Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 54 bis - (Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti) 12 (A).

Ciro Silvestro

(Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti) 12 (A).

[1. Il pubblico dipendente che, nell'interesse dell'integrita' della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all'articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all'Autorita' nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all'autorita' giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui e' venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non puo' essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L'adozione di misure ritenute ritorsive, di cui al primo periodo, nei confronti del segnalante e' comunicata in ogni caso all'ANAC dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. L'ANAC informa il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attivita' e gli eventuali provvedimenti di competenza.

2. Ai fini del presente articolo, per dipendente pubblico si intende il dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, ivi compreso il dipendente di cui all'articolo 3, il dipendente di un ente pubblico economico ovvero il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile. La disciplina di cui al presente articolo si applica anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione pubblica.

3. L'identita' del segnalante non puo' essere rivelata. Nell'ambito del procedimento penale, l'identita' del segnalante e' coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall'articolo 329 del codice di procedura penale. Nell'ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l'identita' del segnalante non puo' essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria. Nell'ambito del procedimento disciplinare l'identita' del segnalante non puo' essere rivelata, ove la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell'identita' del segnalante sia indispensabile per la difesa dell'incolpato, la segnalazione sara' utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identita'.

4. La segnalazione e' sottratta all'accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

5. L'ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, adotta apposite linee guida relative alle procedure per la presentazione e la gestione delle segnalazioni. Le linee guida prevedono l'utilizzo di modalita' anche informatiche e promuovono il ricorso a strumenti di crittografia per garantire la riservatezza dell'identita' del segnalante e per il contenuto delle segnalazioni e della relativa documentazione.

6. Qualora venga accertata, nell'ambito dell'istruttoria condotta dall'ANAC, l'adozione di misure discriminatorie da parte di una delle amministrazioni pubbliche o di uno degli enti di cui al comma 2, fermi restando gli altri profili di responsabilita', l'ANAC applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro. Qualora venga accertata l'assenza di procedure per l'inoltro e la gestione delle segnalazioni ovvero l'adozione di procedure non conformi a quelle di cui al comma 5, l'ANAC applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. Qualora venga accertato il mancato svolgimento da parte del responsabile di attivita' di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute, si applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. L'ANAC determina l'entita' della sanzione tenuto conto delle dimensioni dell'amministrazione o dell'ente cui si riferisce la segnalazione.

7. E' a carico dell'amministrazione pubblica o dell'ente di cui al comma 2 dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa. Gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall'amministrazione o dall'ente sono nulli.

8. Il segnalante che sia licenziato a motivo della segnalazione e' reintegrato nel posto di lavoro ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23.

9. Le tutele di cui al presente articolo non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilita' penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la sua responsabilita' civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave.]

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(A) In riferimento al presente articolo vedi: Circolare INAIL 28 luglio 2015, n. 64

- In riferimento alla tutela del dipendente pubblico che effettua segnalazioni di illeciti o irregolarità nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione (c.d. whistleblowing), di cui al  presente articolo vedi: Circolare Ministero della Giustizia 17/01/2019 n. 158045. 

- In riferimento alla tutela del dipendente che effettua segnalazioni di illecito (c.d. whistleblowing), di cui al presente articolo vedi: Circolare INPS - Istituto nazionale previdenza sociale 06/11/2020 n. 127; Circolare Ministero della Giustizia 7 dicembre 2020, n. 169857.

[2] Per le Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che effettua segnalazioni di illeciti o irregolarità effettuate nell' interesse dell'integrità della pubblica amministrazione vedi la Determina 28 aprile 2015, n. 6 e successivamente la Direttiva del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza 19 dicembre 2018, n. 1/2018.

Inquadramento

È con l'art. 1, comma 51, della l. 6 novembre 2012, n. 190 che fa ingresso nel nostro ordinamento – nell'ambito della disciplina del pubblico impiego – la figura del cd. whistleblower. L'istituto, ampiamente diffuso a livello internazionale, risultava inedito in Italia, tanto da aver reso necessario il richiamo alla terminologia anglosassone e alle elaborazioni estere per scolpirne le peculiarità. D'altronde, le più immediate fonti d'origine sono da rinvenirsi nelle convenzioni internazionali in tema di lotta alla corruzione, ratificate anche dall'Italia (cfr. la Convenzione Ocse del 17 dicembre 1997, la Convenzione ONU di Merida del 2003 e le convenzioni di Strasburgo sulla corruzione del 1999).

Il nuovo art. 54-bis inserito nel corpo del d.lgs. n. 165/2001 dalla legge anticorruzione del 2012 introduce specifiche misure di tutela finalizzate ad agevolare la denuncia ed emersione, da parte del dipendente pubblico, dei fenomeni di corruzione e mala amministrazione, in una ottica di collaborazione etica con le istituzioni. La ratio è di evitare che il dipendente ometta di effettuare segnalazioni di illeciti di cui abbia avuto conoscenza per timore di subire conseguenze pregiudizievoli (D'Alberti, 749).

L'inglese whistleblowing indica, infatti, l'atto di «soffiare il fischietto» per richiamare l'attenzione e whistleblower è chi compie tale segnalazione (termine talvolta tradotto nell'italiano «vedetta civica»).

Tale disciplina è stata da ultimo modificata della l. 30 novembre 2017, n. 179, che ha integrato la normativa concernente la tutela dei lavoratori del settore pubblico e introdotto forme di tutela anche per i lavoratori del settore privato (attraverso modifiche al decreto legislativo n. 231 del 2001, recante disciplina della responsabilità amministrativa degli enti).

Il comma iniziale del novellato art. 54-bis del decreto 165 statuisce, in primo luogo, che «il pubblico dipendente che, nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all'art. 1, comma 7, della l. 6 novembre 2012, n. 190 [RPCT], ovvero all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all'autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione».

L'adozione di misure ritenute ritorsive nei confronti del segnalante – prosegue il comma 1 – «è comunicata in ogni caso all'ANAC dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere». Su tali comunicazioni l'ANAC ha competenza esclusiva e informa il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attività e gli eventuali provvedimenti di competenza.

Il sistema di protezione rafforzato riconosciuto al whistleblower si compone di tre tipi di tutela:

1. la già accennata tutela da eventuali misure ritorsive o discriminatorie adottate a causa della segnalazione effettuata; queste sono affette da nullità e il segnalante, se licenziato, è reintegrato nel posto di lavoro (art. 54-bis, commi 7 e 8);

2. il tendenziale divieto di rivelare l'identità del segnalante, con sottrazione delle segnalazioni del whistleblower dal diritto di accesso di cui alla l. n. 241/1990 (art. 54-bis, commi 3 e 4); nonostante la lettera della norma faccia esplicito riferimento all'esclusione dall'accesso documentale nella sua forma ordinaria, tale limite viene pacificamente considerato esteso anche all'accesso civico;

3. la qualificazione, ex art. 3, comma 1, l. n. 179, della segnalazione effettuata dal whistleblower come «giusta causa» di rivelazione di un segreto d'ufficio, aziendale, professionale, scientifico o industriale (artt. 326,622,623 del c.p.) o di violazione del dovere di lealtà e fedeltà (art. 2015 c.c.).

L'ambito applicativo.

I soggetti tutelati.

Nel definire l'ambito soggettivo di applicazione dell'istituto, il comma 2 dell'art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001 precisa che «per dipendente pubblico si intende il dipendente [anche a tempo determinato; cfr. l'Orientamento ANAC, n. 73/2014] delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, ivi compreso il dipendente di cui all'art. 3 [personale in regime di diritto pubblico], il dipendente di un ente pubblico economico ovvero il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell'art. 2359 del codice civile. La disciplina di cui al presente articolo si applica anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione pubblica». In quest'ultimo caso, la disciplina di tutela si applica a tali soggetti solo nel caso in cui le segnalazioni da essi effettuate riguardino illeciti o irregolarità relativi alla amministrazione per la quale l'impresa opera. I dipendenti e collaboratori dell'impresa potranno decidere di trasmettere la segnalazione, oltre che ad ANAC e all'Autorità giudiziaria e contabile, al RPCT dell'amministrazione stessa per la quale l'impresa opera. Ai sensi dei commi 1 e 6 dell'art. 54-bis, l'ANAC è tenuta a svolgere gli accertamenti di competenza su eventuali misure ritorsive adottate nei confronti del segnalante anche in questi enti privati, interloquendo con il rappresentante legale dell'azienda.

Nel novero delle amministrazioni tenute a garantire la tutela del whistleblower vanno, altresì, considerate le Autorità amministrative indipendenti.

Va ulteriormente sottolineato che l'art. 54-bis presuppone che il soggetto/pubblico dipendente segnalante sia identificato (individuato e riconoscibile), tutelandolo con strumenti atti a garantire la riservatezza della fonte. Ciò sgombra il campo di operatività dell'istituto rispetto ad altre tipologie di segnalazioni, come quelle provenienti da cittadini, imprese o rappresentanti di organizzazioni sindacali ovvero le segnalazioni anonime.

L'ANAC, nella Delibera n. 469/2021, ha, inoltre, ritenuto che il tenore letterale della norma non consente di estendere la disciplina ad altri soggetti che, pur svolgendo un'attività lavorativa in favore dell'amministrazione, non godono dello status di pubblici dipendenti (ad es., stagisti, tirocinanti). Tale scelta è in controtendenza rispetto alle previsioni della Direttiva UE n. 2019/1937 (riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione), secondo cui tutti i soggetti che si trovino anche solo temporaneamente in rapporti lavorativi con l'amministrazione, pur non avendo la qualifica di dipendenti pubblici, devono essere ricompresi nella tutela prevista per i whistleblower. Sul punto l'ANAC si è riservata di adeguare le proprie indicazioni al contenuto della legislazione di recepimento nazionale della Direttiva citata, da adottarsi entro il 17 dicembre 2021.

Parte della dottrina considera, invece, legittima una interpretazione ampliativa dei soggetti tutelati, in virtù dell'estensione, operata dall'art. 2, comma 3, d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, degli obblighi di condotta previsti dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici a tutti i collaboratori o consulenti.

Peculiare si presenta la questione delle modalità di applicazione della disciplina del whistleblowing alle magistrature. Va, infatti, evidenziato che i relativi rapporti di lavoro sono regolati anche da norme di rango costituzionale (cfr. gli artt. 101 e seguenti Cost.), che prevedono una disciplina del tutto particolare a protezione della indipendenza dei giudici, con il corollario di competenze esclusive attribuite agli organi di autogoverno.

Al fine di non interferire con gli organi di autogoverno, l'ANAC ha ritenuto di non poter intervenire direttamente per le segnalazioni proposte da magistrati o relative a magistrati (seppure proposte da dipendenti pubblici) e neppure in caso di comunicazione di misure ritenute ritorsive adottate dall'amministrazione nei confronti del segnalante «magistrato» (cfr. la Delibera ANAC n. 469/2021).

Caratteri delle segnalazioni.

Le condotte illecite segnalate devono riguardare situazioni di cui il soggetto sia venuto direttamente a conoscenza «in ragione del proprio rapporto di lavoro». Cioè in virtù dell'ufficio rivestito o in occasione e/o a causa dello svolgimento delle mansioni lavorative, seppure in modo accidentale. Rimangono, pertanto, al di fuori della sfera di operatività della disposizione in commento le informazioni di scienza squisitamente privata, perché acquisite senza alcun legame con il mondo lavorativo (Cantone, 243).

La protezione prevista dall'art. 54-bis non opera nei confronti del pubblico dipendente che viola la legge al fine di raccogliere informazioni, indizi o prove di illeciti in ambito lavorativo.

In tal senso Cass. pen. V, n. 35792/2018, secondo cui la ratio della normativa in tema di whistleblowing «è esclusivamente quella di tutelare il soggetto, legato da rapporto pubblicistico con l'amministrazione, che rappresenti fatti antigiuridici appresi nell'esercizio del pubblico ufficio o servizio»; non può ammettersi, invece, l'ipotesi in cui un dipendente invocando l'art. 54-bis acquisisca informazioni in violazione di legge (nel caso di specie si trattava di accesso abusivo a banca dati della p.a.). La normativa citata si limita «a scongiurare conseguenze sfavorevoli, limitatamente al rapporto di impiego, per il segnalante che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizia di un'attività illecita, mentre non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni, autorizzando improprie attività investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge».

Resta ferma, poi, la distinta disciplina penalistica relativa ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio che, in presenza di specifici presupposti, sono gravati da un vero e proprio obbligo di denuncia, senza ritardo, all'Autorità giudiziaria dei fatti di reato. Ciò in virtù di quanto previsto dal combinato disposto dell'art. 331 del codice di procedura penale e degli artt. 361 e 362 del codice penale.

Quanto alle condotte illecite oggetto delle segnalazion, esse comprendano non solo le fattispecie riconducibili all'elemento oggettivo dell'intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione ma anche tutte le situazioni in cui, nel corso dell'attività amministrativa, si riscontrino comportamenti impropri di un funzionario pubblico che, anche al fine di curare un interesse proprio o di terzi, assuma o concorra all'adozione di una decisione che devia dalla cura imparziale dell'interesse pubblico. Ciò a condizione che si possa appunto configurare una condotta illecita.

Nella Delibera n. 469/2021, l'ANAC ha precisato che «possono formare oggetto di segnalazione attività illecite non ancora compiute ma che il whistleblower ritenga ragionevolmente possano verificarsi in presenza di elementi precisi e concordanti.»

Dibattuta è, tuttavia, risultata l'estensibilità dell'ambito applicativo del whistleblowing ai casi in cui si configurano condotte, situazioni, condizioni organizzative e individuali che potrebbero essere prodromiche, ovvero costituire un ambiente favorevole alla commissione di fatti corruttivi in senso proprio.

Nel parere Cons. St. I, n. 111/2020 è stato, al riguardo, evidenziato che «la questione, peraltro non agevolmente definibile una volta per tutte in astratto, si pone al centro di contrapposte esigenze. Da un lato, quella di un'efficace lotta ai fatti corruttivi nella p.a. e, dall'altro, quella dell'efficacia e del buon andamento dell'azione amministrativa, entrambe aventi rilievo costituzionale. La prima esigenza trova espressione anche nell'estensione alle condotte prodromiche ovvero costituenti un ambiente favorevole alla commissione di fatti corruttivi in senso proprio [...] La seconda esigenza si può realizzare attraverso una puntuale perimetrazione dell'ambito applicativo in modo da evitare che la nuova disciplina possa essere strumentalmente utilizzata per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. [..] Rispetto alla prima esigenza, almeno in alcune fattispecie di rilievo penale sarà sufficiente la configurazione del tentativo, ove ne sia prevista la punibilità, a supplire in certa misura ai c.d. «atti prodromici». Negli altri casi le ipotesi di sprechi, nepotismo, ripetuto mancato rispetto dei tempi procedimentali, assunzioni non trasparenti, irregolarità contabili, false dichiarazioni, violazione delle norme ambientali e di sicurezza sul lavoro, figure sintomatiche di eccesso di potere, evocate dall'ANAC, già ricadono in ampia misura nel concetto di «illeciti» fissato dal legislatore. Ad avviso della Sezione, il riferimento alle mere «attività prodromiche» e a quelle che costituiscono un «ambiente favorevole» risulta pertanto non facilmente riconducibile al più netto dettato legislativo».

Passando ad un ulteriore profilo, non è necessario che il dipendente sia certo dell'effettivo avvenimento dei fatti denunciati e dell'autore degli stessi; è sufficiente che il segnalante abbia la ragionevole convinzione che si sia verificato un fatto illecito (circostanziando per quanto possibile e allegando eventuali documenti; sono escluse informazioni di dominio pubblico o le c.d. «voci di corridoio»).

A norma del comma 9, le tutele previste dall'art. 54-bis in commento «non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per ireati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la suaresponsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave». Ciò per arginare il rischio di un uso distorto dello strumento del whistleblowing.

Laddove la sentenza di primo grado, sfavorevole per il segnalante, non venga confermata nei successivi gradi di giudizio, sarà applicabile, sia pur tardivamente, la protezione prevista dall'art. 54-bis per le eventuali ritorsioni subite a causa della segnalazione. È opportuno precisare che, qualora il whistleblower si sia rivolto, oltre che all'amministrazione o ad ANAC, anche all'autorità giudiziaria e il procedimento penale che si è instaurato in seguito alla sua denuncia venga archiviato, vengono conservate comunque le tutele previste dall'art. 54-bis. Ciò in quanto l'archiviazione non comporta alcun accertamento della responsabilità penale del whistleblower per i reati di cui al comma 9 dell'art. 54-bis.

Alla mancanza, da parte del segnalante, della volontà di esporre quello che, nelle fonti internazionali, viene definito un «malicious report», ossia una iniziativa in malafede, eventualmente anche a titolo di colpa grave (restando esclusa la colpa lieve), deve, poi, accompagnarsi l'ulteriore requisito dell'agire nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione.

Il riferimento contenuto nel comma 1 dell'art. 54-bis all'interesse all'integrità della pubblica amministrazione è stato, in particolare, introdotto dal legislatore per impedire che l'istituto possa essere utilizzato nell'interesse esclusivo e personale del segnalante. La ratio di fondo, in linea con la l. 190/2012, è quella di valorizzare l'etica e l'integrità nella p.a. per dare prestigio, autorevolezza e credibilità alla stessa, rafforzando i principi di legalità e buon andamento dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost. (Coppola, 475). Lamentele di carattere personale del segnalante come pure rivendicazioni o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi non possono generalmente essere considerate segnalazioni di whistleblower (cfr. anche

T.A.R. Campania, Napoli VI, n. 3880/2018).

Al riguardo, Cons. St. VI, n. 28/2020 ha statuito che, «in tema di applicazione dell'istituto del cd. whistleblowing, ogni qualvolta si sia in presenza di una segnalazione non indirizzata ai soggetti ivi indicati (responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza; Autorità nazionale anticorruzione; autorità giudiziaria ordinaria o contabile) e non motivata «nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione» (come avviene quando vi confluiscano anche scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro), la segnalazione stessa non è sottratta all'accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della l. 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni». La disciplina dell'art. 54-bis del decrto n. 165 va riconosciuta come «derogatoria rispetto a quella generale in tema di ostensibilità degli atti della pubblica amministrazione. L'accesso ai documenti costituisce infatti un principio generale dell'attività amministrativa (art. 22, comma 2, l. n. 241/90) e la trasparenza è intesa come accessibilità totale alle informazioni (art. 11 del d.lgs. n. 150/2009; art. 1 d.lgs. n. 33/2013).[...] Appare allora evidente che la disciplina di cui all'art. 54-bis del d.lgs. 165/2019 si ponga in rapporto di eccezione rispetto al principio generale di accessibilità nei casi in cui sussista un interesse giuridicamente rilevante. Tale eccezionalità è suffragata anche dalla lettura della disposizione stessa, che collega la sua applicabilità ad una serie di presupposti molto stringenti (in particolare l'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione e i soggetti tassativamente indicati come destinatari della segnalazione). Ne deriva che l'istituto, secondo le regole delle norme eccezionale, non possa essere applicato «oltre i casi e i tempi in esse considerati», secondo la regola di cui all'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale».

La valutazione sulla sussistenza dell'interesse all'integrità della pubblica amministrazione spetta a chi gestisce la segnalazione (RPCT dell'Ente oppure ANAC), in quanto garante della corretta impostazione del procedimento fin dalle sue prime fasi, a partire dalla valutazione della segnalazione come rientrante o meno tra i casi di whistleblowing.

Secondo la già richiamata Delibera ANAC n. 469/2021 appare «necessario individuare criteri da adottare per valutare la sussistenza o meno di tale requisito. A tal proposito, l'Autorità ritiene che l'analisi vada compiuta caso per caso, dando rilievo agli elementi oggettivi che emergono dal contesto della segnalazione. Il contenuto del fatto segnalato, ad esempio, deve presentare elementi dai quali sia chiaramente desumibile una lesione, un pregiudizio, un ostacolo, un'alterazione del corretto ed imparziale svolgimento di un'attività o di un servizio pubblico o per il pubblico, anche sotto il profilo della credibilità e dell'immagine dell'amministrazione. L'Autorità è consapevole delle notevoli difficoltà che la determinazione di tale requisito può creare, specie nei casi in cui l'interesse personale del segnalante concorra con quello all'integrità della pubblica amministrazione. [...] Resta fermo, infatti, che, alla luce della ratio che ispira la legislazione in materia di prevenzione della corruzione, non si possano escludere dalla tutela ex art. 54-bis le segnalazioni nelle quali un interesse personale concorra con quello della salvaguardia dell'integrità della pubblica amministrazione. In simili casi è opportuno che il whistleblower dichiari fin da subito il proprio interesse personale. Posta la sussistenza dell'interesse generale all'integrità della pubblica amministrazione alla base della segnalazione, gli ulteriori motivi, anche personali, che hanno indotto il whistleblower a effettuare la segnalazione, sono da considerarsi irrilevanti al fine di decidere sul riconoscimento delle tutele previste dall'art. 54-bis. Tale riconoscimento, infatti, è connesso alla valutazione oggettiva dei fatti segnalati che sveli l'interesse pubblico sotteso alla segnalazione, a prescindere dai concorrenti ed eventuali interessi personali del whistleblower».

A sostegno della predetta indicazione, va considerato che neppure lo specifico dettato letterale dell'art. 54-bis configura alcuna esclusività dell'interesse all'integrità pubblica, richiedendosene la sola sussistenza senza alcuna ulteriore specificazione in ordine ad eventuali e diversi interessi concorrenti (Renzi, 364).

Le forme di tutela del pubblico dipendente segnalante.

Come accennato, il comma 3 dell'art. 54-bis in commento sancisce il divieto di rivelare l'identità del segnalante l'illecito, oltre che nel procedimento disciplinare, anche in quello penale e contabile. Nel procedimento penale, la segretezza dell'identità è coperta in relazione e nei limiti del segreto degli atti d'indagine di cui all'art. 329 del codice di procedura penale. Nel processo dinanzi alla Corte dei conti, l'identità non può essere rivelata fino alla fine della fase istruttoria. Nel procedimento disciplinare, rimane confermato che l'identità del segnalante non può essere rivelata senza il suo consenso sempre che la contestazione disciplinare sia basata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Se la contestazione disciplinare è fondata (anche solo parzialmente) sulla segnalazione e manca il consenso del segnalante, la segnalazione stessa rimane inutilizzabile ai fini del procedimento disciplinare.

Per T.A.R. Sicilia, Palermo II, n. 1611/2020, dalla disposizione in esame «deve ricavarsi non soltanto il divieto di rivelare l'identità di chi abbia reso la segnalazione, ma anche quello (non espressamente statuito, ma chiaramente evincibile dallo scopo della disposizione) di fornire elementi atti a consentire l'identificazione del denunciante. Il legislatore, dunque, nel bilanciamento tra l'interesse dell'incolpato a difendere pienamente la propria posizione e quello, contrapposto, alla tutela del denunciante, ha scelto di sacrificare, sia pure in parte, il primo – con l'introduzione di un limite al (tendenzialmente generale) diritto di accesso (cfr. comma 4) – e ciò al richiamato fine di incoraggiare le segnalazioni di condotte illecite, nell'ambito di un'articolata disciplina volta alla prevenzione e alla repressione della corruzione» (nella specie, correttamente l'amministrazione ha adottato ogni accorgimento volto ad evitare che potesse evincersi l'identità dei segnalanti, con l'oscuramento di una parte della documentazione ed il mancato rilascio di altri documenti).

La legge affida all'ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, la predisposizione di Linee guida per la presentazione e gestione delle segnalazioni che garantiscano la riservatezza del dipendente segnalante; si prevedono a tal fine modalità anche informatiche e strumenti di crittografia a garanzia (comma 5 dell'art. 54-bis). Proprio con la più volte richiamata Delibera 9 giugno 2021 n. 469, l'ANAC ha adottato le vigenti «Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell'art. 54-bis, del d.lgs. 165/2001 (c.d. whistleblowing)».

Deve aggiungersi che anche il Codice in materia di protezione dei dati personali prevede una specifica disposizione a tutela della riservatezza dell'identità del segnalante. Il legislatore ha, infatti, introdotto, con il d.lgs. n. 101/2018, di recepimento del Regolamento (UE) n. 2016/679, l'art. 2-undecies nel d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

La norma richiamata stabilisce che, nell'ambito di una segnalazione whistleblowing, il soggetto segnalato, presunto autore dell'illecito, con riferimento ai propri dati personali trattati dall'Amministrazione, non può esercitare i diritti previsti dagli articoli da 15 a 22 del Regolamento(UE) n. 2016/679, poiché dall'esercizio di tali diritti potrebbe derivare un pregiudizio alla tutela della riservatezza dell'identità del segnalante. In tal caso, dunque, al soggetto interessato (segnalato) è preclusa la possibilità di rivolgersi al titolare del trattamento e, in assenza di risposta da parte di quest'ultimo, di proporre reclamo al Garante della Privacy (ai sensi dell'art. 77 dal Regolamento (UE) n. 2016/679). Resta ferma la possibilità per il soggetto segnalato di esercitare i propri diritti con le modalità previste dall'art. 160 d.lgs. n. 196/2003.

Proseguendo nell'analisi delle forme di tutela, la legge dispone espressamente che gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall'amministrazione o dall'ente sono nulli. Il comma 8 dell'art. 54-bis prevede il diritto del dipendente licenziato a motivo della segnalazione alla reintegra nel posto di lavoro da parte del giudice, al risarcimento del danno subito e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti dalla data di licenziamento a quella di reintegrazione; a tal fine è stabilita l'applicazione alle pubbliche amministrazioni dell'art. 2 del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (rubricato «Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale»).

Il concetto di «misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro», che il legislatore definisce come «misura ritorsiva», accanto a ipotesi tipizzate (sanzioni, demansionamenti, licenziamenti e trasferimenti; cfr. l'art. 54-bis, comma 1), rinvia a qualsiasi atto, provvedimento, comportamento o omissione posti in essere dall'amministrazione nei confronti del dipendente/segnalante, volti a limitare e/o comprimere l'esercizio delle funzioni proprie del lavoratore in guisa tale da disvelare un intento vessatorio o comunque da peggiorare la situazione lavorativa. È necessario che il segnalante fornisca ad ANAC elementi oggettivi dai quali sia possibile dedurre la consequenzialità tra segnalazione effettuata e lamentata ritorsione.

Importante, altresì, è la modalità con cui il legislatore ha inteso disciplinare la ripartizione dell'onere della prova in caso di controversie legate all'adozione di misure ritenute discriminatorie o ritorsive nei confronti del segnalante. Spetterà infatti al datore di lavoro dimostrare che le misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione.

L'intento ritorsivo deve, quindi, essere valutato in collegamento alla segnalazione. Tale intento può desumersi anche dall'infondatezza o dalla pretestuosità delle motivazioni poste a fondamento dell'adozione della misura. Ulteriori elementi utili a valutare la non casualità della condotta dell'amministrazione rispetto all'ipotesi ritorsiva sono l'assenza di giustificazione per l'adozione del provvedimento ritenuto ritorsivo ovvero la reiterazione del rigetto delle richieste del dipendente. La ritorsione non sussiste invece, ad es., allorquando la misura contestata dal segnalante sia motivata da ragioni estranee alla segnalazione ovvero laddove risulti che le misure organizzative, ritenute ritorsive, siano state adottate non solo nei confronti del whistleblower ma anche di altri dipendenti che non hanno presentato segnalazioni di illeciti.

Inoltre, la sussistenza di un atteggiamento del presunto autore della ritorsione che sia benevolo e favorevole agli interessi del segnalante nonché, in caso di adozione di un provvedimento disciplinare, la fondatezza della sanzione, la sua esiguità e la sua applicazione in modo proporzionato e ragionevole possono costituire elementi idonei ad escludere la sussistenza dell'intento ritorsivo.

Nel caso in cui l'Autorità accerti la natura ritorsiva di atti adottati dall'amministrazione o dall'ente, ne dichiara la nullità.

Secondo quanto evidenziato dalla massima ANAC n. 18/2019 «nell'ambito del procedimento sanzionatorio avviato dall'ANAC ai sensi dell'art. 54-bis, comma 6, del d.lgs.165/01, comportamenti analoghi precedenti e successivi alla segnalazione possono assumere valore di indizio al fine di escludere la natura discriminatoria dei secondi».

Passando alla terza forma di tutela, va rilevato che l'art. 3 della l. 30 novembre 2017, n. 179 («Integrazione della disciplina dell'obbligo di segreto d'ufficio, aziendale, professionale, scientifico e industriale») contiene una disposizione comune alle segnalazioni effettuate sia nel settore pubblico, nelle forme e nei limiti previsti dall'art. 54-bis, che nel settore privato, nelle forme e nei limiti previsti dall'art. 6 del d.lgs. n. 231/2001. Si tratta di una clausola di esonero dalla responsabilità(artt. 326,622,623 c.p.) nel caso il segnalante riveli un segreto d'ufficio, aziendale, professionale, scientifico o industriale. La disposizione esclude anche che il whistleblower possa essere accusato di violazione del dovere di fedeltà e di lealtà (art. 2105 c.c.).

La giusta causa della rivelazione appare operare sostanzialmente come scriminante, nel presupposto che, all'esito di bilanciamento operato dalla norma, vi sia una più incisiva prevalenza dell'interesse pubblico alla eliminazione degli illeciti, rispetto alla tutela della riservatezza e del segreto derivanti dal rapporto di lavoro.

La protezione del dipendente è subordinata a date condizioni:

– si richiama ulteriormente «il perseguimento dell'interesse all'integrità delle amministrazioni, pubbliche e private, nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni» (comma 1, art. 3 cit.);

– il segnalante non deve aver appreso la notizia «in ragione di un rapporto di consulenza professionale o di assistenza con l'ente, l'impresa o la persona fisica interessata» (comma 2, art. 3);

– le notizie e i documenti, oggetto di segreto aziendale, professionale o d'ufficio, non devono essere rivelati con modalità eccedenti rispetto alle finalità dell'eliminazione dell'illecito (comma 3, art. 3) e, in particolare, la rivelazione non deve avvenire al di fuori del canale di comunicazione specificamente predisposto per le segnalazioni.

In assenza di tali presupposti, non trova più applicazione la giusta causa di esonero dalla responsabilità e si riespande la tutela del segreto.

In particolare, rispetto alla finalità di «eliminazione dell'illecito», deve ritenersi che l'esigenza di tutelare la segretezza di certe informazioni fa sì che la loro rivelazione debba essere finalizzata unicamente alla volontà di far emergere l'illecito e che costituisca una «modalità eccedente» quella con cui si rivela una notizia per finalità ulteriori (a titolo esemplificativo si pensi a finalità di gossip/vendicative/opportunistiche/scandalistiche). Quanto, invece, al «canale di comunicazione» si deve fare riferimento esclusivamente ai soggetti previsti dalla legge come destinatari della segnalazione/denuncia (ANAC, RPCT, Autorità giudiziaria ordinaria o contabile). L'indicazione legislativa, inoltre, è quella di rafforzare la raccomandazione a predisporre apposite procedure e, possibilmente, piattaforme informatiche per le segnalazioni whistleblowing. L'invio a soggetti diversi da quelli indicati per legge o l'utilizzo di altri canali, non specificamente predisposti per le segnalazioni di whistleblowing, potrebbe comportare il rischio di diffusione delle informazioni coperte da segreto. Tale rischio fa venire meno la giusta causa della rivelazione di cui all'art. 3, comma 1, l. 179 giacché denota un comportamento non congruo e diligente che non può essere giustificato

Il potere sanzionatorio dell'ANAC

Un ulteriore effetto di salvaguardia per i segnalanti illeciti lo produce anche la previsione di uno specifico e autonomo potere sanzionatorio in capo all'ANAC.

Il quadro del sistema delle sanzioni, novellato dal legislatore del 2017 e compendiato nel comma 6 dell'art. 54-bis, prevede che l'ANAC:

– se accertal'adozione di misure discriminatorie nei confronti del dipendente, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro, fermi restando gli altri profili di responsabilità; l'Autorità considera responsabile della misura ritorsiva il soggetto che ha adottato il provvedimento ritorsivo o comunque il soggetto a cui è imputabile il comportamento e/o l'omissione, compreso chi ha suggerito o proposto l'adozione di una qualsiasi forma di ritorsione;

– anche dall'assenza di procedure per la gestione delle segnalazioni ovvero dall'adozione di procedure non conformi alle Linee guida Anac consegue una sanzione da 10.000 a 50.000 euro; responsabile è considerato l'organo di indirizzo politico dell'amministrazione che ha adottato il PTPCT e nominato il RPCT. Resta fermo che l'amministrazione può stabilire ex ante altri responsabili nel PTPCT o in apposito atto organizzativo;

– si applica la sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro a carico del responsabile, nel caso di mancato svolgimento di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute da parte del RPTC.

L'ANAC determina la misura della sanzione, tenuto conto delle dimensioni dell'amministrazione cui si riferisce la segnalazione. Cfr. anche la delibera ANAC 1 luglio 2020, n. 690 recante il nuovo «Regolamento per la gestione delle segnalazioni e per l'esercizio del potere sanzionatorio in materia di tutela degli autori di segnalazioni di illeciti o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro di cui all'art. 54-bis del decreto legislativo n. 165/2001».

Il whistleblower nel Codice di comportamento dei dipendenti pubblici.

Il «soffio» del whistleblowing ha spirato anche sul Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, che reca alcuni richiami all'art. 54-bis del decreto 165. Gli stessi appaiono ormai in larga parte superati dal successivo intervento operato a livello legislativo con la l. n. 179/2017.

L'art. 8 del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 (rubricato «Prevenzione della corruzione») specifica l'obbligo del dipendente di rispettare le misure necessarie alla prevenzione degli illeciti nell'amministrazione. Essa prescrive – fermo restando l'obbligo di denuncia all'autorità giudiziaria – di segnalare «al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell'amministrazione di cui sia venuto a conoscenza». Il riferimento al superiore gerarchico appare non più coerente, corrispondendo, peraltro, alla prescrizione contenuta nell'art. 54-bis precedente alla novella del 2017. Il legislatore lo ha infatti sostituito con il riferimento esclusivo al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza quale destinatario della segnalazione. Analogamente, il comma 8 dell'art. 13 del Codice (dedicato alle Disposizioni particolari per i dirigenti) prevede che il dirigente intraprende con tempestività le iniziative necessarie ove venga a conoscenza di un illecito, specificando anche che «nel caso in cui riceva segnalazione di un illecito da parte di un dipendente, adotta ogni cautela di legge affinché sia tutelato il segnalante e non sia indebitamente rilevata la sua identità nel procedimento disciplinare, ai sensi dell'art. 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001».

Infine, l'art. 15 del Codice («Vigilanza, monitoraggio e attività formative») attribuisce all'Ufficio procedimenti disciplinari la cura della «raccolta delle condotte illecite accertate e sanzionate, assicurando le garanzie di cui all'art. 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001».

I Piani anticorruzione nazionali adottati hanno ricondotto espressamente la tutela del dipendente che segnala condotte illecite tra le azioni e le misure generali obbligatorie da introdurre nel Piano di ogni amministrazione, in quanto disciplinate direttamente dalla legge. Si sottolinea, in particolare, l'esigenza di garantire: a) canali differenziati e riservati per ricevere le segnalazioni, la cui gestione deve essere affidata a un ristrettissimo nucleo di persone (con connessi obblighi di riservatezza); b) azioni di sensibilizzazione, comunicazione e formazione, nei confronti dei dipendenti, sui diritti e gli obblighi relativi alla divulgazione delle azioni illecite.

Il ruolo del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT)

La legge assegna al RPCT un ruolo fondamentale nella gestione delle segnalazioni. Il RPCT oltre a ricevere e prendere in carico le segnalazioni, pone in essere gli atti necessari ad una prima «attività di verifica e di analisi delle segnalazioni ricevute», da ritenersi obbligatoria in base al comma 6, dell'art. 54-bis, pena le sanzioni pecuniarie disposte dall'ANAC.

Quanto ai termini procedimentali, considerato che l'assenza di attività di analisi e di verifica della segnalazione è sanzionabile, è risultato necessario definire uno standard uniforme per tutte le amministrazioni. A ciò ha provveduto l'ANAC con la Delibera n. 469/2021, ritenendo ragionevole indicare: 1) in quindici giorni lavorativi il termine per l'esame preliminare della segnalazione; 2) che il termine per l'avvio dell'istruttoria è di quindici giorni lavorativi che decorrono dalla data di ricezione della segnalazione; 3) in sessanta giorni il termine per la definizione dell'istruttoria. È fatta salva la possibilità di estensione dei predetti termini fornendo adeguata motivazione.

Qualora, a seguito dell'attività svolta, il RPCT ravvisi elementi di manifesta infondatezza della segnalazione, ne dispone l'archiviazione con adeguata motivazione. Se, invece, il RPCT ravvisa il fumus di fondatezza della segnalazione deve rivolgersi immediatamente agli organi preposti interni o enti/istituzioni esterne, ognuno secondo le proprie competenze, avendo sempre cura di tutelare la riservatezza dell'identità del segnalante.

Si rammenta, che ai sensi dell'art. 1, comma 14, della l. 190/2012 la violazione da parte di dipendenti dell'amministrazione – compresi RPCT e soggetti che lo coadiuvano nella gestione delle segnalazioni – delle misure di prevenzione della corruzione previste nel Piano di prevenzione della corruzione, ivi considerata la tutela del dipendente che segnala condotte illecite ai sensi dell'art. 54-bis, è sanzionabile sotto il profilo disciplinare.

Il Responsabile potrà sempre utilizzare il contenuto delle segnalazioni per identificare le aree critiche dell'amministrazione e predisporre le misure necessarie per rafforzare il sistema di prevenzione della corruzione nell'ambito in cui è emerso il fatto segnalato.

Non spetta, invece, al RPCT accertare le responsabilità individuali qualunque natura esse abbiano né svolgere controlli di legittimità o di merito su atti e provvedimenti adottati dall'amministrazione oggetto di segnalazione, a pena di sconfinare nelle competenze dei soggetti a ciò preposti all'interno di ogni ente o amministrazione ovvero della magistratura.

Bibliografia

Cantone, La tutela del whistleblower: l'articolo 54 bis del d.lgs. n. 165/2001, in Mattarella, Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione: prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013, 243; Coppola, Il whistleblowing: la «scommessa etica» dell'anticorruzione, in Dir. pen. proc., 2018, 475; D'Alberti (a cura di), Corruzione e pubblica amministrazione, Napoli, 2017; Renzi, Quando la trasparenza non previene la corruzione: whistleblowing e riservatezza, in Giorn. dir. amm., 2020, 357.

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