Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 7 - Gestione delle risorse umane (Art. 7 del d.lgs n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 5 del d.lgs n. 546 del 1993 e poi modificato dall'art. 3 del d.lgs n. 387 del 1998)Gestione delle risorse umane (Art. 7 del d.lgs n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 5 del d.lgs n. 546 del 1993 e poi modificato dall'art. 3 del d.lgs n. 387 del 1998) 1. Le pubbliche amministrazioni garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne e l’assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al genere, all’età, all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua, nell’accesso al lavoro, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro, nella formazione professionale, nelle promozioni e nella sicurezza sul lavoro. Le pubbliche amministrazioni garantiscono altresì un ambiente di lavoro improntato al benessere organizzativo e si impegnano a rilevare, contrastare ed eliminare ogni forma di violenza morale o psichica al proprio interno1. 2. Le amministrazioni pubbliche garantiscono la libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca. 3. Le amministrazioni pubbliche individuano criteri certi di priorità nell'impiego flessibile del personale, purché compatibile con l'organizzazione degli uffici e del lavoro, a favore dei dipendenti in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare e dei dipendenti impegnati in attività di volontariato ai sensi della legge 11 agosto 1991, n. 266. 4. Le amministrazioni pubbliche curano la formazione e l'aggiornamento del personale, ivi compreso quello con qualifiche dirigenziali, garantendo altresì l'adeguamento dei programmi formativi, al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di genere della pubblica amministrazione. 5. Le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non ccorrispondano alle prestazioni effettivamente rese. 5-bis. E' fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalita' di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. I contratti posti in essere in violazione del presente comma sono nulli e determinano responsabilita' erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente comma sono, altresi', responsabili ai sensi dell'articolo 21 e ad essi non puo' essere erogata la retribuzione di risultato. Resta fermo che la disposizione di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, non si applica alle pubbliche amministrazioni 2. 6. Fermo restando quanto previsto dal comma 5-bis, per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, [di natura occasionale o coordinata e continuativa,] ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimita' 3: a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalita' dell'amministrazione conferente; b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilita' oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non e' ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario e' consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico 4; d) devono essere preventivamente determinati durata, [luogo,] oggetto e compenso della collaborazione 5. Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione [di natura occasionale o coordinata e continuativa] per attivita' che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo , dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica , ferma restando la necessita' di accertare la maturata esperienza nel settore6. Il ricorso ai contratti di cui al presente comma per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei soggetti incaricati ai sensi del medesimo comma come lavoratori subordinati e' causa di responsabilita' amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo dell'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, e' soppresso. Si applicano le disposizioni previste dall'articolo 36, comma 3, del presente decreto e, in caso di violazione delle disposizioni di cui al presente comma, fermo restando il divieto di costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, si applica quanto previsto dal citato articolo 36, comma 5-quater 7 8 910. (A) 6-bis. Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione 11. 6-ter. I regolamenti di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 , si adeguano ai principi di cui al comma 612. 6-quater. Le disposizioni di cui ai commi 6, 6-bis e 6-ter non si applicano ai componenti degli organismi indipendenti di valutazione di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e dei nuclei di valutazione, nonchè degli organismi operanti per le finalità di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 17 maggio 1999, n. 144 1314. 6-quinquies. Rimangono ferme le speciali disposizioni previste per gli enti pubblici di ricerca dall'articolo 14 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218 1516. ----------------------------- (A) In riferimento al presente comma, vedi: Messaggio INPS - Istituto nazionale previdenza sociale 12 settembre 2023, n. 3180. [1] Comma sostituito dall'articolo 32 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, e successivamente modificato dall' articolo 3, comma 76, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, dall'articolo 46, comma 1, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, dall'articolo 22, comma 2, lettera a), della legge 18 giugno 2009, n. 69, dall'articolo 17, comma 27, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 e dall'articolo 21, comma 1, lettera b) della Legge 4 novembre 2010, n. 183. [2] Comma aggiunto dall'articolo 5, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75. A norma dell'articolo 22, comma 8, del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75, il divieto di cui al presente comma, si applica a decorrere dal 1° gennaio 2018. Per la deroga vedi l'articolo 1, comma 433 della Legge 27 dicembre 2017, n. 205, come modificato dall'articolo 1, comma 1131, lettera f), della Legge 30 dicembre 2018, n. 145 . [3] Alinea modificato dall'articolo 5, comma 1, lettera b), numero 1), del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75. [4] Lettera modificata dall' articolo 1, comma 147, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228. [5] Lettera modificata dall'articolo 5, comma 1, lettera b), numero 2), del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75. [6] Periodo modificato dall'articolo 5, comma 1, lettera b), numero 3), del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75. [7] Comma sostituito dall' articolo 32 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 , successivamente modificato dall' articolo 3, comma 76, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 , nuovamente sostituito dall' articolo 46, comma 1, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 , modificato dall' articolo 22, comma 2, lettera a), della legge 18 giugno 2009, n. 69, dall' articolo 17, comma 27, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 e dall'articolo 4, comma 2, del D.L. 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 ottobre 2013, n. 125. Per l'applicazione dei contratti al presente comma vedi articolo 1, comma 303 della Legge 11 dicembre 2016, n. 232. [8] A norma dell' articolo 35, comma 1, del D.L. 30 dicembre 2008, n. 207 , limitatamente agli enti di ricerca, le disposizioni di cui al presente comma, non si applicano fino al 30 giugno 2009. [9] Periodo modificato dall'articolo 5, comma 1, lettera b), numero 4), del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75. [10] A norma dell'articolo 1, comma 432, della Legge 30 dicembre 2020, n. 178 a decorrere dal 1° luglio 2021, all'AIFA è fatto divieto di stipulare contratti di lavoro di cui al presente comma e si applica il divieto di cui all'articolo 7, comma 5-bis, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001. [11] Comma inserito dall' articolo 32 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. [12] Comma inserito dall' articolo 32 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. [13] Comma aggiunto dall' articolo 3, comma 77, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 e successivamente modificato dall'articolo 5, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75. [14] Vedi deroga di cui all'articolo 1, comma 11 del D.L. 4 novembre 2009, n. 152 [15] Comma inserito dall'articolo 5, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75. [16] Per una deroga alle disposizioni di cui al presente articolo, vedi l'articolo 1, comma 14 del D.L. 10 maggio 2020, n. 30, convertito, con modificazioni, dalla Legge 2 luglio 2020, n. 72 l'articolo 1, commi 5 e 7, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77, l'articolo 2 dell'O.P.C.M. 20 novembre 2020, n. 714, l'O.P.C.M. 11 febbraio 2021, n. 739 e l'articolo 2 dell'O.P.C.M. 16 febbraio 2021, n. 741, l'articolo 2 dell'O.P.C.M. 26 febbraio 2021, n. 747, l'articolo 33, comma 1, del D.L. 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2021, n. 106; l'articolo 34, comma 1, del D.L. 21 marzo 2022, n. 21, convertito con modificazioni dalla Legge 20 maggio 2022, n. 51, come modificato dall'articolo 4, comma 2, del D.L. 27 dicembre 2024, n. 202, non ancora convertito in Legge; l'articolo 12, comma 2, del D.L. 30 marzo 2023, n. 34, convertito con modificazioni dalla L. 26 maggio 2023, n. 56. InquadramentoL'art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 disciplina la gestione delle risorse umane, fissando, da un lato, i principi generalissimi della materia; dall'altro, dettando alcune disposizioni più di dettaglio in tema di contratti di collaborazione e di lavoro autonomo. In primis, il comma 1 dell'art. 7 stabilisce che nell'accesso al lavoro, nel trattamento e nelle condizioni lavorative, nella formazione professionale, nelle promozioni e nella sicurezza sul lavoro vanno garantiti la parità e pari opportunità tra uomini e donne e l'assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al genere, all'età, all'orientamento sessuale, alla razza, all'origine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua. A specificare il quadro normatico in materia sono il d.lgs. n. 215/2003, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica; il d.lgs. n. 216/2003, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro; il d.lgs. n. 198/2006, recante Codice delle pari opportunità tra uomo e donna. Alle pubbliche amministrazioni è impresso, altresì, l'input di garantire che l'ambiente di lavoro sia improntato al benessere organizzativo, impegnandosi a rilevare, contrastare ed eliminare ogni forma di violenza morale o psichica al proprio interno (cfr. anche l'art. 1, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 165/2001). Tra i principi generali in tema di gestione delle risorse umane alle dipendenze della P.A. trova collocazione anche quello della libertà di insegnamento e dell'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca, garantiti sulla scia di quanto disposto dall'art. 33, comma 1, Cost. («l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento»). Lungi dal rilevarsi pleonastica, la disposizione in oggetto si colloca in un'ottica più ampia rispetto a quella della norma costituzionale, in particolare per il riferimento all'autonomia professionale e all'esercizio dell'attività scientifica e di ricerca, unitamente a quella didattica. Sotto il profilo esclusivamente individuale, il rispetto del precetto in esame impone che lo status del dipendente non sia influenzato da valutazioni da parte degli organi gestionali circa le scelte operate nell'esercizio del diritto di libertà riconosciuto. La tutela della libertà di insegnamento e dell'autonomia professionale non è, però, garantita in quanto esclusivo attributo del dipendente preposto alla funzione didattica, scientifica o di ricerca, ma in quanto strumentale al perseguimento di un interesse più generale di rilevanza pubblica. La pubblica amministrazione deve, pertanto, adottare scelte organizzative e di gestione delle risorse umane che non si risolvano in un condizionamento o in un limite alla libertà di insegnamento e all'autonomia professionale (Paolucci, 522). A tutela dei lavoratori in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare e dei dipendenti impegnati in attività di volontariato è, invece, posto il comma 3 dell'art. 7. Esso prescrive alle amministrazioni l'individuazione, a favore di queste categorie, di criteri certi di priorità nell'impiego flessibile del personale, purché compatibile con l'organizzazione degli uffici e del lavoro. Il precetto è chiaramente dettato in funzione protettiva, esprimendo la volontà del legislatore di tutelare, nell'ambito del rapporto lavorativo, interessi personali o sociali, dotati di autonomo rilievo sul piano dell'ordinamento generale; l'influenza così consentita di siffatti interessi nell'ambito del rapporto di lavoro tende ad attenuare, seppure in un quadro di complessive compatibilità, la natura strettamente sinallagmatica e produttivistica del rapporto. Il novero delle disposizioni di principio dell'art. 7 prosegue con quella relativa alla formazione e aggiornamento del personale (compresi i dirigenti), che le P.A. hanno l'obbligo (e anche l'evidente interesse) di curare, garantendo altresì l'adeguamento dei programmi formativi al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di genere della pubblica amministrazione (comma 4). L'ultimo inciso sottolinea l'importanza dell'adozione di un'ottica di genere di carattere trasversale, che consideri le differenze di genere nella trattazione di argomenti formativi non direttamente legati alle pari opportunità. Ne sono manifestazioni: l'utilizzo di un linguaggio non discriminatorio, la produzione delle statistiche del personale ripartite per genere, l'adozione di bilanci di genere, la sensibilizzazione diffusa e partecipata per l'affermazione di una cultura organizzativa orientata al rispetto della parità e al superamento degli stereotipi, anche nell'ottica di una seria azione di prevenzione di qualsiasi forma di discriminazione o violenza contro le donne. Il riferimento primario in materia è dato dal cd. gender mainstreaming, inteso come valore da perseguire in tutti i settori di intervento, codificato nell'articolo 1, comma 4, del Codice delle pari opportunità. Il mainstreaming di genere è il processo di valutazione, da parte delle istituzioni, delle implicazioni per le donne e gli uomini di qualsiasi azione prevista, compresa la legislazione, le politiche o i programmi, in qualsiasi area e a tutti i livelli. È una strategia per includere interessi ed esperienze di donne e uomini come parte integrante della progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione delle politiche e dei programmi nelle sfere politiche, economiche e sociali, in modo che le donne e gli uomini possano trarre uguali benefici, senza perpetuare le disuguaglianze. Infine, al comma 5 dell'art. 7 viene fatto divieto alle amministrazioni di erogare trattamenti economici accessori non corrispondenti alle prestazioni effettivamente rese, allo scopo di rendere le retribuzioni dei dipendenti realmente coerenti con i livelli di effettiva professionalità e produttività. La dimensione del benessere organizzativo.Per benessere organizzativo (o salute organizzativa) si intende la capacità di un'organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale di tutti i lavoratori che operano al suo interno. La motivazione, la collaborazione, il coinvolgimento, la corretta circolazione delle informazioni, la flessibilità e la fiducia delle persone sono tutti elementi che portano a migliorare la salute mentale e fisica dei lavoratori, la soddisfazione degli utenti e, in via finale, ad aumentare la produttività. La nozione di benessere organizzativo si riferisce, quindi, al modo in cui i dipendenti vivono le relazioni con l'organizzazione in cui lavorano, sentono di appartenere all'organizzazione, condividendone i valori, le pratiche, i linguaggi. Essa rappresenta una sintesi delle condizioni culturali e organizzative che determinano la qualità della convivenza in ambito lavorativo (Avallone, Bonaretti). Restano a tutt'oggi fondamentali le indicazioni in tema contenute nella Direttiva del Ministro della Funzione pubblica 24 marzo 2004. Già in quella sede le amministrazioni sono state invitate a valutare e migliorare il benessere all'interno della propria organizzazione operando rilevazioni del livello di benessere organizzativo, raccogliendo le opinioni dei dipendenti sulle dimensioni che determinano la qualità della vita e delle relazioni nei luoghi di lavoro, e realizzando opportune misure di miglioramento per: – valorizzare le risorse umane, aumentare la motivazione dei collaboratori, migliorare i rapporti tra dirigenti e operatori, accrescere il senso di appartenenza e di soddisfazione dei lavoratori per la propria amministrazione; – rendere attrattive le amministrazioni pubbliche per i talenti migliori; – migliorare l'immagine interna ed esterna e la qualità complessiva dei servizi forniti dall'amministrazione; – diffondere la cultura della partecipazione, quale presupposto dell'orientamento al risultato, al posto della cultura dell'adempimento; – realizzare sistemi di comunicazione interna; prevenire i rischi psico-sociali. La citata Direttiva sottolinea che per assicurare il benessere organizzativo le amministrazioni devono prestare attenzione ad una serie di variabili: a. caratteristiche dell'ambiente nel quale il lavoro si svolge, che deve essere salubre, confortevole e accogliente; b. chiarezza degli obiettivi organizzativi e coerenza tra enunciati e pratiche organizzative; c. riconoscimento e valorizzazione delle competenze, stimolando nuove potenzialità, assicurando adeguata varietà dei compiti ed autonomia nella definizione dei ruoli organizzativi nonché pianificando adeguati interventi di formazione; d. comunicazione intraorganizzativa circolare; e. circolazione delle informazioni; f. prevenzione degli infortuni e dei rischi professionali; g. clima relazionale franco e collaborativo; h. scorrevolezza operativa e supporto verso gli obiettivi; i. giustizia organizzativa, intesa come equità di trattamento a livello retributivo, di assegnazione di responsabilità, di promozione del personale e di attribuzione dei carichi di lavoro; l. apertura all'innovazione; m. stress, laddove l'amministrazione deve attivarsi per tenere sotto controllo i livelli percepiti di fatica fisica e mentale nonché di stress; n. gestione della conflittualità, manifesta o implicita. Incarichi e collaborazioni.A partire dalla riforma segnata dal decreto n. 29 del 1993, il ricorso nelle P.A. alle collaborazioni esterne, così come alle tipologie lavorative cosiddette flessibili, si è sviluppato in un contesto caratterizzato dalla assimilazione del settore pubblico all'impresa privata, pur nel riconoscimento della sostanziale differenza delle finalità perseguite. Nell'ultimo quindicennio, tuttavia, il ricorso ad incarichi esterni ad esperti per collaborazioni, consulenze, studi e ricerche è stato oggetto di interventi del legislatore sempre più restrittivi Il cambio di rotta si è reso necessario a causa di un'applicazione distorta degli istituti, come più volte denunciato dalla giurisprudenza contabile. «La normativa ha gradualmente ridotto i margini di discrezionalità delle amministrazioni, sia in termini di presupposti di legittimità che in termini di limiti e vincoli alla spesa. Ed inoltre sono stati notevolmente intensificati i controlli e la vigilanza da parte del Dipartimento della Funzione pubblica e della Corte dei Conti. In realtà, le maggiori e più frequenti degenerazioni si sono manifestate quando, ai vincoli in materia di assunzioni di personale, le amministrazioni hanno risposto, invece che con gli strumenti tipici del contratto di lavoro a termine e delle convenzioni tra enti per la gestione dei servizi e delle funzioni, mediante il ricorso alle collaborazioni e alle consulenze in maniera generalizzata, anche per lo svolgimento di funzioni ordinarie e non temporanee» (Finelli). Divieti e presupposti. L'attuale formulazione del comma 5-bis dell'articolo 7 del decreto n. 165, che apre la disciplina in materia, è tributaria della novella attuata, da ultimo, della riforma Madia (cfr. l'art. 5 del d.lgs. n. 75/2017). Il legislatore delegato ha, in quella occasione, sancito, nella maniera più icastica, il principio del divieto per le amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. I contratti posti in essere in violazione sono nulli e determinano responsabilità erariale. Ai dirigenti che operano in violazione di tali disposizioni va imputata una specifica responsabilità dirigenziale; è, altresì, esclusa, nei loro confronti, l'erogazione della retribuzione di risultato. La norma aggiunge che non trova applicazione, per le pubbliche amministrazioni, la disposizione di cui all'articolo 2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015, per effetto della quale nel settore privato, a far data dal 1 gennaio 2016, la disciplina del rapporto di lavoro subordinato trova applicazione anche alle collaborazioni organizzate dal committente. Il divieto in questione sottolinea l'impossibilità, in ambito pubblico, di un ogni «passaggio» dalla collaborazione al rapporto di lavoro subordinato. Come specificato dal comma 8 dell'art. 22 del d.lgs. n. 75/2017, «il divieto di cui all'articolo 7, comma 5-bis, del d.lgs. n. 165/2001, come introdotto dal presente decreto, si applica a decorrere dal 1 luglio 2019» (data risultante dopo alcune proroghe legislative del termine originario). Ulteriori interventi sono stati recati dall'art. 5 del d.lgs. n. 75/2017 sul testo del comma 6 dell'art. 7 del decreto 165, vera norma base del sistema. Essa puntualizza che solo per specifiche esigenze – cui non possono far fronte con personale in servizio – le amministrazioni pubbliche possono conferire (esclusivamente) incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, fermo il divieto sancito per le collaborazioni organizzate dal committente dal precedente comma 5-bis. Tale facoltà è subordinata alla presenza di una serie di presupposti di legittimità, di seguito evidenziati: a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione; b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico; d) devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione; è, invece, venuto meno il precedente obbligo di determinare preventivamente anche il luogo della collaborazione. In pratica è stato «normativizzato il contenuto tipico del contratto, allo scopo di limitare la discrezionalità dell'ente conferente ed evitare situazioni di illiceità. Il giudice contabile ha emesso numerose sentenze di condanna a fronte di incarichi non sufficientemente determinati e, conseguentemente, di dubbia utilità per l'ente pubblico. L'incarico professionale, in particolare, è senza dubbio illecito ove l'oggetto sia indeterminato, ad esempio costituito da un «supporto all'ufficio», o da una consulenza globale» (Patumi, 914). Il requisito soggettivo della comprovata specializzazione universitaria, richiesto al fine del conferimento dell'incarico individuale, è oggetto di una deroga espressa, da parte del successivo periodo del comma 6 dell'art. 7 in esame, nelle ipotesi di stipulazione di alcuni contratti di collaborazione. Da tale requisito, infatti, si prescinde, per i contratti relativi ad attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell'attività informatica nonché a supporto dell'attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore. Secondo la Circolare n. 2/2008 del Dipartimento della Funzione pubblica, «per quanto concerne il requisito della particolare professionalità l'utilizzo dell'espressione “esperti di particolare e comprovata specializzazione universitaria” deve far ritenere quale requisito minimo necessario il possesso della laurea magistrale o del titolo equivalente, attinente l'oggetto dell'incarico. Non sono tuttavia da escludere percorsi didattici universitari completi e definiti formalmente dai rispettivi ordinamenti, finalizzati alla specializzazione richiesta, in aggiunta alla laurea triennale. Conseguentemente le amministrazioni non potranno stipulare contratti di lavoro autonomo con persone con una qualificazione professionale inferiore. Peraltro, il riferimento all'esperienza ed alla particolarità della competenza, che deve essere coerente con l'oggetto dell'incarico, e la necessità di una procedura comparativa per il conferimento degli incarichi, portano a considerare la necessità di reperire collaboratori che operano da tempo nel settore di interesse. [..] In tutti gli altri casi si dovrà ricorrere, principalmente, alle risorse interne alle amministrazioni o ad altri istituti, quali le assegnazioni temporanee di personale da altre amministrazioni, o valutare, con l'opportuna prudenza, l'eventualità di ricorrere a strumenti diversi, quali gli appalti di servizi». Il ricorso ai predetti contratti di collaborazione e lavoro autonomo per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei soggetti incaricati come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti stessi. Trovano applicazione anche a queste fattispecie le disposizioni previste in tema di abusi nell'utilizzo del lavoro flessibile e di divieto di costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato in caso di violazione della normativa in commento (il rinvio è agli artt. 36, comma 3, e 36, comma 5-quater, del decreto n. 165). Secondo quanto enunciato dal comma 6-bis, le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione. Premesso che la citata norma «si limita a richiedere l'espletamento di una procedura comparativa senza precisare le modalità della stessa, deve ritenersi sufficiente che l'amministrazione pervenga alla stipula del contratto previo esperimento di una procedura idonea ad assicurare una trasparenza ed una comparazione adeguata alla tipologia di contratto che si andrà a stipulare» (C. conti, sez. contr. St., n. 12/2012/PREV). Il modulo comparativo può, pertanto, essere «realizzato anche attraverso un accertamento condotto in concreto sull'esame di documentati curricula, purché finalizzato a conseguire in massimo grado l'interesse pubblico. La scelta finale deve, comunque, essere operata all'esito di un confronto di professionalità che consenta un'effettiva selezione e la conseguente acquisizione di figure soggettive di assoluta e comprovata qualificazione» (C. conti, sez. contr. St., n. 17/2012/PREV). Infine, tre disposizioni, contenute nei commi 6-ter, 6-quater e 6-quinquies dell'art. 7, precisano l'ambito di applicazione della normativa fin qui esaminata. La prima sancisce che i regolamenti di cui al comma 6 dell'articolo 110 del testo unico enti locali (articolo del d.lgs. n. 267/2000 rubricato «Incarichi a contratto») si adeguano ai principi di cui al comma 6 del decreto 165. Per il comma 6-quater, le disposizioni di cui ai commi 6, 6-bis e 6-ter non si applicano ai componenti degli Organismi indipendenti di valutazione (OIV) e dei nuclei di valutazione, nonché degli organismi operanti per le finalità di cui all'articolo 1, comma 5, della l. 17 maggio 1999, n. 144 (relativo alla costituzione di unità tecniche di supporto alla programmazione, alla valutazione e al monitoraggio degli investimenti pubblici). Tale esplicita «esclusione trova la sua motivazione nel fatto che gli incarichi in questione corrispondono per loro stessa natura ai presupposti di legge quali il possesso di una competenza altamente qualificata, la corrispondenza alle attività istituzionali, la durata ed il contenuto dell'incarico predeterminati. Inoltre il regime di pubblicità previsto dal comma 6-bis contraddice le disposizioni speciali vigenti relative alla procedura di nomina, ai requisiti e, talvolta, alla natura della loro funzione di supporto all'indirizzo politico» (così la Circolare n. 2/2008 del Dipartimento della Funzione pubblica). Infine, rimangono ferme le speciali disposizioni previste per gli enti pubblici di ricerca dall'articolo 14 del d.lgs. 25 novembre 2016, n. 218 (cfr. il comma 6 -quinquies). Caratteri delle collaborazioni esterne. Già la Circolare n. 2/2008 del Dipartimento della Funzione pubblica evidenziava che l'art. 7, comma 6, del decreto n. 165, «in relazione al tema delle collaborazioni esterne, qualificate come forma di lavoro autonomo, opera una sola distinzione: quella fra collaborazione occasionale e collaborazione coordinata e continuativa, riconducibili sia alle prestazioni exarticolo 2222 c.c. [Contratto d'opera.] che all'articolo 2230 c.c. [Prestazione d'opera intellettuale]. Si ha collaborazione occasionale nel caso di una prestazione episodica che il collaboratore svolga in maniera saltuaria e autonoma, spesso con contenuto professionale che si esaurisce in una sola azione o prestazione che consente il raggiungimento del fine e dove “il contatto sociale” con il committente sia sporadico. Tale collaborazione, pertanto, potrebbe non essere necessariamente riconducibile a fasi di piani o programmi del committente. Diversamente la collaborazione coordinata e continuativa (art. 409 c.p.c.), che qualora il committente sia una pubblica amministrazione è sempre una prestazione di lavoro autonomo, si caratterizza per la continuazione della prestazione e la coordinazione con l'organizzazione ed i fini del committente, dove, pertanto, quest'ultimo conserva non un potere di direzione, ma di verifica della rispondenza della prestazione ai propri obiettivi attraverso un potere di coordinamento spazio-temporale». Nell'ambito del genus del lavoro autonomo è comunque possibile distinguere diverse sottocategorie (species), differenziando tre principali gruppi (in ragione dei quali, quando si intende conferire un incarico, va accertata la precisa natura): a) lavoro autonomo che deriva dall'esercizio di arti e professioni; b) lavoro autonomo riconducibile a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa; c) lavoro autonomo consistente in attività non esercitate abitualmente dal prestatore. Può essere affidato qualsiasi incarico di collaborazione, sia che si qualifichi come incarico di studio, di ricerca o di consulenza, ovvero di tipo occasionale o saltuario o coordinato e continuativo e professionale. Finalità preminente della normativa che limita incarichi e collaborazioni è, peraltro, la responsabilizzazione delle amministrazioni sul corretto uso delle proprie risorse umane, sviluppando e valorizzando le professionalità interne all'ente per far fronte ai compiti cui questo è istituzionalmente preposto (c.d. principio di autosufficienza organizzativa). Il consulente/incaricato/collaboratore esterno non è un dipendente dell'amministrazione, ma un professionista/operatore che mette a disposizione degli uffici le sue cognizioni in campi determinati, per realizzare un obiettivo specifico. È dunque una risorsa per un progetto in atto, sicché agisce per l'amministrazione, ma non per conto dell'amministrazione. In ciò si differenzia nettamente dai soggetti che stipulano contratti a termine di lavoro subordinato, che sono, invece, legittimati ad assumere la responsabilità di uffici o servizi e ad esercitare funzioni pubbliche, né più e né meno degli altri dirigenti o responsabili di servizio di ruolo. Il rapporto tra l'ente e chi ha l'incarico o la collaborazione esterna è, infatti, necessariamente strutturato nei termini di un contratto di lavoro autonomo, ossia di mera collaborazione con gli uffici. Il «collaboratore, insomma, mette a disposizione di chi esprime la volontà dell'ente, gli elementi per la formazione di tale volontà, ma non può formarla a sua volta, né esprimerla. Esso è «esterno» all'ente: non è un organo, non appartiene all'organizzazione. Risponde, dunque, all'ente in base alla propria competenza professionale» (Oliveri). Le collaborazioni esterne costituiscono comunque un'obbligazione di mezzi nell'ambito delle quali assumono rilevanza la qualità personale, il lavoro personale e l'assenza di un'organizzazione imprenditoriale di mezzi e lavoro altrui subordinato. Di regola, non trova qui applicazione il Codice degli appalti (Cons. St. IV, n. 263/2008). L'articolo 7, comma 6 e seguenti, costituisce la disciplina generale in tema di ricorso alle collaborazioni esterne; pertanto rimangono vigenti tutte quelle previsioni normative che, per specifiche attività, determinano i requisiti dei collaboratori o anche le procedure per l'affidamento dell'incarico, anche per quanto riguarda l'evidenza pubblica (si veda ad es. il caso della progettazione in materia di lavori pubblici). La tassatività delle prescrizioni di cui all'art. 7, comma 6, deriva, come evidenziato da C. conti, sez. aut., n. 6/2008, dalla loro diretta derivazione dai principi di buon andamento e di trasparenza della pubblica amministrazione, nonché di sana e corretta gestione finanziaria. Cfr. anche C. conti sez. centr. II, n. 122/2006, secondo cui «costituisce danno erariale incaricare ripetutamente un extraneus del disbrigo di pratiche rientranti nell'ordinaria amministrazione ed alla portata di qualsiasi funzionario comunale, con il preciso scopo di affidare al suddetto consulente lo svolgimento degli affari del comune, esautorando da tale compito la struttura burocratica». Questioni applicative.Secondo quanto stigmatizzato dalla più rigorosa giurisprudenza, «gli incarichi professionali nella pubblica amministrazione di cui all'articolo 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 devono far fronte a esigenze eccezionali, straordinarie e temporanee, che non possono in alcun modo coprire i fabbisogni ordinari e le esigenze di carattere duraturo, cui gli enti sono tenuti a far fronte attraverso la programmazione triennale del fabbisogno del personale, o attraverso la riqualificazione professionale del personale interno. Le figure professionali che necessitano per la realizzazione delle attività oggetto del conferimento di incarichi di collaborazione professionale non devono essere soggettivamente indisponibili, ma oggettivamente non rinvenibili nell'ambito delle risorse umane a disposizione dell'Amministrazione conferente, la quale non può fare ricorso all'affidamento di incarichi di collaborazione per lo svolgimento di funzioni ordinarie attribuibili a personale rientrante nei ruoli organici» (C. conti sez. centr. contr., n. 11/2016/PREV.; in termini, C. conti, sez. giurisd. Emilia Romagna, n. 501/2008; C. conti sez. giurisd. Calabria, n. 307/2008). Le Pubbliche amministrazioni hanno, quindi, l'obbligo di «far fronte alle competenze istituzionali mediante il più proficuo utilizzo di risorse umane e professionali esistenti nell'ambito delle proprie strutture e il ricorso ad incarichi professionali esterni aventi natura eccezionale può avvenire solo in presenza delle condizioni previste dalle disposizioni legislative in materia [..]; dal ché l'impossibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione esterna per attività ordinarie. In anni ancor più recenti si è poi assistito ad un profluvio di interventi legislativi in materia di incarichi, spesso scoordinati e a poca distanza di tempo tra di loro, sempre mossi dalla preoccupazione di contenere il fenomeno (e la relativa spesa pubblica); sono intervenute in materia (tra le altre) pressoché tutte le ultime leggi finanziarie, il decreto c.d. Bersani (d.l. n. 223/2006, convertito con l. n. 248/2006), il decreto sullo sviluppo economico (d.l. 112/08, conv. con l. n. 133/2008), il d.lgs. n. 150/2009, la manovra economica di cui al d.l. n. 78/2010, conv. con l. n. 122/2010, etc. Il legislatore ha tentato di volta in volta – sempre allo scopo di contenere e scoraggiare il fenomeno – di meglio precisare i presupposti e le condizioni che possono legittimare le amministrazioni pubbliche a ricorrere agli incarichi esterni; ha imposto svariati oneri di pubblicità e comunicazione per le amministrazioni; ha, infine, stabilito severi limiti alla relativa spesa» (C. conti sez. centr. I, n. 577/2011). Per C. conti sez. centr. contr., n. 3/2014, l'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, come modificato dall'art. 1, comma 147, della l. n. 228/2012, «pone il divieto di rinnovo dei contratti di collaborazione. Invero, tale divieto deve essere inteso non solo con riguardo al soggetto destinatario, ma anche e soprattutto con riferimento all'oggetto della prestazione poiché ciò che la norma mira a scongiurare è la ripetizione di un negozio giuridico precedentemente instaurato, seppure nuovo e autonomo rispetto al precedente, che riveli incontestabilmente l'assenza dei requisiti di straordinarietà e limitatezza nel tempo dell'esigenza dell'Amministrazione». Corte cost., n. 252/2009 ha, poi, rilevato il carattere incostituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., della l.r. Marche 29 aprile 2008, n. 7 nella parte in cui consente «il conferimento di incarichi a personale esterno all'amministrazione regionale e l'instaurazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, indipendentemente dal possesso dei requisiti fissati dall'art. 7, comma 6, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. La Regione può derogare ai criteri statali di cui al d.lgs. n. 165 ma solo prevedendo, in alternativa, altri criteri di valutazione ugualmente idonei a garantire la competenza e la professionalità dei soggetti di cui si avvale: nella legge in oggetto, viceversa, non si rinvengono criteri atti ad assicurare che la scelta dei collaboratori esterni avvenga secondo i canoni della buona amministrazione, con la conseguenza che è consentito l'accesso a tali uffici di personale esterno del tutto privo di qualificazione, in modo irragionevole ed in violazione del principio di buon andamento». BibliografiaAvallone, Bonaretti, Benessere organizzativo, Roma, 2003; Finelli, Il conferimento di incarichi di collaborazione autonoma, in lexitalia, 2008; Giardinieri, Prospettive di welfare aziendale e contrattuale nel pubblico impiego, in amministrazioneincammino.luiss.it, 2018; Oliveri, Le differenze intercorrenti tra le collaborazioni esterne e gli incarichi dirigenziali a contratto, in giust.it, 2003; Paolucci, Principi in materia di organizzazione e gestione del personale, in Carinci, D'Antona (a cura di), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Milano, 2000, I, 520; Patumi, L'attribuzione degli incarichi professionali esterni da parte degli enti locali, in Le ist. del federalismo, 2012, 4, 907. |