Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 52 - Disciplina delle mansioni ( Art. 56 del d.lgs n. 29 del 1993 , come sostituito dall' art. 25 del d.lgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall' art. 15 del d.lgs n. 387 del 1998 )Disciplina delle mansioni (Art. 56 del d.lgs n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 25 del d.lgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 15 del d.lgs n. 387 del 1998) 1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali e' stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramentoovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all'articolo 35, comma 1, lettera a). L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione1. 1-bis. I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, dei conservatori e degli istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. La contrattazione collettiva individua un'ulteriore area per l'inquadramento del personale di elevata qualificazione. Le progressioni all'interno della stessa area avvengono, con modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, in funzione delle capacità culturali e professionali e dell'esperienza maturata e secondo principi di selettività, in funzione della qualità dell'attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l'attribuzione di fasce di merito. Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all'accesso dall'esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull'assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dall'esterno, nonché sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti. In sede di revisione degli ordinamenti professionali, i contratti collettivi nazionali di lavoro di comparto per il periodo 2019-2021 possono definire tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti, ad esclusione dell'area di cui al secondo periodo, sulla base di requisiti di esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dalle amministrazioni per almeno cinque anni, anche in deroga al possesso del titolo di studio richiesto per l'accesso all'area dall'esterno. All'attuazione del presente comma si provvede nei limiti delle risorse destinate ad assunzioni di personale a tempo indeterminato disponibili a legislazione vigente2. [1-ter. Per l'accesso alle posizioni economiche apicali nell'ambito delle aree funzionali e' definita una quota di accesso nel limite complessivo del 50 per cento da riservare a concorso pubblico sulla base di un corso concorso bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione ]3 2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore: a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4; b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza. 3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni. 4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti. 5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave. 6. Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore. [1] Comma sostituito dall'articolo 62, comma 1, del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. [2] Comma inserito dall'articolo 62, comma 1, del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, successivamente modificato dall'articolo 3-ter, comma 2, lettera c), del D.L. 9 gennaio 2020, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 5 marzo 2020, n.12, dall'articolo 3, comma 1, del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2021, n. 113 e da ultimo modificato dall'articolo 1-bis, comma 1, lettera d), del D.L. 22 aprile 2023, n. 44, convertito con modificazioni dalla Legge 21 giugno 2023, n. 74 [3] Comma inserito dall'articolo 62, comma 1, del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 e successivamente abrogato dall'articolo 18, comma 1, lettera e) del D.P.R. 16 aprile 2013, n. 70. InquadramentoLa disciplina delle mansioni ha costituito uno dei momenti di maggiore diversificazione fra lavoro pubblico e privato. Il lavoro privato, sia nel momento genetico che in quello funzionale, si fonda sul principio di effettività. La disciplina ex art. 2103 c.c., incentrata sulla valorizzazione della effettività della prestazione, a discapito della qualifica formale, è, tuttavia, apparsa, non conciliabile con la classificazione del personale nel lavoro pubblico, caratterizzata da rigidità e non flessibilità, anche in relazione ai principi costituzionali che impongono criteri oggettivi di selezione per l'accesso all'impiego e per la progressione in carriera (Liebman, 627). Il riconoscimento dell'attività lavorativa effettivamente svolta non può, quindi, determinare automaticamente, nel lavoro pubblico, né la valida costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, né la progressione in carriera, restando l'istituto delle mansioni oggetto di una specifica disciplina, recata dall'art. 52 del decreto n. 165. La disciplina delle mansioniLa mansione indica, nel lavoro pubblico come in quello privato, il compito ovvero l'unità elementare e indivisibile in cui è scomponibile la posizione lavorativa attribuita al lavoratore nell'ambito dell'organizzazione aziendale. Il temine mansione è, quindi, una variate terminologica del concetto di attività, convenuto al momento della stipula del contratto di lavoro. L'art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 stabilisce il principio, secondo il quale, il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto di procedure selettive. La legge precisa che «l'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione». Dal momento che la legge, ex art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, ha rimesso all'autonomia collettiva la valutazione del «merito» della professionalità, nel lavoro pubblico spetta inderogabilmente alla contrattazione collettiva e non al prudente e libero apprezzamento del giudice, definire il concetto di mansioni equivalenti (Trib. Taranto, ord. 11 maggio 2001). Nel lavoro pubblico contrattualizzato sopravvive il rilievo assorbente dell'inquadramento formale (Cass. S.U., n. 8740/2008). Più diffusamente, «in materia di pubblico impiego privatizzato, l'art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che sancisce il diritto alla adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti, ha recepito – attese le perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora condizionato, nell'organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse – un concetto di equivalenza “formale”, ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal giudice. Ove, tuttavia, vi sia stato, con la destinazione ad altre mansioni, il sostanziale svuotamento dell'attività lavorativa, la vicenda esula dall'ambito delle problematiche sull'equivalenza delle mansioni, configurandosi la diversa ipotesi della sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell'ambito del pubblico impiego. Posto che sono considerate equivalenti a norma dell'art. 52 d.lgs. n. 165/2001 tutte le mansioni congrue rispetto alla classificazione professionale riconosciuta al dipendente, sono da ritenere esigibili, in quanto professionalmente equivalenti, tutte le mansioni che il contratto ascrive a ciascuna categoria (Cass. sez. lav., n. 11835/2009). Ulteriore sottolineatura della giurisprudenza è che l'art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, con la previsione secondo cui il prestatore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto e con l'assenza di previsione circa la sua utilizzabilità in mansioni inferiori, «preclude, in termini generali, la possibilità di richiedere mansioni ulteriori rispetto a quelle qualificanti e tipiche della professionalità acquisita, alla stregua dell'art. 2103 c.c. che pone un divieto analogo esplicitato dalla previsione della nullità di ogni patto contrario. L'esatto ambito delle mansioni esigibili è, pertanto, indicato in termini analoghi nelle due citate disposizioni e l'attività prevalente e assorbente svolta dal lavoratore deve rientrare fra le mansioni corrispondenti alla qualifica di appartenenza e, tuttavia, per ragioni di efficienza e di economia del lavoro o di sicurezza, possono essere richieste, incidentalmente o marginalmente, attività corrispondenti a mansioni inferiori che il lavoratore è tenuto ad espletare» (Cass. sez. lav., n. 17774/2006). Ciascuna qualifica contiene, così, in sé anche i compiti, non esplicitati immediatamente, preparatori o inscindibilmente strumentali ad essa, andando a far parte del bagaglio professionale del dipendente, non potendo risolversi la loro esecuzione in un pregiudizio alla professionalità del lavoratore, con l'unico limite all'esigibilità costituito dalla pretestuosità del comportamento datoriale. Le aree di inquadramento dei dipendenti pubblici.Per quanto concerne l'inquadramento dei dipendenti pubblici in aree funzionali, sostanziali novità sono state apportate dal d.l. n. 80/2021, che ha modificato il comma 1-bis dell'art. 52 del decreto n. 165. Tale disciplina non concerne i dirigenti e il personale docente della scuola e degli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica. La novella del 2021 introduce un'ulteriore area funzionale, destinata all'inquadramento del personale di elevata qualificazione. L'istituzione della nuova area è demandata alla contrattazione collettiva. Per il restante personale, resta fermo il principio dell'articolazione dei dipendenti in almeno tre aree funzionali. Quanto alle progressioni all'interno della stessa area, le cd. progressioni orizzontali tra posizioni economiche diverse, esse avvengono, con modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, in funzione delle capacità culturali e professionali e dell'esperienza maturata e secondo principi di selettività, in funzione della qualità dell'attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l'attribuzione di fasce di merito. Il legislatore ha, poi, riformulato la disciplina delle progressioni fra le aree, cd. verticali, concretizzantesi nel passaggio ad una fascia funzionale superiore. Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all'accesso dall'esterno, esse avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull'assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dall'esterno, nonché sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti. Ulteriore inedita novità è che negli enti locali la progressione verticale avviene, con analoghe modalità, non solo tra aree ma anche tra qualifiche diverse e, quindi, con verticalizzazioni dei funzionari verso la dirigenza. Tale nuova regolazione delle progressioni verticali reca una netta discontinuità rispetto a quella precedente. Quest'ultima permetteva la verticalizzazione solo attraverso i concorsi, con riserva di posti, mentre il testo vigente regola una procedura comparativa, basata su esperienze passate, titoli e attività (Oliveri, 700). Sconosciuto era poi il passaggio tra qualifiche diverse, introdotto negli enti locali. Con l'affermazione, a suo tempo, esplicita del meccanismo concorsuale, la riforma Brunetta aveva inteso prendere normativamente atto dell'esistenza del consolidato orientamento giurisprudenziale che distingue a seconda che la progressione professionale si svolga all'interno o all'esterno delle aree delimitate dal sistema di classificazione professionale definito dai CCNL, stabilendo che solo nel primo caso (cd. progressioni orizzontali o economiche) è riconoscibile una modificazione del rapporto di lavoro, mentre nei casi di passaggi fra aree si verifica un nuovo accesso ad un posto in dotazione organica, quindi una novazione del rapporto di lavoro. Pertanto, solo la progressione all'interno delle aree poteva costituire legittimo oggetto di contrattazione. Per le progressioni fra aree diverse Corte cost. n. 218/2002 ha affermato che nell'accesso a funzioni più elevate, ossia nel passaggio ad una fascia funzionale superiore deve essere «ravvisata una forma di reclutamento». La giurisprudenza costituzionale è costante nel censurare norme che stabiliscono il passaggio a fasce funzionali superiori, in deroga alla regola del pubblico concorso, o comunque non prevedono alcun criterio selettivo, o verifiche attitudinali adatte a garantire l'accertamento dell'idoneità dei candidati in relazione ai posti da ricoprire, realizzando così una sorta di automatico e generalizzato scivolamento verso l'alto del personale (così Corte cost. n. 1/1999, Corte cost. n. 320/1997; Corte cost. n. 478/1995; Corte cost. n. 314/1994). Anche Corte cost. n. 194/2002 ha rilevato che «non è possibile fondare sul mero criterio dell'anzianità sia la riserva ai dipendenti di una rilevante percentuale dei posti disponibili, sia l'ammissibilità del conseguimento della qualifica superiore, anche in mancanza del titolo di studio prescritto, atteso che il criterio dell'anzianità non appare idoneo a garantire di per sé una seria verifica dei requisiti attitudinali». Tornando alla modifica del 2021 del comma 1-bis dell'art. 52, il legislatore ha inoltre aggiunto che, in sede di revisione degli ordinamenti professionali, i contratti collettivi nazionali di lavoro di comparto per il periodo 2019-2021 possono definire tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti (ad esclusione della nuova area destinata all'inquadramento del personale di elevata qualificazione), sulla base di requisiti di esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate ddalla amministrazione di appartenenza per almeno cinque anni, anche in deroga al possesso del titolo di studio richiesto per l'accesso all'area dall'esterno. All'attuazione della disciplina in questione si provvede nei limiti delle risorse destinate ad assunzioni di personale a tempo indeterminato disponibili a legislazione vigente. La formulazione letterale della norma è stata, poi, modificata dal dall'articolo 1-bis, comma 1, lettera d), del d.l. n. 44/2023, che ha previsto che “all'articolo 52, comma 1-bis, quinto periodo, le parole: «dall'amministrazione di appartenenza» sono sostituite dalle seguenti: «dalle amministrazioni». La modifica della disposizione sulle tabelle contrattuali di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti dei dipendenti pubblici si è resa necessaria al fine di assicurare l'applicazione delle stesse disciplina anche al personale svolgente servizio presso un'amministrazione diversa da quella di appartenenza. Si è così aperto alla possibilità di un reinquadramento professionale verso l'alto anche prescindendo dal titolo di studio.Da ricordare, infine che diversa dalla tematica delle aree di inquadramento è la peculiare disciplina delle c.d. posizioni organizzative che si concretano nel conferimento al personale inquadrato nelle aree di incarichi transitori relativi allo svolgimento di compiti che comportano l'assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato, sostanziandosi: a) nello svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa; b) ovvero nello svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità, comprese quelle comportanti anche l'iscrizione ad albi professionali, richiedenti elevata competenza specialistica. In particolare, la contrattazione collettiva ha previsto che possono essere preposti a tali posizioni i dipendenti appartenenti all'area apicale dei diversi comparti, sulla base e per l'effetto di un incarico a termine conferito secondo determinate modalità. Specificamente, il conferimento dell'incarico di posizione organizzativa è possibile esclusivamente per situazioni tipizzate, descritte nel contratto; può essere concesso solo a termine; è connotato da una specifica retribuzione variabile, in quanto sottoposto alla logica del programma da attuare e del risultato; è, infine, revocabile e sottoposto a valutazione. Emerge, da ciò, che la posizione organizzativa non determina un mutamento di profilo professionale, che rimane invariato, né un mutamento di area, ma comporta soltanto un mutamento di posizione funzionale, la quale cessa alla scadenza dell'incarico (Soda, 1036). «I compiti relativi all'individuazione ed all'attribuzione delle posizioni organizzative, trovando fondamento nella contrattazione collettiva, si traducono in atti di diritto privato di micro-organizzazione, non sussumibili nel numerus clausus degli atti di macro-organizzazione di cui all'art. 2 del d.lgs n. 165/2001» (Cons. St. V, n. 815/2010). Le mansioni superiori.Il decreto n. 165 statuisce, all'art. 52, commi 2 e 3, che lo svolgimento di mansioni corrispondenti alla qualifica immediatamente superiore, ovvero l'adibizione in modo prevalente, dal punto di vista quantitativo e qualitativo e temporale, a compiti propri di dette mansioni, è consentita, per obiettive esigenze di servizio, in due ipotesi: a) quando vi sia una vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti (al massimo entro 90 giorni); b) nel caso di sostituzione di altro dipendente con diritto alla conservazione del posto per tutto il periodo di assenza, con esclusione dell'assenza per ferie. Per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti (comma 4). Al di fuori delle predette ipotesi è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave (comma 5). Secondo la precisazione impressa dal comma 6 dell'art. 52, in sede di contrattazione collettiva si può regolare diversamente la materia delle ipotesi di legittima adibizione a mansioni superiori (commi 2, 3 e 4). La norma rinvia, per l'applicazione della disciplina in tema di mansioni e inquadramenti, all'attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. Fino a tale data, «in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore». Come sottolineato da Cons. St., Ad. plen., n. 10/2000, «nell'ambito del pubblico impiego è la qualifica e non le mansioni il parametro al quale la retribuzione è inderogabilmente riferita, considerato anche l'assetto rigido della pubblica amministrazione sotto il profilo organizzatorio, collegato anch'esso, secondo il paradigma dell'art. 97 della Costituzione, ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica; con la conseguenza che l'Amministrazione è tenuta ad erogare la retribuzione corrispondente alle mansioni superiori solo quando una norma speciale consenta tali assegnazioni e la maggiorazione retributiva». In definitiva, sotto l'aspetto dello svolgimento di mansioni superiori da parte del dipendente, il rapporto di pubblico impiego non risulta «assimilabile al rapporto di lavoro privato; nel primo, a differenza che nel secondo, concorrono con l'art. 36 della Cost. (il quale afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato) altri principi di pari rilevanza costituzionale quali quelli previsti, rispettivamente, dall'art. 98 Cost. (il quale, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e dall'art. 97 Cost. (contrastando l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con i principi di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari). Va, quindi, ribadito che prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998, nel settore del pubblico impiego, salva diversa disposizione di legge, le mansioni svolte da un pubblico dipendente erano da assumersi del tutto irrilevanti; affermazione che trova peraltro la sua ratio nell'organica disciplina delle mansioni introdotta dall'art. 25 del d.lgs. n. 80/1998 il quale ultimo (nel sostituire ed abrogare le disposizioni apportate in materia, rispettivamente, dagli artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29/1993), una volta delineata la completa disciplina della materia in parola in un quadro di armonico rispetto dei principi costituzionali ricavabili dagli artt. 51,97 e 98 della Cost., ha consentito di recepire nell'ordinamento del pubblico impiego il pur primario valore di cui all'art. 36 della Carta fondamentale disponendo che, per il periodo di effettiva prestazione delle mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al trattamento economico previsto per la corrispondente qualifica. Detta circostanza non fa peraltro dubitare della costituzionalità della pregressa disciplina, tendendo quest'ultima ragionevolmente (ed in assenza di un compiuto quadro di regolamentazione dell'istituto, oltre che in vista dell'equo contemperamento dei principi costituzionali sopra enunciati) soltanto a scongiurare che l'attribuzione di mansioni superiori (col correlativo trattamento economico) potesse, nel pubblico impiego, essere oggetto di libere determinazioni da parte dei funzionari» (cfr. anche Cass. sez. lav., n. 4382/2010). In tema di riconoscimento di esercizio di mansioni superiori, poi, grava sulla parte ricorrente che agisce in giudizio deducendo lo svolgimento di mansioni superiori l'onere di allegare in punto di fatto e di provare compiutamente le mansioni svolte in concreto, in modo tale da consentire al giudice il confronto tra le mansioni superiori asseritamente svolte e le mansioni che connotano l'inquadramento di appartenenza, anche ai fini della formulazione del giudizio di prevalenza richiesto a norma dell'art. 52 del d.lgs n. 165/2001 (Trib. Genova sez. lav., n. 70/2009). Peraltro, «il diritto ad un corrispettivo per l'espletamento di mansioni superiori non può fondarsi sull'ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. dell'Amministrazione, non sussistendo i presupposti dell'azione generale di arricchimento, in quanto l'esercizio di mansioni superiori alla qualifica rivestita, svolto durante l'ordinaria prestazione lavorativa, non reca alcuna effettiva diminuzione patrimoniale in danno del dipendente (il cd. depauperamento, che dell'azione in parola è requisito essenziale)» (Cons. St., Ad. plen., n. 12/2000). Corte Conti sez. giurisd. Lazio, n. 665/2014 ha, altresì, evidenziato che «nel meccanismo dell'art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 e s.m.i., l'attribuzione di superiori mansioni (nella specie dirigenziali) è provvedimento temporaneo proprio perché è preordinato esclusivamente a consentire la copertura di carenze di organico durante il periodo strettamente necessario (valutato ex lege in sei mesi-un anno) per indire ed espletare le ordinarie procedure per la loro copertura. Tale temporaneità, pertanto, deve essere necessariamente ed in concreto assicurata, onde evitare il consolidamento di posizioni che contrastano, prima ancora che con le specifiche norme di legge sull'attribuzione degli incarichi, con le ordinarie e generali regole sull'organizzazione amministrativa, delle quali la regola dell'assunzione per specifici profili professionali tramite concorsi costituisce una regola generale, a garanzia della quale il divieto di attribuzione stabile di mansioni superiori (già espresso nell'art. 56 del d.lgs. n. 29/1993 e poi confluito nell'attuale art. 52 del d.lgs. n. 165/2001) è posto. Nella specie, sussiste la responsabilità degli amministratori di un Ente pubblico per il danno indiretto conseguito all'Ente stesso dalla liquidazione a dipendenti di compensi per indennità di reggenza e maggiorazioni del compenso per produttività, la cui spettanza è stata riconosciuta con sentenze del Giudice del Lavoro, per il conferimento di superiori mansioni dirigenziali espletate in esecuzione di incarichi di reggenza a tempo indeterminato». Questioni applicative.Corte cost. n. 115/2003 ha offerto una importante precisazione laddove ha statuito che «il principio di proporzionalità della retribuzione richiede che il temporaneo svolgimento delle mansioni superiori sia sempre aggiuntivamente compensato rispetto alla retribuzione della qualifica di appartenenza, ma non impone la piena corrispondenza al complessivo trattamento economico di chi sia titolare di quelle funzioni appartenendo ad un ruolo diverso ed essendo stata oggettivamente accertata con apposita selezione concorsuale la maggiore qualificazione professionale, significativa di una più elevata qualità del lavoro prestato». T.A.R. Puglia (Bari) II, n. 2377/2002 ha, invece, evidenziato che nella «sostituzione vicaria del titolare di una posizione funzionale superiore ed in genere di posizioni non immediatamente disponibili, per le quali sussiste la necessità e l'urgenza di assicurare la continuità dell'esercizio della funzione (cioè nell'ipotesi di impedimento o assenza dei titolare del posto per malattia, ferie, congedo, missione, motivi di famiglia e simili), l'attività svolta, siccome espressione di un dovere istituzionale gravante in capo al sostituito, è compresa tra quelle astrattamente esigibili rispetto alla qualifica di appartenenza dei titolare della posizione funzionale inferiore e, pertanto, rientrando per legge tra i suoi compiti come attribuzione propria della qualifica rivestita, non può far luogo ad alcuna variazione del trattamento economico». Cfr. anche Cons. St., Ad. plen., n. 20/1997, secondo cui non può farsi rientrare tra le ipotesi di «vicariato» la funzione di sostituzione in qualifica superiore in posto vacante, automaticamente e senza previa determinazione temporale. La vacanza «non temporanea» del posto non consente all'Amministrazione di avvalersi della funzione vicaria in via sostitutiva senza che il dipendente abbia diritto alla maggiorazione stipendiale. In tali ipotesi, deve riconoscersi comunque il diritto al superiore trattamento economico posto che «l'impiegato sarebbe obbligato a svolgere mansioni superiori, con le relative responsabilità, per periodi di tempo lunghi e talora a tempo indeterminato». La sostituzione vicaria, secondo i giudici di Palazzo Spada, intanto si giustifica in quanto sia predicabile la eccezionalità della sostituzione stessa in posizione superiore, in casi di necessità ed urgenza nell'assicurare la continuità dell'esercizio della funzione, come nelle tipiche ipotesi di assenza o impedimento del titolare per malattia, ferie, congedo, missione, motivi di famiglia e simili (in termini anche Cons. St., Ad. plen., n. 2/1991; cfr. anche Cass. sez. lav., n. 16469/2007). Ancora, la protrazione dell'assegnazione a funzioni superiori oltre il termine fissato dalla legge «non può giustificare una restrizione dell'applicabilità del principio costituzionale di equivalenza della retribuzione al lavoro effettivamente prestato, salvo che venga dimostrato che l'assegnazione alle funzioni superiori è avvenuta con abuso d'ufficio e con la “connivenza” del dipendente: nel qual caso, la pretesa al più favorevole trattamento economico dovrebbe essere respinta ex art. 2126 c.c.» (Corte Cost., n. 101/1995). Un tema particolare è quello dello svolgimento per saltum di mansioni superiori. Sul punto T.A.R. Sicilia (Catania) III, n. 179/2004 ha stigmatizzato l'illegittimità del «provvedimento di assegnazione di mansioni superiori “per saltum”, essendo possibile soltanto l'attribuzione ad un dipendente inquadrato in una qualifica immediatamente inferiore rispetto a quella del dipendente il cui posto si sia reso vacante». Così anche T.A.R. Calabria (Reggio Calabria) n. 419/2013: «la destinazione del dipendente a mansioni superiori alla sua qualifica è stata sempre concepita, proprio in omaggio al principio costituzionale di buon andamento dei servizi pubblici, come episodio del tutto eccezionale, connotato dal duplice limite della temporaneità dell'utilizzazione del dipendente nelle più elevate funzioni e dell'idoneità professionale del medesimo a svolgere mansioni eccedenti la qualifica rivestita. Orbene, quanto a tale ultima condizione, la capacità professionale per le superiori mansioni è stata presuntivamente riconosciuta al dipendente di qualifica funzionale immediatamente inferiore in base alla comune regola d'esperienza che il titolare di una determinata qualifica sia, di norma, in possesso di sufficiente preparazione tecnica per svolgere compiti propri della qualifica immediatamente superiore, mentre uguale valutazione non può essere fatta per dipendenti inquadrati in livelli inferiori (Cons. St. III, n. 1872/2012). Infine, Cass. sez. lav., n. 13597/2009 conferma che «l'espletamento di fatto di mansioni dirigenziali da parte di un funzionario pubblico contrattualizzato è riconducibile all'ipotesi, regolata dall'art. 52, comma 5, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (e già prevista dall'art. 56 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nel testo sostituito dall'art. 25 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, modificato dall'art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387), relativa al conferimento illegittimo di mansioni superiori, con conseguente diritto del prestatore al corrispondente trattamento economico, senza che assumano rilievo le specifiche caratteristiche delle posizioni organizzative di livello dirigenziale o la diversità di “carriera” tra le funzioni direttive e la dirigenza, dovendosi assicurare al lavoratore una retribuzione proporzionata al lavoro prestato ex art. 36 Cost.». BibliografiaLiebman, La disciplina della mansioni nel lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, in Argomenti di dir. lav., 1999, 627; Oliveri, La fiducia nel reclutamento dei dirigenti pubblici, in Giornale di dir. amm., 2021, 6, 691; Soda, Riflessi organizzativi dell'istituzione di un area quadri nel lavoro pubblico, in Il lavoro nelle p.a., 2001, 6, 1036. |