Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 55 quater - Licenziamento disciplinare 1(A)

Ciro Silvestro

Licenziamento disciplinare  1(A)

1. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:

a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;

b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per piu' di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione;

c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall'amministrazione per motivate esigenze di servizio;

d) falsita' documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;

e) reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignita' personale altrui;

f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale e' prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l'estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.

f-bis) gravi o reiterate violazioni dei codici di comportamento, ai sensi dell'articolo 54, comma 3 2;

f-ter) commissione dolosa, o gravemente colposa, dell'infrazione di cui all'articolo 55-sexies, comma 33;

f-quater) la reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa, che abbia determinato l'applicazione, in sede disciplinare, della sospensione dal servizio per un periodo complessivo superiore a un anno nell'arco di un biennio4;

f-quinquies) insufficiente rendimento, dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza, e rilevato dalla costante valutazione negativa della performance del dipendente per ciascun anno dell'ultimo triennio, resa a tali specifici fini ai sensi dell'articolo 3, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 150 del 20095

1-bis. Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalita' fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l'amministrazione presso la quale il dipendente presta attivita' lavorativa circa il rispetto dell'orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta 6.

[2. Il licenziamento in sede disciplinare e' disposto, altresi', nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l'amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo e' dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54.]  7

3. Nei casi di cui al comma 1, lettere a), d), e) ed f), il licenziamento e' senza preavviso. Nei casi in cui le condotte punibili con il licenziamento sono accertate in flagranza, si applicano le previsioni dei commi da 3-bis a 3-quinquies8.

3-bis. Nel caso di cui al comma 1, lettera a), la falsa attestazione della presenza in servizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l'immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, fatto salvo il diritto all'assegno alimentare nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti, senza obbligo di preventiva audizione dell'interessato. La sospensione e' disposta dal responsabile della struttura in cui il dipendente lavora o, ove ne venga a conoscenza per primo, dall'ufficio di cui all'articolo 55-bis, comma 4, con provvedimento motivato, in via immediata e comunque entro quarantotto ore dal momento in cui i suddetti soggetti ne sono venuti a conoscenza. La violazione di tale termine non determina la decadenza dall'azione disciplinare ne' l'inefficacia della sospensione cautelare, fatta salva l'eventuale responsabilita' del dipendente cui essa sia imputabile 9.

3-ter. Con il medesimo provvedimento di sospensione cautelare di cui al comma 3-bis si procede anche alla contestuale contestazione per iscritto dell'addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all'Ufficio di cui all'articolo 55-bis, comma 4. Il dipendente e' convocato, per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di almeno quindici giorni e puo' farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato. Fino alla data dell'audizione, il dipendente convocato puo' inviare una memoria scritta o, in caso di grave, oggettivo e assoluto impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l'esercizio della sua difesa per un periodo non superiore a cinque giorni. Il differimento del termine a difesa del dipendente puo' essere disposto solo una volta nel corso del procedimento. L'Ufficio conclude il procedimento entro trenta giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell'addebito. La violazione dei suddetti termini, fatta salva l'eventuale responsabilita' del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall'azione disciplinare ne' l'invalidita' della sanzione irrogata, purche' non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all'articolo 55-bis, comma 410.

3-quater. Nei casi di cui al comma 3-bis, la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro venti giorni dall'avvio del procedimento disciplinare. [La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d'immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L'azione di responsabilita' e' esercitata, con le modalita' e nei termini di cui all'articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centocinquanta giorni successivi alla denuncia, senza possibilita' di proroga. L'ammontare del danno risarcibile e' rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l'eventuale condanna non puo' essere inferiore a sei mensilita' dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia.]1112

3-quinquies. Nei casi di cui al comma 3-bis, per i dirigenti che abbiano acquisito conoscenza del fatto, ovvero, negli enti privi di qualifica dirigenziale, per i responsabili di servizio competenti, l'omessa attivazione del procedimento disciplinare e l'omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare, senza giustificato motivo, costituiscono illecito disciplinare punibile con il licenziamento e di esse e' data notizia, da parte dell'ufficio competente per il procedimento disciplinare, all'Autorita'  giudiziaria ai fini dell'accertamento della sussistenza di eventuali reati 13.

3-sexies. I provvedimenti di cui ai commi 3-bis e 3-ter e quelli conclusivi dei procedimenti di cui al presente articolo sono comunicati all'Ispettorato per la funzione pubblica ai sensi di quanto previsto dall'articolo 55-bis, comma 414.

 

---------------

(A) In riferimento al presente articolo, vedi: Circolare del Ministero della Difesa 11 febbraio 2011, n. 9226.

[12] La Corte Costituzionale, con sentenza 10 aprile 2020, n. 61 (in Gazz. Uff. 15 aprile 2020, n. 16), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del secondo, terzo e quarto periodo del presente comma.

Inquadramento

È al d.lgs. n. 150/2009, cd. riforma Brunetta, che si deve l'introduzione di una articolata disciplina legislativa delle ipotesi di licenziamento disciplinare, con l'inserimento dell'art. 55-quater nel corpo del d.lgs. n. 165/2001. In quella sede è stato definito un catalogo di infrazioni particolarmente gravi assoggettate al licenziamento disciplinare, catalogo che può essere ampliato, ma non diminuito, dalla contrattazione collettiva Su tale elencazione la successiva riforma Madia è intervenuta in due tempi: prima per rinnovare le forme di contrasto ai furbetti del cartellino (relativamente, quindi, alla sola fattispecie della falsa attestazione della presenza in servizio con condotte fraudolente); poi per revisionare il complessivo quadro del licenziamento disciplinare. Ciò appunto attraverso due decreti legislativi attuativi, il n. 116/2016 e il n. 75/2017.

Da tempo, motivo ricorrente nella diatriba in tema di mala amministrazione è stato il lamentato scarso impegno e/o interesse delle amministrazioni all'esercizio del potere disciplinare nei confronti dei propri dipendenti. La riforma Brunetta ha inteso aggredire tale criticità modificando lo stesso sistema delle fonti di disciplina in materia disciplinare, con una parziale rilegificazione, affidando alla regolazione legislativa le fattispecie più gravi di illeciti e sanzioni disciplinari dei pubblici dipendenti, compreso il campo del licenziamento disciplinare

. Al contempo, si è data nuova forza al principio che è illecito non solo il comportamento dei dipendenti che si lasciano coinvolgere in rilevanti violazioni o corruzioni, ma anche quello dei dipendenti che non si impegnano nell'attività lavorativa si pensi al contestuale varo di misure contro i cd. fannulloni, rei di scarso rendimento, di gravi infedeltà o di comportamenti disfunzionali, assieme a più efficaci controlli sulle assenze per malattia e all'insistenza sugli strumenti per l'identificazione del personale a contatto con il pubblico (Mattarella, 34; Mainardi, 615).

I fatti di cronaca hanno dimostrato la invasiva persistenza di illeciti fonte di grave disdoro per la P.A., nonostante la riforma del sistema delle sanzioni disciplinari del 2009. È, quindi, significativo che, nell'attuazione della riforma Madia del lavoro pubblico, un intervento a carattere anticipatorio, ben un anno prima del d.lgs. n. 75/2017, sia stato dedicato proprio al contrasto del fenomeno della falsa attestazione della presenza in servizio attraverso il d.lgs. 20 giugno 2016, n. 116, che ha provveduto a novellare, sul tema, l'art. 55-quater del decreto n. 165.

Le ipotesi di licenziamento disciplinare.

Sono ben dieci le ipotesi di licenziamento disciplinare previste dall'art. 55-quater, comma 1, del decreto 165. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo (e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo), si «applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento» in caso di:

a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;

b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione;

c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall'amministrazione per motivate esigenze di servizio;

d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;

e) reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignità personale altrui;

f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l'estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro;

f-bis) gravi o reiterate violazioni dei codici di comportamento, ai sensi dell'art. 54, comma 3;

f-ter) commissione dolosa, o gravemente colposa, dell'infrazione di cui all'art. 55-sexies, comma 3 (inerente il mancato esercizio o la decadenza dall'azione disciplinare);

f-quater) la reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa, che abbia determinato l'applicazione, in sede disciplinare, della sospensione dal servizio per un periodo complessivo superiore a un anno nell'arco di un biennio;

f-quinquies) insufficiente rendimento, dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza, e rilevato dalla costante valutazione negativa della performance del dipendente per ciascun anno dell'ultimo triennio, resa a tali specifici fini ai sensi dell'art. 3, comma 5-bis, del d.lgs. n. 150/2009.

Nei casi di cui alle lettere a), d), e) ed f), il licenziamento è senza preavviso (comma 3).

La fattispecie prevista dal decreto n. 116

L'art. 1 del d.lgs. n. 116/2016 ha modificato l'art. 55-quater del d.lgs. n.165/2001 introducendo, nel suo corpo, ben cinque ulteriori commi (commi 1-bis, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies). Un sesto comma, il 3-sexies, è aggiunto dal decreto correttivo del 2017.

Il nuovo comma 1-bis specifica ed estende, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, l'ambito della condotta vietata già prevista dall'art. 55-quater, comma 1, lettera a), che commina la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso per la “falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente”.

Il legislatore del 2016 precisa che costituisce «falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l'amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell'orario di lavoro dello stesso». La novella fa pure valere espressamente la responsabilità di «chi abbia agevolato, con la propria condotta attiva od omissiva, la condotta fraudolenta», chiamandolo a rispondere della violazione.

Rispetto alla previsione del comma 1 – più generica e foriera di dubbi interpretativi – l'addenda del 2016 determina una obiettiva dilatazione della fattispecie dell'illecito disciplinare, perché:

– vi fa rientrare (generalizzando) “qualunque” modalità fraudolenta. Il riferimento è ad un'azione tesa al raggiro e all'inganno, certamente lesiva della buona fede datoriale, a prescindere dalla concreta modalità di realizzazione della condotta (omessa timbratura; alterazione dolosa di documentazione cartacea dove ancora utilizzata; utilizzo di codici non appropriati; consegna del badge a persona diversa dal titolare e suo indebito utilizzo; partecipazione a trasferte per ragioni di ufficio mai effettuate; falsa dichiarazione di partecipazione a riunioni o incontri esterni fittizi o per periodi di tempo diversi da quelli dichiarati; falsa annotazione nel registro delle uscite di ispezioni o attività di vigilanza esterna; ecc.);

– attribuisce rilevanza anche al fatto posto in essere con l'ausilio di terzi;

– configura la responsabilità anche in capo all'altro dipendente che abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta, secondo lo schema generale del concorso di persone. Ciò induce ad escludere che la mera «percezione» del fenomeno da parte di dipendenti privi di responsabilità di gestione, senza che questi abbiano parte attiva od omissiva alla frode, possa integrare in capo a questi ultimi l'illecito disciplinare di cui si tratta».

Prima necessaria verifica è quella della conformità di tale normativa al principio di tipicità dell'illecito disciplinare e, dunque, al principio di tassatività. Esso, se pur costituzionalizzato per l'illecito penale, va comunque considerato essenziale, in relazione alla affinità delle materie, anche in campo disciplinare.

Sul punto va richiamato il parere Cons. St. sez. norm., n. 864/2016, secondo cui, così come declinata, la norma delegata rispetta «la regola della sufficiente determinatezza della fattispecie, atteso che attraverso il normale significato linguistico dei termini utilizzati e di quello attribuito dalla giurisprudenza, è possibile individuare esattamente il comportamento che integra l'illecito». Nella falsa attestazione il problema si pone, in particolare, per i concetti di “modalità fraudolenta” e di “agevolazione” (da parte di più responsabili). Quanto al primo, si può osservare che le modalità della condotta abbracciano una gamma di comportamenti estremamente ampi, i quali però si connotano e si specificano in relazione al loro collegamento rispetto al “far risultare il dipendente in servizio” o al “trarre in inganno l'amministrazione... circa il rispetto dell'orario di lavoro dello stesso”. L'elemento comune è cosi l'artificiosità, latu sensu intesa, della condotta medesima. Quanto al concetto di “agevolazione”, va evidenziato che il collegamento, operato dalla norma, di tale attività alla “condotta fraudolenta”, e, dunque, la specificazione «in termini di comportamento tenuto prima o durante la commissione del fatto illecito, consente di inserirlo nell'ambito del concorso; qualificandosi, pertanto, in una condotta (attiva o omissiva) idonea a facilitare l'esecuzione dell'illecito e che ne abbia aumentato la possibilità di realizzazione».

In dottrina è stato criticamente rilevato che «le condotte in esame potevano senz'altro essere ricondotte alla generale nozione di cui all'art. 2119 c.c. senza particolare impegno definitorio e torsioni della (classica) nozione di giusta causa di licenziamento, stante il granitico orientamento giurisprudenziale per cui il principio di tassatività in materia di licenziamento disciplinare incontra una lettura assai più blanda rispetto alle infrazioni che portano a sanzioni conservative, proprio in virtù delle nozioni ampie e generali di legge del «notevole inadempimento degli obblighi contrattuali» di cui all'art. 3, L. n. 604/1966 e di «causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto» di cui all'art. 2119 c.c.» (Mainardi, Il licenziamento disciplinare, 587).

La sospensione obbligatoria.

Il comma 3-bis dell'art. 55-quater introduce la sospensione cautelare obbligatoria – senza stipendio, salvo il diritto all'assegno alimentare – del dipendente pubblico in caso di falsa attestazione della presenza in servizio «accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze».

Da notare che il riferimento alla flagranza tradisce, sin dalla scelta del termine. una connotazione di derivazione schiettamente penalistica

Con una netta dissociazione interna, l'infrazione disciplinare della falsa attestazione della presenza, come definita ai commi 1, lett. a) e 1-bis), può determinare l'applicazione di speciali misure cautelari e procedimentali solo laddove si accompagni a determinati presupposti di fatto: la flagranza ovvero la presenza delle risultanze di strumenti di sorveglianza o di registrazione.

Potranno, quindi verificarsi «ipotesi di falsa attestazione fraudolenta – quelle in cui non vi sia flagranza e quelle non accertate tramite strumenti di sorveglianza o registrazione degli accessi e presenze – che non determinano l'applicazione delle nuove disposizioni del d.lgs. n. 116, potendo dunque dare luogo ad ipotesi per così dire «ordinarie» di licenziamento disciplinare per falsa attestazione. Il discrimine di applicazione della norma non è dato dalla diversa tipologia di illecito, quanto piuttosto dalla «modalità» attraverso la quale l'illecito viene accertato: alla ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 55-quater, comma 3-bis il legislatore ha ritenuto di introdurre una forma di allontanamento immediato del dipendente per la esposizione dell'amministrazione ad una altrettanto immediata lesione della sua immagine e della fiducia in essa riposta dagli utenti dei servizi; ed al contempo si è introdotta una riduzione dei termini del procedimento disciplinare nella presupposizione, fornita dalla flagranza e dai dati «certi» dei sistemi di sorveglianza, di un'attività istruttoria presumibilmente ridotta ai fini dell'accertamento dell'illecito» (Mainardi, Il licenziamento disciplinare, 589).

La sospensione è disposta, con provvedimento motivato, dal responsabile della struttura di appartenenza – o, ove ne venga informato per primo, dall'ufficio per i procedimenti disciplinari – in via immediata e comunque entro 48 ore dal momento della conoscenza. Il termine ha carattere ordinatorio: la sua violazione non determina la decadenza dell'azione disciplinare o l'inefficacia della sospensione cautelare (fatta naturalmente salva «l'eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile»).

La finalità prettamente acceleratoria della norma si manifesta, altresì, nella precisazione che tale sospensione è adottata «senza obbligo di preventiva audizione dell'interessato».

È pur vero che la sospensione obbligatoria dal servizio – come evidenziato dal parere Cons. St. sez. norm., n. 864/2016 – è istituto tradizionalmente previsto «nel caso in cui siano adottate nei confronti del dipendente, in sede penale, misure coercitive o limitative della libertà personale o che comunque siano impeditive della prestazione del servizio ovvero ancora quando lo stesso sia già sottoposto a procedimento penale per reati particolarmente gravi, sicché una deliberazione da parte dell'autorità giudiziaria vi è già stata. Nella fattispecie prevista dalla norma in esame tali presupposti mancano, onde la sospensione deve essere configurata in presenza di limiti ben precisi e previsioni di garanzia in favore del dipendente. Orbene, la norma risulta compatibile con quanto sopra detto, atteso che la misura può essere disposta soltanto in presenza di un accertamento che rende ragionevolmente ipotizzabile la responsabilità del dipendente (“in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze”). Costituiscono, inoltre, adeguate previsioni di garanzia il disposto obbligo di motivazione del provvedimento e la regola per la quale il procedimento disciplinare deve essere avviato immediatamente e deve concludersi entro trenta giorni». I magistrati di Palazzo Spada hanno positivamente vagliato anche l'esclusione dell'obbligo di preventiva audizione dell'interessato. Il richiamo è al costante orientamento giurisprudenziale secondo cui «la sospensione non può essere assimilata a una misura disciplinare e sanzionatoria, assolvendo invece a funzioni di tipo preventivo, in quanto deputata ad allontanare il dipendente dal servizio al fine esclusivo di evitare un pregiudizio per il buon andamento ed il prestigio dell'amministrazione, affermandosi, di conseguenza, che non sussiste l'obbligo di comunicazione dell'avviso di avvio del procedimento, essendovi l'esigenza di intervenire con assoluta urgenza con un provvedimento cautelare. La sua adozione può, pertanto, prescindere dall'instaurazione del contraddittorio e non richiede la preventiva contestazione degli addebiti». Sotto altro profilo, sulla base dei rilievi espressi dal Consiglio di Stato, il legislatore delegato ha corretto l'originaria formulazione del comma 3-bis recata dallo schema di provvedimento, carente di specificazione sulla debenza a favore del dipendente sospeso dell'assegno alimentare. È stato evidenziato come il silenzio sul punto risultasse incongruo e/o ingiustificato. La sospensione, avendo natura meramente cautelare, non postula un definitivo accertamento di responsabilità né una sanzione. Il che – conformemente all'esigenza di ragionevolezza e proporzionalità della misura – «comporta la considerazione anche della posizione del dipendente e, dunque, della necessità di sollevarlo, durante il periodo di sospensione, dai bisogni primari e impedirne lo stato di indigenza». Il parere citato precisa, altresì, che la corresponsione dell'assegno alimentare durante la sospensione «non compromette gli effetti del licenziamento, in quanto – secondo consolidata giurisprudenza, la sospensione dal servizio – pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento risolutivo del rapporto, giacché adottata in via meramente cautelare in attesa del secondo – si salda con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto e legittimando il recesso del datore di lavoro retroattivamente, con perdita “ex tunc” del diritto alle retribuzioni a far data dal momento della sospensione medesima».

Parte della dottrina ha espresso, da subito, perplessità in relazione alla sospensione senza stipendio, disposta inaudita altera parte, entro le quarantotto ore: «il legislatore sembra ritenere che la flagranza, o l'accertamento meccanizzato, della condotta in violazione degli obblighi contrattuali disciplinanti l'attestazione di presenza esplichi una valenza talmente forte da poter coartare e ledere il diritto di difesa, che sarebbe poi recuperato nella fase istruttoria del procedimento disciplinare vero e proprio» (Venanzoni, Boldrini). Si osserva che l'ipotesi di flagranza non pone particolari problemi di individuazione, consistendo «nel sorprendere il collega che si trova all'esterno degli Uffici di appartenenza, senza aver provveduto a smarcare e senza alcuna giustificazione apparente, dedito ad attività estranee al suo servizio» (Kranz, 452). Un rilievo a parte riguarda, invece, il tema dei limiti di legge circa l'utilizzo di strumenti di (video) sorveglianza o di controllo degli accessi/presenze, che pure, nella logica del decreto 116, dovrebbero costituire fonte primaria di accertamento D dell'illecito di cui si tratta.

Se la sorveglianza è posta in essere dall'Autorità Giudiziaria, «su richiesta o meno dell'amministrazione interessata, nulla quaestio: fatto accesso alle immagini o ai dati raccolti, si potrà procedere ai sensi dell'art. 55-quater, 3-bis e 3-ter, nel rispetto dell'art. 55-ter del d.lgs. n. 165/2001 in materia di rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare. Se invece la sorveglianza è posta in essere direttamente dall'amministrazione datrice di lavoro, la questione è quella della legittimità dell'installazione dello strumento di controllo o sorveglianza, si tratti di una videocamera puntata sullo strumento di timbratura elettronica, piuttosto che di un rilevatore biometrico che consenta di accertare l'identità di chi sta operando la marcatura, per verificare la corrispondenza fra titolare del badge e suo possessore al momento dell'operazione. Sul tema impatta l'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, anch'esso oggetto di recenti modifiche per effetto dell'art. 23 del d.lgs. n. 151/2015, sulla cui applicabilità al lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche non paiono sussistere dubbi di sorta [...] Potrebbero porsi questioni sostanziali (circa la liceità del controllo) e processuali (circa l'utilizzabilità della prova) di non poco momento, laddove si dovesse ritenere, come ritiene il Garante Privacy (v. Provvedimento 8 aprile 2010 in materia di videosorveglianza – punto 4.1 Rapporti di lavoro), che la videosorveglianza installata a controllo dello strumento di accertamento delle presenze/assenze costituisce controllo sull'attività lavorativa e sull'adempimento della prestazione, come tale a tutt'oggi espressamente vietato dall'art. 4 Stat. lav., il quale circoscrive il controllo lecito «esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale». Laddove invece si ritenga, come pure possibile, che il controllo sulle assenze/presenze non è controllo diretto sull'attività lavorativa e dunque sull'adempimento della prestazione, ovvero che lo stesso risponda ad insopprimibili «esigenze organizzative» o di «sicurezza», occorrerà comunque seguire le prescrizioni dell'art. 4 Stat. Lav., il quale, mentre al comma 2 esclude l'accordo sindacale o (in mancanza) l'autorizzazione amministrativa di cui al comma 1 per l'installazione degli «strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze», rende invece senz'altro necessario il rispetto della procedura sindacale o amministrativa per l'installazione di videocamere di sorveglianza puntate sugli strumenti di accertamento delle presenze o l'utilizzo di altri apparecchi biometrici, con il rischio, qui dato da un mancato coordinamento di coeve discipline di legge sull'esercizio dei poteri di controllo datoriali, di depotenziare l'effetto deterrente del d.lgs. n. 116/2016» (Mainardi, Il licenziamento disciplinare, 589).

Il procedimento accelerato.

Il comma 3-ter dell'art. 55-quater detta il celere procedimento disciplinare conseguente al provvedimento di sospensione cautelare. Esso deve concludersi – innanzi all'ufficio per i procedimenti disciplinari – entro 30 giorni «dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell'addebito». Ciò, ovviamente, si giustifica in ragione della immediata e certa contestazione al dipendente consentita dall'accertamento della condotta fraudolenta in flagranza o attraverso strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi/presenze.

Il legislatore delegato specifica che con la sospensione si procede alla contestuale contestazione per iscritto dell'addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all'ufficio, con un preavviso di almeno quindici giorni. Il dipendente può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato; fino alla data dell'audizione, «può inviare una memoria scritta o, in caso di grave, oggettivo e assoluto impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l'esercizio della sua difesa per un periodo non superiore a cinque giorni». Il differimento del termine a difesa può essere disposto una sola volta nel corso del procedimento.

La violazione dei termini in questione, «fatta salva l'eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall'azione disciplinare né l'invalidità della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all'art. 55-bis, comma 4 [120 giorni dalla contestazione dell'addebito]». Viene, così, inibita la tradizionale equiparazione tra vizio sostanziale e vizio formale ai fini della sanzionabilità del licenziamento illegittimo, naturalmente allorquando sono invece giudizialmente accertati la sussistenza dell'illecito ed il rispetto dei diritti di difesa. Il d.lgs. n. 116/2016 ha, così, rappresentato un momento di collaudo della dequotazione dei vizi formali. In vista dell'estensione di tale principio, successivamente realizzata dal d.lgs. n. 75/2017, alla generale regolamentazione del procedimento disciplinare. Si veda, infatti, il comma 9-ter dell'art. 55-bis del decreto 165, introdotto nel 2017, laddove statuisce che «la violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare previste dagli articoli da 55 a 55-quater, fatta salva l'eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall'azione disciplinare né l'invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell'azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività». Peraltro, fatto salvo quanto previsto per i furbetti del cartellino dall'art. 55-quater, commi 3-bis e 3-ter, il comma 9-ter sancisce anche che «sono da considerarsi perentori il termine per la contestazione dell'addebito e il termine per la conclusione del procedimento».

La Relazione illustrativa del decreto 116 ha sottolineato che «la volontà è di procedere velocemente all'accertamento e alla relativa sanzione del comportamento fraudolento con termini più che dimezzati rispetto a quelli previsti dalla normativa attuale. La sospensione cautelare, inoltre, consente di «anticipare» gli effetti del licenziamento disciplinare nei casi più gravi di falsa attestazione della presenza in servizio attraverso l'allontanamento, senza stipendio, del dipendente dalla sede di lavoro».

La durata assegnata al nuovo meccanismo procedurale rappresenta una notevole decurtazione rispetto alla regolamentazione generale in tema di svolgimento del procedimento disciplinare, che per le infrazioni di maggior gravità trova espressione nel combinato disposto dei commi 2, 3 e 4 dell'art. 55-bis del d.lgs. n. 165/2001, come novellati dal d.lgs. n. 75/2017.

In dottrina si è osservato che «la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza 26.1.2016, n. 1351 ha sostenuto – e ciò non è manifestazione rapsodica, ma ius receptum – che «sebbene debba condividersi la tesi dell'illegittimità, in via astratta (come del resto in più occasioni affermato dai Giudice delle leggi, cfr. Corte cost. n. 971/1988, n. 239/1996 e n. 286/1999), di qualsivoglia automatismo nell'irrogazione di sanzioni disciplinari (specie laddove queste consistano nella massima sanzione) in base all'art. 55 d.lgs. 165/2001, così come modificato dal d.lgs. 150/2009, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato (giusto il perdurante richiamo all'art. 2106 c.c. da parte dell'art. 55, comma 2), e pur dovendosi qui rimarcare che la proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi è regola valida per tutto il diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative ex art. 11, l. n. 689 dei 1981, ecc.), trasfusa per l'illecito disciplinare nell'art. 2106 c.c., pure richiamato dall'art. 55 del d.lgs. n.165/2001, con conseguente possibilità per il giudice di annullamento della sanzione «eccessiva», proprio per il divieto di automatismi sanzionatori, non essendo in definitiva possibile introdurre, con legge o con contratto, sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali ad illeciti disciplinari, deve rilevarsi che nella specie la Corte di merito ha adeguatamente motivato circa la sussistenza nel caso esaminato di tale proporzionalità». Come dire: il legislatore può prevedere sanzioni espulsive connesse a fatti predeterminati, ma quel che conta è il modus in rebus dei comportamenti sanzionati. È dunque evidente che il licenziamento hic et nunc del dipendente che attesta falsamente la propria presenza in servizio non sempre costituisce misura sanzionatoria proporzionata ex art. 2106 c.c. al fatto comunque commesso (fatto commesso una sola volta, false attestazioni per manciate di minuti, et coeteris paribus), con la conseguenza che il giudice adíto dal lavoratore licenziato ha buon gioco a dichiarare illecito il licenziamento e disporre la reintegrazione nel posto di lavoro tutte le volte che l'abbia ritenuto irragionevole perché sproporzionato al disvalore in concreto del fatto commesso in violazione dei doveri di servizio. La conseguenza di ciò è ovvia: fra la previsione ex lege della misura epurativa e la sua effettiva irrogazione da parte dell'autorità disciplinare non v'è nesso di necessaria conseguenzialità» (Nobile).

In sostanza, la tesi della presunta automaticità della irrogazione della sanzione espulsiva (che si è voluto derivare dal dettato del comma 1 dell'art. 55-quater del decreto 165, laddove statuisce che «si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento») appare non in linea con il principio di proporzionalità – immanente in materia disciplinare – e con la logica del procedimento, volta a far emergere le difese dell'incolpato.

La dottrina prospetta che, di fatto, nell'ambito di condotte comunque segnate da indubbia gravità, alcune fattispecie concrete potrebbero modularsi in modo spiccatamente peculiare: l'assenza può essere più o meno giustificata, la falsità può essere più o meno grave. Il che consentirebbe, in ipotesi, al titolare dell'azione disciplinare di applicare, all'esito del procedimento, anche sanzioni conservative rispetto alle ipotesi tipizzate per legge. Va sottolineata, perciò, l'importanza di un corretto svolgimento del procedimento disciplinare «anche per le (pur gravissime) ipotesi contemplate dal nuovo decreto, sia per quanto riguarda l'accertamento dei presupposti di applicazione della disciplina speciale (flagranza e/o accertamento tramite strumenti di sorveglianza o registrazione), sia per quanto riguarda il grado di coinvolgimento dei dipendenti interessati nelle condotte fraudolente, specie nei termini della «agevolazione» di cui al comma 1-bis; dovendosi ammettere, anche per tali ipotesi, la necessaria applicazione del principio di proporzionalità della sanzione rispetto al concreto atteggiarsi delle condotte indicate dalla legge» (Mainardi, Il licenziamento disciplinare, 591).

La parabola del danno all'immagine.

Con il comma 3-quater dell'art. 55-quater, il legislatore ha inteso introdurre una azione di responsabilità per danni di immagine della P.A. nei confronti del dipendente sottoposto ad azione disciplinare e sospensione per falsa attestazione della presenza in servizio. La norma non ha passato però il vaglio della Consulta, intervenuta nel 2020 a sancirne l'illegittimità per eccesso di delega rispetto ai criteri indicati dalla legge Madia del 2015.

Come noto, il risarcimento del danno all'immagine della pubblica amministrazione, quale lesione alla rappresentazione che i consociati hanno della integrità ed efficienza della P.A. medesima, ovvero, più precisamente, «del danno derivante dalla lesione del diritto all'immagine della p.a. nel pregiudizio recato alla rappresentazione che essa ha di sé in conformità al modello delineato dall'art. 97 Cost.» (Corte cost. n. 355/2010), ha origine pretoria, essendo, tale lesione inizialmente riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte dei conti, che ha ritenuto proponibile la relativa domanda risarcitoria da parte del PM senza alcun limite, né in ordine al fatto generatore di responsabilità, né, tantomeno, con riguardo alla necessità che tale fatto venisse preventivamente accertato in sede penale. Nel tentativo di punire comportamenti dannosi, si è così ampliato l'area del danno erariale risarcibile elaborando questa come altre figure di danno: da tangente, da consulenze, da disservizio, da dissesto, all'equilibrio economico-finanziario.

Il danno all'immagine è stato dunque ricostruito come menomazione e lesione dell'autorevolezza e della funzionalità dell'amministrazione, che, a seguito delle condotte illecite del proprio personale, perde di prestigio, credibilità e affidabilità all'esterno, ingenerandosi nei consociati la convinzione che i comportamenti patologici posti in essere dai pubblici dipendenti siano una caratteristica usuale dell'azione amministrativa. Più diffusamente, il danno all'immagine investe il rapporto stesso che lega la comunità degli amministrati all'ente pubblico per il quale il dipendente infedele agisce; esso postula il venir meno, da parte dei cittadini o anche di una categoria di soggetti (fruitori o prestatori di servizi od opere), del senso di affidamento e fiducia nel corretto funzionamento dell'apparato della pubblica amministrazione, nonché del senso di «appartenenza all'istituzione» stessa. La lesione si identifica nell'offesa al rispetto di tutte le disposizioni di legge poste a tutela delle competenze, delle funzioni e delle «responsabilità» dei soggetti pubblici e nella conseguente alterazione dell'identità della pubblica amministrazione quale istituzione garante, di fronte alla collettività tutta, di principi di trasparenza, legalità, imparzialità ed efficienza. Ogni danno all'immagine della P.A., che sia autenticamente tale per gravità e diffusione del discredito, reca in sé un pregiudizio per lo Stato Comunità ed impone un «agire diversamente», un «riorganizzarsi», con conseguenti costi per la collettività.

Tale forma di danno è strettamente connessa alla lesione di diritti della personalità pubblica, poiché in base al principio di immedesimazione organica l'amministrazione viene identificata con quanti agiscono per essa. Nei limiti in cui il dipendente agisce illecitamente, e dunque violando i doveri di ufficio, il dovere di fedeltà e i precetti costituzionali di buon andamento ed imparzialità, si ingenera nell'opinione pubblica, anche per effetto delle notizie divulgate, la constatazione che l'illiceità caratterizzi l'operato della persona pubblica: da qui il discredito, il venir meno del rapporto di fiducia degli amministrati, il grave detrimento e la lesione alla pubblica immagine. Cfr., ex multis, C. conti sez. riun., n. 10/QM/2003; C. conti sez. giurisd. Lazio, n. 993/2012; C. conti sez. giurisd. Toscana, n. 22/2015.

È poi intervenuto il legislatore, con l'art. 17, comma 30 -ter , del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 , come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera c), numero 1), del d.l. 3 agosto 2009, n. 103, che ha stabilito come «Le procure della Corte dei conti possono iniziare l'attività istruttoria ai fini dell'esercizio dell'azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della l. 27 marzo 2001, n. 97». La legge ha individuato, quindi, i presupposti per l'esercizio dell'azione mediante un espresso rinvio all'art. 7 della l. 27 marzo 2001, n. 97 («Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche») il quale prevedeva che la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei pubblici dipendenti per i delitti contro la pubblica amministrazione (previsti dal Capo I del Titolo II del Libro II del codice penale) venisse comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti per il successivo avvio, entro trenta giorni, dell'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato, con ciò limitando l'azione erariale per danno all'immagine per i soli delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la PA.

L'entrata in vigore del codice di giustizia contabile, ad opera del d.lgs. n. 174/2016, non ha sostanzialmente ampliato l'ambito applicativo della norma. Accanto ai suddetti rigorosi limiti imposti per la punibilità del danno arrecato all'immagine dell'amministrazione pubblica, il legislatore ha affiancato un'ulteriore ipotesi di lesione alla immagine della cosa pubblica del tutto eccezionale. Con l'art. 7 della l. n. 15/2009, infatti, il Parlamento ha delegato il Governo, tra l'altro, ad ottimizzare la produttività del lavoro pubblico nonché l'efficienza e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni, stabilendo, al comma 1, primo periodo, che «l'esercizio della delega nella materia di cui al presente articolo è finalizzato a modificare la disciplina delle sanzioni disciplinari e della responsabiltià dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche ai sensi dell'art. 55 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 e delle norme speciali vigenti in materia, al fine di potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici contrastando i fenomeni di scarsa produttività e di assenteismo». Il comma 2 di detto art. 7, quindi, ha previsto che nell'esercizio della delega, il Governo prevedesse «a carico del dipendente responsabile, l'obbligo del risarcimento del danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all'immagine subito dall'amministrazione». In attuazione di detta delega, il d.lgs. n. 150/2009 ha introdotto, nel d.lgs. n. 165/2001, l'art. 55-quater rubricato «Licenziamento disciplinare» e, con riferimento alle false attestazioni, l'art. 55-quinquies, con il quale è stata introdotta una autonoma fattispecie di reato per punire tutte quelle condotte fraudolentemente orientate alla alterazione delle certificazioni e/o attestazioni della presenza in servizio. Nel medesimo articolo, al secondo comma, accanto alla responsabilità penale e disciplinare derivante dalle condotte suddette, è stato previsto l'obbligo di risarcire il danno patrimoniale subito dall'amministrazione, pari alle ore falsamente attestate e non lavorate nonché il danno all'immagine subito dall'amministrazione.

Trattasi di un'ipotesi di responsabilità tipizzata dolosa che nello stesso tempo si presenta ricognitiva dei principi generali sulla responsabilità amministrativa di cui alle leggi n. 19/1994 e n. 20/1994 quanto al danno patrimoniale, nonché per certi aspetti innovativa quanto al danno all'immagine. Per il danno all'immagine l'art. 55-quinques del decreto n. 165 presenta un evidente carattere di specialità rispetto all'art. 1 del d.l. n. 103/2009, di modifica dell'art. 17, comma 30-ter, d.l. n. 78/2009.

Il legislatore nell'introdurre tale nuova ipotesi di danno all'immagine non ha operato sulla preesistente normativa, ampliando il novero delle fattispecie punibili (reati di cui al capo I, titolo II, del libro II del codice penale), ma ha inteso, per rendere maggiormente sanzionabili le condotte fraudolente dei dipendenti, svincolarsi dalle anguste maglie che legano la sussistenza del danno all'immagine solo all'ipotesi di ricorrenza di una sentenza penale passata in giudicato. Del resto, un'opzione ermeneutica differente colliderebbe contro il chiaro dato testuale normativo che, alla ricorrenza della condotta fraudolenta, fa sorgere l'obbligo del risarcimento sia del danno patrimoniale che all'immagine, ponendo entrambe le fattispecie sullo stesso piano; non avrebbe, pertanto, alcun senso trattare in modo differenziato le conseguenze di una condotta unitaria, svincolando il danno patrimoniale dalla sussistenza della sentenza penale irrevocabile di condanna rispetto a quello all'immagine; allo stesso modo non appare plausibile esigere per entrambi la sussistenza di una condanna penale giacché per quello patrimoniale la risarcibilità rientra nell'ambito dei principi generali della responsabilità amministrativa. In conclusione, la tecnica di redazione fa propendere per un rapporto tra le due differenti normative di genus a species.

Come accennato, tale normativa ha subito ulteriori integrazioni ad opera della riforma Madia (l. n. 124/2015).

In attuazione di tale delega, l'art. 1, comma 1, letterab), del d.lgs. n. 116/2016 ha inserito il comma 3- quater all'art. 55-quaterdel d.lgs. n. 165/2001, il quale ha previsto, nel caso in cui la falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente (comma 1, lettera 23 a), sia accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze (comma 3-bis):

– la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente Procura regionale della Corte dei conti deve avvenire entro 20 giorni dall'avvio del procedimento disciplinare (termine aumentato dal decreto correttivo del 2017 rispetto all'originario di 15 giorni) dall'avvio del procedimento disciplinare; tale prescrizione è l'unica a residuare dopo la sentenza della Consulta del 2020;

– la Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d'immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento:

– l'azione di responsabilità è esercitata, con le modalità e nei termini di cui all'art. 5 del d.l. 15 novembre 1993, n. 453 («Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti») entro i 150 giorni (dopo il prolungamento di 30 giorni operato dal decreto correttivo) successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga;

– l'ammontare del danno risarcibile veniva rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l'eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia.

Da ultimo, l'art. 16, comma 1, lett. a) del d.lgs. 25 maggio 2017 n. 75 ha modificato il comma 2 dell'art. 55-quinquies del medesimo d.lgs. 165/2001, nel senso di sostituire la locuzione «nonché il danno all'immagine subito dall'amministrazione», con la locuzione «nonché il danno all'immagine di cui all'art. 55-quater, comma 3-quater», omogeneizzando la disciplina.

Corte cost., n. 61/2020 è, però, successivamente intervenuta a dichiarare costituzionalmente illegittimi, per violazione dell'art. 76 Cost., il secondo, terzo e quarto periodo del comma 3- quater dell'art. 55- quater del d.lgs. n. 165/2001 , come introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 116/2016, che disciplina la responsabile per danno patrimoniale e danno all'immagine alla p.a. arrecato dal pubblico dipendente attraverso la condotta di falsa attestazione della presenza in servizio mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento e altre modalità fraudolente. A differenza di quanto avvenuto con la precedente l. n. 15/2009, laddove il legislatore aveva espressamente delegato il Governo a prevedere, a carico del dipendente responsabile, l'obbligo del risarcimento sia del danno patrimoniale che del danno all'immagine subìti dall'amministrazione, tanto non si rinviene nella legge di delegazione n. 124/2015 – attuato dalla norma censurata – che, all'art. 17, comma 1, lett. s), prevede unicamente l'introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare. La materia delegata è quindi unicamente quella attinente al procedimento disciplinare, senza che possa ritenersi in essa contenuta l'introduzione di nuove fattispecie sostanziali in materia di responsabilità amministrativa e, in particolare, la specifica fattispecie del danno all'immagine arrecato dalle indebite assenze dal servizio dei dipendenti pubblici. Al contrario, la disposizione censurata dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per l'Umbria, prevede una nuova fattispecie di natura sostanziale intrinsecamente collegata con l'avvio, la prosecuzione e la conclusione dell'azione di responsabilità da parte del procuratore della Corte dei conti, da cui risulta inequivocabile il suo contrasto con il parametro evocato. Infine, sebbene le censure del rimettente siano limitate all'ultimo periodo del comma 3-quater dell'art. 55-quater, che riguarda le modalità di stima e quantificazione del danno all'immagine, l'illegittimità riguarda anche il secondo e il terzo periodo di detto comma, perché essi sono funzionalmente inscindibili con l'ultimo, così da costituire, nel loro complesso, un'autonoma fattispecie di responsabilità amministrativa non consentita dalla legge di delega.

La giurisprudenza contabile ha già avuto modo di precisare che, a seguito dalla sentenza n. 61/2020 della Consulta, «in tema di danno all'immagine derivante da false attestazioni e/o certificazioni della presenza dei pubblici dipendenti sui luoghi di lavoro non è stata operata una abrogazione radicale della fattispecie, ma sono stati, unicamente, riportati i confini della stessa a quelli prospettati dal legislatore delegato del 2009 e precisati dalla giurisprudenza coeva alla entrata in vigore della normativa di che trattasi e, precisamente, ipotesi di danno all'immagine nuova, non riconducibile ad un danno commesso nei confronti della pubblica amministrazione, di cui al libro secondo, capo primo del codice penale e non cristallizzata in una sentenza penale irrevocabile di condanna. In tal senso si è espressa di recente anche la giurisprudenza di appello di questa Corte (II Appello sentenze 140 e 146/2020) che ha ritenuto, dopo l'intervento della Corte Costituzionale, non già radicalmente abrogata l'ipotesi di danno all'immagine nei confronti della pubblica amministrazione, derivante da false attestazioni della presenza in servizio, ma sopravvissuta alla dichiarazione di incostituzionalità, la previsione di cui all'art. 55-quinquies del d.lgs. 165/2001, secondo le indicazioni offerte dal legislatore delegato del 2009 che aveva previsto, accanto alla risarcibilità del danno patrimoniale subito dall'amministrazione per le ipotesi di falsa attestazione in servizio del pubblico dipendente, la risarcibilità del danno all'immagine subito dalla pubblica amministrazione» (C. conti sez. giurisd. Toscana, n. 267/2020).

La responsabilità dei dirigenti.

Il comma 3- quinquies dell'art. 55- quater pone una sorta di chiusura del sistema, impattando sul ruolo della dirigenza, primo motore del contrasto ai fenomeni di assenteismo. La norma accresce e affina la responsabilità disciplinare degli stessi dirigenti ovvero, negli enti privi di qualifica dirigenziale, dei responsabili di servizio competenti. In particolare, sempre nei casi di cui al precedente comma 3-bis (le ipotesi di falsa attestazione in flagranza o con accertamento mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione), per i dirigenti che abbiano acquisito conoscenza del fatto, «l'omessa attivazione del procedimento disciplinare e l'omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare, senza giustificato motivo, costituiscono illecito disciplinare punibile con il licenziamento». Di tali condotte omissive «è data notizia, da parte dell'ufficio competente per il procedimento disciplinare, all'Autorità giudiziaria ai fini dell'accertamento della sussistenza di eventuali reati».

Sul tema generale si era espressa in precedenza Cass. pen. II, n. 35344/2011, sancendo che concorre nel reato di truffa aggravata «con condotta commissiva – anziché mediante omissione ai sensi dell'art. 40,2 comma c.p. – il dirigente di un ufficio pubblico che non soltanto non impedisce che alcuni dipendenti pongano in essere reiterate violazioni nell'osservanza dell'orario di lavoro, aggirando in modo fraudolento il sistema computerizzato di controllo delle presenze, ma favorisca intenzionalmente tale comportamento creando segni esteriori di un atteggiamento di personale favore nei confronti dei correi, in modo tale da creare intorno ad essi un'aurea di intangibilità, disincentivare gli altri dipendenti dal presentare esposti o segnalazioni al riguardo e così affievolire, in ultima analisi, il cosiddetto ‘controllo sociale' “....” tale condotta ha valenza agevolatrice del reato anche solo per il sostegno morale e l'incoraggiamento che i dipendenti infedeli ricevono da una simili situazione di favore; senza che occorra accertare se il dirigente dell'ufficio avesse o meno potere il potere di impedire la consumazione del reato».

La disposizione introdotta nel 2016 rappresenta un indubbio aggravamento, rispetto alla disciplina previgente.

Gli obblighi informativi all'Ispettorato della funzione pubblica.

Con il d.lgs. n. 118/2017, correttivo e integrativo del d.lgs. n. 116/2016, il legislatore delegato ha anche introdotto specifici obblighi informativi all'Ispettorato della funzione pubblica dei procedimenti disciplinari attivati e conclusi.

Ciò inserendo, nell'art. 55-quater del d.lgs. n. 165/2001, un nuovo comma 3-sexies, che dispone l'obbligo di comunicare all'Ispettorato per la funzione pubblica – ai sensi dell'art. 55-bis comma 4, del decreto 165 – i provvedimenti di cui ai commi 3-bis (sospensione cautelare senza stipendio del dipendente) e 3-ter (immediata contestazione per iscritto dell'addebito e convocazione del dipendente), nonché i provvedimenti conclusivi dei procedimenti di cui al medesimo art. 55-quater.

La finalità è di fornire alla pubblica amministrazione strumenti per il monitoraggio continuo delle sanzioni contro i dipendenti infedeli.

Bibliografia

Kranz, Il licenziamento del «truffatore del cartellino». È ora di finirla di chiamarlo «furbetto», in Azienditalia -Il Personale, 2016, 8/9, 452; Mainardi, Il licenziamento disciplinare per falsa attestazione di presenza in servizio, in Giornale di dir. amm., 2016, 5, 587; Mainardi, Profili della responsabilità disciplinari dei dipendenti pubblici, in Riv. giur. lav., 2010, I, 615; Mattarella, La responsabilità disciplinare, in Giornale di dir. amm., 2010, 1, 34; Nobile, Truffe d'orario e licenziamenti in tronco: come andar per lana e tornare tosati a casa, in La Gazzetta degli Enti Locali del 11/3/2016; Venanzoni, oldrini, Per una nuova narrazione del lavoro alle pubbliche dipendenze, in amministrazioneincammino.luiss.it.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario