Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 36 - Personale a tempo determinato o assunto con forme di lavoro flessibile 12 345.

Ciro Silvestro

Personale a tempo determinato o assunto con forme di lavoro flessibile 12 345

1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall'articolo 35.

2. Le amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonche' avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell'impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalita' in cui se ne preveda l'applicazione nelle amministrazioni pubbliche. Le amministrazioni pubbliche possono stipulare i contratti di cui al primo periodo del presente comma soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale e nel rispetto delle condizioni e modalita' di reclutamento stabilite dall'articolo 35. I contratti di lavoro subordinato a tempo determinato possono essere stipulati nel rispetto degli articoli 19 e seguenti del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, escluso il diritto di precedenza che si applica al solo personale reclutato secondo le procedure di cui all'articolo 35, comma 1, lettera b), del presente decreto. I contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato sono disciplinati dagli articoli 30 e seguenti del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, fatta salva la disciplina ulteriore eventualmente prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Non e' possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. Per prevenire fenomeni di precariato, le amministrazioni pubbliche, nel rispetto delle disposizioni del presente articolo, sottoscrivono contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato. E' consentita l'applicazione dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, ferma restando la salvaguardia della posizione occupata nella graduatoria dai vincitori e dagli idonei per le assunzioni a tempo indeterminato 6.

2-bis. I rinvii operati dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ai contratti collettivi devono intendersi riferiti, per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, ai contratti collettivi nazionali stipulati dall'ARAN 7.

3. Al fine di combattere gli abusi nell'utilizzo del lavoro flessibile, sulla base di apposite istruzioni fornite con direttiva del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, le amministrazioni redigono, dandone informazione alle organizzazioni sindacali tramite invio all'Osservatorio paritetico presso l'Aran, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un analitico rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate, con l'indicazione dei dati identificativi dei titolari del rapporto nel rispetto della normativa vigente in tema di protezione dei dati personali, da trasmettere, entro il 31 gennaio di ciascun anno, ai nuclei di valutazione e agli organismi indipendenti di valutazione di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nonche' alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica che redige una relazione annuale al Parlamento 89.

4. Le amministrazioni pubbliche comunicano, nell'ambito del rapporto di cui al precedente comma 3, anche le informazioni concernenti l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili10.

5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non puo' comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilita' e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Nella specifica ipotesi di danno conseguente all'abuso nell'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, fatta salva la facoltà per il lavoratore di provare il maggior danno, il giudice stabilisce un'indennità nella misura compresa tra un minimo di quattro e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo alla gravità della violazione anche in rapporto al numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto11.

[5-bis. Le disposizioni previste dall'articolo 5, commi 4-quater, 4-quinquies e 4-sexies del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 si applicano esclusivamente al personale reclutato secondo le procedure di cui all'articolo 35, comma 1, lettera b), del presente decreto.] 12  13

[5-ter. Le disposizioni previste dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 si applicano alle pubbliche amministrazioni, fermi restando per tutti i settori l'obbligo di rispettare il comma 1, la facolta' di ricorrere ai contratti di lavoro a tempo determinato esclusivamente per rispondere alle esigenze di cui al comma 2 e il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.] 14

5-quater. I contratti di lavoro a tempo determinato posti in essere in violazione del presente articolo sono nulli e determinano responsabilita' erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono, altresi', responsabili ai sensi dell'articolo 21. Al dirigente responsabile di irregolarita' nell'utilizzo del lavoro flessibile non puo' essere erogata la retribuzione di risultato 15.

5-quinquies. Il presente articolo, fatto salvo il comma 5, non si applica al reclutamento del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), a tempo determinato presso le istituzioni scolastiche ed educative statali e degli enti locali, le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica. Per gli enti di ricerca pubblici di cui agli articoli 1, comma 1, e 19, comma 4, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218, rimane fermo quanto stabilito dal medesimo decreto 16.

[2] Articolo sostituito dall'articolo 49 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

[4] A norma dell'articolo 1, comma 432, della Legge 30 dicembre 2020, n. 178 a decorrere dal 1° luglio 2021, all'AIFA è fatto divieto di stipulare contratti di lavoro di cui al presente articolo.

[5] Per una deroga vedi l'articolo 13, comma 1, del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla Legge 6 agosto 2021, n. 113, come modificato dall'articolo 1, comma 9, lettera c), del D.L. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla Legge 23 febbraio 2024, n. 18.

[11] Comma modificato dall'articolo 12, comma 1, del D.L. 16 settembre 2024, n. 131, convertito con modificazioni dalla Legge 14 novembre 2024, n. 166

[15] Comma aggiunto dall’articolo 4, comma 1, lettera b), del D.L. 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 ottobre 2013, n. 125.

Inquadramento

Il binomio flessibilità- lavoro pubblico è stato oggetto di più riconfigurazioni da parte del legislatore, approdate, con il d.lgs. n. 75/2017, all'ultima riscrittura del testo dell'art. 36 del decreto n. 165/2001.

La novella del 2017 si è articolata a partire dalla conferma del principio ispiratore della recente evoluzione della materia: le pubbliche amministrazioni possono ricorrere a forme contrattuali flessibili «soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale», nel rispetto delle modalità di reclutamento stabilite dall'art. 35 del d.lgs. n. 165/2001. Unica novità, rispetto alla previgente formulazione dell'art. 36, comma 2, la sottolineatura del carattere comprovato delle esigenze.

Il dato della causalità del ricorso a forme contrattuali flessibili si salda all'altro fondamentale principio espresso dal comma 1 dell'art. 36, secondo cui per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (seguendo le procedure di reclutamento previste dall'art. 35 del decreto 165). Ne esce confermato un modello standard e dominante per il pubblico impiego: le esigenze di carattere continuativo e duraturo, e quindi di copertura ordinaria, devono trovare soddisfazione esclusivamente con le assunzioni a tempo indeterminato (Caruso).

A completare il sistema soccorre il divieto, in ogni caso, di costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato quale sanzione della violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle P.A., principio enunciato dal comma 5 dell'art. 36.

La legge palesa espressamente che le forme contrattuali flessibili che possono essere impiegate nel settore pubblico comprendono i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, di formazione e lavoro e di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché le «forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell'impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l'applicazione nelle amministrazioni pubbliche». Ulteriore specificazione è recata sempre dal comma 2 dell'art. 36 laddove statuisce che non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. Difatti, essendo i lavoratori somministrati risorse esterne dipendenti di una agenzia privata e non della P.A., non è possibile che ai medesimi siano affidati compiti dirigenziali, apicali e/o di gestione di strutture, intendendosi con ciò anche il coordinamento di personale dipendente dell'amministrazione o compiti di rappresentanza degli interessi dell'amministrazione stessa.

Ancora, in virtù della novella del 2017:

– si rinvia, per la disciplina dei contratti a tempo determinato e di somministrazione di lavoro a tempo determinato stipulati dalle P.A., al corpus recato dal d.lgs. n. 81/2015 (con riferimento, rispettivamente, agli artt. 19 e seguenti e agli artt. 30 e seguenti del d.lgs. n. 81). Sono, però, previste due riserve: 1) nei contratti di lavoro a tempo determinato, il diritto di precedenza si applica al solo personale reclutato mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo, ex art. 35, comma 1, lett. b del decreto 165; 2) nei contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato viene «fatta salva la disciplina ulteriore eventualmente prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro»;

– si precisa, con il nuovo comma 2-bis inserito nell'art. 36 del decreto 165, che «i rinvii operati dal d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, ai contratti collettivi devono intendersi riferiti, per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, ai contratti collettivi nazionali stipulati dall'ARAN».

Le tipologie di lavoro flessibile previste dal codice civile e dalle altre leggi sul rapporto di lavoro nell'impresa si applicano, quindi, esclusivamente qualora ciò venga espressamente previsto, e con i limiti e le modalità esplicitati per la P.A. Ciò per evitare il rischio di possibili interpretazioni analogiche o rivendicazioni giudiziali rispetto ad istituti lavoristici conformati per il mondo privato, che male si prestano a trovare applicazione al lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

La riforma Madia ha operato anche altri interventi sul dettato dell'art. 36 del decreto 165:

– viene prescritto che dell'analitico rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate (che deve essere redatto annualmente sulla base di apposite istruzioni fornite con direttiva del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione) siano informate le organizzazioni sindacali, «tramite invio all'Osservatorio paritetico presso l'Aran», oltre ad essere trasmesso ai nuclei di valutazione e agli organismi indipendenti di valutazione, di cui al d.lgs. n. 150/2009, nonché al Dipartimento della funzione pubblica, che redige una relazione annuale al Parlamento. Ciò potenzia la valenza di tale strumento nel contrasto agli abusi nell'utilizzo del lavoro flessibile. Le amministrazioni pubbliche comunicano, nell'ambito del predetto rapporto anche le informazioni concernenti l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili (cfr. i commi 3 e 4 dell'art. 36);

– viene enunciata la generale nullità dei contratti di lavoro posti in essere in violazione delle disposizioni dell'art. 36 del decreto n. 165, con conseguente responsabilità erariale e dirigenziale dei dirigenti (cfr. il comma 5-quater). Al dirigente responsabile di irregolarità nell'utilizzo del lavoro flessibile non può, comunque, essere erogata la retribuzione di risultato;

– è riformulato il comma 5-quinquies dell'art. 36, sancendo che la nuova disciplina in materia di lavoro flessibile nella p.a. «non si applica al reclutamento del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), a tempo determinato presso le istituzioni scolastiche ed educative statali e degli enti locali, le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica». Il legislatore precisa, peraltro, la persistenza – per tale personale – del generale divieto, espresso dal già menzionato comma 5, di conversione a tempo indeterminato dei rapporti a termine illegittimamente instaurati. La ratio della norma è di facoltizzare per i lavoratori della scuola – grazie alla deroga in commento – la reiterazione dei contratti a tempo determinato anche oltre i termini previsti dalle regole generali. Contestualmente, per gli enti di ricerca pubblici viene richiamato quanto previsto dal d.lgs. n. 218/2016.

Il regime sanzionatorio e la prevenzione del precariato

Quanto alla violazione delle norme relative al ricorso al lavoro flessibile (comma 5 dell'art. 36), il costante indirizzo espresso dal legislatore fa riferimento al principio secondo cui la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave.

Particolarmente inasprito risulta il regime sanzionatorio a carico dei dirigenti che operano contra legem. Gli stessi sono responsabili anche ai sensi dell'art. 21 d.lgs. n. 165/2001 (responsabilità dirigenziale). Di tali violazioni si tiene conto in sede di valutazione dell'operato del dirigente, ai sensi della relativa disciplina.

Il comma 2 dell'art. 36 del decreto n. 165 dispone, inoltre, che, per prevenire fenomeni di precariato, le amministrazioni pubbliche, «sottoscrivono contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato. È consentita l'applicazione dell'art. 3, comma 61, terzo periodo, della l. 24 dicembre 2003, n. 350 [relativo all'utilizzo di graduatorie di altre amministrazioni, previo accordo], ferma restando la salvaguardia della posizione occupata nella graduatoria dai vincitori e dagli idonei per le assunzioni a tempo indeterminato».

Corte cost., n. 248/2018 ha, in tema, dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale «dell'art. 10, comma 4-ter, del d.lgs. n. 368/2001 e dell'art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater, del d.lgs. n. 165/2001, in riferimento all'117, primo comma, Cost., in relazione alle clausole 4, punto 1, e 5, punti 1 e 2, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE, e all'art. 4, par. 3, del TUE. Le norme censurate – che consentono l'utilizzazione dei contratti a tempo determinato per il personale sanitario del Servizio sanitario nazionale per più di trentasei mesi, senza conversione in contratti a tempo indeterminato – non sono prive di misure sanzionatorie adeguate. Nelle more del giudizio incidentale è infatti intervenuta la sentenza della CGUE 7 marzo 2018, in causa C-494/16, Santoro, che pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale del Tribunale di Trapani ha ritenuto la compatibilità euronitaria delle statuizioni contenute nella sentenza della Corte di cassazione, Cass. S.U., n. 5072/2016, che, ribadito il divieto di conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, ha affermato che il dipendente pubblico, a seguito della reiterazione illegittima dei contratti a termine, ha diritto al risarcimento del danno previsto dall'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, con esonero dall'onere probatorio, nella misura e nei limiti di cui all'art. 32, comma 5, della l. n. 183/2010». La citata pronuncia degli Ermellini ha evidenziato che per quanto riguarda la determinazione del risarcimento del danno subito dal dipendente pubblico nel caso di un illegittimo reiterarsi di contratti a termine, la norma da utilizzare è l'art. 32 comma 5 della l. n. 183/2010 che sanziona la illegittima apposizione del termine al contratto a tempo determinato nel settore privato. Tale norma è apparsa sistematicamente coerente e strettamente contigua alla fattispecie della illegittima apposizione del termine per abusiva reiterazione nel lavoro pubblico. Non lo sono invece tutte le altre norme – usate dai giudici in diverse sentenze – che stabiliscono il risarcimento basandosi sul concetto di licenziamento illegittimo (es. ex art. 18 l. 300/1970; ex art. 8 l. 604/1966; ex art. 1 l. 92/2012; ex art. 3 d.lgs. n. 23/2013). Tutte queste norme infatti partono dal presupposto della perdita di un posto di lavoro, che nel caso di contratti a termine nel settore pubblico, non può verificarsi, stante il disposto dell'art. 97 Cost. che stabilisce che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso. Inoltre, con l'applicazione della sanzione prevista dall'art. 32 comma 5 della l. n. 183/2010 [e quindi nella misura pari ad una indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto] il lavoratore è esonerato dalla prova del danno «nella misura in cui questo è presunto e determinato tra un minimo e un massimo» – prova che per lui può essere particolarmente gravosa – ottemperando quindi a quanto chiesto dalla clausola 5 della direttiva europea sul tempo determinato».

L'abuso nella successione di contratti di lavoro a tempo determinato nelle P.A.

Giova ricordare che le soluzioni praticate dal legislatore in materia di flessibilità nel pubblico impiego hanno dovuto confrontarsi con il tema dell'abuso nella successione di contratti di lavoro a tempo determinato (particolarmente rilevante per il settore della scuola) (De Luca).

Con sentenza 7.9.2006, nella causa C-53/04, la Corte di Giustizia ha, a suo tempo, chiarito che l'accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato (cfr. la direttiva comunitaria n. 70/1999) deve essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che escluda, in caso di abuso nella successione di contratti di lavoro nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti del settore privato, qualora tale normativa contenga un'altra misura effettiva destinata ad evitare ed eventualmente a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte della P.A. (cfr. anche Corte Giust.UE, ord. 12 dicembre 2013, causa C-50/13 e Corte Giust. UE, 26 novembre 2014 Mascolo e altri, cause C-22/13, C-61/13, C-62/13, C-63/13, C-418/13).

Quanto alla giurisprudenza costituzionale, resta fondamentale Corte cost. n. 89/2003, laddove – dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 36, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 – ha rimarcato che «principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è quello, del tutto estraneo alla disciplina del lavoro privato, dell'accesso mediante concorso, enunciato dall'art. 97, terzo comma, Cost.. L'esistenza di tale principio, posto a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, di cui al primo comma dello stesso art. 97, di per sé rende palese la non omogeneità delle situazioni poste a confronto e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego dei lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, in luogo della conversione (in rapporto) a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati. Seppure lo stesso art. 97, terzo comma, Cost., contempla la possibilità di derogare per legge a miglior tutela dell'interesse pubblico al principio del concorso, è tuttavia rimessa alla discrezionalità del legislatore, nei limiti della non manifesta irragionevolezza, l'individuazione di siffatti casi eccezionali, senza che alcun vincolo possa ravvisarsi in una pretesa esigenza di uniformità di trattamento rispetto alla disciplina dell'impiego privato, cui il principio del concorso è, come si è detto, del tutto estraneo» (analoga Corte cost., n. 146/2008).

A distanza di tredici anni, Corte cost., n. 187/2016 ha dichiarato “l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 11, della l. 3 maggio 1999, n. 124, nella parte in cui autorizza, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima totale dei rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino».

Per determinare la conformità delle disposizioni nazionali alle prescrizioni contenute nell'accordo qadro U.E., la giurisprudenza appare orientata, seppur con significative oscillazioni, a tener conto non delle finalità astrattamente previste, ma della situazione di fatto che ne deriva: in particolare, la sussistenza di una «ragione obiettiva» non è sufficiente a rendere le disposizioni interne conformi a quella europea, se risulta che la loro applicazione concreta conduca, nei fatti, al ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Ciò si verifica quando tali contratti siano utilizzati per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle amministrazioni (cfr. Cass. sez. lav., n. 392/2012; Cass. sez. lav., n. 10127/2012; Trib. Latina sez. lav., n. 3324/2007; Cass. sez. lav., n. 27481/2014; Cass. sez. lav., n. 22557/2016).

Si segnala, altresì, Cass. S.U., n. 5072/2016, secondo cui «il danno risarcibile di cui all'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, non deriva dalla mancata conversione del rapporto, legittimamente esclusa sia secondo i parametri costituzionali che per quelli europei, bensì dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte della P.A., ed è configurabile come perdita di “chance” di un'occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell'art. 1223 c.c.. La misura risarcitoria prevista dall'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all'art. 32, comma 5, della l. n. 183/2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l'indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l'onere probatorio del danno subito».

L'evoluzione del dettato dell'art. 36

Nel pubblico impiego, l'utilizzo dei rapporti flessibili è stato interpretato in maniera ambivalente. Da un lato, strumento per il recupero di competitività; dall'altro fattore di rischio nei confronti della regola del concorso pubblico e degli obiettivi di controllo della spesa del personale. Storicamente, il lavoro flessibile si è, infatti, prestato ad alimentare le richieste di successivi percorsi di stabilizzazione dei dipendenti precari, cui le amministrazioni difficilmente sono riuscite a resistere.

Partendo dal un primo favor per modernizzazione/privatizzazione/competitività, l'orientamento del legislatore ha subito una inversione di 180 gradi, approdando, infine, alla dichiarata prevalenza delle esigenze di contrasto al precariato.

Questa vicenda è testimoniata dei molteplici interventi di novella del testo dell'art. 36 del decreto n. 165/2001.

Tutto comincia con la radicale riscrittura dell'art. 36 operata nell'ambito delle riforme Bassanini. Tale intervento ha inteso facoltizzare appieno le P.A. ad avvalersi delle stesse forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa (flessibilità tipologica), rimettendo alla contrattazione collettiva una funzione di controllo e di orientamento del loro utilizzo. Ciò in un contesto di amministrazione programmata, dotata di strutture flessibili e permeata dall'ottica della negoziazione.

Invero, tale dato ben si saldava al disposto dell'art. 2, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 165/2001. Esso impegna tutte le pubbliche amministrazioni ad organizzarsi in modo funzionale rispetto ai programmi di attività, assumendo come parametro un elemento (i programmi di attività, appunto) suscettibile di frequenti variazioni e tale da richiedere, quindi, moduli organizzativo/gestionali altrettanto flessibili.

Il quadro cambia radicalmente con la scelta del legislatore di escludere il lavoro pubblico dall'ambito applicativo della l. n. 30/2003 e del decreto delegato n. 276/2003 (salvo i casi di espresso richiamo) e quindi dalla Riforma Biaggi delle tipologie dei rapporti flessibili. Ciò sanziona la prima importante rottura della tendenziale unità disciplinare dell'universo del lavoro subordinato, «pubblico» e «privato», che aveva fino a quel momento ispirato la stagione della cd. seconda privatizzazione del pubblico impiego del 1998. Si affaccia alla ribalta, con sempre più urgenza, il tema dell'abuso del lavoro flessibile pubblico, utilizzato per far fronte al fabbisogno ordinario ed aggirare i limiti alle assunzioni con rapporto stabile.

Con l'art. 4, comma 2, del d. l. n. 4/2006, il legislatore introduce nel corpo dell'art. 36 un comma 1-bis, che sancisce il principio che le amministrazioni utilizzano i contratti inerenti le forme di lavoro flessibile per esigenze temporanee ed eccezionali e previo esperimento delle procedure inerenti assegnazione di personale anche temporanea, nonché previa valutazione circa l'opportunità di attivazione di contratti di somministrazione a tempo determinato di personale, ovvero di esternalizzazione e appalto dei servizi.

Gli interventi delle leggi finanziarie degli anni precedenti (cfr., ad es, l'art. 1, commi 187 e 189, delle l. n. 266/2005) si erano risolti in limiti quantitativi al possibile ricorso, per le P.A., a forme flessibili di utilizzazione del personale. Il d.l. n. 4/2006 mette, invece, in campo un tentativo di percorrere gli obiettivi di razionalizzazione della spesa pubblica attraverso l'introduzione di limiti anche qualitativi al ricorso al lavoro flessibile.

Non pago, il legislatore è ancora intervenuto, prima con il comma 79 dell'art. 3, della l. n. 244/2007 (finanziaria 2008) e poi con l'art. 49, d.l. n. 112/2008.

La legge finanziaria 2008 detta durissimi limiti: le pubbliche amministrazioni non possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi. In nessun caso è ammesso il rinnovo del contratto o l'utilizzo del medesimo lavoratore con altra tipologia contrattuale. Le amministrazioni fanno fronte ad esigenze temporanee ed eccezionali attraverso l'assegnazione temporanea di personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a sei mesi, non rinnovabile.

Con il d.l. n. 112 il pendolo torna a volgersi a favore delle esigenze di flessibilità delle amministrazioni. Gli istituti della flessibilità ritornano utilizzabili per rispondere alle “esigenze temporanee e eccezionali”. Per impedire la formazione del precariato di lunga durata è, invece, previsto il tetto della durata triennale nel quinquennio delle assunzioni flessibili riferite al medesimo lavoratore. Il vincolo è cancellato, poi, dal d.l. n. 78/2009.

Sul risultato di questo travagliato iter normativo interviene anche il d.l. n. 101/2013.

È, innanzi tutto, ritoccato l'incipit del comma 2, dell'art. 36 del decreto 165, che disciplina le causali del ricorso alle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale nelle P.A.. La precedente formula delle “esigenze temporanee ed eccezionali” è sostituita da quella delle «esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale». La precisazione lessicale – giocata sull'aggiunta dell'avverbio “esclusivamente” e sul cambio della congiunzione da “e” a “o” – dovrebbe, nelle intenzioni del legislatore, blindare in maniera definitiva l'operato delle singole amministrazioni nel ricorso alle diverse fattispecie di rapporti flessibili di lavoro. Il d.l. n. 101/2013 sottolinea, altresì, che i contratti di lavoro a tempo determinato posti in essere in violazione delle disposizioni sancite dall'art. 36 “sono nulli e determinano responsabilità erariale”. Su tale enunciato la riforma Madia ha impattato, come visto, eliminando testualmente il mero riferimento al tempo determinato, canonizzando il carattere generale della sanzione.

Bibliografia

Caruso, La flessibilità (ma non solo) del lavoro pubblico nella l. 133/08 (quando le oscillazioni del pendolo si fanno frenetiche), in Il lavoro nelle p.a., 2008, 3-4, 465; De Luca, Precariato pubblico: condizionalità eurounitaria per divieti nazionali di conversione, in csdle.lex.unict.it, 2017; Verbaro, Una nuova occasione persa di ridisegnare il settore pubblico, in Guida al pubblico impiego, settembre 2013, 9.

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