificata con l'argomento che il terzo ha un interesse identico a quello dello stipulante, un interesse che viene coinvolto dalla esecuzione del contratto nello stesso modo in cui è coinvolto l'interesse della parte contrattuale, del creditore della prestazione. Nel contratto tra la struttura e la gestante, l'interesse di quest'ultima è la nascita del figlio: la donna si affida alla struttura sanitaria (o al medico) allo scopo di avere assistenza al parto. L'esecuzione del contratto, si osserva, soddisfa (o lede, in caso di inadempimento) l'interesse dell'altro genitore allo stesso modo di come soddisfa (o lede) l'interesse della gestante contraente. Non v'è dunque motivo di riconoscere azione da contratto all'una ed azione da delitto all'altro” (Cass. civ, sez. III, 15 settembre 2020, n. 19188).

Diversamente, in tutte le altre ipotesi, non vi sarebbe identità di interesse tra paziente e congiunto.

In realtà, in precedenza, l'orientamento maggioritario più risalente della Suprema Corte sosteneva proprio il contrario. L'azione veniva infatti qualificata come contrattuale sul presupposto che la responsabilità della struttura sanitaria verso i congiunti del paziente troverebbe anch'essa titolo nel contratto di “spedalità”, il quale avrebbe “effetti protettivi nei confronti dei terzi”. (cfr. Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972; Cass. civ., sez. III, 2 ottobre 2012, n. 16754, la quale riguarda però proprio una caso di nascita indesiderata).

I due orientamento hanno ricadute differenti per quanto concerne l'onere della prova e il termine di prescrizione.

Secondo il primo orientamento, quello confermato dalla sentenza in commento, l'onere probatorio è quello di cui all'art. 2043 c.c., il quale risulta essere più gravoso per l'attore, dovendo egli provare tutti i presupposti dell'illecito aquiliano, tra cui anche l'elemento psicologico del dolo o della colpa.

Per quanto riguarda il termine di prescrizione, sussiste invece un contrasto giurisprudenziale all'interno dell'orientamento stesso che, allo stato, non consente di affermare con certezza entro quando i congiunti debbano proporre la loro azione.

Con la sentenza della n. 5590 del 20 marzo 2015, la terza sezione della Cassazione aveva infatti sostenuto che il termine di prescrizione fosse quello quinquennale, così come stabilito dall'art. 2947, primo comma, c.c..

Diversamente, con la già citata sentenza n. 21404 del 26 luglio 2021, la sesta sezione della Cassazione ha invece ritenuto che si debba applicare il terzo comma dell'art. 2947 c.c. che prevede che se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applichi anche all'azione civile (nello stesso senso si era già espressa Cass. civ., sez. III, 15 settembre 2020, n. 19188).

Pertanto, in caso di decesso del paziente, troverebbe applicazione il termine di prescrizione previsto per il reato di omicidio colposo, pari a dieci anni, anche solo se il fatto è astrattamente riconducibile a tale reato.

Una ulteriore questione che pone questo orientamento concerne l'individuazione del momento di decorrenza del termine di prescrizione.

Il termine potrebbe infatti decorrere dal momento in cui si è realizzata la condotta illecita, oppure potrebbe essere posticipato ad un momento successivo, cioè a quando i congiunti prendano consapevolezza del danno e delle ripercussioni sulla loro vita.

L'orientamento maggioritario della Suprema Corte avvalora questa seconda tesi e tende pertanto a posticipare il decorso del termine di prescrizione ad un momento successivo (cfr. Cass. 20 aprile 2018, n. 9807) riprendendo la teoria dei “danni da fatto illecito a decorso occulto”, per cui la prescrizione decorre dal momento in cui il danneggiato abbia avuto effettiva percezione dell'illecito, come danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, con l'ordinaria diligenza, e non dal momento in cui il fatto si è verificato (Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28985; Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2010, n. 12699).

D'altra parte però, seguendo questa tesi, si potrebbe anche sostenere, in alcuni casi, che il termine di prescrizione debba essere anticipato rispetto alla data di decesso del paziente, quando, ad esempio, le condizioni del paziente siano gravi e abbiano già comportato lo sconvolgimento della vita dei congiunti.

Diversamente, il secondo orientamento, che qualifica l'azione dei congiunti come contrattuale, onera i congiunti del medesimo onere probatorio che sussisterebbe in capo al paziente: allegare l'inadempimento qualificato da imputarsi alla struttura sanitaria; provare il nesso di causalità tra aggravamento o insorgenza della malattia e l'azione/omissione dei sanitari; provare i danni per cui si agisce.

L'onere della prova è quindi alleggerito in questo caso per l'attore, non dovendo egli provare anche l'elemento soggettivo, essendo invece la struttura a dover provare l'assenza di colpa.

Qualificando l'azione come contrattuale, il termine di prescrizione è quello ordinario, pari a dieci anni ai sensi dell'art. 2946 c.c.

Riferimenti
  • D. Zorzit, Responsabilità del medico anche per la “causa incerta o ignota” e la prescrizione quinquennale per il risarcimento del danno dei prossimi congiunti;
  • D. Zorzit, Il contratto con effetti protettivi a favore del terzo;
  • A. Serpetti di Querciara, Contratto con effetti protettivi verso terzi in ambito sanitario ed effetti del decreto di archiviazione penale sulla prescrizione;
  • A. Serpetti di Querciara, Contratto con azienda sanitaria con effetti protettivi nei confronti del terzo e prescrizione del danno iure proprio.

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